Un altro guastato: «chi guida l’Università di Siena ha una forte reputazione ed è attore a livello nazionale e internazionale su molti tavoli»

Angelo Riccaboni

Angelo Riccaboni

La folla dei guastati d’Italia: il Paese con il riflusso condizionato (la Repubblica, 1 aprile 2016)

Francesco Merlo. È il Paese con il “riflusso condizionato”, quello degli italiani guastati dall’acido: da Marino alla Carrà, da Emiliano alla Marcuzzi …, con D’Alema nel ruolo di guastato guastatore e Angelo Guglielmi che, in nome di quell’orrore ideologico che fu Tele Kabul, in poche righe ha bocciato Moravia, Pasolini, Pratolini, Cassola, Strehler e insomma (quasi) tutta la letteratura italiana, facendo – diceva Sciascia – “come quelli che pur di passare alla storia imbrattano i monumenti”.

L’eroe catodico di Guglielmi si chiama, ça va sans dire, Piero Chiambretti, guastato per la verità anche lui e non solo perché ha ridotto la tv dello sberleffo intrigante a tv della mostruosità volgare. Ma perché propone oggi un baraccone di fattucchiere, ircocervi sessuali che gareggiano a chi ce l’ha più corto, e ballerine a tre gambe, ma con il birignao pretenzioso e acido della “televisione dopo la televisione”. E Chiambretti evoca il “post moderno” che da Don DeLillo e Tondelli è ormai precipitato nella sottocultura diventando un tic linguistico tipicamente italiano paragonabile ai vecchi “senza se e senza ma”, “a prescindere”, “nella misura in cui”, “la spiegazione è a monte”, “la colpa è della società”.

La folla dei guastati d’Italia potrebbe da sola riempire un’ala degli Uffizi, il corridoio del vittimismo aggressivo parallelo a quello vasariano. In faccia a Federico da Montefeltro potremmo mettere per esempio il busto rifatto di Flavio Briatore, il guastato plastico che, condannato per evasione fiscale, saprebbe lui come raddrizzare le gambe di questa Italia che non lo capisce e non lo merita: “ve lo dico io cosa ci vuole: una dittatura a tempo”. E intanto garantisce sull’assoluta democraticità di Donald Trump perché “a me capita di andare a passeggio con lui” e “non con i politicanti di Roma”, puah.

Guastarsi è più che puzzare. È non digerire e dunque ragionare per rigurgiti e conati. È corrompersi ma nell’accezione che piace a Marco Pannella il quale, al contrario del “guastato” non ha mai maneggiato rancori se non per rovesciarli con la pietas radicale: “L’Italia non è mai stata così corrotta, non parlo del reato, ma del ‘cum rumpere’: disfare, decomporre, guastarsi”. Ci si guasta appunto per rancore, per incapacità di accettare la sconfitta, per troppo amore di sé, per non perdere la scena. E pur di sfuggire all’ombra ci si rifugia nella grotta illuminata dei semivip, l’orrenda categoria antropologica dei presenzialisti, gli eroi televisivi del pomeriggio, le retrovie Rai e Mediaset, quelli degli aperitivi autorevoli, il covo dell’acido italiano, più corrosivo degli schizzi di Alex e Alessandra, la guastata coppia di Milano. Ha scritto Umberto eco: ”Nel mondo del futuro non ci sarà più differenza tra la fama del grande immunologo e quella del giovanotto che è riuscito ad ammazzare la mamma a colpi di scure”.

Dunque i guastati, pur di restare famosi si degradano a chiacchierati. Perché, ovviamente, i loro schizzi di bile nera piacciono ai giornali che li vestono di prosopopea sociale, soprattutto la domenica, che è la giornata del mal di vivere italiano e dunque via con le interviste che infettano l’aria e abbassano il Ph del Paese.

Ignazio Marino ha fatto la più importante delle tante presentazione del suo libro guastatissimo alla Stampa Estera perché – spiegò quand’era sindaco – ”a San Francisco mi sostengono, ‘abroad’ mi applaudono mentre a Roma fatico a farmi capire”. Fateci caso: il guastato è sempre di ritorno dall’estero, il suo rancore ha bisogno dell’esotismo e non c’è niente di più provinciale dell’antiprovincialismo ostentato. Ascoltate D’Alema che, magari ingiustamente, è sospettato di attirare gli altri guastati, organizzarli e dirigerli: “Sono appena sbarcato all’alba a Fiumicino dall’Iran, dove Vodafone non prende. Non avevo né telefono né Internet”. E questo un attimo prima di dire che Renzi è stalinista, di spiegare perché il Pd è destinato a perdere, e di indicarci per chi votare a Roma. Ecco: quando D’Alema premette “io sono un signore che non si occupa più di cose italiane” tutti capiscono che sta per buttare l’acido di casa.

