Sul risanamento dei conti nell’Università di Siena

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L’Università di Siena è l’unica a non aver ancora calcolato e aggiornato gli stipendi dei docenti, come prevede il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (30 aprile 2010). Evidenti le conseguenze anche sui trattamenti pensionistici degli interessati. Gli arretrati stipendiali ammontano a circa € 9,69 milioni d’euro (comprensivi anche degli oneri a carico dell’ente) così ripartiti, negli anni: € 2,36 ml per il 2010, € 2,23 ml per il 2011, € 2,10 ml per il 2012, € 3 ml per il 2013. Chi, entro oggi, non avrà presentato richiesta di tutte le somme dovute, comprensive degli interessi legali, rischia di vedere prescritto il credito dell’anno 2010. Non si sa cosa deciderà l’Amministrazione universitaria. Di sicuro, liquidare arretrati, sia pure circoscritti al 2010, pari a 2,36 milioni d’euro, renderebbe manifesta l’infondatezza delle ottimistiche dichiarazioni del Magnifico, che continua ad annunciare l’uscita dalla crisi. Infatti, si deve ricordare che al 14 marzo 2014 il Miur ha già erogato € 75 milioni (dei 104 previsti per l’anno corrente); in cassa sono rimasti € 55,98 milioni che, aggiunti ai 29 che arriveranno dal FFO, faranno € 84,98 milioni. Cifra ampiamente insufficiente a coprire le sole retribuzioni dei dipendenti da marzo a dicembre 2014: occorrono, infatti, altri 43 milioni d’euro per raggiungere i 128 milioni necessari per gli stipendi. Certamente, questi dati potranno servire a quei consiglieri comunali che, ironizzando sui «comunicati trionfalistici basati su classifiche farlocche e postdatate», si chiedono: «se è vero che l’Università è in fase “di risanamento”, perché i revisori hanno bocciato il bilancio?»

Articolo pubblicato anche da: Il Cittadino Online (31 marzo 2014) con il titolo: «Università e arretrati stipendiali: i conti che non tornano».

Una diabrotica nell’ateneo senese che convive con la malauniversità

Diabrotica virgifera virgifera

Diabrotica virgifera virgifera

Un insetto ha imparato a mangiare i campi di mais Ogm

Maria Ferdinanda Piva. Nei campi degli Stati Uniti una bestiolina sta facendo secco (letteralmente) il mais Ogm studiato apposta per resisterle. Ricordate la diabrotica (foto), l’insetto che ha imparato a fare marameo ai campi di mais geneticamente modificato della Monsanto? Ebbene, ora la diabrotica è andata oltre. È in grado di mangiare (e danneggiare) anche a varietà di mais Ogm commercializzati da altri colossi dell’agrochimica quali Syngenta e DuPont. Lo certifica un articolo pubblicato pochi giorni fa dal Pnas: il bollettino dell’Accademia delle Scienze statunitense, mica il ciclostilato dei centri sociali.

Un passo indietro per capire. I mais Ogm che devono alzare bandiera bianca di fronte all’assalto della diabrotica hanno una cosa in comune. Il loro patrimonio genetico è stato manipolato in laboratorio inserendovi un frammento di patrimonio genetico del Bacillus thuringiensis, un batterio in grado di produrre sostanze insetticide. Sono cioè mais Ogm Bt. Esistono vari tipi di mais Ogm Bt, ciascuno dei quali è in grado di produrre una diversa sostanza insetticida.

La diabrotica (Diabrotica virgifera virgifera) è un insetto presente anche in Italia che depone le uova nel terreno: le larve mangiano le radici del mais. Gli adulti, nella seconda metà dell’estate, ne mangiano le foglie. Già da alcuni anni è nota l’esistenza di ceppi di diabrotica in grado di banchettare su piante di mais Ogm che esprimono tossina insetticida Cry3Bb1, come ad esempio la varietà Mon 863 della Monsanto.

La novità riportata dal Pnas è la scoperta di ceppi di diabrotica resistenti anche ad una diversa tossina insetticida, che viene chiamata mCry3A e che è propria di altri tipi di mais Ogm Bt: qui l’elenco completo; seguendo il link si nota che soltanto pochi sono stati approvati per la coltivazione e appartengono appunto a Syngenta e DuPont. Non a Monsanto.

Sempre sul Pnas si legge che la resistenza alle due tossine insetticide è presente contemporaneamente negli stessi ceppi di diabrotica. Ossia, sono stati trovati insetti in grado di mangiare sia mais Ogm che produce la tossina Cry3Bb1 sia mais Ogm che produce la tossina mCry3A.

