La plumbea mediocrità che affossa le istituzioni senesi

Pier-Luigi-Celli

Le ultime inchieste della magistratura senese sulla Mens Sana Basket e l’inizio dei processi nei confronti di chi è accusato d’aver dissestato l’Ateneo senese e di chi ha denunciato la malauniversità, richiamano il capitolo “Mediocri” (dell’ultimo libro di Pier Luigi Celli, Alma Matrigna), che appare perfetto per descrivere anche la realtà senese.

MEDIOCRI

Pier Luigi Celli. La sorpresa e il disgusto, verso l’accavallarsi di fatti che portano allo scoperto comportamenti al limite del penale, non sono dovuti tanto all’evidenza del malaffare e alla sua entità, quanto piuttosto al malessere che prende di fronte alla sfrontatezza con cui queste fattispecie si sono generate e protratte, al silenzio con cui sono state coperte e alla impudenza con cui il tessuto politico che le ha prodotte pretende l’immunità, impegnandosi in aleatorie promesse di palingenesi.

Se si guarda bene l’andamento ciclico di queste emersioni del marcio, quello che desta sorpresa è la facilità con cui la gente dimentica ed è disponibile “a passarci sopra” rivelando il lato più drammatico della questione: la corruzione “intrinseca” che anni e anni di soprusi, arricchimenti impropri e assalto a ogni elementare regola di convivenza hanno indotto nella testa delle persone, come mitridatizzate da un veleno insidioso e silente che ha sconvolto parametri di giudizio e valori civili di fondo.

Se tutto diviene possibile per chi detiene il potere, anche chi è titolare di un potere minimo qualunque, o vi aspira giustificato dalle qualità dei vertici di organismi o istituzioni, troverà naturale comportarsi allo stesso modo: mettere i propri interessi, anche quelli meno confessabili, in cima alle priorità da perseguire, dando per scontato che «tanto così fan tutti», e dunque furbizia e giuste appartenenze garantiranno l’impunità.

C’è poi un’altra questione che concorre a formare questo groviglio apparentemente inestricabile di avvitamenti al basso, ed è data dalla penosissima mediocrità che si è andata consolidando negli strati intermedi degli organismi di rappresentanza e nelle stesse istituzioni, come portato inevitabile dello scadimento dei primi livelli in posizione di responsabilità, dello smantellamento di ideali e passioni sociali, della banalizzazione mediatica e comunicativa: tutte derive che, in nome di una occupazione ostinata e imbelle dei gradini alti del potere, hanno spinto a selezionare incapaci e mezze tacche, purché fedeli, manovrabili e, possibilmente, di bella presenza.

La melassa intermedia è persino più pericolosa, alla lunga, della gaglioffaggine o della incapacità dei capi, perché, quand’anche le periodiche purghe della magistratura riescano a liberarci di qualcuno di questi, mettendo magari nell’angolo anche altri pari grado assimilabili, tutti quelli che, più in basso, hanno beneficiato del sistema, e si sono distribuiti nei gangli operativi delle diverse istituzioni, continueranno a inquinare il campo, a riprodurre meccanismi e modelli operativi nefasti, maturando oltretutto la convinzione che, passata la buriana, tutto potrà continuare come prima.

Una società di questo tipo avrebbe bisogno di una riforma profonda e di uno sfoltimento deciso di tutte le strutture di sottogoverno delle istituzioni nazionali e territoriali.

Provate solo a pensare al settore sanitario, alla occupazione faziosa e molto spesso arrogante e incompetente in egual misura, con cui propaggini politiche, dalle pratiche devozionali ondivaghe e compromissorie, tutelano l’accesso alla salute dei cittadini tutelando in realtà interessi altri, carriere primariali dubbie per meriti e capacità, un sottobosco clientelare variegato e affamato.

O anche alla distribuzione di incarichi per via amicale, su vincoli contratti in contesti che sarebbe persino vergognoso ricordare, se la vergogna fosse ancora virtù civile praticabile, con la conseguenza invitabile di inefficienze di cui un Paese all’onor del mondo avrebbe tutto il diritto di disfarsi, mentre è costretto a subire invece gli sberleffi dei beneficiari e gli sfottò increduli degli stranieri che ci guardano ormai come marziani incomprensibili.

Provate ad aggiungerci l’ostinazione con cui la pubblica amministrazione tende a riprodurre se stessa, i suoi vizi burocratici fonte e tutela della inefficienza più patetica, se non fosse anche ridicola, spesso, e irritante quasi sempre, con gli organismi di controllo sempre pronti a denunciare a posteriori, non volendosi accorgere che sono i processi che alimentano le disfunzioni; quegli stessi processi che garantiscono la loro permanenza e il loro potere.

