La contrapposizione fra discipline umanistiche “inutili” e scientifiche “utili” serve a spianare tutto e ricostruire su altre basi

Altan-vecchideluso

Rabbi Jaqov Jizchaq. Ho l’impressione che la contrapposizione fra discipline umanistiche “inutili” e scientifiche “utili” sia un autentico depistaggio e torni utile a chi vuol gettare fumo negli occhi. Vale la pena di richiamare di nuovo questa riflessione:

«La sciagurata diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”.» Giorgio Israel

Io non saprei dire cosa sono le discipline “umanistiche” latu sensu, ma altri di sicuro reputano “inutili” i rami più astratti della fisica o della matematica, in nome di un’altra falsa coppia antinomica: ossia le scienze “pure” contro quelle “applicate”, come se si sapesse sempre in anticipo quale scoperta sarà mai utile a qualche cosa, o viceversa lo stimolo alla ricerca pura non venisse dall’osservazione del mondo e dal tentativo di comprendere certi problemi, per risolverli. Tutto ciò, ossia il non considerare nemmeno la ricerca come impresa conoscitiva, dotata di un valore in sé (“Sapere aude!”) è segno di regressione culturale, ma anche della supina accettazione del fatto che l’Italia sia oramai un paese capace solo di “bricolage tecnologico”, come lo definì il già citato professor Israel, al rimorchio delle grandi potenze: per esso, non serve cultura, non servono potenti visioni del mondo, pensieri di profondità abissali, ma solo buoni meccanici, assemblatori, venditori.

Qualcuno, come già osservato, propone di espellere le discipline umanistiche dall’università pubblica. Tuttavia, ponendo un’enfasi eccessiva sulle applicazioni immediatamente commerciabili, alla fine sembra bollare come “umanistica” anche la teoria quantistica dei campi o roba del genere. Altri (ed è questo il partito prevalente) ritengono che questi, le scienze “pure” o “di base”, oppure la formazione e la ricerca in campo umanistico (qualunque cosa voglia dire) condotta a livelli alti, siano lussi che potranno consentirsi solo i “grossi hub della ricerca”. Siccome però non è che a Milano siano tutti ganzi a causa dell’aria che respirano, e chi non lavora in un “grosso hub” sia stupido per definizione, vorrei capire come questo tema si intreccia con quello della “meritocrazia”.

Secondo me il progetto è questo: spianare tutto con un bombardamento a tappeto, per poi ricostruire su altre basi; le due generazioni che ci andranno di mezzo sono solo danni collaterali.

L’Università era un’altra cosa. In ricordo di Giorgio Israel

Giorgio Israel

Giorgio Israel

Rabbi Jaqov Jizchaq. Leggo della scomparsa del matematico Giorgio Israel, collaboratore del sito ROARS. In un suo intervento aveva scritto: «Tutte le grandi scoperte scientifiche che hanno cambiato il volto del mondo – a partire dal computer digitale – sono frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di base”. Un grande ingegnere come Leonardo da Vinci ammoniva: “Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada”

E poi ancora sull’oziosa e inattuale guerra fra “umanisti” e “scienziati”: «la sciagurata diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa.»

Non saprei immaginare commento più appropriato al processo che ho cercato di descrivere nei precedenti messaggi. Qui, nella grettitudine dilagante, se uno sa fare 3×7=21, allora è uno scienziato che si sporca le mani con le dimostrazioni, esposto pertanto al rischio di conseguire qualche infezione. Se poi uno è scovato a leggere un libro, sia Omero o Nabokov, o a suonare un qualsiasi strumento aerofono o cordofono, allora ipso facto è qualificato come un inutile umanista: uno che non immagina neppure cosa sia un bosone o uno spazio vettoriale. Uno immaginato costantemente intento ad esprimersi in rima: fra i batraci eccovi il rospo/brutto eppur utile anfibio/nelle prode sta nascospo/al vederlo tremo e allibio (Primo Levi). Non ci sono più intellettuali o scienziati, ma tecnici e professionisti inscatolati nel proprio settore disciplinare. La cultura e la scienza non sono però affare di scatolame. Dubito che da questo mix di arroganza e di ignoranza (una rima baciata) che in altri termini si chiama provincialismo esca qualcosa di valido. L’università era un’altra cosa.