La polemica che si è sviluppata sul Polo universitario aretino e soprattutto gli interventi d’illustri politici locali mi hanno fatto ricordare quel che diceva Leonardo Sciascia: «la sicurezza e la chiarezza con cui riusciamo a parlare delle cose che appena conosciamo…». Si legga l’incredibile articolo che segue; ma anche gli altri non sono diversi. Lo sanno, questi signori, quanto costa il Polo aretino all’università di Siena? Negli ultimi dieci anni, solo per il funzionamento e gli stipendi dei dipendenti circa 130 milioni d’euro. Si aggiungano gli immobili – il Pionta è valutato 25 milioni di euro – e il conto della serva è presto fatto. Pertanto, Arezzo, si accomodi pure, tagli il cordone ombelicale con Siena ed apra i cordoni della borsa. Le troverà fitte, le università disposte a fare quel che ha fatto Siena in tutti questi anni!
Università, c’è da tagliare il cordone ombelicale con Siena (Arezzo Notizie, 27 febbraio 2011)
Romano Salvi. Almeno fino ai prossimi tagli di un ateneo, quello senese, pieno di debiti, Lettere si è salvata. Ma lo scampato pericolo non può far rimuovere il vero problema: quello della reale prospettiva della presenza universitaria ad Arezzo. Per affrontarlo non basta che il problema, finora realisticamente avvertito solo da Confindustria Arezzo che ha firmato accordi proficui con le facoltà aretine, tenga banco negli interventi dei politici in piena campagna elettorale. Al di là dei proclami elettorali, serve una volontà comune di tutte le istituzioni e del mondo economico che proprio per superare la crisi ha bisogno dell’Università e del suo patrimonio formativo. Perfino Amintore Fanfani, quando più di quaranta anni fa promosse l’arrivo a Villa Godiola delle facoltà di Magistero dell’ateneo senese, ebbe problemi prima di convincere tutte le componenti cittadine dell’utilità della facoltà di Magistero. Commettere lo stesso errore sarebbe ancora più grave: perché se Magistero fu il fiore all’occhiello di una fase di una espansione economica irripetibile e proprio in quegli anni al suo culmine, oggi i corsi universitari in città rappresentano un riferimento indispensabile per la formazione a cui deve attingere l’impresa aretina, soprattutto quella di minori dimensioni, in cerca di rilancio. Per questo servono nuove risorse economiche e nuove idee per riazzerare il progetto della presenza universitaria ad Arezzo che non può più limitarsi al legame con Siena. Il Polo universitario aretino, nel quale si ritrovano istituzioni e associazioni economiche, deve tagliare il cordone ombelicale con un ateneo talmente in crisi che ha corso il rischio di essere commissariato. Lo stesso Polo deve rifondarsi nel nuovo progetto per un città che si trova in mezzo a un triangolo ai cui vertici spiccano sedi universitarie di grande prestigio. In città e in provincia risiedono ottomila studenti universitari iscritti a quei tre atenei, oltre che a Roma, Bologna, Milano, Parma, Torino ed Urbino. Quante risorse economiche potrebbero restare ad Arezzo se qui si riuscisse a creare una stretta sinergia con quelle Università. E quanti studenti sarebbero attratti ad Arezzo? Un po’ di conti bastano per indurre il Polo, o comunque si chiami, ad investire su orizzonti ben più ampi di quelli che finiscono a Siena.
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Giovanni caro, leggi con attenzione la pagina
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/28/in-vino-veritas%e2%80%a6-i-rettori-fanno-politica/94349/
e capirai l’ingenuità del redattore quando conclude invitando i rettori alla decenza!
Come la storia anche senese insegna di tali auspici se ne fottono e spudoratamente accusano chi osa dir la verità di rovinare l’immagine dell’università…
I vertici del triangolo sono occupati da Firenze, Siena e Perugia. Al centro c’è Arezzo.
Se la geometria non è un’opinione, non c’è bisogno di essere esperti di sistemi complessi per sapere il da farsi. Ottomila studenti aretini potrebbero sistemarsi tutti a casetta e per sovramercato Siena non correrebbe il rischio di soffocare tra i rifiuti. Elementare Watson!
Una questione che però non mi è chiara riguarda l’inconsueta richiesta di letterati da parte del sistema industriale e produttivo aretino. Io ero rimasto all’idea che gli industriali avessero bisogno di ingegneri, chimici, contabili, avvocati, elettricisti, carpentieri e tornitori. Ora scopro che invece vogliono dei letterati che quando si iscrivono all’università lo fanno solo per passione, ben sapendo di non avere sbocchi sul mercato del lavoro al di là dell’insegnamento. Evidentemente mi sono perso qualcosa.