Nel regno delle mediocrità tutelate e benedette, anche la Chiesa ha fatto a lungo la sua parte, con esempi che sarebbe stato difficile immaginare tempo addietro, rafforzando la convinzione di molti che, anche su questo versante, un perdono non sia difficile trovarlo, avendo qualcosa da scambiare che sia apparentato al sacro, o a quello che come tale sia possibile contrabbandare.

Rispetto a un quadro così degradato non ha molto senso perdersi solo in analisi sociologiche magari raffinate, in pensose dissertazioni culturali, in distinguo e accorte collocazioni su confini mobili di un buon senso senza nerbo.

Molti autorevoli commentatori, e qualche guru improvvisato, ci hanno anestetizzato con queste pratiche asettiche: pii esercizi interpretativi ad uso di anime belle.

Noi dobbiamo qualcosa di più dignitoso ai nostri figli e ai tanti giovani che maturano disorientamento e disprezzo.

Vale la pena ormai non essere più indulgenti né corrivi. I mediocri vanno additati al pubblico disprezzo. Come meritano.

Il Palio delle Istituzioni senesi in bancarotta

Logo in ceramica Unisi e Sede MPSL’argomento affrontato da Bruno Tinti è il salvataggio della Banca MPS e dei suoi amministratori. E per l’Università di Siena? «Quante class action ci potrebbero stare, per recuperare dei bei soldi?». Ovviamente per entrambe le Istitutzioni!

Salvare le banche, non i banchieri (il Fatto, 29 giugno 2012)

Bruno Tinti. Il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena ha collezionato critiche feroci. Il Fatto, il 27 giugno, ha ben descritto per quali vie ci si è arrivati; e molti organi d’informazione si sono indignati per il “regalo” a una banca gestita in modo dissennato.

Quattro miliardi? Bastavano per soccorrere i terremotati dell’Emilia; e, se è per questo, risolvere almeno parzialmente i guai degli esodati. Solo che non è così semplice. Non si tratta di favori tra banchieri, tra il governo dei tecnici e i loro colleghi di un tempo. Gli Usa, nel 2008, al tempo della crisi dei subprime, spesero 8.000 miliardi di dollari per sostenere il sistema bancario pericolante; poi lasciarono fallire Lehman Brothers e la crisi di oggi nasce in gran parte da lì. La Ue, tra il 2008 e il 2011, ha iniettato nel sistema bancario europeo 4.500 miliardi di euro (Barnier, commissario europeo per il mercato unico); e oggi si sta studiando come dare altri 100 miliardi alle banche spagnole.

Tutti regali tra colleghi? Ovviamente no. Una banca può essere gestita bene o male, servire gli interessi di pochi o svolgere correttamente la sua attività di raccolta del risparmio ed erogazione del credito; e anche una banca d’affari e investimento ha una funzione economico-sociale indispensabile; e anche e soprattutto questa può essere gestita male (ecco perché dovrebbero essere per legge separate). Ma, come che sia, che la crisi di una banca dipenda da una cattiva gestione o da sfavorevoli e insuperabili congiunture di mercato, resta un fatto che gli indignati per i salvataggi trascurano sempre: la banca ha nella pancia i soldi dei cittadini; e, se non la salvi, i cittadini li perdono. C’è di più: ogni banca è intimamente connessa con altre banche; tutto il sistema è interdipendente. Se una banca crolla, crollano tutte o quasi, come appunto avvenne con Lehman Brothers: e i cittadini che perdono i loro soldi diventano milioni.

Insomma, se crollasse il sistema bancario le conseguenze sarebbero catastrofiche: come se tutte le nazioni, tutte insieme, perdessero una guerra mondiale. Dunque le banche vanno salvate. Ma quelli che le hanno gestite male? Quelli che ci si sono arricchiti? Quelli che hanno regalato soldi ai politici? Quelli che li hanno presi? Quelli che …? Ecco, tutti questi non devono essere dimenticati. E invece non solo non gli succede niente ma nella migliore delle ipotesi restano al loro posto; e, nella maggior parte dei casi, sono trasferiti ad altri incarichi; sempre di vertice, si capisce. Certo, le banche sono imprese private; peculato, corruzione, i loro amministratori non possono commetterli. Però forse arriva la corruzione tra privati; poi c’è il falso in bilancio: è ancora quello di B, che gli servì per non andare in prigione, ma qualcuno potrebbe sporgere querela; e poi c’è l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, la denuncia per truffa.

Insomma, i modi per rivalersi su chi è all’origine di tutti i mali ci sono eccome; l’onere di rivolgersi alla giustizia compete ai cittadini danneggiati. Quante class action ci potrebbero stare? A parte la prigione, si potrebbero recuperare dei bei soldi. Solo che, guarda caso, tutti strillano contro “le banche” e il governo tecnico che “le salva”; e pochi si ricordano di quelli che le hanno amministrate.