Sul reclutamento universitario una proposta del CUN per uscire dall’emergenza

CUNaprile2014

Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) propone alcune misure di emergenza che evitino il collasso strutturale del sistema universitario italiano e che tengano conto della loro sostenibilità finanziaria e della loro compatibilità con l’attuale contesto legislativo.

8 Risposte

  1. …78.000 studenti perduti in dieci anni; 12.000 docenti perduti in quattro anni… vabbè, ma l’uomo della strada seguita a dire: “eh so’ troppiiii!”. Non ha tutti i torti, in effetti, il tapino, specie se si rivolge a chi non capisce che la ricchezza, per essere redistribuita, deve prima essere prodotta, che questo paese è praticamente in recessione da mezzo secolo e nel 2011 vi è stato il giro di boa per cui in Italia gli emigranti hanno superato il numero di immigrati. Quattrini, nell’era delle “spending review”, nel sistema ne arriveranno pertanto sempre meno, CUN o non CUN, e gli eventuali miracoli non possono essere preventivati.

    Insomma, le geremiadi del CUN non credo che sortiranno alcun effetto: ma allora che si fa, stiamo a guardare? A Siena la sensazione di stasi è più accentuata a causa dalla ben nota situazione locale; si naviga un po’ a vista, o per meglio dire non si naviga affatto: la calviniana “gran bonaccia delle Antille” (l’immobilismo) dura ormai da troppo tempo e il veliero è alla deriva.

    È evidente che l’eccezionalità della situazione richiederebbe una eccezionalità delle misure, e visto che di quattrini non ce n’è, le risorse vanno trovate in primo luogo rendendo più razionale l’organizzazione del sistema degli atenei, che non può ulteriormente essere concepito come un insieme di monadi non comunicanti (la famigerata “autonomia”). Il luogo comune (senz’altro apprezzato dall’uomo della strada) secondo cui 500-600 docenti a Siena sono il numero “giusto” per l’ateneo ammonta all’ennesimo diversivo mirante ad eludere la risposta: “giusto” per fare cosa?

    Innanzitutto, 500-600 docenti e 1000 amministrativi. Molto razionale, non c’è che dire! Non sarebbe l’ora che anche le OO.SS, sempre pronte a contrapporre docenti e amministrativi, cominciassero a riflettere sul fatto che lo smantellamento incessante delle strutture didattiche e della ricerca non giova punto alla causa del personale TA, già in imbarazzante esubero? E poi, parlando del “corpo docente”, non è che stiamo parlando di branchi di bestie vaccine, tutte uguali nella notte hegeliana, quanto a settore disciplinare e stipendio: i docenti “giusti” per fare cosa?

    A Siena, al giorno di oggi 17 Aprile 2014, vi sono 352 ricercatori di ruolo, su un totale di 795 docenti di ruolo (vd. http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/vis_docenti.php): docenti che complessivamente sono destinati a diventare meno di 600, considerato che a quelli che se ne vanno in pensione dobbiamo aggiungere quelli che già se ne stanno andando perché hanno trovato fortuna altrove, e che se in capo a qualche anno bandiranno due dozzine di concorsi, per un principio probabilistico d’indifferenza dobbiamo supporre che non più della metà saranno esterni: cioè a dire, in termini numerici, il numero di nuovi docenti sarà pressoché trascurabile.

    Questo è quanto: mentre altri 200 docenti, per la maggior parte associati ed ordinari, fanno le valige verso l’agognata pensione, dopo che già 269 sono andati via, salvo miracoli (che non possono essere messi a bilancio) dei 352 ricercatori residui almeno 300 non hanno alcuna chance di chiamata come associati a Siena nel prossimo futuro.

    È passata – si dice – l’idea che Siena non sarà più un ateneo semi-generalista, ma fortemente specializzato: come se bastasse dirlo et voilà! Specializzato in cosa? Con quali mezzi? Attraverso quali politiche? Quanti studenti contate di avere? Già perso il 25% in sei anni. Scendere sotto i 10.000 studenti, relegandoci al rango di “piccolo ateneo” in una fase in cui ti tali diseconomiche strutture si richiede la chiusura, comunque, è come suicidarsi. Quando poi chiedi in giro quali saranno le specializzazioni che verranno salvaguardate, ognuno dice – forse a scopo scaramantico, ma prendendo in giro sé stesso e gli altri – che verrà salvaguardata la propria e cancellata quella del vicino.

