Ciclo ormai compiuto: l’università di Siena è il nuovo Cepu, quello pubblico

Rabbi Jaqov Jizchaq. L’idea che si debba tacere “perché si sono iscritti un sacco di studenti”, come vaneggiano certe gazzette, mi pare vieppiù puerile. Lo “smantellamento” non è una metafora: è semplicemente la constatazione del dato nudo e crudo che ogni anno spariscono pezzi dell’ateneo e corsi di laurea, “a posteriori” definiti “inutili”. Abituati alle memorabili campagne dell’ufficio imperialregio per la propaganda dell’immagine, sembra che l’importanza di una scienza sia in larga misura questione d’involucro, ma prima o poi considerazioni di ordine qualitativo diverranno ineludibili e mi pare un po’ puerile asserire che da questo punto di vista “tutto va bene madama la marchesa” perché si sono iscritti un sacco di studenti a “l’ateneo”. Giacché gli studenti non si iscrivono a “l’ateneo”, né alle “facoltà” (che oltretutto spariranno nel breve volgere di tre o quattro mesi), bensì a specifici corsi di laurea, non dimenticando che anche a questo giro di corsi di laurea ne sono spariti parecchi (nel comparto umanistico hanno fatto dei gran calderoni). Allargando poi lo sguardo ai tre atenei toscani, al di là dello sfarzo di chi può ostentare decine di professori di ruolo (e la patologica disomogeneità della distribuzione dei docenti, ovviamente non ritengo sia frutto del caso, né che abbia alcuna relazione con “l’eccellenza”), dico che è abbastanza triste constatare come corsi di laurea o settori scientifici che hanno avuto una tradizione e in certa misura fatto la storia di quegli atenei, oggi languiscano, sopravvivano a fatica, chiudano o rischino di chiudere, per il mix letale di “requisiti minimi di docenza” (declinazione del concetto di “taglio lineare”), pensionamenti, crisi finanziaria e blocco del turn over. Continuo pertanto a chiedermi che senso abbia oramai disseminare studiosi e studenti di un medesimo settore che non si è più in grado di tenere in tutti e tre gli atenei, qua e là a languire, piuttosto che concentrarli a dar man forte in una o due sedi. Qualcuno riderà sotto i baffi, rilevando che ciò è contrario a norme e consuetudini, e io replico che allora smettiamo di riempirci la bocca con “le riforme”, “la valutazione”, “la programmazione” e “l’eccellenza”. Se poi vogliamo consolarci sbandierando i dati generici delle immatricolazioni fingendo che tutto sia rimasto come prima e si tratti solo di risolvere il piccolo fastidioso inconveniente di una voragine nel bilancio, facciamo pure: chi si contenta, gode. I dati delle immatricolazioni sono ovviamente quelli delle triennali, perché per le iscrizioni alle specialistiche (o quel poco che ne è rimasto) toccherà aspettare a Dicembre, ma a mio modestissimo avviso v’è più ragione per perseverare nel nostro consueto scetticismo. Non so se il tutto è cominciato a Bologna, a Lisbona (o a Stigliano), ma come prova lo sdilinguirsi del Marignani, la sensazione è che la politica universitaria volta allo sfascio sia sostanzialmente condivisa bipartisan, avendo trovato qui a Siena più che altrove dei solerti esecutori e degli originali interpreti. Il dibattito intorno all’università appare convenzionale, stereotipato, ideologico, acritico, disinformato, leggermente omertoso e sostanzialmente artificioso. Molto sommessamente nel mio intervento precedente avrei sollevato qualche problemuccio ulteriore al quale non mi pare si possa rispondere in modo tranchant ed elusivo. Altrimenti sostituiamo la scritta che campeggia sulla porta Camollia, “Cor magis tibi Sena pandit” con un’altra: “ve la dò gratisse”. La laurea, s’intende.