Un’ironica e stimolante risposta del Prof. Alessandro Rossi al decalogo di Cotta, firmato da alcuni illustri colleghi che, distratti rispetto alle disastrose condizioni dell’universià di Siena, hanno iniziato le schermaglie per la guida dell’ateneo, invece di chiederne il commissariamento.
A PROPOSITO DELL’UNIVERSITA’ CHE VOGLIAMO
Alessandro Rossi. A tutti piace il documento, persino agli stessi estensori. È infatti impossibile non condividere i 10 punti della proposta: 1. Università di Eccellenza; 2. Centralità della Ricerca; 3. Didattica Avanzata; 4. Valutazione; 5 Piena Autonomia dei Dipartimenti; 6) Responsabilità, Collegialità e Trasparenza; 7. Valorizzazione delle Risorse Umane; 8. Qualificazione e Potenziamento dell’Amministrazione Centrale; 9. Apertura verso l’Esterno e Mobilitazione delle Risorse; 10. Rigore Contabile.
Più che una proposta questa appare una declaratoria dei principi fondanti l’istituzione universitaria. Ma l’Università già esiste ed indicare tali punti come obiettivi da perseguire significa implicitamente ammettere di averli falliti o negati. Io non sono completamente d’accordo, benché sia innegabile qualche lacuna nel “rigore contabile” e non solo in esso. Perché allora questo documento? Accantonando ogni maliziosa interpretazione, voglio pensare che esso tenti di identificare un nuovo spazio di legittimazione della nostra Università. Ciò è particolarmente lodevole in una fase nella quale le nostre debolezze ed i nostri difetti sembrano entrati in un circuito di autoesaltazione. Ma questo documento “L’Università che vogliamo”, per come è impostato, rischia di evocare “il suono della lira mentre Roma brucia”. L’incendio non è rappresentato solamente dalla crisi finanziaria ed economica dell’Università ma anche dalla furia normativa in atto. Il disegno di legge Gelmini prevede quasi 500 nuove norme a regime. L’Università si appresta così ad essere ulteriormente intrappolata da due paradigmi esterni alla logica della conoscenza, uno di stampo politico-burocratico e l’altro di assonanza aziendalistica. In questo scenario, i dieci punti del documento rischiano di apparire come una riedizione della “retorica efficientista”: il potente propulsore negli anni della spinta autonomistica dell’Università. Una esperienza caduta sotto il peso della incapacità di organizzare normali controlli di gestione.
In assenza di una cultura dei processi di controllo e nell’attuale crisi delle classi dirigenti, rischiamo oggi di progettare per flussi di emozioni e di stati d’animo, magari auspicando l’ala protettrice del governo centrale; auspicio dal quale personalmente mi sottraggo. Ma forse, i dieci punti enunciati nel documento potrebbero essere interpretati proprio come la condivisibile necessità di riaffermare che l’Università deve essere fondata solo sul paradigma interno alla conoscenza non su quelli eteronomi della politica e del mercato. Se così fosse, allora desidererei che gli estensori del documento dessero più respiro allo stesso, magari indicando la sua compatibilità con l’attuale crescente asfissia economica e burocratica dell’Università.
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La lettura della lettera di Cotta, evidentemente il primo atto di una campagna elettorale per il rettorato che si preannuncia, a mio modo di vedere e contro il modo di vedere di altri, pochissimo combattuta, dà origine ad una serie di riflessioni che vado a esporre:
1. Già dal titolo si scorge una identità sintattica con le prese di posizione di una certa parte politica e, più specificatamente, con una certa parte sindacale vicina a, per non dire espressione di, una certa parte politica. Roma è tappezzata di manifesti da centro sociale con la frase “L’università che vogliamo”. Non aggiungo altro.
2. Cotta (e i firmatari) ritengono che «l’Università di Siena possegga nei propri docenti e nei tanti validi collaboratori precari, nel proprio personale tecnico-amministrativo e nei propri studenti un patrimonio di energie intellettuali e morali di grande rilievo», tuttavia la lettera è stata indirizzata ai soli docenti e tutto il resto del mondo (peraltro citato) la deve leggere sui giornali. Non mi pare sia un approccio corretto, anzi lo definirei classista e rozzamente verticistico.
3. Quando poi si afferma che compito primario sia implementare gli studi post-universitari direi che si orina a diversi metri dal vaso considerato che l’Università si è già dimenticata da un bel po’ di offrire un buon inserimento nella dimensione universitaria, figuriamoci se è in grado di andare oltre un obiettivo già fallito. Ci siamo già dimenticati dello scandalo delle lauree vendute proprio dalla Facoltà di cui Cotta è membro?
4. Quello della valutazione è un inghippo da cui non si può proprio uscire perché i severi e oggettivi meccanismi di valutazione non si sa come possano essere messi in atto, considerato il palese fallimento di tutte le formule adottate sinora. Anche in sede di V.A.I. (qualcuno se lo ricorda?) si verificarono ovviamente camarille di ogni genere talché i gruppi più forti in seno ai Dipartimenti si aggiudicarono i giudici esterni a loro più favorevoli e quindi la cosa finì a schifìo, wie immer.
5. La piena autonomia dipartimentale è sacrosanta, considerato anche la virtuosità dei Dipartimenti anche all’avvenuta esplosione del dissesto. Semmai è quell’inciso «grazie a personale tecnico-amministrativo adeguato» che fa pensare che costoro ritengano che al momento sia inadeguato, opzione che fa a pugni e con quanto asserito sopra e con la continua lamentela sulla circostanza che il personale tecnico-amministrativo sia troppo. La piena autonomia vagheggiata forse può andare bene per certe strutture dipartimentali, ma in altre, sopratutto di genere scientifico, presta il fianco ad abusi importanti. Inoltre l’espressione «entrate proprie» suona abbastanza male perché presuppone che certuni abbiano delle entrate dovute alla loro eccellente qualità di ricercatori e docenti, mentre è sicuro che non è così dal momento che i terzi sono disposti a dare dei fondi per la ricerca e per la didattica solo sulla base del fatto che chi li richiede sfoggia da qualche parte il logo dell’Ateneo, altrimenti non vedrebbe il becco di un quattrino. Questo vale per chiunque, che si chiami Fracazzi da Velletri o Carlo Rubbia.
6. «L’università deve perseguire con determinazione la valorizzazione del personale docente e tecnico-amministrativo». Belle parole piene di vento, come direbbe lo sciasciano Don Mariano Arena: con quali risorse (che non ci sono e non ci saranno per anni a venire) si dovrebbe valorizzare chicchessia? Bella domanda vero? I concorsi sono bloccati, il turn-over è bloccato, le progressioni sono bloccate. Tutto è bloccato e non c’è una lira per farne due. Il FFO verrà diminuito ad andar bene a 115 milioni (rispetto ai 120 del 2009). Con cosa si valorizza? Chi non ha quadrini non abbia voglie si dice dalle mie parti.
7. La collegialità. Forse Cotta non sa che anche finora la gestione è stata collegiale e, fra l’altro, pare essersi dimenticato che tanto lui che altri firmatari di questi collegi ha fatto addirittura parte o ne fa ancora parte. Non si vede la ragione per cui debba essere cambiato qualcosa se non la trasparenza che certo non è stato il vanto della passata gestione collegiale. Anzi: visto che si parla anche di responsabilità cominciamo a farle pesare a lui e agli altri membri collegiali le responsabilità per quanto è avvenuto sinora.