Fin qui le notizie. Le considerazioni? Principalmente una: l’agricoltura che punta sugli Ogm è un’agricoltura diretroguardia. Negli Usa è il modello dominante da una ventina di anni; questo breve lasso di tempo ha consentito alla diabrotica di vincere. Del resto, la diabrotica non aveva scelta: o adattarsi e resistere alle tossine insetticide prodotte dalle piante, o perire.

Si è adattata. Per la cronaca, tradizionalmente la diabrotica viene combattuta con la rotazione delle colture: le uova vengono deposte nel terreno, le larve mangiano le radici del mais e se invece trovano quelle di un’altra pianta muoiono semplicemente di fame. È una tecnica in uso da secoli e funziona tuttora.

Università di Siena: guardiamo a Oxford e Cambridge, per ora col binocolo, e trasformiamo un dantista in un dentista

Evoluzione al 2020

Rabbi Jaqov Jizchaq. Va bene, finalmente, ricominciare a parlare dell’ateneo; guardiamo a Oxford, a Cambridge ecc. ecc., per ora col binocolo, e ricordiamoci in che condizioni siamo: se Pisa si situa al centesimo posto della classifica di Shanghai, Siena è sparita dalle prime cinquecento posizioni. In quattro anni l’università italiana in genere (statale e no) ha perso un miliardo di euro su 7,5 disponibili; ha perso altresì 78.000 studenti in dieci anni, pari a due atenei come Pisa, ma in soli quattro anni ha perso anche 12.000 docenti, pari a sei atenei di quella dimensione, rimpiazzati solo da 2.000 giovani. Secondo le opinioni dell’uomo della strada, non ancora investito dal filobus, comunque “eh so’ troppiiiii!”, senza mai specificare chi e cosa è di troppo (Sedi? Docenti? Ordinari? Associati? Ricercatori? Personale TA? In quali settori disciplinari?).

Spendiamo circumcirca l’1% del PIL, sommando le risorse pubbliche e quelle private, e non il 3% stabilito dall’U.E. nei trattati di Lisbona (2003); tra il 2007 e il 2013 hanno chiuso 1000 corsi di studio circa, il fondo di finanziamento ordinario cala costantemente e il numero di addetti ai lavori ogni 1000 abitanti, in Italia è meno della metà rispetto alla media OCSE: that’s Italy! L’aver dislocato un po’ ovunque sedi universitarie somministrando “ar popolino” corsi di laurea del cacchio, non ha contribuito, se non minimamente, alla mobilità sociale: all’ “ascensore sociale”, come si suol dire, che, anche per via del processo di rapida deindustrializzazione del nostro paese, va solo in discesa.
Taluni scrivevano che “il personale” andava comunque ridotto del 20%; buffo ragionamento, come se “il personale” fosse personale generico ed intercambiabile, manovalanza: le maestranze, insomma, quasi non vi fossero leggi e decreti che regolano nei minimi dettagli i requisiti per l’accreditamento dei corsi. In ogni caso qui a Siena ci siamo andati giù pesanti e tra il 2008 e il 2020 va scomparendo una quantità attorno al 50%, e non genericamente tra “il personale”, ma quasi esclusivamente tra il personale docente di ruolo, per pensionamento – dunque a casaccio -, a turn over sin qui fermo, e con esso è sparita all’incirca metà dell’offerta formativa, grazie ai famigerati “requisiti di docenza” mussiano-gelminiani.

Gli squilibri, poi, lascito del passato magna-magna: a fronte di certi settori che posseggono docenti a bizzeffe, ve ne sono altri che ne posseggono uno o due, o non più alcuno e non è difficile concludere che la scomparsa di 500 professori “vecchi” tra il 2008 e il 2020 ha avuto ed avrà l’effetto prioritario di chiudere molti insegnamenti ed ulteriori corsi di laurea. Paradossalmente, chiudendo altri corsi di laurea per mancato raggiungimento dei requisiti di docenza, resteranno i monconi amputati, decine di docenti qui non più utilizzabili: ma come già suggerito, possiamo sempre trasformare un dantista in un dentista.

