Rabbi Jaqov Jizchaq. Scrive Raffaella Zelia Ruscitto su Il Cittadino online: «Dove sono gli intellettuali senesi? In quali antri si nascondono? A quale esilio si sono autocondannati? È pur vero che l’Università perde docenti e che questi non vengono sostituiti da altri ma sarà rimasto vivo, da qualche parte, lo spirito dialettico e rigenerativo che si è sempre respirato lungo i corridoi e nelle aule dell’Ateneo!»
…Où sont les neiges d’antan? Della neve di due giorni fa, rimane solo un po’ di fango. Lo “spirito dialettico”? Cara Direttrice, di spirito dialettico, attualmente, di voglia, cioè, di discutere costruttivamente, mi pare che non ci sia rimasta nemmeno la puzza: parlare del senso delle cose è assolutamente vietato. Azzoppate le istituzioni culturali (già in passato colonizzate dalla partitocrazia) facendo fuori dall’università o emarginando le leve meno anziane (media di età dei “giovani ricercatori” senesi, 52 anni; età media degli ordinari, 62 anni) viene meno l’humus stesso dove cresce lo spirito dialettico. Quanto agli intellettuali di una certa età, quando non suonano bucolicamente il piffero, normalmente passano il tempo a parlare male l’uno dell’altro: manca tensione etica, apertura mentale e, in definitiva, spessore culturale.
Altrimenti risulterebbe chiaro, per esempio, che per la “cultura” (in senso rigoroso, scientifico od umanistico, per chi ama queste oziose distinzioni), nell’attuale impostazione aziendalistica dell’università, di spazio, proprio non ce n’è e non ce ne sarà in futuro. Verrà preservato forse qualche esemplare di “intellettuale”, preferibilmente con la “erre” moscia, da destinarsi al museo delle razze estinte, tra scheletri di brontosauri e nerboluti uomini di Neanderthal. L’efficienza aziendalistica, da mezzo è diventata il fine e peggio ancora una religio: vuota liturgia, ideologia, rovesciando il rapporto fra mezzi e fini; una finzione di efficienza che ammonta a un girare a vuoto soffocando ogni domanda di senso, in una metastasi di materiale cartaceo sfornato dall’apparato burocratico. Un susseguirsi di minacciose “circolari” che accompagnano, a livello del corpo accademico, la recrudescenza di certo autoritarismo, legato forse al fatto che i ruoli sono congelati da dieci anni, molti settori sono stati marginalizzati, e le gerarchie istituitesi paiono pertanto eterne e inamovibili. Risorge, dietro questa parodia della matematica oggettività, una certa insofferenza verso i “ludi cartacei” della democrazia…
L’aziendalismo dogmatico, da un lato sta conducendo alla mcdonaldizzazione del sistema dell’istruzione superiore (senza oltretutto raggiungere lo scopo di sfornare un maggior numero di laureati), e dall’altro, con la volontà di ridurre tutte le dinamiche interne dell’istruzione e della ricerca a leggi di mercato, si è ridotto esso stesso a un’astratta ideologia, malcelata dietro un profluvio di disposizioni burocratiche che, di fatto, contraddicono ogni idea pratica di efficienza.
Max Born diceva: «sono convinto che la teoria fisica sia oggi filosofia», ma oramai, qui, nella cornice aziendalistica dell’università riformata, anche “filosofia” è una parola proibita, o usata con significato dispregiativo. Oggi, invece dei filosofi, imperversano semmai i tuttologi, razza perniciosa che pontifica su tutto, non dicendo niente.
Va detto che tutti i rami delle scienze moderne sono oramai giunti a un tale livello di specializzazione che rasenta l’incomunicabilità; questo fatto taglia fuori l’intellettuale che, senza essere specializzato in nulla, svolazza di fiore in fiore; ma crea nondimeno eserciti di ignoranti altamente specializzati, i quali ritengono che non esista altra cultura, se non quel centimetro quadro di cui essi stessi sono cultori.
Il tutto si dovrebbe ricomporre nella cornice di quella che chiamiamo solitamente “civiltà” (la “civiltà occidentale”, uno pensa al già citato Musil, ad Einstein, a Turing – che ora va di moda – ecc.). La specifica vocazione professionale di ciascuno non dovrebbe esimere dal dovere etico di cercare di informarsi su ciò che accade in altri campi, e soprattutto dal piacere di farlo, pur senza pretendere di pontificare: «gli scienziati non leggono Shakespeare e gli umanisti sono insensibili alla bellezza della matematica», lamentava Ilja Prigogine.