8. «L’organizzazione dell’amministrazione dell’università deve perseguire con determinazione la selezione di personale altamente qualificato». Eddai! Non ci sono i soldi! Quali selezioni? Si può selezionare solamente fra quello che c’è già. Delle due l’una: o tra il personale, tutto, ci sono già le competenze richieste oppure no. Se sì basta tirarle fuori e sostituire coloro i quali – lo dice Cotta, non io – sono stati e sono evidentemente degli incapaci. Altrimenti non c’è via di uscita. E le regole di responsabilizzazione e valutazione ci sono già anche quelle, sono leggi dello Stato. L’applicazione è stata accuratamente evitata (ancora oggi, a distanza di più di un anno) e non si vede come sia possibile che ora arrivi l’uomo della Provvidenza e tutto vada a posto.
9. Il punto 9 ripropone le stesse identiche problematiche di molti punti sopra citati. Il personale amministrativo altamente qualificato non si sa dove andarlo a pescare, se si dà per scontato che quello attualmente impegnato è bassamente qualificato.
10. Il punto 10 fa sorridere per l’ingenuità: si può forse rendere onesta la gente per legge? Direi proprio di no. E l’analisi completa e severa di quello che non ha funzionato in passato è abbastanza semplice: non hanno funzionato gli organi di governo a partire dal Rettore per giungere a Senato e CdA, organi questi ultimi in gran parte formati sinora con personaggi firmatari della lettera. Se si adottasse il modello cottiano (e riccaboniano e viciniano e così via) il primo provvedimento da prendere sarebbe quello di buttare fuori proprio loro. Così facendo forse il mondo fantastico di Cotta potrebbe prendere forma.
Grazie! Questo è parlar chiaro! La lettera dei Soloni è aria fritta in buona parte e programma elettorale per l’altra: si capisce come la crisi si sia determinata con governanti come questi, non Vi pare? Pure astrattezze consolatorie e mistificanti: si conferma che con questi non si possono che ripetere i fenomeni fin qui verificatisi… che Do ci salvi!
Stupisce che vi siano colleghi che, incuranti delle «disastrose condizioni dell’università di Siena» (per usare l’eufemistica espressione del curatore di questo blog, perché la realtà è ancora più drammatica), pensino solo a porre la propria candidatura a rettore.
Da loro ci saremmo aspettati silenzio assoluto, lo stesso che hanno mantenuto negli ultimi 4 anni, divenuto poi assordante negli ultimi 16 mesi, quando la scoperta della voragine nei conti ha reso evidente a tutti anche le loro responsabilità, fino ad allora note a pochi.
Forse è proprio questo il punto: le responsabilità. Davvero i “Vicino”, i “Riccaboni”, i “Detti” credono che si possa tenere sotto silenzio la necessità dell’accertamento delle responsabilità nei confronti di chi ha fatto parte degli organi di governo di questo ateneo negli ultimi 9 anni?
Secondo me un po’ combattuta lo sarà questa campagna elettorale: meglio la coppia minnucci/focardi o il ritorno al passato con Riccaboni?
Entrambi non sono esenti da colpe. Anzi, se la magistratura volesse dare un segno di vita probabilmente dei 3 ne rimarrebbe papabile solo uno…
[…] Originale: Il senso della misura » Al “Dies Irae” sull'università di Siena i … Articoli correlati: Il senso della misura » Emilio Miccolis: dall'università di Siena […]
….en passant devo una risposta al Favi:
«…Professore associato con quasi venti anni di anzianità, che NON pubblica regolarmente una mazza neanche sul Corrierino dei Piccoli e che per vederlo in facoltà bisogna stare dai tre ai quattro mesi in attesa.» Favi
…Favi, se è per questo potrei citarti anche casi peggiori, soggiungendo che il contributo maggiore di certi personaggi al risanamento dell’ateneo consisterebbe nel rendersi meno antipatici; ma ho l’impressione che i brunettiani “fannulloni”, come gli insopportabili “baroni”, facciano comodo per gettare la croce su tutti indistintamente, giacché non si spiega altrimenti come mai non si dia la caccia ai latitanti e non si imponga in generale un contegno più sobrio ed operoso, invece di rompere le balle all’universo mondo.
Nel tuo post precedente parlavi di “ricercatori con trent’anni d’anzianità”; ora, per chiudere questa parentesi, mi chiedo e ti chiedo se secondo te questa è la media dei ricercatori cui si riferiva il mio precedente post, la norma, piuttosto che un caso limite: rovesciamo il discorso e guardiamo invece a quell’oltre un terzo dei docenti che vengono chiamati ora “professore” (quando c’è da chiedere o da sbeffeggiare, come fanno non pochi, anche in questo forum) ora “dottore” (segnando sdegnosamente la distanza, quando c’è da concedere) e immaginiamo per un attimo cosa accadrebbe di questo ateneo, se veramente cessassero di insegnare.
Francamente credo che la “hýbris” dell’iniquo Akaki (quello che sosteneva che un ricercatore quarantenne con dieci anni di girovagari per mezzo mondo non è in grado di insegnare alcunché, confermando la siderale distanza della sua mentalità da quello che si suol chiamare “mondo scientifico”) sia l’effetto di una colazione innaffiata con abbondante grappa, anche se odo quotidianamente analoghe invettive – oramai lo sport più popolare qui dopo il basket e il pallone – da parte di comari o di ragionieri che si credono Draghi, e pur se odo alla radio che dai dati forniti dal fisco risulta in effetti che un ricercatore universitario guadagna più di uno scalognato macellaio… lasciando perdere dunuqe le esternazioni di Akaki, che si commentano da sole, chioso anch’io la lettera del prof. Cotta (“vaste programme”, direbbe de Gaulle), anche se, con il nostro Ismael, nel misurare la distanza fra le parole e le cose, lo sconforto mi indurrebbe piuttosto da imbarcarmi “and see the watery part of the world”:
«1. Una Università di eccellenza. Di fronte al dilemma, che si pone con maggiore evidenza per le università medio-piccole, e ancor più in una difficile situazione economica, tra ridursi a essere una università di modesto cabotaggio o puntare ad essere una università con ambizioni nazionali ed internazionali di eccellenza nella ricerca e nella didattica avanzata, siamo convinti che Siena non debba rinunciare a una chiara e decisa scelta per la seconda opzione.»