Dopo anni di silenzio sull’università di Siena, torniamo a parlarne

Eugenio-NeriEugenio Neri (Capogruppo comunale di “Siena Rinasce”). Da mesi ormai – anche per nostra colpa- è calato il silenzio sull’università di Siena, silenzio rotto soltanto da qualche trionfalistico comunicato basato su classifiche farlocche e postdatate. La realtà è che il nostro ateneo versa in condizioni difficilissime, in alcuni settori addirittura drammatiche, ma non se ne parla più. Un ateneo costruito in passato più per soddisfare carriere politiche che per onorare la propria missione, rispecchia senza sorprese la situazione di profonda prostrazione della città; purtroppo (per qualcuno) la crisi della Fondazione, nel caso dell’Università, non spiega l’attuale decadenza e le responsabilità, tutte politiche, del disastro. Ma questo è passato e l’analisi la affidiamo ad altri più preparati, io parlo del presente che è “bigio” davvero. Ma il dato fondamentale e più preoccupante riguarda la prospettiva che, in ultima analisi danneggia il bene più prezioso della città, ovvero la fiducia nell’avvenire delle nuove generazioni. Il calo delle iscrizioni è sintomo grave per tutti gli atenei, ma per Siena, che dovrebbe aspirare ad essere la Cambridge italiana, la città-università per eccellenza, equivale ad un profondo “deficit metabolico”. Persa, anzi dissolta ogni pretesa di autonomia, perché ceduta ad un sistema regionale che ci permette di sopravvivere ma che di fatto ci assoggetta a realtà più influenti, Siena, che dovrebbe puntare decisamente sull’internazionalizzazione più spinta, vivacchia ancora una volta nelle pieghe della politica, che nella stasi delle idee prolifera bellamente. Chi pensava che la crisi portasse anche opportunità deve cercare altrove. I dati sono disperati per Medicina, dove non ci sono professori di ruolo per coprire sia i corsi che le scuole di specializzazione, che per necessità (e dolo?) emigrano verso Pisa e Firenze. Cardiologia perde posti, Anestesiologia e Rianimazione, senza una prospettiva a breve rischia di cambiare sede, Cardiochirurgia non ha Direttore per il 5° e 6° anno. I risvolti diventano preoccupanti anche per l’assistenza, ma sono esiziali per la prospettiva stessa di una scuola di Medicina a Siena: bisogna fare qualcosa! Ma anche le Scienze biologiche soffrono dell’incertezza del polo delle Scienze della vita. Gli studenti e le famiglie scelgono anche sulla base delle prospettive di occupazione e accesso a “possibilità” e Siena stagna anche su un altro fronte, quello delle Scienze bancarie, dove (similmente alla crisi dei diplomi di ragioniere) la crisi occupazionale di BMPS rende Siena poco attraente a chi, con grande maturità e realismo, prova a disegnare un futuro anche professionale, non volendosi accontentare solo della nobilissima tradizione goliardica della città.

Cosa chiediamo, cosa si può fare? Solo alcuni spunti: intanto chiarezza sul passato e sostanziale discontinuità dalla politica, cosa che di fatto non è avvenuta. Poi Siena deve smarcarsi dalla prospettiva toscana e cercare dei partners scientifici internazionali con cui condividere, più che sporadici scambi, programmi concreti di “fusione” sia con atenei europei di pari tradizione che con emergenti “studi” extraeuropei. E poi puntare risolutamente su tematiche ambientali, creando strutture che diano corpo alle nostre velleità. Immagino, in armonia con la vocazione del nostro territorio, un polo di medicina del benessere che coniughi scienza, cultura, risorse paesaggistiche e termali, qualità dell’alimentazione. E sulla medesima corda, facendo ricchezza del nostro patrimonio “dell’invecchiamento”, insegnare ed imparare nuove forme di geriatria e gerontologia. Il cibo e le biotecnologie legate all’alimentazione e all’agroalimentare (settore fortemente trainante) suggeriscono la necessità di una scommessa in questo campo, magari riconvertendo l’asfittica e fallimentare Siena Biotech in una sede di corso di laurea in biotecnologie agroalimentari. Infine, ma non ultime, le facoltà umanistiche, che devono con forza e autorevolezza reclamare il loro ruolo centrale nelle scelte culturali della città, sia nel futuro del Santa Maria e che nelle scelte di CEC 2019.

Infine la Banca Monte dei Paschi, che può avere un grande ruolo nel rilancio dell’ateneo, ma non certo come finanziatore: è una sua grande opportunità, per una nuova alleanza con la città e una opportunità irripetibile per la città di riscattarsi dal “grande elemosiniere”, grazie all’ingegno e al talento. La banca può mettere a disposizione la sua rete, aprendo opportunità ad hoc su Siena, per aziende e clienti e parallelamente rappresentare un “portale” per le opportunità di crescita individuale, permettendo, in maniera del tutto selettiva e per merito, a persone di qualità, di entrare in contatto con “mondi” esterni e competitivi e con questi confrontarsi. Selezione, qualità e promozione: moderno alunnato, direbbe Paolo Neri. È una sfida che possiamo affrontare tenendo presente che è una sfida per una nuova generazione di senesi, cui non possiamo rinunciare, pena il declino irreversibile della città. Parliamo di Università.