    Potrei capire se riuscissimo a fare le stesse cose o quasi con un numero ridotto di docenti distribuiti in modo pianificato all’interno di una struttura organica, ma qui non c’è nessuna “cabina di regia” che pianifichi alcunché, o forse ve ne sono troppe, troppe teste, un’Idra, un sistema sostanzialmente improntato al particolarismo, e il modo in cui avviene questa riduzione (pensionamenti) è del tutto casuale e comporta semplicemente l’ulteriore, drastica riduzione dell’offerta formativa.

    Vedi alla voce “Fatalismo”. Propongo a tal proposito di riportare sotto al sopracitato grafico la seguente voce, che bene illustra l’atteggiamento mentale di chi ritiene che la nuova configurazione dell’ateneo senese emergerà in un certo senso da sé, con una sorta di germinazione spontanea dalla materia putrefatta, senza bisogno di alcuno sforzo di pianificazione, semplicemente aspettando che un po’ di gente muoia o vada in pensione:

    «ragionamento pigro» (lógos argós, lat. ratio ignava):

    “Se è deciso dal fato che tu guarisca dalla malattia, sia che tu vada dal medico, sia che tu non vada, guarirai. Ma anche se è deciso dal fato che tu non guarisca dalla malattia, sia che tu vada dal medico, sia che non vada, non guarirai. Ma o è deciso dal fato che tu guarisca dalla malattia o è deciso dal fato che tu non guarisca. Dunque è inutile che tu vada dal medico”.

    (Stoicorum Veterum Fragmenta)

  2. 1. Ho udito un giornalista a “Prima Pagina”, arrischiare la seguende affermazione un po’ osé: “in Italia siamo tutti laureati!”. Luogo comune ottimo per l’uomo della strada (non ancora investito dal filobus) ma quantomai falso. Leggo infatti dal Corriere della Sera:

    “Università italiana maglia nera in Europa: tasse alte e pochi laureati. Sono sotto l’Inghilterra e l’Olanda ma sopra Francia e Spagna (che erogano più borse), mentre in Germania e nei Paesi scandinavi sono gratis. Fanalino di coda in Europa. Nonostante i passi avanti, l’Italia è l’ultimo Paese dell’Unione per numero di laureati. Nella fascia fra i 30 e i 34 anni solo il 22,4% ha conseguito il titolo di «dottore», contro una media UE del 36,8% (dati Eurostat). Davanti a noi anche la Romania (22,8%), la Croazia (25,6%) e Malta (26%). Maglia nera d’Europa quanto a capacità di sfornare laureati, i nostri atenei primeggiano invece nello scaricare i costi dell’istruzione terziaria sugli studenti e sulle loro famiglie. L’università italiana è tra le più care d’Europa: le rette si aggirano in media attorno ai mille euro negli atenei pubblici.”

    (http://www.corriere.it/scuola/speciali/2014/crisi-universita/notizie/universita-italia-terza-europa-tasse-care-alte-olanda-inghilterra-ocse-paleari-c309c494-c165-11e3-9f36-c28ea30209b6.shtml)

    2. Del resto perché laurearsi? Viste le “ricche” opportunità che offre il nostro paese, un numero cospicuo di laureati in materie tecniche (ma non solo), a causa della progressiva desertificazione di molti comparti industriali ha preso la via dell’emigrazione verso la Germania (+40% nel solo 2011), paese dove a detta di qualcuno che non ha problemi di lavoro, “sono tutti nazisti”. Ergo, il non detto della politica italiana, che fa suo il motto dell’implacabile uomo della strada “eh so’ troppiii!”, è che il sistema deve essere pesantemente ridimensionato: non detto, e si potrebbe aggiungere non fatto, perché ammesso e non concesso che questo debba essere l’epilogo del tentativo di instaurare in Italia un sistema di università “di massa”, anche per dar luogo ad un diverso modello di istruzione universitaria non basta limitarsi a contemplare la putrefazione di quello esistente.

    3. Complessivamente, dopo i 12.000 già pensionati negli ultimi quattro anni, dall’università italiana se ne andranno altri 9.486 docenti entro il 2018 (dati del CUN). Questo è quanto: l’istruzione superiore, anche quella tecnico scientifica, la scienza pura o applicata, in questo paese oramai pesantemente deindustrializzato (un grande suk che si limita sempre più a commerciare cose ideate e prodotte altrove), paradossalmente cercando di venderle a gente che ha sempre meno quattrini, non costituiscono una priorità; il CUN chiede lo sblocco anticipato del turn-over, ma da Roma giungono notizie di altri milioni di tagli (la situazione dei conti pubblici è quella che è) e si vocifera di un prolungamento del blocco degli stipendi fino al 2020.