…però, guardando la realtà, stiamo andando da un’altra parte: odo che le recentissime disposizioni che vengono da Roma impongono di sbaraccare molti dei corsi appena varati, già entro l’anno, in modo da partire nel 2011 gioiosamente con la riforma della riforma appena attuata, che è la riforma della riforma della riforma (ho saltato una riforma?), rimettendo dunque tutti a bollire nel pentolo della sòra Cianciulli. A me pare (non ce lo nascondiamo) che la logica del frullatore “Girmi” – inevitabile, per certi versi, a questi lumi di luna -, del frullare quello che avanza di vari corsi deceduti per tirar fuori un qualcosa di nuovo, penalizzando competenze e specificità, mostri un po’ la corda e finisca per dirigere il vascello inesorabilmente verso la rotta opposta a quella indicata dal prof. Cotta, e cioè verso l’ “entropia” generalista di insulse “triennali”. Vi è comunque una sostanziale continuità col passato, a mio avviso, perché non è di ora il costume di pronunciare la parola “specializzazione” con un che di disgusto, alla stregua di un desueto concetto reazionario. Vorrei capire meglio quale dimensione e quale spazio tra gli atenei toscani si ipotizza per Siena, quali settori si intendono coltivare, quali smantellare e con quali ragioni. Imploro discorsi meno vaghi, un progetto chiaro e lungimirante – anche per placare l’angoscia di chi davanti a sé vede solo nebbia -, pur comprendendo che è chiedere molto, visto che non è chiaro nemmeno il quadro normativo generale, senza la quale la ricerca – oserei dire non solo quella senese, giacché il discorso può riproporsi a diversi livelli – è destinata a sfumare in una specie di fumisteria demagogica.
«Centralità della ricerca. Del modello di università che vogliamo la ricerca innovativa, sia nella sua essenziale dimensione di base che in quella applicata, costituisce il motore essenziale. In questa prospettiva l’impostazione generale e l’organizzazione dell’università devono essere finalizzate a sostenere, stimolare e valorizzare le capacità dei suoi componenti di svolgere, individualmente e in gruppo, attività di ricerca avanzate, avendo chiaro che su questo piano la competizione nazionale ed internazionale è oggi estremamente severa.
Didattica avanzata. In vista della vitale connessione tra la dimensione della ricerca e la didattica nei suoi livelli superiori (magistrale e
soprattutto dottorale) l’università, senza dimenticare l’obiettivo di fornire una didattica del primo ciclo capace di offrire agli studenti un buon inserimento nella dimensione universitaria, deve continuare ad offrire e potenziare una didattica magistrale e dottorale di alta qualità, capace di attrarre i migliori studenti nazionali ed internazionali.»
Come non condividere l’ottimo proposito? Ma la ricerca è un affare organizzato, questo pare non si voglia capire in Italia: persone, gruppi organizzati, leadership, obiettivi, contatti internazionali, mobilità, strumenti e progetti di ricerca credibili. Una deleteria tradizione che si vorrebbe “romantica” (in realtà solo ipocrita, prescientifica), tende a rappresentare il ricercatore come un bischero che campa di pane rancido e cipolle e ogni tanto esce dalla cantina ignudo con una provetta fumante: “eureka!”; e poi questa “ricerca” non si vede bene chi la possa fare, se i ricercatori sono frustrati in ogni aspettativa (di lavoro, più che di carriera), i più giovani sono stati sbattuti fuori e i vecchi vanno in pensione senza avvicendamento. Oramai è un’impresa – nel sovrapporsi di crisi e contro-riforme, amputazioni e fusioni e nel “tacchinificio” del 3+2, nel quale conta soprattutto spacciare più diplomi triennali possibile – aspirare persino ad una buona didattica. Il “piccolo cabotaggio” cui si fa cenno, è rimanere stazione di cambio dei cavalli in attesa di altre destinazioni, ove il turistico professore trova ristoro senza disfare nemmeno la valigia, né tolgliersi i gambali, indossati in vista dell’arrivo nelle campagne del contado, pensando alla imminente ripartenza; ma “piccolo cabotaggio” è anche un localismo sfrenato. “Piccolo cabotaggio” è sperare – nell’ateneo che varò il primo contratto da precario – che la gente senza retribuzione continui sine die a lavorare gratis, quasi non comprendendo che sorta di ricerca sarà quella ridotta ad hobby per chi se lo può permettere. Inoltre il piccolo cabotaggio mi pare essere, se non la ricetta teorizzata, almeno quella praticata su vasta scala in quasi tutto il paese e conseguenza ineluttabile di una certa piccineria dell’ “Itaglietta” d’oggidì.
P.S. Non capisco perché le OO.SS continuino a scrivere queste cretinate, contrapponendo il personale amministrativo a “i docenti” latu sensu (mandria indistinta come nel post ad alto tasso etilico di Akaki, ivi inclusi, by the way, quei docenti precari vittime di un lavoro nerissimo dei quali le OO.SS, in maniera complice si sono strafregate per un ventennio) insistendo nel chiederne la cacciata dall’università, dove notoriamente l’eccellenza li raggiunge fabbricando salami di cinghiale -gentilmente fornito dal Favi – e cavallucci, quasi non sapessero che in buona parte dell’ateneo lo stillicidio di pensionamenti “naturali”, senza ricambio, già mette in crisi i corsi di laurea costringendo -lo ripeto – ad altre pesanti amputazioni:
«Dal 1 febbraio, l’Ateneo farà a meno di una ventina di colleghi della Cooperativa sociale Solidarietà, che si fa carico dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro… Molti nemmeno se ne preoccupano, perché non sono vittime illustri, come magari un docente settantenne che decide di andare in prepensionamento con l’incentivo e a cui sembra siano dovuti dei ringraziamenti da parte di tutta la comunità.»
Una banalità che per voi che leggete la stampa locale sarà ovvia: le vigne di Pontignano chi, quando e perché le ha concesse per 25 anni?
Se ne parlò a suo tempo: per evitare spese di gestione in cambio di qualche bottiglia di vino, o sbaglio?
Quanto al documento Cotta non sarei così critico: mi sembra perfettamente in linea con come si sono comportati sinora i firmatari; capaci di nobili parole, sempre! Grandi, generosi, anche nei debiti!
Piuttosto qualcuno dovrebbe spiegarmi che vuol dire che l’orario riguarderà
“da 90 a 120 ore (o 60-80 per tempo parz.) di norma”: ogni Facoltà decide cosa fare entro quegli estremi?
Ma ci si rende conto che il silenzio dei baroni è parte integrante di una strategia? La torta è per i soliti noti, che magari passano con nonchalance da comunisti-o sedicenti tali-a liberali, un po’ come i craxiani socialisti che se la fanno col liberismo del Berlusca. Tuttavia… “ci sono cose in un silenzio che non avrei pensato mai”…(per esempio il complotto ormai in essere per distruggere la ricerca e con la complicità dei “soliti noti”…).
Il Bardo
Stavrogin, ti sei mai fermato davanti a uno specchio a guardarti?
«Stavrogin, ti sei mai fermato davanti a uno specchio a guardarti?» Akaki
Tutte le mattine quando mi faccio la barba, ma tu che mestiere fai? Qual’è il tuo altissimo contributo alla società e al prodotto nazionale lordo? Chi cacchio ti credi di essere per affacciarti a questo forum trincerato dietro un nick per insultare migliaia di persone in modo totalmente cretino e gratuito?
Tronfio dei miei trofei venatori (caccia al cinghiale terminata, ma iniziata quella al capriolo) e del PIL (nonché del BIL = Benessere Interno Lordo) che, al contrario di alcuni, contribuisco ad incrementare non poco con caccia e taglio delle legna, vo a chiosare le chiose.
Dice Stavrogin di avere «l’impressione che i brunettiani “fannulloni”, come gli insopportabili “baroni”, facciano comodo per gettare la croce su tutti indistintamente, giacché non si spiega altrimenti come mai non si dia la caccia ai latitanti e non si imponga in generale un contegno più sobrio ed operoso, invece di rompere le balle all’universo mondo» che fa il pari con quanto dicevo a proposito dell’inerpicarsi sul primo albero e sparacchiare a casaccio. Siccome io sono un rozzo boscaiolo e Stavrogin un austero intellettuale evidentemente ci esprimiamo in maniera diversa, ma la sostanza è quella.
