Università, il coraggio di denunciare (da: “il manifesto” 25 ottobre 2016)
Arnaldo Bagnasco, Gian Luigi Beccaria, Remo Bodei, Alberto Burgio, Pietro Costa, Gastone Cottino, Franco Farinelli, Luigi Ferrajoli, Giorgio Lunghini, Claudio Magris, Adriano Prosperi, Stefano Rodotà, Guido Rossi, Nadia Urbinati, Mario Vegetti, Gustavo Zagrebelsky. Dell’Università oggi si parla molto e di solito agitando luoghi comuni: sortite che dell’Università italiana colgono aspetti marginali e non i problemi più gravi, forse dimenticando che all’Università è affidato il compito fondamentale di formare cittadini responsabili, oltre che la delicata funzione di preparare la classe dirigente del paese.
In Italia l’Università è da tempo un malato grave, abbandonato a se stesso e devastato dalle «riforme» degli scorsi decenni, sino alla esiziale riforma Gelmini: cure ispirate a una ideologia aziendalistica e peggiori dei mali che dovrebbero guarire.
Molti di questi mali sono noti: servilismo e mercimonio, corruzione e clientelismo. Altri costituiscono fenomeni relativamente recenti, come la precarietà dei giovani ricercatori e una esasperata competizione su risorse e carriere.
Nomi alti e principî venerabili sono stati piegati al servizio di consorterie, favorendo l’instaurarsi di una nuova baronia universitaria non meno potente della vecchia, ma incomparabilmente più arrogante, ignorante e corrotta. A un vecchio barone non conveniva, di norma, esagerare: non sarebbe stato rieletto nelle commissioni future.
E circa la precarietà dei giovani, questi, in un lontano passato, potevano almeno contare sulla regolarità nel bando dei concorsi, dalla libera docenza all’ordinariato. Oggi invece tutto dipende dai Dipartimenti inventati dalla Gelmini, che nulla hanno a che fare con la ricerca scientifica. Vi si discute soltanto di soldi: per i soldi si confligge, in base ai soldi si valuta e si sceglie (coinvolgendo in tali scelte anche la didattica – la cosiddetta «offerta formativa» – quindi la preparazione delle giovani generazioni).
Per questo nei nuovi Dipartimenti spadroneggiano gruppi di potere.
L’attuale autonomia degli atenei (ben diversa da quella prevista dalla Costituzione) tende a premiare i docenti interessati alla gestione delle risorse e al controllo delle funzioni amministrative assai più che alla ricerca e all’insegnamento. La valutazione del merito è degenerata in un sistema spesso incapace di misurare l’effettiva qualità scientifica: le commissioni giudicatrici non sono diventate più «obiettive» grazie agli algoritmi escogitati dall’Anvur né con la bibliometria, che è invece un silenzioso ma efficace invito al conformismo.
Il feticcio dell’«eccellenza» non soltanto induce a trascurare il sistema nel suo complesso, ma legittima scelte discrezionali e arbitrarie. Si pensi, a questo proposito, alle chiamate dirette (senza concorso) dall’estero, di cui beneficiano non di rado docenti privi di comprovata autorevolezza; e, da ultimo, alle cosiddette «Cattedre Natta»: cinquecento posti di professore associato o ordinario attribuiti a pretesi «ricercatori di eccellenza» selezionati da commissioni soggette al giudizio politico (i presidenti saranno nominati – a quanto pare – dal presidente del consiglio) e destinati a un trattamento privilegiato («stipendi più alti in ingresso» e possibilità di «muoversi dove vogliono dopo un periodo minimo di permanenza nell’ateneo prescelto»).
È indubbio che l’Università italiana sconti anche drammatici problemi di scarsità di risorse; ma aumentare queste ultime senza contestualmente affrontare le questioni più generali e di fondo servirebbe soltanto ad accrescere il potere delle camarille accademiche.
Nessun intervento esterno può essere efficace senza una autoriforma del corpo malato. Ciò è difficile, ma non impossibile: i docenti universitari desiderosi di risanare l’Università potrebbero compiere sin d’ora un gesto di coraggio civile, denunciandone i mali e le pretese panacee.