    4. Alla radio ho udito altresì un professore urbinate asserire che il difetto dell’università italiana è il suo essere troppo “generalista”; concordo sul fatto che lo spaccio di inutili pezzi di carta non serve a favorire né l’occupazione, né la crescita civile del nostro paese; non senza registrare però una contraddizione nel fatto che con la diminuzione delle risorse e del personale docente (dunque il venir meno in moltissimi casi dei requisiti di accreditamento dei corsi), anziché provvedere a creare poli territoriali (cogestiti a livello interateneo oppure con il ricorso alla mobilità del personale docente), robusti, fortemente specializzati e competitivi sul piano internazionale, si è preferito accorpare localmente onde dar luogo a cinobalaniche accozzaglie di nessuna attrattiva, seguendo la bislacca concezione opposta, ossia che uno, meno sa e sa fare, e più è “flessibile”, dunque suscettibile di trovare lavoro, ancorché al call center. Che insomma, passando al limite, l’analfabetismo è la condizione ideale (così come per ascendere ai vertici – recita un corollario della ben nota “Legge di Murphy” – è indispensabile l’incompetenza totale).

    5. Non voglio parlare di “politica”: al riguardo ognuno ha le sue idee, non è chiaro se e quante risorse verranno sottratte al comparto dell’università, ma il dato di fatto incontrovertibile è che di quattrini nel sistema ne arriveranno sempre meno, e sulla scorta di questo triste presagio, nonché del primato galattico che Siena conquistò nello sconquassare il proprio bilancio e nel distruggere un patrimonio secolare se ne trae la conclusione che anche il vagheggiato “piano straordinario di reclutamento”, in altre sedi già operativo, qui oramai si è capito che è destinato a rimanere un dato poco più che simbolico. Dunque la speranza agitata anche in questo blog, che mandassero via “i vecchi” per far posto ai “giovani”, è destinata a rimanere poco più che un’illusione: mandano via “i vecchi” per chiudere bottega, sic et simpliciter.

    6. Mentre altri 200 docenti si accingono a fare le valige verso l’agognata pensione dopo che già 269 sono andati via, salvo miracoli (che non possono essere messi a bilancio), di esterni non entrerà quasi nessuno. Al giorno del 25 Aprile 2014 a Siena vi sono un totale di 781 docenti di ruolo, dei quali 352 sono ricercatori a tempo indeterminato (vd. http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/vis_docenti.php), ex “giovani” per varie circostanze locali e nazionali (blocco del turn over e delle carriere) in attesa da tempo immemorabile di transire ad altre posizioni, in una transizione interminabile durante la quale sono incanutiti, si sono sposati, magari hanno divorziato e i figli sono cresciuti. Le abilitazioni nazionali, nel frattempo, sprofondano in un profluvio di centinaia e centinaia di ricorsi ai TAR: il sistema è bloccato.

    7. Considerando che i 600 docenti che sopravviveranno (vd. grafico “memento mori”) saranno semplicemente quelli non ancora andati in pensione, e non una scelta élite selezionata in base a un ipotetico “piano strategico” partorito da qualche commissione di saggi appo profonde meditazioni ed estenuanti calcoli delle effettive necessità in vista di una ottimale allocazione delle risorse, non vedo come di per sé la roulette russa dei pensionamenti possa dar luogo ad una più razionale organizzazione dell’ateneo e sospetto anzi che in verità ne alimenti il caos.

    8. Propongo al prof. Grasso di cambiare temporaneamente il titolo del blog in: “il senso delle MISURE”, giusto per stigmatizzare il fatto che nel dibattito pubblico (i.e. al bar) intorno all’università, raramente mi pare si abbia contezza precisa dei numeri:

    ”Il sindaco non ha negato che il sospirato pareggio di bilancio [dell’università] non è ancora stato raggiunto”. Il Cittadino Online

    ….eh, sì, Aprile è il più crudele dei mesi: per favore, fate leggere questo messaggio al sindaco, che ancora si balocca con le bufale del CENSIS.
    Comunque, dal resoconto apparso suo giornali del dibattito in consiglio comunale, mi pare che di tutto si sia parlato fuorché dell’essenziale, e cioè di questi numeri.

