Come la televisione trash, all’Università di Siena dequalificando l’offerta aumentano le iscrizioni

Rabbi Jaqov Jizchaq. Che dire? Ci s’interroga se è giusto o no vendere la casa dello studente di “Acquacalda”, ma non si riflette se è giusto o no vendere… aria fritta. Sostiene il rettore che «Quest’anno, anche se non abbiamo ancora i dati definitivi, c’è un trend positivo che può portare ad una crescita delle iscrizioni del 20 per cento rispetto ad un anno fa». Vabbè … attacchiamoci al “trend”… intanto cadono le foglie, si avvicina l’inverno, i dipendenti (che non guadagnano tutti 10.000 euro al mese, come scrisse scioccamente mesi or sono una gazzetta) tirano la monetina in aria per sapere se a Dicembre ci saranno le tredicesime e intanto mestamente pensano al fatto che poi con l’estate mancheranno verosimilmente anche le dodicesime e le undicesime; ma sarebbe interessante un dato di chiarezza anche intorno alle iscrizioni; sarebbe necessario cioè fornire il resoconto analitico, e non la propaganda per il “popolo” bue o ragionamenti un tanto al chilo; desidererei comprendere come è possibile che riducendo e dequalificando l’offerta, il prodotto ottenga maggiore successo di mercato (un po’ come la televisione trash, la politica mignottocratica, o la secessione birresca); vorrei capire dove si registrano questi incrementi e soprattutto a che prezzo si sono ottenuti. Perché, come ho già detto, il sospetto è che in taluni casi si faccia semplicemente il gioco delle tre carte e in altri, per rivitalizzare col Viagra illustri ciofeghe partitocratiche, si sia mandato in malora parte del patrimonio storico e della tradizione di questo ateneo, riducendo tutto ad un piattume inguardabile, ove chi abbia ancora il senso della decenza si trova fortemente a disagio.

E del resto, non per ragionare “ab ovo”, ma come ho già scritto, a mio modestissimo avviso tutto ciò è il naturale epilogo dei mali endemici che affliggono quest’ateneo, sito in una città sempre più “piccola” (troppo, per avere una opinione pubblica vigile ed incisiva), popolata da abitanti sempre più distratti dalle cose “culturali”, e caratterizzato anche per questo da un forte assenteismo che si è preferito ignorare, assolvendo tutti o (il che è equivalente) accusando genericamente tutti: un ateneo considerato da molte consorterie una diligenza da assaltare senza rischio per la vita, l’ennesima mucca da mungere, l’ennesimo poltronificio per scarti della politica, l’ennesimo ente pubblico da depredare da predoni che mentre depredano, magari dicono in giro che in questo contado non sorgerà mai nessuna esperienza scientifica interessante (peraltro ignorando, causa latitanza, quelle che già erano sorte a loro dispetto).

Ma qui si va avanti a sòn di propaganda, magari brandendo ingannevolmente i famigerati dati del Censis relativi a corsi di laurea in larga parte soppressi e a “Facoltà” che in quanto tali non esistono nemmeno più. Si continua a smantellare, stando ben attenti tuttavia di non dispiacere a marchesi e visconti, più o meno dimezzati, dicendo al “popolo” che tutto va per il meglio, e che si buttano via le cose inutili; le ragioni dell’affossamento di certi settori e del salvataggio di altri, pertanto, non di rado sono oscure, non traspaiono dai normali consessi democratici, consigli, comitati, adunanze varie, ma occorre essere “attovagliati” ai tavoli giusti per averne contezza. 
La più grossa ristrutturazione dell’ateneo degli ultimi quarant’anni avviene in definitiva in un silenzio assordante e avvolta in parte nel mistero, in parte nell’indifferenza; il dibattito reale è ristretto a cenacoli esclusivi e perviene alle orecchie dei comuni mortali solo “post festum”.

Considerato che oramai per chi si è trovato ancor “giovine” nell’occhio del ciclone la cosiddetta “carriera” è andata a farsi fottere (e per chi sia privo dell’amorevole ala protettrice di una grassa chioccia è ben difficile che una qualche prospettiva si riapra fra quattro o cinque anni); che cioè in definitiva la maggior parte di coloro che non avevano già compiuto il salto del rospo verso “più elevati” livelli di carriera allo scoppiare del “buho”, è rimasta al palo, senza che si sia mai visto nessuno a “valutare” alcunché meritocraticamente, o eccellentemente, considerato tutto ciò, a questo punto direi che sono in diversi quelli che, dovendo trascorrere qui presumibilmente ancora qualche lustro prima di gettarsi dalle balze di Volterra (verosimilmente il tipo di “pensionamento” che allo scadere dei termini ad essi verrà proposto), non disdegnerebbero di sapere a fare cosa restano qui: con quali obiettivi, quali prospettive e in quale contesto, con quali interlocutori, entro quali progetti, quali corsi di laurea, atteso che non possono fare tutto e che di “dentisti dantisti” non se ne sente proprio il bisogno.
 Se i nomi sono l’essenza delle cose, dai nomi stessi di certi insegnamenti o corsi di laurea si evince facilmente la vacuità della loro essenza, e avendo perduto ogni cognizione di ciò che è fondamentale e ciò che è complementare, si è buttato sovente tutto a sobbollire nel pentolone della sòra Cianciulli, traendone un sapone molliccio incolore, ma non certo inodore; sicché quest’anno le statistiche delle immatricolazioni celebreranno ovviamente i successi di chi è stato salvato e stenderanno una nota di biasimo su chi è stato soppresso: reciteranno che i vivi sono andati meglio dei morti, senza che oltretutto nessuno si degni di indagare chi e perché è morto.

«Qualche lieve fruscio sui vetri lo fece voltare verso la finestra. Aveva ricominciato a nevicare. Guardò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, che cadevano obliqui contro la luce del lampione. Era venuto il momento di mettersi in viaggio verso l’ovest. Oh sì, i giornali avevano ragione: c’era neve in tutta l’Irlanda. Cadeva dovunque sulla scura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva soffice sulla palude di Allen e, più a occidente, cadeva sulle scure onde ribelli dello Shannon. Cadeva anche nel solitario cimitero della collina dove Michael Furey era sepolto. Si posava a larghe falde sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sugli sterili rovi spinosi. E lenta la sua anima s’abbandonò mentre udiva la neve cadere lieve su tutto l’universo, lieve come la loro definitiva discesa, su tutti i vivi, su tutti i morti.»

James Joyce, “I morti”, da: “Gente di Dublino”.

Una Risposta

  1. […] disinformato, leggermente omertoso e sostanzialmente artificioso. Molto sommessamente nel mio intervento precedente avrei sollevato qualche problemuccio ulteriore al quale non mi pare si possa rispondere in modo […]

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