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Di fatto la partizione in atenei di serie A e di serie B si è già consumata, trasformandosi in una condanna a morte per chi si trovi fuori dal cono di luce degli atenei “d’eccellenza”. Oggi è uscita un’altra classifica. The U.S. News rankings http://www.usnews.com/education/best-global-universities/search?name=siena. A parte che bisognerebbe indagare meglio su quali criteri vengono adottati per stilare queste classifiche, ed al netto di alcune vistose differenze, i dati relativi alle università italiane nella sostanza mi pare assomiglino a quelli delle altre classifiche internazionali nel tracciare un confine fra il solito gruppo di atenei di serie A (grosso modo entro il trecentocinquantesimo posto) e i restanti di serie B, con un confine sfumato in mezzo e qualche retrocessione assai dubbia (per esempio il Politecnico di Torino) o promozione sorprendente. Questi che riporto qua sotto sono i primi venti atenei italiani. Siena in questa nuova classifica occupa la posizione n. 411 (ventunesima tra le italiane!), lontana dai primi, fuori da quella dozzina di “hub” sui quali si concentra sempre di più l’investimento di risorse, ma in un’area sfumata, tra color che stan sospesi, pericolosamente in bilico.
#1
University of Padua
Italy Padua
#124 – Best Global Universities
66.3
Global Score
#2
Sapienza University of Rome
Italy Rome
#138 (tied) – Best Global Universities
65.8
Global Score
#3
University of Bologna
Italy Bologna
#149 (tied) – Best Global Universities
64.9
Global Score
#4
University of Milan
Italy Milan
#162 (tied) – Best Global Universities
63.5
Global Score
#5
University of Trieste
Italy Trieste
#186 – Best Global Universities
61.6
Global Score
#6
University of Turin
Italy Turin
#218 (tied) – Best Global Universities
61.4
Global Score
#7
Scuola Normale Superiore di Pisa
Italy Pisa
#222 (tied) – Best Global Universities
61.3
Global Score
#8
University of Florence
Italy Florence
#225 (tied) – Best Global Universities
60.4
Global Score
#9
University of Pisa
Italy Pisa
#245 (tied) – Best Global Universities
59.9
Global Score
#10
University of Naples Federico II
Italy Naples
#257 (tied) – Best Global Universities
#11
University of Pavia
Italy Pavia
#257 (tied) – Best Global Universities
59.8
Global Score
#12
International School for Advanced Studies
Italy Trieste
#261 (tied) – Best Global Universities
59.1
Global Score
#13
University of Rome Tor Vergata
Italy Rome
#274 (tied) – Best Global Universities
57.9
Global Score
#14
Vita-Salute San Raffaele University
Italy Milan
#295 (tied) – Best Global Universities
57.7
Global Score
#15
University of Milan – Bicocca
Italy Milan
#300 (tied) – Best Global Universities
57.6
Global Score
#16
Polytechnic University of Milan
Italy Milan
#303 (tied) – Best Global Universities
56.4
Global Score
#17
Politecnico di Bari
Italy Bari
#334 (tied) – Best Global Universities
55.9
Global Score
#18
University of Perugia
Italy Perugia
#346 (tied) – Best Global Universities
55.7
Global Score
#19
University of Genoa
Italy Genoa
#353 (tied) – Best Global Universities
54.6
Global Score
#20
University of Trento
Italy Trento
#380 (tied) – Best Global Universities
Addendum.
Altre grida manzoniane:
«L’allarme dei rettori: l’università perde docenti e invecchia sempre più.
Il rapporto stilato dalla Crui sui tagli all’università: dal 2008 spariti 12 mila docenti ma i più colpiti sono i giovani: oggi i docenti ordinari under 40 sono solo 36 in tutta Italia» http://www.corriere.it/scuola/universita/cards/allarme-rettori-l-universita-perde-docenti-invecchia-sempre-piu/quei-36-prof-ordinari-under-40_principale.shtml
Vorrei capire come potrebbero essere di più, dopo dieci anni di blocco delle carriere e del turnover. L’ho già scritto: ci vorrebbe una specie di ritratto di Dorian Gray, che invecchiasse al posto degli ex “giovani ricercatori” di dieci anni fa, oramai canuti e bianchi, mentre si decide il da farsi.
3. Il ridisegno della “mappa” delle università, con divaricazione delle università in atenei di didattica e atenei di ricerca, ma più propriamente in atenei “locali” (anche di grandi dimensioni, peraltro) e atenei “di eccellenza” (a volte piccoli, specializzati, eccellenti perché pre-definiti come tali e quindi finanziati in termini straordinari), che ricorda da vicino il modello-freccia-rossa cui facevo cenno. In una dinamica destinata ad aumentare in modo formidabile la competizione tra università, in uno scenario fatto di vincenti e perdenti.