    April is the cruellest month, breeding
    Lilacs out of the dead land, mixing
    Memory and desire, stirring
    Dull roots with spring rain.” (T.S. Eliot)

  3. P.S. – Leggo sui quotidiani:
    Stefania Giannini:
    «Abolirò i concorsi universitari»

    SEMPRE ALL’AVANGUARDIA. Beh, di fatto qui a Siena li hanno già aboliti: nel senso che non ci sono da anni e dovremo attenderne ancora un paio perché se ne senta vagamente la puzza. Vi ricordate quando politici e sindacalisti affermavano che il personale docente dell’università di Siena era in esubero rispetto agli studenti e doveva essere ridotto, di almeno un 20%?
    Era vero, con mille “caveat”, ma è nondimeno strano che i nostri eroi che puntavano l’indice sull’eccesso di docenti non si rendessero conto del fatto che mentre il personale docente si avviava ad essere dimezzato fino ad attestarsi intorno ai 600 membri, dei quali oltre la metà ricercatori, per effetto dei massicci pensionamenti e prepensionamenti di oltre 500 persone, il personale TA si avviava ad essere costituito da 998 membri, ossia quasi il doppio di quello docente. Il CRUI dice: ”sembra opportuno almeno ipotizzare il mantenimento di un rapporto quantitativo 1:1 tra personale tecnico-amministrativo e personale docente in servizio” (vd. http://www.cun.it/media/124187/proposta_reclutamento_universitario_2014_04_09.pdf), che poi è grosso modo la media nazionale attuale; dunque, stando alle medie nazionali, Siena si avvia ad avere almeno 400 TA più del necessario. Ma di questo per ragioni politico-elettoralistiche ovviamente non si parla mai. Né sarò io a parlarne o a insistere sul punto, non avendo alcun motivo di ostilità verso il personale TA, se non per dire a certi politici e sindacalisti che sarebbe l’ora che la piantassero di rompere i cabbasisi con la melassa demagogica contro “il culturame”, quasi che l’università producesse salumi e formaggi, anziché didattica e ricerca, e si rendessero conto che domandare una ulteriore penalizzazione della docenza, cioè un ulteriore smantellamento delle strutture scientifiche e didattiche non giova punto, né all’ateneo, né alla causa stessa del personale TA, per evidenti motivi.
    E SO’ TROPPI. Se gli studenti fossero rimasti 23.000, una decurtazione del 20% del personale docente avrebbe sostanzialmente riportato Siena entro i parametri nazionali. In ogni caso da 1064 a 600 mi pare assai più del 20%: anzi, è più del doppio, e quello che c’è di peggio, è che ciò non è avvenuto “a tavolino”, squadra e compasso, sulla base di una decisione avveduta, di un calcolo razionale delle necessità, settore per settore, in modo finalizzato ad un progetto, ma a cacchio, attraverso l’alea dei pensionamenti, ovvero sparando nel mucchio: sicché si sono creati dei vuoti un po’ a caso, a macchia di leopardo, con interi settori entrati in crisi, a fronte di altri ancora integri, o addirittura sovrabbondanti, del tutto a prescindere dall’utilità e dell’importanza e da ogni discorso di programmazione. Ma questo impoverimento – oltre alla crisi generale – ha causato l’ulteriore fuga di studenti e siccome nel frattempo Siena ha perso il 25% degli iscritti, quei 600 docenti sopravvissuti nei settori più disparati, “eh so’ sempre troppi” …ecc. ecc., in tal modo, se si va di questo passo, questi docenti “e saranno sempre troppi”, anche se alla fine della tregenda ce ne fosse rimasto solo uno (aspettiamo un mesetto per verificare se i dati catastrofici sulle iscrizioni di quest’anno comunicati dal Corriere della Sera sono falsi, come dicono le autorità accademiche, e incrociamo le dita).
