
Rino Formica: «È l’ultima chiamata prima della guerra civile. Ora il Presidente parli».
Daniela Preziosi (il manifesto, 8 agosto 2019). «Quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica, o decide la forza. Se non ci sono soluzioni democratiche c’è la guerra civile». Con Rino Formica – classe 1927, socialista, più volte ministro, da più di mezzo secolo le sue definizioni della politica e dei politici sono sentenze affilate, arcinote e definitive – il viaggio per approdare all’oggi, un oggi drammatico, inizia da lontano. Con il Pietro Nenni «di quei dieci giorni lunghi quanto un secolo fra il 2 e il 12 giugno del ’46», racconta, «fra il referendum e la proclamazione della Repubblica c’è il tentativo del re di bloccare la proclamazione della Repubblica. Umberto resisteva al Quirinale. I tre grandi protagonisti, De Gasperi Togliatti e Nenni, presero la decisione di convocare il Consiglio dei Ministri e di dare i poteri di capo dello stato a De Gasperi, che era presidente del consiglio. De Gasperi andò al Quirinale sfrattò Umberto. In quei giorni noi, dalle federazioni del partito socialista, chiedemmo che fare. C’era il rischio reale che si bloccasse il processo democratico. Nenni appunto diramò la disposizione: quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica o la parola passa alla forza». Questa è la «questione», sostiene Formica.
Stiamo
assistendo a una rottura istituzionale?
Questa rottura è antica, maturava già dagli anni 70, ma il tema viene strozzato.
Il contesto internazionale è bloccato, un paese di frontiera come l’Italia deve
fronteggiare equilibri interni ed internazionali. Nell’89 questo blocco salta,
ma le classi dirigenti non affrontano il tema della desovranizzazione degli
stati che diventavano affluenti dell’Europa unitaria. I grandi partiti entrano
in crisi. Il Pci è in crisi logistica e di orientamento; il Psi perde la
rendita di posizione; la Dc è alla fine della sua funzione storica.
Torniamo
alla nostra crisi istituzionale.
Da allora abbiamo due documenti importanti. Il primo è del ’91, il messaggio
alle camere di Cossiga che spiega che l’equilibro politico e sociale è
superato. Poi, nel 2013, il discorso del secondo mandato di Napolitano. Due
uomini diversi, con due approcci diversi, con coraggio pongono al parlamento il
tema del perdurare della crisi. E i parlamentari, fino ad oggi, continuano a
far finta che tutto va bene, che è solo un temporale, passerà. Oggi siamo alla
decomposizione istituzionale del paese.
Quali
sono i segnali della «decomposizione»?
Innanzitutto il governo: non c’è. Oggi ci sono tribù che occupano posizioni che
una volta erano del governo. Il presidente del consiglio convoca le parti
sociali, ma il giorno dopo le convoca il ministro degli interni. E i sindacati
vanno. Quando il sindacato non ha un interlocutore istituzionale ma va da chi
lo chiama si autodeclassa a corporazione: vado ovunque si discuta dei miei
interessi. Allora: non c’è un governo, perché la sua attività è stata espunta;
non ci sono i partiti né i sindacati. È la crisi dei corpi dello stato. Si
assiste a un deperimento anche delle ultime sentinelle, l’informazione, la
magistratura.
Sta
dicendo che non c’è alternativa alla guerra civile?
C’è. Oggi siamo in condizione di mobilitare la calma forza democratica
dell’opinione pubblica? Chi può animarla? I leader politici sono deboli o
screditati. Serve l’autorità morale e politica che può creare un nuovo pathos
nel paese. Uno strumento democratico c’è, sta nella Carta. È il messaggio del
presidente della Repubblica alle camere. Nell’81 la camera pubblicò un volume
sui messaggi dei presidenti. Nella prefazione il costituzionalista Paolo Ungari
spiega che il messaggio alle camere ha una grande importanza. Il presidente ha
due modi per dialogare con il parlamento. Il primo è quando interviene nel
processo legislativo. Quando rinvia alle camere un disegno di legge per
incostituzionalità. È vero che non ha il diritto di veto ma – dice Ungari –
porta il dissenso dinanzi al parlamento e anche all’opinione pubblica, «un
terzo e non silenzioso protagonista».
Dovrebbe
succedere con il decreto sicurezza bis?
Leggo che Mattarella ha dubbi. Forse ha dubbi su di sé: le norme
incostituzionali stavano già nel testo che ha firmato e inviato alle camere. Lì
si accettava il superamento della funzione del presidente del consiglio: non
c’è più, viene informato dal ministro degli interni. È la negazione della norma
costituzionale. Ma è vero che se oggi lo rimandasse alle camere la maggioranza
potrebbe ben dire: abbiamo votato quello che tu hai già firmato.
Allora
cosa può fare?