Egli passa poi a chiedermi se, parlando di ricercatori con trenta anni di servizio, «questa è la media dei ricercatori cui si riferiva il mio precedente post, la norma, piuttosto che un caso limite» e «cosa succederebbe se un terzo dei docenti smettesse di insegnare». Rispondo: no, non è la media e probabilmente non è nemmeno un terzo del terzo. Tuttavia è una percentuale, diciamo del dieci per cento, rispecchiata – l’ho già detto – in tutte le categorie (e non caste, mai usato questo termine), forse per qualcuna di più del 10, facciamo il 20. Una domanda a questo punto la faccio io però: il dieci per cento che non funziona di un sistema è sufficiente a non far funzionare il sistema medesimo? Non parlo del teorema di Goedel, parlo di una percentuale sensibile. Secondo me sì, eccome. Una motosega che viene venduta come sufficiente a smacchiare un ettaro di bosco abbondante che si rompe dopo averne smacchiato l’85/90 per cento per me è una motosega che non funziona, non fa quello che promette. Se ci sono 300 associati (sennò parliamo sempre di ricercatori) 30 dei quali non fanno una mazza, ma consumano come i 270 che fanno il proprio dovere, mettono a rischio l’integrità del sistema. Mi meraviglio che proprio Stavrogin non si renda conto di questo, proprio lui che poco sotto giustamente sostiene che «la ricerca è un affare organizzato, questo pare non si voglia capire in Italia: persone, gruppi organizzati, leadership, obiettivi, contatti internazionali, mobilità, strumenti e progetti di ricerca credibili». È credibile un’organizzazione il cui 10/15 per cento sia fallimentare? Secondo me, no. E difatti nella lettera chiosata da Ismaele e Stavrogin, proprio per questa ragione, c’è il mondo dei sogni. E d’altro canto, anche senza fare metafore boschive, basta guardare un po’ là dove l’eccellenza è davvero di casa e domandarsi (e domandare a costoro) se sarebbe accettabile, poniamo al Lincoln College di Oxford che il dieci per cento (ma anche il cinque o il tre) del materiale umano che hanno non funzionasse come deve, non facesse quello che sembrava promettere. La domanda, caro Stavrogin, credo sia retorica e la risposta la conosci benissimo.
Mettendo a disposizione, dopo averne abbattuti 113, i cinghiali per il salame, porgo a tutti quanti i saluti del Favi di Montarrenti.
Sei licei, uno dei quali “per le scienze umane”, supponendo disumane quelle che si insegnano negli altri cinque.
Paolo dice «il silenzio dei Baroni è parte integrante di una strategia?» Sembrerebbe di si; aggiungiamo inoltre che è diventata prassi, quando non si vuole risolvere qualcosa nominare “gruppi di lavoro, commissioni, consulenze, monitoraggi ecc.”
Cda del 25.01.2010:
Commissioni e gruppi di lavoro
1. Commissione incaricata di valutare una metodologia finalizzata a valutare la congruità delle unità di personale tecnico e amministrativo assegnate ai dipartimenti.
2. Commissione incaricata di individuare una metodologia finalizzata a valutare la congruità delle unità di personale tecnico-amministrativo assegnate ai Centri Servizi di Facoltà.
3. Commissione per la stesura di una bozza di regolamento sul prepensionamento dei docenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia.
4. Il Rettore chiede al Consiglio di nominare i propri rappresentanti nel “Gruppo tecnico monitoraggio DDL/Statuto”, come richiesto dai consiglieri durante la seduta del 29 dicembre 2009. Il Gruppo dovrebbe monitorare con continuità l’iter del “disegno di legge in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario, di personale accademico e di diritto allo studio” e la rispondenza allo stesso della proposta di revisione statutaria del nostro Ateneo.
I5. Commissione tecnica per questioni inerenti al personale a tempo determinato e indeterminato – proposta di integrazione e attribuzione dell’ulteriore competenza di “concertare con gli altri attori istituzionali l’attivazione di procedure di mobilità volontaria per favorire l’incontro tra domanda e offerta di professionalità attraverso la costruzione di un database della mobilità che metta in rete le competenze esistenti in Ateneo e quelle richieste anche attraverso la realizzazione di un apposito portale su scala provinciale e/o regionale”.
Parole, parole, parole…
Cotta prende le distanze dal “Manifesto di Cotta e company”
Il Corriere di Siena (5 febbraio 2010) ha pubblicato la seguente precisazione del Prof. Maurizio Cotta:
«Il manifesto per l’università è il frutto di un lavoro collettivo di tutti i firmatari e io ho avuto solo il compito di diffonderlo; inoltre il gruppo che lo ha promosso ha voluto entrare nella questione delle candidature a rettore; lo scopo è stato quello di promuovere una discussione seria.»
«Chiediamo infine che gli interventi che si dovranno adottare ricadano sul personale tutto, sia docente che tecnico amministrativo. C’è chi riesce ad essere equanime con tutto il personale. Noi non possiamo. Non c’è ingiustizia peggiore né peggiore ipocrisia che fare parti eguali tra diseguali.» Le OO.SS
…per esempio, io sono molto solidale con chi è stato buttato in mezzo alla strada: sarà un precario o uno della cooperativa? Mi sento vicino a chi guadagna 12001600 euro (lasciamo perdere i “giovani” con trent’anni d’anzianità cui allude il Favi), con figli a carico, in una città in cui un modesto appartamento ne costa 1000: ma sarà un tecnico o un ricercatore? Tiriamo su a caso uno stipendio da 2500 euro: sarà di un associato o di un funzionario con qualche gallone? Personalmente sono un po’ meno sensibile alle ragioni di chi guadagna più di 80.000 all’anno, perché senz’altro ha la pensione assicurata, ma assai probabilmente non è un docente. Morale: perché continuano a creare questa contrapposizione del tutto artificiosa fra “amministrativi” e “docenti”, categorie al loro interno del tutto disomogenee dove si trova di tutto e di più? Perché continuano ad additare i docenti come una sorta di sovrappiù, se non di nocivo, in quella nota fabbrica di salumi che è l’università? Se Grasso avesse la pazienza di farlo, sarebbe interessante vedere addirittura una tabella comparativa degli stipendi…
La Novartis ha biologi che sgobbano per 1200 euro mensili. Docenti universitari precari dopo 20 anni si aggirano su quella cifra e ora sono tagliati fuori, leggo dai giornali. Da notare che un ricercatore – metti un “astrofisico” – prende, in Francia o Usa, almeno 2000 euro a inizio carriera. Fatti… non “parole”. Le parole sono dei corrotti politici e baroni e da chi tien loro bordone – e non mi riferisco certo a quella “zoologica” marmaglia che si può trovare in Balzac o in certe P.A.
Per Stavrogin. Scusa, signor Stavrogin, deduco sia il tuo vero cognome. Certo che sono un cretino e che tu sei uno splendore di intelligenza. Sei un diamante in questo deserto di noia e tuberi avvizziti.
Scusa, caro docente universitario, se ho offeso il tuo pil personale.