    IL CONFORMISTA. Secondo il CRUI nelle 10 migliori università del mondo studiano in media 7 studenti per ogni docente, questo rapporto in Italia raggiunge quota 30; sicché se mantenessimo 16.500 studenti per 600 docenti saremmo di nuovo lievemente sopra le medie nazionali. Ma il punto è che una proposta di rilancio dovrebbe tendere a guadagnare studenti, non a far di tutto per mandarli via e non è chiaro come si possa frenare l’emorragia di studenti, senza frenare l’emorragia di docenti e con essa l’impoverimento sempre più vistoso dell’offerta formativa. Dovrebbe inoltre dire a quei 352 ricercatori di ruolo cosa faranno da grandi, visto che le possibilità di bandire un concorso sono infinitesime e in settori limitatissimi. Dovrebbe contemplare forme di mobilità o di collaborazione tra atenei, per quei settori che uno o più atenei contigui non sono più in grado di sostenere da soli: la creazione di robusti poli d’eccellenza è d’altronde oramai la realtà della competizione europea fra atenei per attrarre studenti, sicché non si capisce a chi siano dirette certe proposte minimaliste che da noi sono imperversate negli ultimi anni. Per una strana forma di conformismo tutto ciò è assente dal dibattito pubblico, ma anche dalle conversazioni private (taci, il nemico ti ascolta?).
    MESOTES: TROPPO E TROPPO POCO. Strano inoltre che solo il prof. Grasso in questo blog si sia degnato di guardare dove, questi docenti “esuberanti” erano troppi, rilevando scompensi clamorosi fra settore e settore (dove troppi, dove troppo pochi: le ragioni, non sempre limpidissime, le lascio immaginare al lettore arguto). Strano che i Soloni che pontificavano intorno al rapporto studenti/docenti non considerassero che le norme per l’accreditamento dei corsi (leggi: requisiti minimi i quali impongono il numero e la composizione dei docenti afferenti ad un CdL) e l’emorragia randomica di docenti avevano prodotto il dimezzamento dell’offerta didattica, sopprimendo ben più dei corsi “inutili” (e forse ben altro), e che continuando a ridurre l’offerta un po’ a cacchio, inevitabilmente l’ateneo avrebbe continuato a perdere studenti.
    IL FUTURO. E allora che si fa? L’università italiana ha visto ridursi le risorse a partire dal 2008 di un ordine compreso tra il 14 e il 20 per cento (vd. http://www.lavoce.info/universita-italiana-rapporto-anvur/) e risorse ve ne saranno sempre meno. Chiaro che difficilmente perdendo ancora corsi di laurea ed insegnamenti gli studenti resteranno 16.500: un circolo vizioso dal quale non si esce. Il contentino della Carrozza, che ha lievemente abbassato i requisiti di docenza, o la timida apertura verso la possibilità che tra un paio d’anni si bandiscano un paio di dozzine di posti (ripartiti come e in vista di che cosa?) non ci salverà da un destino ineluttabile, se non cessiamo un istante di citare statistiche generali e luoghi comuni del tipo “eh so’ troppi”, “siamo i meglio secondo il CENSIS”, o, perché no, “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”: occorrerebbese in definitiva un salto di qualità, con misure di natura eccezionale e di più ampio respiro. Se poi non mandiamo grillescamente affancullo la kafkiana burocrazia cui sciaguratamente da decenni è stata affidata la “politica culturale” e non cominciamo a ragionare sui contenuti, temo che non ci aspetti altro, se non il declino.
    “EH SO’ TROPPIIII!” esclama sempre pavlovianamente l’uomo della strada. Eppure l’Italia col 22% di laureati tra i giovani di età inferiore ai 34 anni si posiziona ultima assoluta nell’unione europea. Tacerò sull’Irlanda (52% di laureati), e fuori dall’Europa, il Giappone, il Canada e la Russia viaggiano sul 60% e la Corea sfiora il 65%, ma in Italia siamo andati peggio anche della Romania, col suo 22,8%. La Spagna è al 40,0%, la Francia il 44,0%, la Gran Bretagna al 47,6%, la Svezia al 48,3% (vd, http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/in-fuga-dall-universita-devastata.flc). Rileva l’Anvur che negli ultimi anni c’è stato un calo del 20% delle iscrizioni dei giovani all’università (30.000 iscritti in meno in 3 anni), con una punta del 30% in certe università del Sud: Siena – che se ben ricordo si ispirava ad Oxford e non all’università Parthenope di Napoli – col suo bel 25% in meno mi pare che si situi dal lato dei risultati peggiori.