La situazione di oggi è figlia dell’errore del 2018. Il presidente dà
l’incarico esplorativo a Cottarelli e questo incarico viene sospeso
dall’esterno da due signori che notificano al Quirinale di non procedere perché
stanno stilando un «contratto» di cui indicano l’arbitro, il presidente del
consiglio. È il declassamento dall’accordo politico a contratto di natura
civilistica, uno stravolgimento costituzionale. L’accordo di governo è altra
cosa: stabilisce una cornice politica generale. L’errore è dei contraenti, ma
chi lo ha avallato poteva fare diversamente? Se il presidente del consiglio è
arbitro si accetta il fatto che la crisi istituzionale si supera attraverso una
extrademocrazia aperta a tutti i venti.
Un
punto di non ritorno?
Il problema ora è mettere uno stop. Il presidente della Repubblica dovrebbe
fare un messaggio sullo stato di salute delle istituzioni. Il presidente del
consiglio non c’è più, il governo neanche, la funzione della maggioranza è mutata
fra decretazione e voto di fiducia. Ormai, di fatto, una camera discute,
l’altra solo vota. Si sta consumando un mutamento dell’equilibrio
istituzionale. Il presidente ci deve dire se questa Costituzione è diventata
impraticabile.
Intanto
il Viminale allarga i suoi poteri.
Salvini crea una novità nel nostro tessuto democratico. All’interno di un
sistema di sicurezza crea una fazione istituzionale di partito: spezza un corpo
dello stato in fazioni politiche. Il rischio è che nasca una polizia salviniana.
Che avrebbe come conseguenza la nascita della Rosa bianca, come sotto Hitler. E
non solo. Ormai Salvini fa in continuazione dichiarazioni di politica estera
che si pongono al di fuori dei trattati a cui aderisce l’Italia.
Mattarella
ha gli strumenti per fermarlo?
Mattarella viene da una educazione morotea, quella della inclusione di tutte le
forze che emergono, anche le più incompatibili. Ma ne dà un’interpretazione
scolastica. Moro spiega la sua visione nell’ultimo discorso ai gruppi
parlamentari Dc, prima del sequestro. Convince i suoi all’inclusione del Pci
nel governo ma, aggiunge, se dovessimo accorgerci che fra gli inclusi e gli
includenti c’è conflitto sul terreno dei valori, noi passeremo all’opposizione.
L’inclusione insomma non può prescindere dai valori. Altrimenti porta alla
distruzione dei valori anche di quelli che li hanno. Infatti il contratto non è
un’intesa fra i valori ma tra gli interessi.
Insomma
questo governo è un cavallo di troia nelle istituzioni?
È la mela marcia che infetta il cesto.
Mattarella
può ancora intervenire?
Non c’è tempo da perdere, deve rivolgersi al parlamento. L’opinione pubblica
deve essere rimotivata, deve sapere che ha una guida morale, politica e
istituzionale. Si sta creando il clima degli anni 30 intorno a Mussolini.
I
consensi di Salvini crescono, l’opinione pubblica ormai si forma al Papeete
beach.
Ma no, Salvini cresce perché non c’è un’alternativa. Un messaggio del
presidente darebbe forza a quelle tendenze maggioritarie nell’Ue che hanno
bisogno di sapere se in Italia c’è qualcuno che denuncia il deperimento
democratico. Anche perché, non dimentichiamolo, l’Unione ha l’arma della
procedura di infrazione per deperimento democratico, già usata per la Polonia.
In
questo suo ragionamento l’opposizione non ha ruolo?
Il paese è stanco, il Pd non è in condizioni di rimotivarlo. Nessuno ne ha la
forza. La stampa è sotto attacco, si difende, ma per quanto ancora? Hanno
aggredito Radio radicale, i giornali, dal manifesto all’Avvenire,
intimidiscono anche la stampa più robusta. Solo una forte drammatizzazione
istituzionale può riuscire. All’incontro con i cronisti parlamentari Mattarella
ha fatto un discorso importante. Ecco, tutti insieme dovrebbero chiedergli di
ripeterlo ma in forma di messaggio alle camere. Per dare un rilievo ufficiale
agli attacchi alla libera stampa. La signora Van der Leyen non potrebbe non
intervenire.
Anche
perché resta il dubbio che la Lega sia strumento della Russia contro l’Ue.
I rapporti fra Salvini e la Russia di Putin sono servili. La Russia ha un forte
interesse a un’Italia destabilizzata per destabilizzare l’Europa. Il disegno
non è di Salvini, lui è solo un servo assatanato di potere.
Ministro, con Salvini sono tornate le ballerine, stavolta in spiaggia?
Quando parlai di «nani e ballerine» intendevo che non si allarga alla società civile mettendo in un organo politico i professionisti del balletto. Qui siamo alla versione pezzente del Rubigate. Quello di Berlusconi era un populismo di transizione ma non si può negare che intercettasse sentimenti popolari. Salvini invece eccita i risentimenti plebei.
Chiede al Colle di agire un conflitto inedito nella storia repubblicana?
Ma se questa situazione va avanti, fra due anni Salvini si eleggerà il suo presidente della Repubblica, la sua Consulta, il suo Csm e il suo governo. Siamo al limite. Lo dico con Nenni: siamo all’ultima chiamata prima della guerra civile nazionalsovranista.
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