Non toccherò più la tua pelle dorata, lascio le tue pieghe sepolte per le prossime lezioni.
Delizia per i tuoi prossimi ed eterni astanti.
Addio signor Stavrogin. E scusa se uso un nickname.
«Tiriamo su a caso uno stipendio da 2500 euro: sarà di un associato o di un funzionario con qualche gallone? Personalmente sono un po’ meno sensibile alle ragioni di chi guadagna più di 80.000 all’anno, perché senz’altro ha la pensione assicurata, ma assai probabilmente non è un docente.» Stavrogin
Si chieda stavrogin quanti sono gli associati e quanti sono i funzionari con qualche gallone, e si chieda pure quanti sono i dirigenti. La contrapposizione tra personale tecnico-amministrativo e personale docente (precari esclusi) ha una precisa ragion d’essere: i primi sono contrattualizzati, i secondi no.
Inoperoso sul versante dei caprioli (venerdì = silenzio venatorio), rispondo io se volete. In primis sono inoppugnabili le ragioni di MM. Numeri: i dirigenti sono tre (3), di cui solo due superano con lo stipendio gli 80.000 euro l’anno. I funzionari con qualche gallone meno di cinquanta (e comunque i più non ci arrivano a 2500 euro il mese), dopodiché 1.130 persone di cui una quarantina di B (livello dei bidelli per intendersi), una caterva di C (impiegati) e pressappoco 450 D (quadri? sì più o meno quadri) che evidentemente vanno tutti a riscuotere la solidarietà di Stavrogin visto che anche i più anziani D esuberano di poco i 1500 euro e lo fanno grazie all’anzianità il che implica che stanno per andare in pensione. Anyway dei 450 D i più sono fra D1 e D2, il che significa circa 1200-1250 euro il mese. Un ricercatore dopo un anno di servizio prende circa 1400 il mese e dopo la conferma (tre anni) circa 1650-1700, aumentati biennalmente al momento del 3,77% (il tasso dell’inflazione programmata attuale è inferiore al 2%); ovviamente per gli associati e gli ordinari si sale e non di poco. I precari, che di nuovo riscuotono la medesima solidarietà, sono nella stessa situazione da entrambe le parti: un calcio nel culo e a raccattare i cartoni come Carlone.
Torno alla vecchia abitudine di fare i conti: mediamente (sottolineo: mediamente) un’unità di personale tecnico amministrativo costa l’anno 30.000 euro, tasse e contributi inclusi. Poniamo che finalmente, dopo tanto penare, l’Ateneo riesca a liberarsi di 500 di essi, risparmierebbe 15.000.000 milioni l’anno. Essendo il disavanzo strutturale presentato nel bilancio di previsione di 32.000.000 rimane, assunto che 500 impiegati vengano cacciati a calci nel culo (e a mio modo di vedere succederà di riffa o di raffa), da trovare dove risparmiare altri 17.000.000. Precari da catafottere fuori dagli zebedei non ce ne sono più, né di qui, né di là, 500 amministrativi sono fuori dalle balle e rimangono 17.000.000 di debito strutturale. Si noti che, se per assurdo si cacciassero tutti i 1180, lo stesso non si riuscirebbe ad abbattere l’intero debito strutturale. Dubito che patendo il freddo o spengendo la luce prima di uscire dalla stanza si riesca ad accocchiare 17.000.000 l’anno. Lascio a voi le conclusioni.
E qui mi taccio ché domattina non c’è il silenzio venatorio e quindi vado ad appostarmi all’ungulato.
Buonanotte dal Favi di Montarrenti
Il problema è che docenti e amministrativi sono troppi. Entrambe le categorie. Solo che il core business di unisi è didattica e ricerca per cui i primi servono e i secondi solo se in funzione dei primi. Ad unisi la situazione è rovesciata. Troppi amministrativi. Sono più dei docenti. Che entrambe le categorie racchiudano all’interno persone che rubano lo stipendio è chiaro a tutti. Come è chiaro che non ci se ne può disfare facilmente. Ciò detto la soluzione? Pre-pensionamenti e mobilità; blocco delle PEO e dei concorsi – lacrime e sangue. Se avete altre soluzioni ditelo… io non ne vedo.
«Solo che il core business di unisi è didattica e ricerca per cui i primi servono e i secondi solo se in funzione dei primi». CAL
Allora, precisiamo. I docenti servono solo se servono alle funzioni di didattica e ricerca. E l’attività degli amministrativi non è in funzione dei docenti, bensì in funzione della stessa funzione di didattica e ricerca.
Due attività distinte che concorrono, ciascuno per la parte di propria competenza, alle funzioni istituzionali dell’Università.
E poi. Nel passato chi ha richiesto gli amministrativi per le strutture periferiche? Mi risulta che qualche Direttore di Dipartimento continua a chiederne anche adesso.
Entriamo nel cuore dei problemi e non fermiamoci alla superficie!
«Due attività distinte che concorrono, ciascuno per la parte di propria competenza, alle funzioni istituzionali dell’Università.» MM
Scusate, ma io devo parlare arabo: c’è un decreto, che si chiama “decreto Mussi” per il riordino dei corsi, e c’è un DdL della Gelmini che impongono dei requisiti draconiani in termini di numero di docenti e della loro miscela per aprire e tenere aperto un corso di laurea. Non se ne può prescindere, perché è legge dello stato; in più sappiamo che il suddetto DdL impone di buttare all’aria una discreta quantità di corsi appena inaugurati, perché alza e irrigidisce tutti i minimi di Mussi. Dunque, per l’amore di Dio, vogliamo tenerne conto quando discettiamo intorno ai docenti da mandare via, senza assumerne al loro posto? Ci prepariamo a chiudere un bel po’ di corsi di laurea, oltre ai trentaquattro già chiusi, non so se è chiaro.
P.S. a ulteriore chiarimento:
“DIPARTIMENTO PER L’ UNIVERSITÀ, L’ALTA FORMAZIONE ARTISTICA,
MUSICALE E COREUTICA E PER LA RICERCA
Direzione Generale per l’università, lo studente e il diritto allo studio universitario – Ufficio V
Protocollo: n. 160 Roma, 4 settembre 2009
«La riforma degli ordinamenti dei corsi di studio universitari, avviata dieci anni fa con il primo regolamento sull’autonomia didattica (D.M. 3 novembre 1999, n. 509), ha dato avvio a un processo di profondo cambiamento delle caratteristiche dell’offerta formativa…»
Tuttavia:
«…La concreta attuazione della riforma, seppure affinata dai correttivi introdotti nel corso degli ultimi anni, non ha finora prodotto tutti i risultati attesi.»