    STATI GENERALI. Ammonisce il CUN che se nulla cambierà, nei prossimi anni assisteremo ad un calo del 50% del personale docente. Qui a Siena, sempre all’avanguardia, questa non è un’ipotesi, ma una certezza, senza se e senza ma. Mi domando se alla luce di questi dati non sarebbe il caso di convocare una sorta di “États généraux” dell’università di Siena, abbandonando le sortite rosa-confetto tipo quelle del sindaco o di certa stampa locale intorno al “mejo ateneo der monno”, andando oltre quel cauto ottimismo sull’andamento dei conti che talvolta pare configurarsi più che altro come un atteggiamento elusivo, rispetto alla dimensione e alla complessità dei problemi summenzionati.

    (Attendo di essere confutato, e pertanto rassicurato).

  4. Sembra il catalogo di Don Giovanni (“in Ispagna son già mille e tre, mille e tre…”), ma in realtà sono i dati di Eurostat, ossia del servizio statistiche della Ue: un italiano su cinque (il 22,4 %) tra i 30 e i 34 anni ha conseguito una laurea, la percentuale più bassa di tutta l’Unione europea, dove la media è del 37% nel 2012.
    Ultima assoluta l’Italia. L’Italia si colloca dietro perfino della tanto vituperata Romania, che non è certo un paese ricco, ma negli ultimi anni è riuscita a salire al 22,8%.
    Terzultima è la Croazia con un 25,9%.
    In cima l’ Irlanda, col 52,6 % (assieme a Lussemburgo e Lituania).
    In Germania i laureati sono il 33,1 %,
    in Francia il 44 %.
    La Spagna è al 40,0%,
    la Gran Bretagna al 47,6%,
    la Svezia al 48,3%
    Ora, sarà anche vero che con la cultura non si mangia, ma il sospetto che vi sia un nesso fra arretratezza civile, scarso senso dello stato, zero mobilità sociale, bassa crescita economica e alta ignoranza è forte.

  5. “Per Angelo Riccaboni, rettore dell’università di Siena, quello tedesco potrebbe essere un buon modello a cui rifarsi: «Docenti abilitati con regole standard e in modo continuativo, che poi vengono chiamati direttamente. Ha senso»”
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    Giusta, credo, l’abilitazione continua “a sportello”. Ma non mi pare che il modello tedesco funzioni esattamente in questo modo, con chiamata “diretta” e mi risulta che sia un meccanismo un po’ più articolato. Inoltre, se non erro (una volta funzionava così), non si può essere chiamati nell’università dove si è studiato (Hausberufungsverbot). Sui concorsi (nomina sunt essentia rerum) suggerirei innanzitutto di smettere di chiamarli “concorsi”, quasi si trattasse della gara canora di Castrocaro. Circa le abililtazioni, il sistema appare però moooooolto bisognoso di aggiustamenti, vedasi http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/05/09/news/i-baroni-regnano-sull-universita-1.164632?ref=HRBZ-1 . In ogni caso è divertente giocare con la realtà virtuale, perché attualmente, e da lungo tempo, da queste parti, “il concorso” è oramai pura realtà virtuale: quando dei concorsi se ne tornerà a sentire la puzza, questi saranno pochissimi ed in un numero limitatissimo di settori disciplinari.

    A parte il gusto morboso di certa stampa scandalistica di gettare palate di letame indistintamente sopra “il culturame” (facile dire “sono tutti uguali”: del resto fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce) e a parte il fatto che da nessuna università al mondo il reclutamento lo fanno le gazzette con giudizi som(m)ari, la mala parata intorno alle abillitazioni già si annunciava con la famosa lista delle “riviste di fascia A” sulla quale ironizzò da par suo G.A. Stella nei panni dell’indimenticabile “Peppe er pantera” http://www.corriere.it/cronache/12_ottobre_17/professore-riviste-scientifiche-suinicoultura_9287023c-181f-11e2-a20d-0e1ab53dafde.shtml.

    Giudizi molto “relativi”, per usare un eufemismo. Del resto non v’è chi non veda che questo “realtivismo” non è altro se non l’acme di una tendenza che ha visto, attraverso una sequela di riforme, dapprima sorgere corsi di studio e poi strutture dipartimentali il cui nome impronunciabile sovente è anche intraducibile in inglese: corsi di studio e strutture che spesso non hanno alcun correlato nella divisione attuale delle scienze. Provincialismo, proprio mentre l’ANVUR dice di pretendere gli standard di rendimento dei migliori centri di ricerca internazionali. È un triste segnale di decadenza culturale, il fatto che la burocrazia universitaria, dal ministero in giù, abbia digerito tutto questo come fosse un bicchiere d’acqua fresca. Per dirla con Gadda, “la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia abbozzava: ingollava e defecava legge.”