Ovviamente il guastato è sempre in agguato. Come il cattivo dei film di Sergio Leone controlla l’ora con il vecchio carillon, pronto a contrapporre l’austerità del tempo andato alla sfrontatezza del tempo nuovo, spacciando il proprio borbottio per saggezza da grande vecchio. Così Sergio Cofferati che grazie ai trucchi delle primarie di Genova camuffò il rancore di perdente marginale con il bisogno di regole e di trasparenza. E il rifiuto ideologico ed estremista di ogni moderna rivisitazione del rapporto tra impresa e lavoro divenne nostalgia dei valori e della pulizia del mondo antico della concertazione. È così l’acidità dell’ex: trucca il passato.

Ha invece rispettato il suo passato Antonio Bassolino che nell’acidità non è precipitato sottraendosi alla politica per dispetto. Ha fatto un passo indietro in nome della nobiltà della politica, della fedeltà alla sua storia, ha mostrato grandezza personale. Ed è entrato a far parte dell’aristocrazia dei perdenti – Martinazzoli, Segni, Pannella … – che è la sola realtà blasonata della politica italiana. “A volte mettersi da parte è la maniera più intelligente di salvare se stessi” mi aveva detto Bassolino qualche mese fa.

Ha sicuramente ragione Cesare Romiti a celebrare nell’avvocato Agnelli l’innamorato della libertà dei giornali, il grande editore davvero irripetibile, ma c’è l’acidità del guastato fuoriuscito nelle lezioni che a intermittenza impartisce all’editoria che non è stata certamente né il successo né la passione della sua vita professionale.

Michele Emiliano è invece il guastato “cozzalone” (direbbe Checco) perché con l’astio, con la politica corrotta dalla rabbia, con il forconismo come ideologia meridionale questo birbante governatore della Puglia sta occupando la scena e non uscendo di scena. Sa infatti che al Sud c’è sempre una plebe in cerca di autore e dunque il suo guasto è vaghezza di scienza politica. Emiliano cerca il consenso nel cattivo umore e perciò agita tutte le battaglie perdenti: contro le trivelle, contro il gasdotto del Salento, contro il decreto scuola, contro l’illuminismo degli scienziati d’Europa trattati come gli untori della Xylella, la “peste degli ulivi”. La cifra è l’eccesso, l’importante è fare il botto, che è politica andata a male, appunto guastata. Lo era quando nella trasmissione “L’aria che tira” Emiliano disse estasiato: “Renzi è il nostro Napoleone”. Lo è adesso che va ripetendo nelle tv locali: “Renzi è un venditore di pentole”.

Fanno invece malinconia, la stessa che ispira i suoi abiti di pelle nera (proprio il contrario delle Paillettes e dell’ombelico scoperto), le gaffes della Carrà che, con l’acida severità di chi non ha sbagliato mai un fagiolo e perciò ha la cattedra per dare lezioni di vita ai pivelli, si è persa prima nella geografia chiamando araba un signora dell’Iran, e poi si è persa nella teologia salutando con un esibito “Salaam aleikum” un esterrefatto concorrente filippino: “Ma come, voi filippini non siete mussulmani?”

Ci si può guastare anche di successo. È il caso della brava Alessia Marcuzzi che, pur governando il più maligno dei reality televisivi ha gridato al complotto della stampa cattiva quando un po’ di quella malignità le si è ritorta contro. Ecco, affidato a Instagram il suo sfogo, che pur esibendo molta più grazia, somiglia agli sfoghi di D’Alema, di Marino e di tutti gli altri guastati d’Italia: “Anche quando pilotate articoli contro di me per dare risalto a un vostro protetto. Anche quando fate inciuci per demolire la mia immagine chiedendo favori a qualche giornalista. Anche quando vi incontro e mi salutate con grande affetto pieni di denti. A me, nonostante i vostri attacchi mirati, ME PARECE TODO ESTUPENDO”. Come si vede è una prosa da complottarda ma ingenua, con un codice da scolaresca che rende Alessia Marcuzzi la più pasticciona e dunque la più simpatica dei guastati. Non c’è la schiuma di citrato che conforta il crescente mal di stomaco d’Italia, non c’è la collera che fa il successo della trasmissione-fenomeno “La zanzara”, il chiosco dove l’acidità diventa furia.