È deprimente osservare come i poeti mediocri vantino con civetteria la loro ignoranza in cose di fisica e matematica, e gli scienziati mediocri disprezzino la poesia e la musica, senza rendersi conto di come, nella cornice sopra descritta, gli uni e gli altri si trovino al contrario dalla stessa parte della barricata. Quel che è peggio, è che, nonostante oramai tutti si sentano volteriani e brandiscano ampi cartelli “Je suis Charlie”, è rischioso dire queste cose in giro.
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…scovo quest’altro gustoso intervento di Gian Antonio Stella sul tema dell’università:
“Il colmo è stato toccato all’università di Chieti. Dove, a causa prima delle spaccature interne e poi della necessità di trovare una scappatoia alla rigidità della legge voluta nel 2009/2010 da Maria Stella Gelmini, decisa (con buone ragioni, anche) ad arginare l’eccesso di dipartimenti spesso mignon con la soppressione o l’accorpamento di quelli più piccoli, è nato il «Disputer». Dipartimento di Scienze Psicologiche Umanistiche e del Territorio. Che tiene insieme gli psicologi che indagano nel sottosuolo delle menti umane e geologi che studiano il suolo e il sottosuolo della terra. Un capolavoro. Come se, per sopravvivere a una spending review , si fondessero insieme una carpenteria navale e un quartetto di violini. ”
Gian Antonio Stella
http://www.corriere.it/scuola/universita/15_febbraio_22/i-geologi-spariti-paese-terremoti-c6748b78-ba70-11e4-9133-ae48336c4c83.shtml
E perché non seguire il suggerimento di Totò (i famosi dentisti-dantisti di “Uccellacci ed uccellini”) aprendo un Dipartimento di Odontoiatria Dantesca denominato magari CERBERO (il canino a tre teste)? Sicuramente si troverà che vi è un denominatore comune, legato alla sostenibilità ambientale. La Fondazione prometterà dei soldi (e poi non loi darà). Questa è l'”estasi amministrativa” di cui parla Dostoevskij, ovverosia una sorta di delirio teso principalmente ad appagare la brama di autoaffermazione delle burocrazie ministeriali. Personalmente non capisco bene come possano andare d’accordo lo sputtanamento delle strutture didattiche e di ricerca, con la pressante richiesta di una sempre maggiore produttività scientifica (l’ANVUR, la SUA, il VQR, i renziani atenei di serie A e di serie B ecc.), ma tant’è: mettetevi nei panni di un referee estone o texano che si vede recapitare un paper e cerca di capire che mestiere fa l’autore…tornano esatte le impietose considerazioni del prof. Settis citate precedentemente.
…. Eh, si, come in quella celebre balera, l’orchestra sonerà “l’hai volsuto tu”, il mal voluto non è mai troppo. Quello del DISPUTER non è certo un caso isolato (e non c’è bisogno di andare fino a Chieti): anzi, è la norma, visto che oggi come oggi sono poche le sedi capaci di squadernare i grandi numeri richiesti dalla legge per la sostenibilità di un “megadipartimento”, nell’accezione gelminiana. E sarà sempre peggio. A Siena, dove bisogna primeggiare anche nelle disgrazie, calerà del 50% l’intero corpo docente, come evidenzia il grafico riportato in alto a destra, e tuttavia leggo che anche altrove non si scherza. Secondo questo rapporto del CUN http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-04-15/prosegue-emorragia-docenti-7-anni-30percento-ordinari-17percento-associati–144537.shtml?uuid=ABAAW7AB negli ultimi 7 anni la riduzione dei finanziamenti, il blocco del turnover dei concorsi e l’abbassamento dell’età pensionabile hanno provocato un crollo verticale esattamente del 30% dei professori ordinari e del 17% degli associati. La fascia dei ricercatori è ad esaurimento da alcuni anni.
Si fa notare che il crollo “supera ampiamente la diminuzione del numero degli studenti.” Entro il 2018 le cose peggioreranno ancora; i professori ordinari in Italia caleranno del 50 per cento: “nel 2018 infatti saranno solo 9.443 a fronte dei 18.929 del 2008, anche a causa del pensionamento di 4.400 docenti. Gli associati, invece, caleranno del 27%: nel 2018 13.278, a causa di 2.552 cessazioni, a fronte dei 18.225 del 2008. Complessivamente nel 2018 ci saranno 9.463 professori universitari in meno.” Tutto ciò era ampiamente prevedibile, perché conseguenza delle due uniche certezze alle quali possiamo aggrapparci: 1. che si invecchia e 2. che non ci sono quattrini. Homo sine pecunia est imago mortis.