    Le università contro i valutatori
    «Affidano tutto agli algoritmi» (http://www.corriere.it/scuola/universita/14_maggio_15/i-rettori-guerra-contro-l-anvur-103994d6-dcca-11e3-a199-c0de7a3de7c1.shtml)
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    Credo che un criterio oggettivo sia inevitabile, ma talvolta ci si nasconde dietro gli algoritmi, dimenticando che si possono effettuare inferenze formalmente corrette pur partendo da premesse false. Il problema è che in Italia le questioni “sc-sc-scientifiche” (sempre per citare “Peppe er pantera”) paiono oramai appannaggio di una tirannica e insensata burocrazia universitaria che segue ciecamente le sue logiche, sempre più indifferenti rispetto al problema dei contenuti e rigorosamente divergenti rispetto a qualsiasi orizzonte di senso. Ciò detto, non facciamo finta di essere in una situazione normale, per piacere: “vengono chiamati” da chi e sulla base di quali esigenze? In vista di quali obiettivi? Ma lo sapete da quanti anni sono fermi turn over ed avanzamenti? Nel frattempo gli insegnamenti muoiono e (a meno dichiamate dall’oltretomba a mezzo di sedute spiritiche) chi si è visto, si è visto.

    A Siena, in particolare (l’epicentro del sisma), si continua a far finta che tutto sia come prima, e che il terremoto abbia provocato solo la caduta di qualche calcinaccio: NO, è venuta giù mezza città! Il problema, visto che oltretutto se a Siena si piange, anche altrove non si ride, oramai ha proporzioni macroscopiche ed è pertanto un PROBLEMA POLITICO, nel senso che addirittura oltrepassa il livello locale ed investe la stuttura e la natura stessa del sistema degli atenei statali ed è la politica che deve occuparsene per prima (ovviamente non la politichetta spartitoria, cencelliana e consociativa..che se n’è occupata anche troppo!) dando direttive precise e ponendo in atto provvedimenti efficaci, non generici “tagli lineari”, mera pars denstruens senza la pars construens.

    Sviluppare la ricerca intercettando opportunità e finanziamenti che proiettino gli studi universitari verso le esigenze del mondo del lavoro e dell’impresa. (Il Sindaco Valentini)
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    Il sindaco insiste sempre sul rapporto università/impresa; ça va sans dire che è in apparenza un discorso sensato, almeno finché non diventa banale: quale impresa? Quali sono gli “studi finalizzati all’impresa” presente sul territorio? Un po’ di biologia, stille di ingegneria, e un po’ d’economia (anche se i brevetti non li fanno certo gli economisti) e poco più. C’è l’agroalimentare, ma non abbiamo Agraria. E degli studi che non hanno immediata ripercussione nell’impresa, o nell’impresa presente in un territorio caratterizzato dal terziario e sostanzialmente privo di impresa manifatturiera, cosa vuol farne? Li vuol chiudere? Dislocare a Firenze o a Pisa? Potrei essere moderatamente d’accordo, ma allora “lo facesse!”. Cosa volete farne di chi in questi settori ci lavora? Trasferirli? E allora, se credete in quello che dite, “serenamente e pacatamente”, FATELO!, perché a sette anni dalla crisi il cadavere appare ancora insepolto (e puzza). O ancora pensate ad alchemiche metamorfosi che resuscitino i defunti e trasformino un dantista in un dentista?

    Quella di sbaraccare quasi tutto ciò che fu creato negli anni ’70 (evidentemente senza crederci) del resto è una teoria come un’altra; se di alcune cose decisamente non se ne sentirà il rimpianto, di altre al contrario se ne sentirà eccome, ma “a livella” spiana implacabilmente belli e brutti, geni e cialtroni, senza contemplare alcuna ponderata valutazione dell’importanza delle cose. E tuttavia cosa vuol dire “sbaraccare tutto”? Se veramente si vuol perseguire questo obiettivo non basta dirlo, se alle parole non seguono provvedimenti pratici atti a realizzarlo, perché la mera contemplazione della putrefazione non ammonta ad una decisione operativa.

    Confesso tuttavia di non apprezzare una simile superficialità e di non capire fino in fondo dove sia la coerenza nell’ ambire al blasone di Siena “capitale della cultura” , “la piccola Oxford” ecc. ecc. e al contempo affermare con dileggio che si può prescindere dalla cultura in tutti i suoi aspetti teoretici non immediatamente applicativi. A proposito di “piccola Oxford”, tanto per gradire ho sentito dire che smantellano anche la biblioteca della defunta facoltà di Lettere e Filosofia, che, mutatis mutandis, corrisponderebbe alla nostra “Bodleian Library”.