4. La crescente disattenzione al merito specifico, disciplinare e contenutistico, della produzione scientifica individuale, già manifestata nei processi a guida anvuriana, specie nei settori “bibliometrici”, dalla classificazione dei contenitori (le riviste) e attraverso queste dei contenuti. Ma soprattutto evidente ora nell’affidare a commissioni di ridotta composizione, ancorché “di alto profilo”, riconducibili a tre settori scientifico-disciplinari (quelli dei tre commissari), la valutazione di svariate decine di settori scientifici diversi. In una valutazione che dovrà basarsi quindi su criteri diversi: quantitativi o di massima “esterni” alla specifica innovatività e originalità scientifica, e se anche fosse nei limiti dalla sua apprezzabilità da parte di uno dei commissari (e, quindi, verosimilmente, del settore scientifico del commissario).
http://www.roars.it/online/il-ristorante-al-termine-delluniversita-cattedre-natta-e-trasformazione-del-sistema-universitario/
“La misura intitolata “Dipartimenti di eccellenza” è un investimento che il governo intende attuare per premiare i dipartimenti con migliori prestazioni. I metri di valutazione saranno la produttività scientifica e il piano dipartimentale di didattica con un riguardo alle valutazioni della ricerca scientifica. Saranno premiati i primi 350 dipartimenti. … Il pericolo è che alcuni atenei creino piccoli dipartimenti super efficienti per avere i requisiti d’eccellenza. La misura è stato così tacciata di iniquità…”http://www.iostudionews.it/opportunity-day-a-palermo/
Quindi anche i neocostituiti disomogenei “megadipartimenti-di-tutto-e-di-più” paiono oramai strutture obsolete che debbano essere in qualche modo prosciugate all’osso onde mantenere il nocciolo duro disfacendosi di quei brandelli ad esso non omogenei, ereditati dal disfacimento delle facoltà: il punto è:
1) dove li trovi i numeri per soddisfare i requisiti numerici richiesti e
2) cosa ci fai con quei brandelli, atteso che essere rimasti in tanti o in pochi non è questione di “merito”, ma spesso di fortuna o di politica e che anzi, non di rado ad essere ridotte a brandelli sono le aree scientifiche di base.
Riflettevo sul “modello Freccia Rossa” recandomi a Pisa da Siena, giunto all’altezza di Empoli, arrivando alla conclusione che se è così, allora siamo spacciati. Contano poche cose e ce ne saranno sempre meno. C’è chi ritiene di guadagnarsi una fama di ateneo d’eccellenza contraendo ancor di più l’offerta: “piccolo è bello” o piccolo è bullo? Difatti con poche cose non fai un ateneo, a fronte dei grandi “hub” o dei nascenti “competence centers” quattro volte più grandi, idrovore che racimoleranno quasi tutte le risorse, incluse le “cattedre Natta”: ergo, con poche cose, se va bene, farai una “splendida” sede distaccata.
«Il Governo pensa alle Natta e tanto altro, ma i ricercatori a tempo determinato che fine fanno?
Che fine ha fatto il Piano straordinario per RTD-B ? In questi giorni è circolata la bozza del disegno di legge del Governo contenente la Legge di stabilità 2017. Non si tratta ancora di un testo ufficiale, ma la sua lettura desta già notevole sconcerto, perché non vi è alcuna traccia di un finanziamento dedicato all’assunzione di RTD tipologia B!» http://www.roars.it/online/il-governo-pensa-alle-natta-e-tanto-altro-ma-i-ricercatori-a-tempo-determinato-che-fine-fanno/
…. un paio di settimane or sono fu annunciato in modo trionfale dalle gazzette locali il reclutamento di 129 “nuovi professori” presso l’ateneo senese. Sicuramente una buona notizia, anche se in realtà per “nuovi” si intendeva per lo più, o ricercatori a tempo determinato (sebbene quelli di tipo B prefigurino una stabilizzazione nell’arco di un quadriennio) o avanzamenti di carriera. Di “nuovi” veri e propri credo siano in procinto di prenderne qualcuno, ma poca roba. Tant’è vero che dal sito MIUR i professori di ruolo senesi risultano ulteriormente e pesantemente diminuiti oltre le già nere previsioni (e da quello che mi risulta anche quel dato riportato nel sito non è aggiornato, eccedendo di una quindicina quello reale ad oggi). Guardando il grafico su in alto, alla fine del 2016 erano previsti in servizio 767 docenti. Nella realtà siamo sotto i 700, cioè una settantina meno del previsto.