In sostanza, si è tagliato troppo poco. Da quello che si ode, il ddl che sta cucinando il Parlamento (con un vasto consenso) pone in atto ulteriori “correttivi”, in modo da irrigidire tutti i meccanismi, in ispecie quelli che hanno presieduto alle operazioni di accorpamento che hanno dato luogo a molti dei corsi di laurea varati nell’Ottobre 2009 (cioè questo a.a), con i quali si è tentato di salvare il salvabile: in buona sostanza ci vorranno più docenti, per mantenere lo status quo. Probabilmente le facoltà, i corsi di laurea, i settori, i dipartimenti ecc. che di docenti ne hanno in abbondanza, non avranno a soffrire, ma quanti sono quelli che invece non sono in queste condizioni? La ricerca dell’eccellenza consiste nel lasciare che soccombano? Che nulla cambi appare improbabile, visto che di docenti ce ne saranno in generale sempre di meno; dunque io rinnovo – rigorosamente in arabo – una prece affinché quando si parla con leggerezza di “numero di docenti troppo elevato”, si precisi dove ciò si verifica, quali e quanti altri corsi di laurea sono destinati a svanire in forza degli imminenti provvedimenti di legge, e in definitiva qual’è il volto dell’ateneo che (sommando norme nazionali e difficoltà locali) verrà delineandosi nei prossimi anni. Meno corsi di laurea, vuol dire comunque meno studenti, un ateneo annichilito e in questa luce, lo ripeto – sempre, rigorosamente in arabo – la contrapposizione fra “docenti” e “amministrativi appare fuorviante, giacché, per quanto inevitabile la si voglia considerare, non capisco chi abbia da guadagnare dall’amputazione di altri pezzi di università, al punto da auspicarla gioiosamente.
A me pare che sia questo il tema centrale. Capisco che siamo di fronte all’ineluttabile, ma non so se il tacerne sarebbe interpretabile come amor fati. Se c’è qualcuno che ne sa di più circa i dettagli del ddl e sul suo impatto sulla realtà senese, questa sarebbe una informazione utile.
No Stavrogin, parli italiano, ma sarebbe opportuno che come viene riconosciuto a te, tu lo riconoscessi a tua volta per gli altri. Il piano di prepensionamento è applicabile teoricamente a oltre novanta persone e al momento è noto, salvo smentite, che hanno aderito in nove. Questi nove, visto che avranno un contratto che consente loro di continuare ad insegnare, nonché di usufruire dei servizi dell’Ateneo, sono conteggiati ai fini dei minimi definiti dal decreto Mussi. Va precisato altresì il decreto Mussi è l’unico di cui bisogna tener conto e che impone qualcosa, perché ddl è l’acronimo di Disegno Di Legge che, per propria natura, non può imporre proprio nulla e non mi risulta non solo che sia stato approvato, ma che addirittura sia già arrivato in Aula. Quindi non è legge dello Stato. Peraltro le leggi dello Stato non possono essere recepite nella propria applicazione in maniera disorganica perché tutte insieme formano quello che viene chiamato “ordinamento giuridico” e quindi non si può farne prevalere una a discapito di altre che hanno lo stesso grado gerarchico. Fra l’altro tutte le proposizioni di MM sono per l’appunto basate rigorosamente su leggi dello Stato, anche quella che tu metti in epigrafe al post e perciò anche di quelle bisogna tenere conto. Un’altra legge dello Stato impone agli Atenei di tenere le spese per il personale sotto il 90 per cento del FFO, quindi – e colgo l’occasione per aggiustare il tiro del post dove facevo i conti sul disavanzo – non ci sono da recuperare 32.000.000 perché quella cifra costituisce il disavanzo su tutto il bilancio, che include l’intero FFO in entrata più le entrate proprie (le tasse degli studenti, per esempio). Sulla scorta di tutto questo i 32.000.000 diventano molto probabilmente 50.000.000 visto che l’Ateneo di Siena spende per il personale 144.000.000 e spiccioli l’anno (nel 2009 per esempio la cifra è stata quella). Non so se mi sono spiegato.
Per finire, prima di andare a spellare il capriolo che ha avuto la sfortuna di incontrarmi un’oretta fa, attaccare il bollino di alluminio all’orecchio sinistro come prescrive la legge dello Stato e mettere da parte la mandibola per poi consegnarla all’ATC sempre come da legge dello Stato, già diverso tempo fa avevo chiesto quali fossero questi benedetti 34 corsi di laurea soppressi, non solo per delibare sulla loro qualità (che non sarebbe una bella cosa, ma forse opportuna), ma anche per contarli perché – te la voglio dire tutta – non sono sicuro che il numero sia giusto. Siccome però questo numero ricorre nei tuoi interventi, evidentemente tu ne hai contezza e allora saremmo interessati ad esserne informati.
Un saluto a tutti dal Favi di Montarrenti
«No Stavrogin, parli italiano, ma sarebbe opportuno che come viene riconosciuto a te, tu lo riconoscessi a tua volta per gli altri. Il piano di prepensionamento è applicabile teoricamente a oltre novanta persone e al momento è noto, salvo smentite, che hanno aderito in nove.» Favi
Ma io non sto pensando al pre-pensionamento, bensì agli effetti naturali del pensionamento ordinario, già molto gravi: auspico dunque che non si giri il coltello nella piaga col qualunquismo di chi vede nella cacciata dei docenti la soluzione di tutti i mali.
«perché ddl è l’acronimo di Disegno Di Legge che, per propria natura, non può imporre proprio nulla e non mi risulta non solo che sia stato approvato, ma che addirittura sia già arrivato in Aula. Quindi non è legge dello Stato.» Favi
Io ho sentito dire che sulle linee essenziali ci sia già un accordo politico e dunque è questione di poco: il tuo ragionamento altrimenti appare quello del tizio che cadendo da un grattacielo si rassicurava: “fin qui, tutto bene”.
«Siccome però questo numero ricorre nei tuoi interventi, evidentemente tu ne hai contezza e allora saremmo interessati ad esserne informati.» Favi
Sono numeri che comparvero nella stampa nazionale, ad esempio il Sole 24 ore:
ITALIA – ILSOLE24ORE.COM
Taglio del 20% ai corsi di laurea
Roma e Siena in pole position.
In Toscana sono previsti interventi consistenti: 34 corsi in meno a Siena, 24 a Pisa e 13 a Firenze (dove si prevede una riduzione del numero dei corsi del 30% nel 2009-2010).
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/05/universita-taglio-corsi-offerta.shtml?uuid=33d5c1d0-488c-11de-8b93-5eacd5e2fc6c&DocRulesView=Libero
In riferimento alla nota 160 del 4/9/2009 esistono delle circolari del ministero che indicano che sarà emanata a breve come Decreto Ministeriale e non sarà quindi oggetto di DDL. Di fatto come già la 544 che impone i requisiti minimi attualmente vigenti, avrà la forma di decreto ministeriale come complemento alla legge 270 che istituisce il nuovo ordinamento.
Il decreto avrà effetto dall’anno accademico 2011/2012 ma c’è un invito esplicito ad attuare già qualcosa dal prossimo anno accademico (si fa riferimento a parametri da definire da utilizzare nel ripartire la parte “premiale” del FFO che tengano conto dell’attuazione dello spirito del decreto già dall’anno prossimo).
Vi riporto alcuni punti della circolare n. 18 del 27/1/2010 del ministero (è un documento ufficiale).
(1) Come è noto, con nota n. 160 del 4 settembre 2009, il Ministro ha illustrato alle Università i principi e i contenuti generali degli interventi che lo stesso intende attuare per la ulteriore razionalizzazione e qualificazione dell’offerta formativa universitaria, prevedendo, fra l’altro, la adozione di un nuovo D.M. di modifica del D.M. 31 ottobre 2007, n. 544, relativo ai requisiti necessari alla attivazione dei corsi di studio.
