Rabbi Jaqov Jizchaq. Facciamo dunque balzachianamente il punto della situazione, come agenda per l’anno appena iniziato, traendo spunto dai titoli della Comédie humaine:
“Le théâtre comme il est”
«Ffo 2016, cambiando l’ordine dei parametri la povertà delle università non cambia… il ministero ha sicuramente proseguito la propria politica, lasciando sostanzialmente invariati i fondi dopo gli 800 milioni di tagli dal 2008, incrementando il peso della quota premiale, che per il 2016 passa dal 20% al 22%, ed aumentando dal -2 al -2,25% le perdite massime che possono subire gli atenei. Dall’altro lato, però, il risultato della distribuzione della quota premiale contiene delle novità: la quota premiale registra forti cali per atenei ampiamente premiati negli anni precedenti, mentre aumenta in modo netto per alcuni Atenei in passato penalizzati. Tutto questo avviene non per un cambiamento della qualità di didattica e di ricerca degli atenei, ma per un semplice cambiamento delle scale utilizzate per pesare i risultati della nuova Valutazione della qualità della ricerca (Vqr 2011-2014), e per effetto delle clausole di salvaguardia, che ha portato a dei risultati maggiormente concentrati attorno al valore medio.»
“La Muse du département”
Perugia ebbe la sua musa: «Miur distribuisce la quota premiale dei Fondi 2016. Redistribuzione al Sud. E l’ateneo della Giannini raddoppia: +115%. (…) Nella Top Ten, per il Nord compaiono solo Venezia Iuav e Ca’ Foscari, Torino e Genova. La peggiore in assoluto, invece, è Siena (-39,4%, pari a circa 11 milioni in meno), ma pagano anche università rinomate come Milano (-8,6%), Firenze (-6,8%) e persino la Normale di Pisa (-2%).»
“Aventures administratives”
«L’Università di Siena si conferma ancora una volta tra le migliori Università italiane, conquistando il sesto posto nella classifica pubblicata dal Sole 24 Ore. (…) Come recentemente dimostrato anche dalla valutazione di ANVUR – ha precisato il Rettore – la qualità della ricerca dei docenti di USiena continua ad essere ben superiore alla media nazionale: un risultato conseguito mentre l’Ateneo stava uscendo dalla propria crisi finanziaria.»
Se Siena è sesta nella classifica del Sole 24 ore, l’uomo della strada (che d’ora innanzi chiamerò Simplicio) non capisce come mai continuano a tagliarle i fondi che in teoria dovrebbero premiare il merito. Qui c’è qualcosa che non quadra.
O la classifica del Sole 24ore non è attendibile, o non è attendibile l’ANVUR, ne conclude Simplicio.
L’ANVUR (si chiede Simplicio, con sconcerto) ti punisce perché la qualità della tua ricerca è molto elevata, come essa stessa riconosce? In realtà un parametro che ha determinato la caduta in disgrazia di Siena agli occhi dell’ANVUR è stato la scarsa produttività scientifica dei nuovi assunti (sic, uno degli IRAS): marrani fannulloni!, griderà Simplicio, scandalizzato. Orbene, questa affermazione è vera a vuoto, giacché per dieci anni non ci sono stati affatto nuovi assunti perché il turnover era bloccato! Non solo: «continuano a perdere finanziamenti tutti quegli atenei che hanno visto crollare i propri iscritti negli ultimi anni, anche quando la quota premiale cresce. Ciò è causato dal peso sempre maggiore dato al costo standard per studente nella suddivisione della quota storica del Ffo (arrivato al 28% della quota base).» E qui mi pare che di studenti ne siano evaporati 15.000 circumcirca: del resto sono stati anche chiusi decine di corsi di laurea, avviando in tal modo un circolo vizioso.
“Anatomie des corps enseignants”
In generale la forte contrazione del corpo docente senese (400 pensionamenti di docenti tra il 2008 e il 2020, su 1056 che erano, con forse due o tre dozzine di rimpiazzi di ruolo da qui a tre anni), salutata da Simplicio come un bene (“eh so’ troppiii!”) di certo non ha giovato né alla mole, né all’organizzazione della ricerca, oltre a tramortire una generazione di ricercatori. Il Rettore, giustamente, sottolinea la necessità urgente di riprendere le assunzioni ed annuncia con un certo sollievo la fine del Ramadan, anche se le assunzioni future di certo non compenseranno la drammatica perdita subita, né copriranno molte delle voragini che si sono aperte. Sarebbe dunque utile per tutti capire in che direzione evolverà l’ateneo, che non sarà di certo quello di prima (nel bene e, si spera, neanche nel male).
