Politecnico: Azzone insiste sull’inglese (Il Mondo 6 dicembre 2013)
Fabio Sottocornola. Le acque tornano agitate al Politecnico di Milano sulla vicenda del full english, cioè l’obbligo di usare l’inglese nei corsi di laurea magistrale e dottorati dal novembre 2014: una bandiera per il rettore Giovanni Azzone. Che però nel maggio scorso ha perso una prima battaglia al Tar, promossa da 100 professori guidati da Maria Agostina Cabiddu, che non vogliono rinunciare all’italiano. Immediato il ricorso, presentato dal Magnifico al Consiglio di Stato, che dovrà decidere il prossimo 11 marzo. Nel frattempo, che cosa succede in università? Tutto deve rimanere congelato e nessuna decisione andrebbe presa, almeno fino al termine dell’iter giudiziale, dal momento che il Tar ha annullato le deliberazioni dei vertici. Eppure, in queste settimane, Azzone sta girando nei consigli dei corsi di studio dove incontra i coordinatori: sono 38 per le lauree magistrali (il cosiddetto +2), a riporto delle sei school del Politecnico. L’obiettivo del rettore è spingerli a far approvare, a livello dei corsi, il passaggio al full english. Che potrà così apparire come una richiesta della base, da ratificare nelle singole school di riferimento e in ultima istanza nel Senato accademico. C’è chi sostiene che il numero uno dell’ateneo si sarebbe spinto fino a promettere incentivi e risorse a favore dei programmi che scelgono l’inglese, ma non ci sono conferme o delibere scritte. Più definiti appaiono invece gli orientamenti tra i docenti: l’area architettura e design è per l’inglese; variabile la situazione a ingegneria, dove sposano il full english gli energetici; i meccanici sono a favore dell’italiano; indecisi i gestionali. Per questa via, sicuro sarà il pantano nel quale finirà il Politecnico se a marzo arrivasse la seconda bocciatura dei giudici. Azzone intanto non fa passi indietro né cerca soluzioni intermedie, anche se perde per strada vecchi e influenti sostenitori, come il suo maestro Umberto Bertelè e Giampio Bracchi, sempre più freddi sulla questione.
Sentenza N. 01348/2013 del TAR Lombardia
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[…] Al Politecnico di Milano imparino dall’Università di Siena, prima in tutto: sì ai corsi full eng… […]
…certo, se uno punta ad un pubblico studentesco internazionale e a competere sul piano europeo, la questione della lingua non appare trascurabile, così come non appare trascurabile però il problema dei contenuti dell’insegnamento e della strutturazione dei corsi, triennali e magistrali: si tratta di capire se occorra pensare prima alla forma, oppure alla sostanza, ovvero alla effettiva e provata internazionalizzazione dei corsi, sperando che questo non significhi ulteriore appiattimento, ma competizione su standard elevati, perché parlare di cazzate in inglese maccheronico fra un professore di Ficulle e uno studente di San Rocco a Pilli, mi parrebbe solo una ignobile farsa. Perciò, io spero (ma dubito) che tutto questo chiacchiericcio anglo-economico-informaticcio-comunicativo-valutativo non sia semplicemente l’odierna ed aggiornata versione della più familiare supercazzola prematurata: “aria fritta”, per esprimerci nell’idioma autoctono, per assecondare i capricci delle burocrazie universitarie bisognose di dare un senso alla propria esistenza. Del resto l’aria fritta burocratica l’ha fatta da padrona nelle ultime riforme universitarie che hanno terremotato il sistema senza realmente costituirne uno nuovo, e nel panorama eticamente e culturalmente desolato della società italiana di questi ultimi anni, tra forconi e porconi. Ecco perché ripeto (e per esterofilia lo faccio anch’io in francese) la domanda dei precedenti messaggi: “noio volevam savuar, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?” Senza una risposta chiara alla domanda sul senso, sui mezzi e sugli scopi, questo agitarsi fine a sé stesso, cavalcando talvolta in modo caricaturale modelli di efficientismo d’oltreoceano o estremo-orientali, appare solo un insulso “fare ammuina”, prodromico al rinvio di ogni decisione relativa alle questioni importanti. Badiamo prima alla sostanza, s’il vous plait…
“Istruzione, ricerca Commissione/Ocse: Italia e Spagna a ultimi posti”
“Ai primi posti per livello di istruzione, Corea (97% dei giovani ha un diploma di scuola secondaria), Norvegia (95%), Giappone e Slovacchia (94%). Agli ultimi posti, Italia, Turchia, Messico, Portogallo, Usa e Gran Bretagna.
Ma la formazione scolastica da sola non basta per rispondere efficacemente alle sfide lanciate dal mondo del lavoro: nel vecchio continente si spende ancora poco per i programmi di aggiornamento professionale. In Usa, Finlandia, Svezia e Svizzera più del 40% dei lavoratori ogni anno partecipa a programmi di aggiornamento, mentre la percentuale scende al 10% nel caso di Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Ungheria.”