Finalmente! Si ricomincia a parlare delle condizioni in cui versa l’Università di Siena

Mizaru, Kikazaru, Iwazaru

Mizaru, Kikazaru, Iwazaru

Finalmente! Qualcuno si ricorda dell’Università di Siena! È il consigliere comunale Marco Falorni, capogruppo di Impegno per Siena, che ha presentato un’interrogazione al sindaco sulla favola del “risanamento” dell’Università degli studi.

Se è vero che l’Università è in fase di “risanamento”, perché i revisori hanno bocciato il bilancio?

Premesso:

– Che il Comune di Siena, per evidenti motivi, è legittimamente interessato al buon andamento dell’Università degli Studi di Siena;

– Che a conferma di ciò, nel Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo siede anche un membro esterno in rappresentanza degli Enti Locali Territoriali, Comune e Provincia di Siena (cfr. Statuto dell’Università di Siena, art. 31, par. 1, lett. E);

– Che il Magnifico Rettore dell’Università ha dichiarato alla stampa (cfr. Corriere di Siena del 27 febbraio 2014), a proposito della crisi finanziaria dell’Ateneo: “Sicuramente abbiamo superato la fase più acuta, quindi stiamo uscendo dalla crisi”;

Preso nota:

– Che l’Università di Siena, rispetto al’anno accademico precedente, avrebbe perso (cfr. Corriere Fiorentino del 19 febbraio 2014) il 14 per cento delle iscrizioni, pari a 2.317 studenti);

– Che dal bilancio di previsione 2014 dell’Università, approvato, come si legge sul sito internet dell’Ateneo, dal Consiglio di Amministrazione in data 20 dicembre 2013, con 7 voti favorevoli su 11, emerge una perdita prevista di circa 19 milioni di euro;

– Che il Collegio dei Revisori dei Conti dell’Università, in data 16 dicembre 2013, aveva espresso parere contrario all’approvazione, da parte del Cda, dello stesso bilancio di previsione 2014;

Si chiede al Sig. Sindaco

Se i dati sopra indicati corrispondono a verità, e in questo caso:

– Come valuta la situazione finanziaria dell’Università degli Studi di Siena e se pensa, o meno, che il percorso di risanamento più volte annunciato sia in vista della sua positiva conclusione;

– Se pensa, o meno, che sarebbe utile invitare il Magnifico Rettore, unitamente al membro esterno del Cda rappresentante del Territorio ad un incontro, sulla situazione dell’Ateneo, con il Consiglio Comunale, o almeno con la Conferenza dei Capigruppo.

«Lascia perdere, all’università di Siena si è sempre fatto così!»

Le sorelle Bandiera

Le sorelle Bandiera

Ecco quel che scrivevo l’8 febbraio 2006 sull’università di Siena: «L’atteggiamento passivo e rinunciatario degli organi di governo e dei docenti, l’assenza di regole certe e la sistematica violazione di quelle esistenti, la mancanza totale di collegialità e trasparenza, l’inesistenza di regolamenti necessari e obbligatori, i conflitti d’interesse e di competenze, e l’approvazione di provvedimenti ad personam hanno prodotto una gestione autocratica e inefficace, un regime d’ingovernabilità non più tollerabile.» Ebbene, oggi, a distanza di otto anni, tutto ciò vale ancora! E non poteva essere diversamente: l’attuale rettore è uno degli uomini più fedeli di chi governava l’ateneo in quegli anni.

Ritorniamo sulla vicenda della delibera approvata anche dai docenti assenti e giustificati e consideriamo la dichiarazione del direttore del dipartimento: «è emersa con assoluta chiarezza la regolarità della votazione». Dal verbale, però, risulta che senza i voti degli assenti non c’era il quorum strutturale. E che dire degli attestati di solidarietà? Singolari e pochini (solo cinque su quarantanove votanti) e uno di essi, a quella riunione, non era presente! Non sarebbe più semplice, per i colleghi assenti e giustificati, dichiarare, per iscritto, la loro presenza in quel Consiglio di Dipartimento? In fondo, come mi ripetono in tanti, «all’università di Siena si è sempre fatto così!»

Articolo pubblicato anche daIl Cittadino Online (11 marzo 2014) con il titolo: «In otto anni l’università di Siena non è cambiata. Purtroppo