Quando la giustizia non è lenta… gli atenei di Lecce e Siena

GazzettaMezzogiorno

m.ser. (La Gazzetta del Mezzogiorno, 31 gennaio 2014). La sesta sezione della Corte di Cassazione ha annullato «per inadeguatezza» l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva confermato, nel giugno scorso, i domiciliari per Emilio Miccolis. L’ex direttore generale dell’Università del Salento, oggi all’ateneo barese, fu arrestato il 14 giugno del 2013. Il provvedimento, firmato dal giudice delle indagini preliminari Antonia Martalò, fu emesso su richiesta del sostituto Paola Guglielmi che, insieme con il procuratore Cataldo Motta, coordina i vari filoni della maxi inchiesta sull’ateneo.

L’accusa contestata a Miccolis è quella di tentata concussione nei confronti dei due sindacalisti Manfredi De Pascalis (Cgil) e Tiziano Margiotta (Uil). L’allora direttore generale, con lusinghe e minacce, avrebbe tentato di «addomesticare» i due rappresentanti dei lavoratori affinché non assumessero più una posizione ostile nei confronti del governo dell’Università. Sulla scorta delle registrazioni dei colloqui intrattenuti con Miccolis, e consegnati agli inquirenti dai sindacalisti, fu emessa la misura. I difensori dell’ex direttore generale, gli avvocati Viola Messa e Daniele Montinaro, chiesero così la scarcerazione del proprio assistito al gip prima e al Tribunale del riesame poi. Ma entrambi confermarono la misura. I legali, per questo decisero di rivolgersi alla Suprema Corte che, ieri mattina, ha accolto il ricorso. Intanto Miccolis è tornato in libertà il 3 settembre scorso, dopo 81 giorni di arresti domiciliari. La misura fu sostituita dal Tribunale del Riesame e l’ex dirigente fu temporaneamente sospeso dall’esercizio di attività o funzioni presso qualunque pubblica amministrazione.

Questo secondo provvedimento del Tribunale è stato impugnato davanti alla Cassazione sia dal pm, che lo rifiuta nel merito, che dalla difesa, che lo contesta anche nella durata. E, su questo secondo ricorso, la Suprema Corte deve ancora pronunciarsi. Tanti sono i punti su cui si è concentrato, nell’udienza che si è celebrata mercoledì scors, il collegio difensivo di Miccolis, che intanto è tornato a lavorare per l’Ateneo barese. A partire dall’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. I legali, in particolare, hanno attaccato l’utilizzabilità stessa delle conversazioni registrate dai sindacalisti. E hanno portato all’attenzione dei magistrati un provvedimento con cui il direttore generale dell’Università di Bari disponeva il trasferimento di Miccolis negli uffici del capoluogo regionale affidandogli il coordinamento di attività didattica e di rapporti con gli enti locali ed escludendo qualsiasi rapporto con il personale e i sindacati.

Per capire perché la Cassazione ha annullato l’ordinanza, bisognerà attendere le motivazioni della sentenza, che saranno depositate nei prossimi giorni.

Nell’Università si sacrifica l’elaborazione del pensiero critico sull’altare della comunicazione

Paolo Prodi

Paolo Prodi

Se l’Università non insegna più a pensare (Da: QN, 23 gennaio 2014) 

Stefano Marchetti. C’era una volta l’università, «che è stata il pilastro costituzionale dell’Occidente, la società che ha portato allo sviluppo della ragione, dei diritti umani e della democrazia», fa notare il professor Paolo Prodi, storico di fama internazionale, professore emerito dell’ateneo di Bologna. E oggi, invece, c’è «un’università intesa prima di tutto come luogo per confezionare prodotti d’eccellenza per il mercato – aggiunge –. Ma questa è la rovina…» I suoi anni (e sono 81, compiuti in ottobre) li ha dedicati specialmente a questo grande amore, l’università, «e tutti i mercoledì mattina ricorda mi può trovare nel mio studio, qui a Bologna»: ha insegnato a Trento, dove è stato anche rettore, a Roma e sotto le Due Torri, è stato responsabile dell’ufficio studi della Pubblica istruzione, e non ha mai avuto remore nel denunciare le storture di quel mondo accademico che vedeva sbandare. Al punto che già 45 anni fa, nel 1969, fresco vincitore di concorso, fece pubblicare sul Giorno un annuncio provocatorio che suscitò scalpore, “Professore universitario di ruolo, titolare cattedra facoltà umanistica grande ateneo, offresi per incarico dirigenziale grande società o ente”. Come i membri della sua grande famiglia, i fratelli Romano, Vittorio, Giovanni, Franco o Giorgio, il professor Paolo Prodi conosce bene l’Università dentro e fuori, e questo è il titolo del libro (edito dal Mulino) in cui ha raccolto saggi di carattere storico e di testimonianza sulla crisi attuale dell’istituzione universitaria italiana.

Professore, che cosa ha rappresentato l’università?
«È esistita solo in Occidente ed è stata sempre l’elemento critico, fra il tempio e il potere politico. Sempre distinti, in continua tensione dialettica».