(2) Si fa presente che il predetto D.M. è in corso di adozione e che, una volta adottato, lo stesso sarà trasmesso alla Corte dei Conti.
(3) L’adozione del predetto DM comporterebbe per diversi Atenei una riprogettazione complessiva della propria offerta formativa, in coerenza con i contenuti della predetta nota n. 160/2009. L’esigenza di tale riprogettazione non appare tuttavia compatibile con i tempi operativi necessari alla definizione dell’offerta formativa relativa al prossimo a.a. 2010/2011, considerato che le Università devono ultimare la progettazione della stessa entro l’imminente termine del 31 gennaio p.v.1.
…. omissis
Da quello che mi risulta sono in fase di discussione delle linee guida per l’ateneo che potrebbero già portare ad alcuni tagli all’offerta didattica dall’anno prossimo.
Si tagliano corsi come li taglieranno tutti. Penso che non ci sarà per questa ragione un calo di iscritti… forse qualche corso era davvero inutile. E gli studenti si concentreranno su quelli più robusti. E magari i ricercatori smetteranno di fare didattica e faranno solo la ricerca e i professori faranno un po’ più di didattica. In questo senso non tutto il male vien per nuocere…
Ma non si potrebbe avere, senza tante circonlocuzioni, l’elenco tout court di questi benedetti 34 corsi? Perché se, come insinua delicatamente il Favi, fossero del tipo: “L’impatto sociale della rarefazione del bue muschiato” non vedo che ci sarebbe da piangere.
Qualche altro problema verrebbe fuori se si cominciasse a vedere dei corsi oggi attivi quanti hanno più di 10 studenti… che si fa se in economia pura ci sono 8 studenti e 50 strutturati?
Per chi è curioso di sapere cosa si insegna/si insegnava nel nostro Ateneo, la lista dei corsi attivi/disattivati si può ricavare confrontando le offerte formative 2008/2009 e quella 2009/2010 sul sito del ministero
http://offf.miur.it/
basta selezionare università di Siena e l’anno di interesse. La cosa va ripetuta per le lauree triennali e quelle specialistiche/magistrali.
Comunque se scorrete la lista (sia quella vecchia che quella nuova) non aspettate di trovarvi cose fantasiose tipo “bue muschiato” o “asino dell’Amiata”…. in genere i “tagli” sono accorpamenti, più o meno dolorosi, di corsi affini, ovvero, dove possibile, si è cercato di ottimizzare le risorse per rispettare i requisiti cercando di non perdere le competenze presenti.
In ogni caso, il problema principale è che il rispetto dei requisiti minimi di docenza non significa necessariamente tagliare i corsi “inutili”, visto che il criterio non è basato su valutazione di qualità o impatto dei corsi stessi, ma semplicemente sulla disponibilità di docenti nelle varie aree. In altre parole si progetta il futuro non con investimenti e pianificazione ma con quello che ci si ritrova, o che ci si ritroverà fra qualche anno visti i pensionamenti, in base a parametri come l’età dei docenti per facoltà, i criteri di allocazione del personale usati N anni fa, ecc… che poco hanno a che vedere con l’idea di mantenere un’offerta didattica di qualità crescente.
Tuttavia, ritengo che limitare, per quanto possibile, l’offerta formativa a favore di un incremento della qualità sia della didattica che della ricerca sia un passo necessario. In questo senso il fuoco dovrebbe spostarsi soprattutto sulle lauree magistrali dove è possibile valorizzare maggiormente le competenze scientifiche e creare percorsi che differenzino la nostra offerta formativa da quella di altri Atenei.
Per rispondere a cal, i requisiti minimi sono sia di docenti che di studenti. In altre parole, ogni classe di laurea ha una numerosità minima di studenti che deve essere rispettata (fra l’altro il dato che viene verificato non sono gli immatricolati, ma coloro che confermano l’iscrizione col pagamento della seconda rata a luglio). Chi va sotto il minimo deve (?) chiudere…
Ho messo il “?” perché è il ministero che dovrebbe far chiudere, ma al momento con il transitorio del transitorio non è chiaro con che dati si possa prendere queste decisioni e quando le prende. Comunque l’Ateneo ha fissato delle soglie meno restrittive (almeno 5 studenti) per far rimanere attivi i percorsi formativi (leggi percorsi opzionali o curricula in un corso di studi).
Il problema è però che se per qualche motivo non si iscrivono più studenti (magari prima si iscrivevano) e ho docenti in una certa area, questo non mi aiuta a migliorare le cose dove ho maggiore successo di studenti e meno docenti. Purtroppo però questa è un problema generale e non solo di Siena. La bravura dovrebbe essere quella di rinnovare la propria offerta in modo da attrarre studenti e valorizzare le competenze presenti.
«Ma non si potrebbe avere, senza tante circonlocuzioni, l’elenco tout court di questi benedetti 34 corsi? Perché se, come insinua delicatamente il Favi, fossero del tipo: “L’impatto sociale della rarefazione del bue muschiato” non vedo che ci sarebbe da piangere.» outis
…non alimentiamo equivoci: si tratterebbe comunque di quelli già tagliati, accorpati ecc., ai quali ci siamo già rassegnati varando i nuovi ordinamenti, mentre io mi preoccupo ora degli altri che taglieranno, perché se il giro di vite sarà pesante come sembra, francamente non mi pare che saranno altri due o tre soltanto, né quelli di infima specie. A me interesserebbe sapere quali sono i corsi oggi, dopo il varo dei nuovi ordinamenti, di nuovo a rischio per il supplemento di legnate che sta per abbattersi sul groppone dell’università, al fine di capire cosa resterà al termine “dell’era dei tremuoti”, che ha interessato l’antico ateneo senese.
E per piacere, un po’ meno di demagogia; la discussione è partita dalla considerazione del numero dei docenti, e dal fatto che mi sono permesso di obiettare che calcare allegramente la mano sul presunto “numero eccessivo di docenti”, senza peraltro addentrarsi in considerazioni più analitiche (quasi che vi fosse stata una sorta di aspersione di docenti, distribuiti in modo omogeneo ed equanime da ogni parte – una barzelletta!), secondo il mio modestissimo avviso è come esercitare lo sport del Tafazzi: non è un problema marginale, visto che buona parte se ne andrà in pensione nel corso dei prossimi anni, senza possibilità di ricambio e con il plauso del senso comune triviale di chi ritiene che più docenti si mandano via, e più l’università andrà meglio. E poi stai sicuro che, se tanto mi dà tanto, valutando da come sono andate le cose in questi anni, “L’impatto sociale della rarefazione del bue muschiato”, probabilmente non è a rischio, giacché non vi alcuna evidenza di proporzionalità, e anzi talvolta ve n’è addirittura di una proporzionalità inversa, tra dimensione dell’apparato e qualità del prodotto (chi ti ha detto che il corso di laurea “L’impatto sociale della rarefazione del bue muschiato” è a rischio per carenza di docenti? Chi ti ha detto che lo vogliono chiudere?). Se poi si vuol concludere che tutto è inutile, tranne gli avvocati, sarei moderatamente d’accordo, nel paese con dieci volte più cause penali del Regno Unito.