“L’Envers de l’histoire contemporaine”
L’esclamazione “eh so’ troppiiii!” di Simplicio è singolarmente contraddetta (oltre che dai dati OCSE) da quest’altra notizia: «Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce).»
“Adam-le-Chercheur”
Ogni tanto qualcuno si ricorda di sottolineare anche «il dramma degli attuali oltre 40.000 ricercatori destinati, come coloro che li hanno preceduti, all’espulsione dall’Università, senza che si sia dato loro alcuna seria possibilità di concorrere a posti di docenza a tempo indeterminato. Il precariato non è un incidente, ma il frutto di una lucida e cinica scelta di chi vuole una docenza universitaria con pochi docenti ‘veri’ (gli ordinari), un po’ più di docenti subalterni (gli associati) e decine di miglia di precari “usa e getta”, sparpagliati in una giungla di figure (dottorandi, borsisti, assegnisti, ricercatori a tempo determinato, ecc). Precari senza i quali non sarebbe possibile assicurare i già ridotti livelli di ricerca e di didattica.»
“Les martyrs ignorés”
Ed ecco su cosa si fonda la “meritocrazia” italica. Vorrei sapere questi qua che stipendio hanno, come faranno a mettere su famiglia (se nessuno li mantiene) e che pensione avranno. L’implementazione della riforma del 3+2 è avvenuta con lo sfruttamento massiccio del lavoro precario e della “terza fascia” (i ricercatori) poi abolita. È evidente che un simile metodo di scrematura prevede che il ricercatore non abbia necessità economiche di sopravvivenza, dunque è basato essenzialmente sul censo, altro che abracadabravaneliana “meritocrazia”!.
“Les parents pauvres”
Il sottosegretario, Gabriele Toccafondi afferma: «Con un tasso di disoccupazione giovanile che è tornato a sfiorare il 40% è opportuno che anche l’università allarghi la sua offerta professionalizzante, ma ciò non deve andare a discapito degli Its, un segmento dell’offerta formativa che ha dimostrato, in questi anni, di funzionare con un tasso d’occupazione dei neo-diplomati superiore all’80 per cento».
A pensar male si fa peccato, ma… non è che quello di sfornare diplomi professionalizzanti diverrà lo scopo principale degli atenei minori (i parenti poveri) di provincia?
“Histoire des Treize” (meno 1)
«Assoluzione dall’accusa di falso in atto pubblico per i 12 imputati al processo per il ‘buco’ da 200 milioni di euro nei bilanci.»
Il Tribunale di Siena sentenzia: «la vicenda dell’Università di Siena che oggi occupa il Tribunale, in definitiva, “non è una storia di ruberie”, nel senso che il buco di bilancio non è risultato essere il frutto di appropriazioni o distrazioni. Con riferimento a tale ultima affermazione, occorre però precisarsi che – se è ben vero, come appena detto che quella dell’Università di Siena “non è una storia di ruberie” – è altrettanto innegabile come essa costituisca il frutto di una (non meno grave ed allarmante) gestione di ingenti risorse pubbliche assolutamente dissennata e fuori controllo (…), di dipendenti infedeli e di mancati o inadeguati controlli da parte degli organi apicali di indirizzo politico-amministrativo (Rettori e Direttori amministrativi) e di vigilanza (Collegio dei Revisori). Tutto ciò in totale spregio, non solo delle comuni regole di buona amministrazione, ma anche e soprattutto del senso dello Stato che dovrebbe costituire l’idem sentire di chi svolge una funzione pubblica “con disciplina ed onore” (come impone l’art. 54, comma 2, della Costituzione) e con evidentissime ricadute negative sul buon andamento della gestione della res publica (art. 97 Cost.).»
“Splendeurs et misères des courtisanes”
Come reazione alle esternazioni di Cantone (un assist perfetto) sul nepotismo e la cortigianeria: «il governo sta per varare una contromisura: un fondo intitolato al Nobel Giulio Natta per finanziare la chiamata diretta di 500 docenti scelti, senza concorso, tra i migliori ricercatori italiani e stranieri» (scrive Francesco Margiocco, giornalista del Secolo XIX). Gli fa eco, lesta, una esponente politica della maggioranza: «il decreto Natta sarà una sperimentazione per la selezione dei docenti universitari. Potrebbe rivelarsi un procedimento da estendere a tutti i docenti universitari, non solo alle supercattedre.»