Questo nonostante le trionfali assunzioni di “nuovi docenti” annunciate dalle gazzette. A lungo andare si spera di poter confermare almeno i ricercatori a tempo determinato di tipo B e tuttavia, come paventa oggi il sito ROARS, ciò non pare scontato. Il reclutamento di personale di ruolo vero e proprio è ripreso, sebbene col contagocce, ma a lungo andare – diceva Keynes – saremo tutti morti: diversi di questi precari si ritroveranno nella posizione di poter aspirare ad una stabilizzazione, quando le aree scientifiche e i corsi di studio presso i quali dovrebbero stabilizzarsi non esisteranno più: “figlio, un giorno tutto questo sarà tuo”, dice il babbo di fronte ad un cumulo di macerie. Lo scenario che si apre non è dunque esaltante. Alla fine mi viene il sospetto che il modo col quale si è convenuto di affrontare le questioni qui a lungo dibattute (che fine faranno tutti quei settori, anche di base martoriati dalle uscite di ruolo?) sia questo: non parlarne affatto e considerare come un fastidioso disturbatore, alla stregua di quel Paolini che si intrufola nelle dirette televisive, chi cerca di farlo.
Vendendo il modello di competence center veneto, composto da più atenei, ho il sospetto che al suo interno gli atenei si specializzeranno in settori specifici perdendo altri meno competitivi. Non è una considerazione così malvagia, se uno considera lo hub nel suo complesso.
circa il “competence center” del Triveneto, se è un consorzio di atenei ben integrati (membra di uno stesso corpo), che in perfetta consapevolezza hanno rinunciato a parte della loro autonomia ad attuato una certa mobilità tra di loro, quella di specializzarsi ciascuno in qualcosa è una scelta plausibile. Mi domando: il caso toscano è o sarà mai questo? Io temo che qui più che una scelta, alla fine si tratterà un’imposizione, frutto di poca trasparenza e di decisioni prese altrove, attuata con la inconsapevolezza dei più (“tuto va ben”), asulla base del principio della rana bollita di Chomsky, giorno dopo giorno, attraverso una lenta asfissia di molte aree di ricerca e di quelli che vi sono rimasti imprigionati dentro. Un certo sofisma pigro induce gli indigeni a ritenere che se il destino è scritto, è inutile muovere le terga in inutili sforzi. Que sera, sera…cado dal decimo piano, ma sin qui, tutto bene.
p.s. sulle cattedre Natta c’è stato un pronunciamento del Consiglio di Stato https://ilfoglietto.it/il-foglietto/4995-500-cattedre-col-fondo-natta-dal-consiglio-di-stato-severe-censure-al-dpcm.html
“La quarta ed ultima questione sollevata dal Consiglio di Stato riguarda il riordino dei settori concorsuali secondo le aree Erc.
Tale riordino, scrivono i Giudici di piazza Capo di Ferro, potrebbe prestarsi a rilievi sul piano della ragionevolezza in sede contenziosa, trattandosi di aree non omogenee, per oggetto e finalità, con i settori concorsuali (ben 188) del nostro sistema universitario. In ogni caso, legge alla mano (240/2010), ogni riorganizzazione dei settori deve passare attraverso la consultazione del Cun.”
…nel mio piccolo e in tono meno solenne e formale avevo notato in un messaggio precedente come avessero messo insieme il c… con le quarant’ore, non so per per uno specifico disegno, o per mera ignoranza.
[…] I mali dell’Università: servilismo e mercimonio, corruzione e clientelismo e una baronia più arr… […]
http://www.corrieresalentino.it/2016/11/le-universita-pugliesi-perdono-12-mila-studenti-i-rettori-mancano-i-servizi-lass-leo-disconnessi-dal-mondo-del-lavoro-nasca-un-unico-polo/
…. sui giornali di oggi sono comparse queste due notizie:
Università, la fuga degli studenti pugliesi.
Boom di matricole all’Università di Trieste.
Si svuotano le università del centro sud, si riempiono quelle del nord. Quelle medio piccole del centro sperano di intercettare il flusso, ma non credo che con la pesca a strascico si vada tanto lontano: non credo cioè che se uno è disposto ad attraversare tutta l’Italia, si fermi poi dove non trova piena soddisfazione alle sue aspirazioni, in termini di corsi di studio, dottorati o possibilità di intraprendere una carriera nella ricerca.