Oggi non è più così?
«Oggi avviene come nel mondo economico, dove è prevalsa l’economia finanziaria sulla produzione. Nell’università, la ricerca ha perso quasi completamente la sua funzione di far progredire la conoscenza e la formazione di base, per essere sempre finalizzata a brevetti che si possono spendere e ‘consumare’ subito».

E cosa accade?
«L’università è sempre più coinvolta nel mondo della politica e della produzione: un professore spende più tempo a cercare fondi che a fare ricerca. E intanto rischiamo di smarrire interi settori che sono il fondamento della nostra cultura, dalla storia alla fisica teorica».

E dove sta l’autonomia universitaria?
«È molto difficile vederla. Tutte le statistiche sono improntate a rilevare quanto produce un’università in termini di laureati o di pubblicazioni: si va a numero, a peso. E si perde anche un altro elemento essenziale».

Quale?
«Un tempo l’università veniva scelta dallo studente anche in funzione dei maestri che poteva trovarvi. Il rapporto maestro-allievo è fondamentale, ma oggi è tutto affidato a valutazioni quantitative, che certamente non possono andar bene per tutte le discipline».

Per esempio?
«Pensi che a Bologna non c’è più un Dipartimento di Filosofia: è stato unito a quello di Scienze della comunicazione. Trovo che, dopo secoli, questa sia una trasformazione antropologica di una violenza incredibile. Non possiamo sacrificare sull’altare della comunicazione l’elaborazione del pensiero critico».

Lei è sempre stato critico verso la riforma del “3+2”. Perché?
«Glielo spiego con l’esperienza. Se lei deve studiare il latino medievale, deve farlo al primo anno, oppure non lo impara più: ma senza quelle basi non è in grado di leggere i documenti necessari per una tesi. Lo stesso vale per ingegneria: l’analisi matematica è il fondamento. Il 3+2 ha fatto l’opposto, ha messo il carro davanti ai buoi».

Stiamo creando una generazione di illusi?
«Temo di sì. Non si può continuare a pensare all’istruzione superiore solo come istruzione universitaria. Dopo il ’68, soprattutto in Germania si sono create delle scuole tecniche superiori parallele, fuori dall’università, con un diploma professionalizzante. Invece in Italia i politici hanno creato università in tutti i borghi, perché erano un distintivo all’occhiello, ma senza programmazione».

Rifarebbe oggi quell’annuncio sul giornale?
«Oggi non farebbe neppure più discutere. E poi, nessuno mi offrirebbe più lavoro: non ci sono più gli Olivetti, i Mattei… Chi vuole che si impicci di un professore universitario?»

Sempre primo l’ateneo senese: non microscopi per gli studenti ma “comfort room” per i dipendenti all’insegna di cazzuola e baguette

FHA distanza di più di cinque anni dalla scoperta della voragine nei conti dell’università di Siena, ha senso parlare dell’ultimo rinvio del processo, quello di ieri al prossimo 8 luglio? E che dire della costruzione delle “comfort room” per i dipendenti del Polo Scientifico Universitario di San Miniato, mentre gli studenti attendono ancora, da almeno cinque anni, l’acquisto di moderni microscopi binoculari? Vedremo! Intanto gustiamoci questo simpatico intervento di Gramellini sul Presidente francese.

Ma come fa? (Da: La Stampa 14 gennaio 2014)

Massimo Gramellini. Chiedo scusa per la futilità dell’argomento, ma i traffici sentimentali del presidente Hollande (pronuncia: Olaond, con bocca storpiata in una smorfia parigina di fastidio) suscitano in noi, maschi banali e insensibili alle grandi questioni geopolitiche, una vibrante e insopprimibile curiosità: come fa? Come fa, dico, un ometto dal viso di meringa occhialuta a saziare e straziare legioni di cuori femminili? E non si sta parlando di suffragette libro-repellenti, incantabili da una collana di lapislazzuli o dal miraggio di una scodinzolata in tv. Le donne che quel signore senza carisma – ogni volta che apre bocca sembra il vicepresidente di se stesso – è riuscito a sedurre vantano fascino e personalità da vendere, oltre che una dose ubriacante di puzza sotto il naso. Eppure la statista raffinata e la giornalista unghiuta hanno baccagliato come tigri al momento della sua incoronazione, una di loro è in ospedale a curare lo smacco del tradimento, mentre la favorita del momento – un’attrice, ma naturalmente un’attrice impegnata – si è battuta per lui in campagna elettorale. E questo per limitarsi alla lista di dominio pubblico.  Come fa? Le ipnotizza con il suo irresistibile sguardo da sogliola alla mugnaia? O le conquista con uno di quei comizi che hanno fatto russare davanti alla televisione milioni di francesi? Al confronto Sarkozy è Johnny Depp. A proposito, non è che anche madama Bruni ha incontrato Hollande davanti a una tisana e… No, impossibile, e comunque non lo voglio sapere.