L’informazione negata

AntoniopadellaroSempre sul ruolo dell’informazione ripubblichiamo un articolo di Antonio Padellaro, apparso su “l’Unità” il 15 luglio 2006.

Antonio Padellaro. Vorremmo domandare al ministro Giuliano Amato: la vicenda della Banca d’Italia sarebbe andata nello stesso modo se nessuno avesse pubblicato le affettuosità di Fiorani a Fazio con il famoso bacio che avrebbe voluto stampargli sulla fronte in segno di gratitudine? No, probabilmente le cose non sarebbero andate come sono andate. La posizione del governatore della Banca d’Italia sarebbe sicuramente apparsa meno indifendibile. Chissà, la piccola Banca di Lodi avrebbe fagocitato la tanto più grande Antonveneta. E gli amici di entrambi avrebbero avuto buon gioco a dimostrare che di parere squisitamente tecnico si era trattato. E forse, chissà, Fazio sarebbe ancora al suo posto. Il ministro Amato, che è uomo schietto (e che quel bacio fece giustamente sobbalzare sulla sedia), sicuramente ne converrà.
Vorremmo domandare al ministro Mastella: lo scandalo più grande della storia del calcio, o giù di lì, sarebbe mai esploso se nessuno avesse mai pubblicato la famosa conversazione Moggi-Bergamo sulla griglia degli arbitri da mandare in questo o in quel campo? «Grigliata» che, insieme alle vanterie su Paparesta rinchiuso nello spogliatoio e alle centinaia di altre confessioni involontarie ha messo in moto la Calciopoli, o la Moggiopoli, che tutti sanno. Meccanismo che ha dato luogo a una prima salutare prima bonifica nel pianeta pallonaro, che ha consentito l’arrivo di Guido Rossi e Francesco Saverio Borrelli, che ha prodotto le sentenze contro chi imbrogliava e forse anche la vittoria degli azzurri ai Mondiali di Germania (vedi Gattuso).
Abbiamo appositamente isolato due brani telefonici, per così dire esemplari.
Primo, perché nella loro fulminante immediatezza dicono sulla finanza e sul calcio, in termini di verità e di realtà, quello che i normali strumenti della giustizia mai avrebbero neppure lontanamente sfiorato. Secondo, perché le battute riportate portano legna ai fautori del giro di vite sulle intercettazioni e, segnatamente, su quelle pubblicate dai giornali. Legna su cui arrostire la stampa perché trattasi di colloqui estrapolati dal contesto.

Rilievo, questo, che suscita riprovazione e proteste tra i legali degli intercettati (tanto che l’«estrapolato dal contesto» rischia di trasformarsi in una figura giuridica rappresentata nel processo, magari dall’avvocato Taormina). Trattasi, si dice inoltre, di frasi senza rilievo penale alcuno poiché riguardanti una calorosa manifestazione di amicizia oppure un amabile scambio di opinione (l’opinione, per la verità, era una sola, quella di Lucianone). Trattasi, infine, di frasi la cui divulgazione può determinare una serie infinita di reati penali, civili, amministrativi: rivelazione di segreti vari, violazione della legge sulla stampa, sulla privacy, eccetera eccetera.
Qui, insomma, ci troviamo di fronte ad un conflitto frontale, radicale tra diritti costituzionalmente garantiti. Il diritto che difende la dignità dei cittadini (art. 3) e il diritto che tutela libertà di stampa (art. 21). Diritti qualche volta bilanciabili, ma non nei casi esposti. Perché quelle parole del banchiere, e quel colloquio tra il dirigente juventino e il designatore dei fischietti non potevano essere in alcun modo mediate, smussate, attutite. La scelta era secca. O non stamparle. O stamparle, come fortunatamente (diciamo noi) è avvenuto.
Ma i ministri Amato e Mastella come si sarebbero comportati? Su Amato non avremmo dubbi, se leggiamo bene quanto detto in proposito dal ministro degli Interni e riportato sulla Repubblica di venerdì. Per farsene un’idea è sufficiente guardare titoli e sommari. «Intercettazioni basta abusi. Italia abituata all’illegalità». E poi: «Vi spiego perché sono esterrefatto».
Non ci addentreremo nelle argomentazioni del dottor Sottile che sottilmente assolve i giornalisti (inutile punirli visto che sono l’ultimo anello) e, in fondo anche i magistrati a cui chiede, saggiamente, di vigilare onde evitare fughe di notizie e documenti. La conclusione di Amato però non ammette dubbi: «Non si può continuare a sbattere mostri in prima pagina». Fazio, Fiorani, Moggi, Bergamo sono indubbiamente finiti in prima pagina. Chiediamo: con il senno del poi è stata una scelta così mostruosa?
Quanto al ministro Mastella c’è un provvedimento che gli viene attribuito e che propone di multare pesantemente gli editori dei giornali che pubblicano intercettazioni giudiziarie. Se non proprio un attacco alla libertà di stampa una forma di censura preventiva tanto pericolosa quanto inaccettabile. E anche «incostituzionale», dice Boris Biancheri, presidente della Federazione editori giornali, intervistato da Repubblica. Anche in questo caso ci sentiamo di dire che il Guardasigilli quei due fondamentali estratti telefonici non li avrebbe pubblicati.
Il fatto è che decidere su ciò che deve o non deve essere pubblicato non spetta ai politici (ancorché autorevoli esponenti di una coalizione a cui abbiamo dato il nostro voto). Funziona così in ogni democrazia che si rispetti. E, a proposito di grandi democrazie, sull’Espresso del 6 luglio scorso Oreste Flamminii Minuto, grande avvocato a cui molti giornalisti e la libertà di stampa in Italia devono riconoscenza, ricorda che nel 1971 (epoca Nixon) la Corte Suprema degli Stati Uniti emanò una sentenza storica che riaffermò la possibilità per la stampa di pubblicare, anche in violazione di un segreto attinente alla sicurezza nazionale. In forza del Primo emendamento della Costituzione la Corte statuì che il diritto alla libertà di stampa fosse prevalente «su qualsiasi considerazione accessoria intesa a bloccare la pubblicazione delle notizie». Ciò avveniva in riferimento al caso dell’analista della Cia Daniel Ellsberg che aveva pazientemente fotocopiato 47 faldoni di documenti che rivelavano come l’incidente del Golfo del Tonchino non si fosse mai verificato e che la sua falsa costruzione era stata il pretesto per l’intervento armato Usa in Vietnam. Altro che Moggi e Fiorani! Ma quando il New York Times e poi il Washington Post cominciarono a pubblicare furono bloccati dall’ordine del giudice. A rimettere a posto le cose ci pensò il costituzionalista Hugo Black, estensore della sentenza assolutoria. Era un vecchio saggio che a ottantacinque anni non aveva perso il senso della libertà. Scrisse: «La stampa (dal punto di vista dei padri fondatori) deve servire ai governati non ai governanti. Il potere del governo di censurare la stampa è stato abolito perché la stampa rimanesse per sempre libera di censurare il governo». E i potenti di qualsiasi risma, aggiungiamo noi. Si chiede infine Flamminii: «Chi sono i padroni dell’informazione? Gli editori? I politici che emanano norme repressive? I giornalisti? Non viene in mente che i veri padroni di questa fondamentale forma di libertà sono i cittadini che ogni mattina ne comprano un pezzo in edicola?». Meglio, caro Oreste, non si poteva dire.

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