Per abolire la cortigianeria si istituisce un canale speciale di reclutamento, con commissioni … di diretta nomina politica?!?!?! Pensando di generalizzare il metodo?!?!?!?!! Ohibò…
“Illusions perdues”
«Sono bravi: questo nessuno lo mette in dubbio. Ma sono penalizzati dal vivere nel Paese che investe meno di tutti in ricerca, in Europa. Le capacità degli scienziati italiani non sono evidentemente in discussione, se uno studio clinico su cinque di quelli prodotti nel Vecchio Continente giunge da quello che era il Belpaese.
Numeri che vengono confermati su scala mondiale, dove gli scienziati italiani sono ottavi, alle spalle dei colleghi che operano in contesti di ben altra levatura: dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Cina alla Germania. Paesi che investono molto più dell’Italia e che attraggono i cervelli nostrani: poco apprezzati entro i confini nazionali, merce pregiata al di là delle Alpi.»
«In Italia … la spesa complessiva per l’istruzione universitaria è ferma allo 0.9% del PIL, penultima fra gli Stati dell’area Ocse e contro una media UE pari all’1,5%.»
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P.S. Gaudeamus igitur…
“Servono ancora le università?“. «È con una domanda provocatoria che il rettore dell’università Statale di Milano, Gianluca Vago, ha inaugurato l’anno accademico del suo ateneo. Una riflessione amara sul ruolo della formazione – sia superiore che universitaria – che rischia di prendere una “deriva commerciale e quantitativa”, dove si studia per avere i crediti formativi e non per la conoscenza. Un sistema in cui “qualcuno vorrebbe trattare lo studente sempre più spesso come un cliente…. Dobbiamo raccontare chi siamo, più ancora che quello che sappiamo – ha detto Vago a proposito della missione dell’università -: questo è quello che dobbiamo ai nostri studenti, lo devono i veri maestri ai propri allievi… ogni viltà, ogni opportunismo, ogni scorciatoia facile, ogni mediocre privilegio, ogni gratuita e svogliata inefficienza, ogni superficiale pressapochismo sono una ferita che lacera la speranza dei nostri ragazzi e piega la loro fiducia». http://milano.repubblica.it/cronaca/2017/01/26/news/deriva_commerciale_maturita_universita_-156946566/
Adesso, non è che si chieda di essere “guidati dall’inesorabilità di quella missione spirituale che ingiunge al destino del popolo tedesco di congiungersi con l’impronta della propria storia”, come esordiva il tonitruante Martin Heidegger nel suo discorso di rettorato all’università di Friburgo (Dio ce ne guardi!), ma ribadisco che a mio modestissimo avviso urge un chiarimento sul destino dell’università italiana: se non di potenti atenei come Milano, che hanno le gambe per stare in piedi, almeno degli atenei come Siena, che mi pare non siano esattamente in procinto di “congiungersi con la propria storia”, bensì semmai di distaccarsene definitivamente.
Addendum
…le parole del rettore Vago tornano particolarmente appropriate nel “giorno della memoria”, laddove egli insiste sulla necessità di “trasmettere a giovani valore conoscenza”, puntando il dito contro un sistema “in cui si fanno gli esami per avere punti e non per acquisire conoscenza”. Conoscenza e memoria, in un’Europa che sembra aver perso la memoria e in un paese in preda all’oblio:
«La mia prima lingua è stata il tedesco, la seconda l’ucraino, con i nonni parlavo in yiddish, nei dintorni si parlava rumeno, i vicini di casa erano polacchi e pertanto con loro si parlava in polacco, e gli intellettuali parlavano francese. Ma in Europa ho frequentato solo la prima elementare. Poi è arrivata la guerra, e con essa il ghetto, i campi di concentramento, la foresta. Quando sono arrivato in Eretz Israel avevo quattordici anni e non avevo una lingua…. Nel ghetto di Czernowitz i miei nonni parlavano yiddish. Le cameriere a casa mia erano ucraine, così parlavo ucraino. All’inizio il regime era rumeno, così appresi un po’ di rumeno. Poi diventammo Russia e io imparai un po’ di russo. Quando mi accolse l’Italia appresi anche un po’ di italiano. Crebbi così con un grappolo di parole e lingue straniere che non fecero che disorientarmi profondamente. Alla fine verrà l’ebraico pronunciato per la prima volta a Napoli, nutrito della lettura della Bibbia, e sarà la lingua della mia vita e dei miei libri».(Aharon Appelfeld)