    Qualcuno dice che bisogna puntare tutto sul tema del “Medioevo”; mi sfugge come ciò si leghi con quell’altro discorso, di favorire il rapporto con l’impresa, ma a tal riguardo non si può non ricordare che Cesare Brandi progettava di portare la Pinacoteca Nazionale al SMS, abbinandola a un centro universitario di studi altamente specializzati. Naturalmente non se ne è fatto di niente, di questa, come di altre cose: ebbene, cominciassero da lì, altrimenti anche questo è puro folklore.

    Ciò detto, per parafrasare il generale Monsabert, non è chiaro se si voglia poi “sparare dopo il XVIII secolo”, e non vorrei che voialtri medievali metteste all’indice chiunque blateri di atomi (eresia notoriamente contraria al dogma della transustanziazione) o si macchi della colpa di diffondere pericolose teorie copernicane, contrarie alla cosmologia tolemaica qui ancora imperante.

    Trovo sconcertante che nessuno si pronunci su questi temi e vorrei sinceramente essere confutato.

  6. «In questi stessi giorni viene inviato ai consiglieri di amministrazione e ai componenti del Senato e ai direttori di dipartimento la bozza del Regolamento per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, che verrà discusso dagli organi di governo nel mese di giugno, sulla base di un calendario di incontri comunicato agli Organi interessati.» Rettore

    Vuol dire che nel giro di un paio d’anno chiameranno un paio di dozzine di professori. Che forse nel giro di cinque o sei anni diventeranno una cinquantina. Ma attenzione: verosimilmente la maggior parte saranno semplicemente avanzamenti di carriera, eccetto una percentuale che per legge deve essere riservata agli esterni. Dunque di fatto entreranno in tutto forse una quindicina di professori nuovi e gli altri saranno avanzamenti (se qualcuno possiede stime più esatte, lo pregherei di fornirle). A fronte di oltre cinquecento che nel frattempo se ne sono andati, come già detto, un po’ a casaccio, lasciando scoperti molti insegnamenti ed interi settori disciplinari, provocando falle nei “requisiti di docenza” che hanno determinato e determineranno il mancato accreditamento dei corsi di studio, annichilendo ulteriormente la già dimezzata offerta formativa, rendendola ancor più raffazzonata e poco attraente. Non so come verranno ripartiti questi pochi concorsi, ma lascio le conclusioni alla fervida fantasia del lettore.

    Qui vorrei solo riproporre (vox clamans) un interrogativo che finora non ha trovato risposta. L’università di Siena è stata l’epicentro di un autentico terremoto: per colpe tutte locali, la crisi qui ha colpito più che altrove; usando una metafora, dopo il terremoto alcuni edifici (pochi) non hanno subìto danni consistenti, perdendo giusto qualche calcinaccio e qualche tegola; altri hanno subìto danni più gravi e sono inabitabili; altri ancora sono venuti giù completamente. I pochi posti che da qui a qualche anno verranno messi a concorso serviranno giusto a rifare gli intonaci, sistemare qualche tegola o qualche travicello, ma non risolveranno il problema degli edifici fortemente danneggiati, né di chi ci abitava: della cui sorte evidentemente, nel clima delle recenti euforie ci si dimentica facilmente. Vogliono abbattere questi edifici? Provvedano dunque a spalare le macerie e sistemare gli evacuati! Quali edifici vogliono restaurare? Quali consolidare ed ampliare? Questo sarebbe parlare di “università”: il resto è politichetta.

    Sono passati quasi sette anni e le competenti autorità non si sono risolte a prendere alcuna decisione sul “che fare?”, ossia a delineare, a prospettare il nuovo volto dell’ateneo, trovando una soluzione per i settori che oramai non si ritiene opportuno o vantaggioso restaurare (come ho suggerito ad nauseam, per questi non esiste una soluzione localistica, ma regionale ed interateneo). L’interrogativo appare più pressante proprio adesso che si ricomincia a parlare, sia pure in termini virtuali ed infinitesimali, di concorsi. L’ANVUR, il VQR esigono prestazioni da superstar di Harward o di “Ossforde”, ma si rendono conto in che clima e in quali situazioni operano le persone? Ritengo inutile andare oltre questa rappresentazione metaforica, precisando quanti e quali sono gli edifici disastrati e a ciò rimando ai precedenti messaggi: chi vuol capire, capisce.

    Come misura della distanza fra le parole e le cose dico solo che a me ha colpito il fatto che mentre le competenti autorità continuano a biascicare litanie sulla “capitale europea della cultura” sia giunta la notizia dello smembramento della biblioteca che fu della già defunta Facoltà di Lettere e Filosofia, ossia di uno dei più importanti presìdi culturali di questa città.

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