«E magari i ricercatori smetteranno di fare didattica e faranno solo la ricerca e i professori faranno un po’ più di didattica. In questo senso non tutto il male vien per nuocere…» cal
Cal, cerchiamo di mettere i piedi per terra: i ricercatori “naturaliter” hanno sempre fatto didattica e sempre la faranno; se non la facessero, chi la farebbe al loro posto, se proprio in questo forum è stato evidenziato come quasi tutti i 399 ricercatori (oltre un terzo del corpo docente) insegnano? Basterebbe finirla con l’ipocrisia: l’Accademia della Crusca dovrebbe limitarsi a registrare questa variazione nel parlato, per cui nell’italiano moderno “ricercatore” vuol dire per lo più “professore pagato meno”, mettendo finalmente fine all’ambiguità. Inoltre, con i pensionamenti prossimi venturi, senza rimpiazzamento, il fabbisogno di didattica aumenterà. Contratti non se ne possono fare e gli assegnisti non possono più essere titolari di corsi, come accadeva prima. Traine tu delle conclusioni.
Che saranno aboliti altri corsi di laurea dichiarati “inutili” (che è un giudizio di valore) e salvaguardati quelli “robusti” temo che sia una personalissima opinione e soprattutto una pia illusione, tua e di Outis, non suffragata da nessuna prova e nessun indizio, giacché le considerazioni aritmetiche di cui sopra non implicano giudizi di valore e nelle algide somme e sottrazioni non v’è morale. Rimango stupefatto dalla leggerezza liquidatoria con cui certuni plaudono a cuor leggero alla chiusura di questo, o lo smantellamento di quello, eventi che imporrebbero almeno di indossare il lutto.
Sarebbe utile poi che si spiegasse all’opinione pubblica cosa si vuol fare – particolare trascurabile – e atteso che in un ambiente in cui almeno in linea di principio non esiste un pecorelliano “primus super pares”, questo “si” identifichi un’autorità superiore e indiscussa che agisce in modo obiettivo per il bene comune, di chi lavora in questi corsi di laurea molto soggettivamente dichiarati “inutili”.
Oltremodo utile sarebbe che ce li elencassero, assieme ad un criterio di “utilità”, ma a me pare che stiamo facendo dei discorsi contraddittori: da un lato si deplora che in passato chi è stato più vicino ai forzieri abbia fatto incetta di professori; dall’altro si sostiene che costoro, essendo per forza quelli più “robusti” in termini di mezzi e personale, hanno il diritto di sopravvivere, a scapito di altri: dalla rivoluzione alla santificazione dello status quo, che tutto cambi perché nulla cambi. Ora, la programmazione in vista dell’eccellenza non dovrebbe essere esattamente questo, che è solo la fotografia dello stato presente dei rapporti di potere.
«Qualche altro problema verrebbe fuori se si cominciasse a vedere dei corsi oggi attivi quanti hanno più di 10 studenti… che si fa se in economia pura ci sono 8 studenti e 50 strutturati?» Cal
…e che si fa, se un’altro settore, per me soggettivamente più importante dell’economia pura (che da aristotelico giudicassi un esercizio “innaturale”) si ritrovasse con un solo strutturato e 50 studenti, e magari lo strutturato stesse per andare in pensione? E perché dovete fare sempre questi esempi (corsi “inutili”, tanti docenti e pochi studenti…), visto che non è necessariamente di questo che stiamo parlano? Veramente è l’equivoco di un certo brunettismo degenere: dare botte indistintamente a tutti, chiamando chiunque fannullone. Sono sagge le parole di Marco quando dice che “il rispetto dei requisiti minimi di docenza non significa necessariamente tagliare i corsi “inutili”, visto che il criterio non è basato su valutazione di qualità o impatto dei corsi stessi, ma semplicemente sulla disponibilità di docenti nelle varie aree”.
Vediamo se, nella mia rozzezza, riesco a farmi capire anche io. Dunque: quando il Legislatore fa il proprio mestiere, cioè legifera, su proposta del potere esecutivo, su qualche materia lo fa perché vuole ottenere un certo risultato, indipendentemente dalla propria cialtroneria o bravura. Il risultato potenziale che vuole ottenere va a costituire quella che si chiama, in gergo tecnico, la ratio legis. Nel caso che ci interessa, la c.d. riforma Mussi, la ratio legis è costituita proprio da quello che Stavrogin, e con lui tanti altri, deprecano: ridurre il numero dei corsi laurea che, a parere suo (che ricordo far parte dello schieramento politico opposto a quello dell’attuale Ministro Gelmini) erano proliferati oltre ogni limite ragionevole, andando ad includere anche quelli sull’Impatto sociale della rarefazione del bue muschiato. Ergo Mussi si è fatto latore presso il Parlamento di una proposta di legge, poi approvata, la quale in primis ottenesse proprio questo risultato, cioè risparmiare quattrini tagliando i corsi di laurea. Nell’impossibilità, dato che nella nostra Costituzione ancora esiste un articolo 3 (nonché i seguenti fino al 24) che garantisce (o dovrebbe garantire) la parità di trattamento erga omnes, di indicare anche nominatim i corsi di laurea anche palesemente inutili (tipo quelli sul bue muschiato), il Legislatore ha cercato di stabilire dei criteri meramente quantitativi di docenti e studenti che da quel momento avrebbero dovuto essere rispettati pena il taglio del corso. Ma c’è un altro messaggio che il Legislatore ha scritto nella legge, sia pure come nel tappeto che visto da dietro è un groviglio incomprensibile di fili, ma visto dalla parte giusta eccone disvelato il significato (e il nuovo Legislatore nel proprio DDL rinforza tanto la ratio della precedente norma che il messaggio ulteriore). Il messaggio è il seguente: dell’autonomia della quale sono state investite le Università italiane queste ultime hanno fatto un uso scellerato che ha portato ad un gigantismo incontrollato del corpo docente, talché si sono poi dovuti inventare centinaia di corsi di laurea su materie sulla cui qualità non stiamo a delibare, ma che in nuce sono troppe.
Siccome lo Stato non si deve preoccupare solo degli Atenei e non può (anche se personalmente non sono d’accordo sulla monetizzazione di qualsiasi cosa e tantomeno sulla monetizzazione dell’istruzione e della cultura, quindi quel che sto dicendo non venga a bella posta interpretato come il favore a questo tipo di politiche per cortesia) continuare ad essere una mucca dalla quale si munge continuamente latte e non le si dà niente da mangiare, sono arrivati i tagli (bipartizan, insisto): prima Mussi, ora la Gelmini. Ciò comporta che non si può tentare di parare il colpo portato dalla riforma Mussi (e da quella Gelmini), come se il colpo fosse un effetto collaterale del perseguimento di un altro intento, perché il taglio dei corsi di laurea ed un ridimensionamento degli organici degli Atenei costituiscono l’intento della norma. E l’aspettare il pensionamento, anche naturale, di moltissimi docenti senza rimpiazzarli, onde ritrovarsi con gli organici ridotti o addirittura dimezzati è proprio quello che si vuole ottenere, onde ridurre il costo dell’apparato che evidentemente lo Stato trova eccessivo (a torto od a ragione).
Ovviamente sono d’accordo con Stavrogin (et alii) che gli effetti letali mietono vittime innocenti, perché è chiaro che chi ha avuto in altri tempi il bastone in mano ha inzuppato il biscottino ripetutamente a danno di altri meno potenti e l’Ateneo senese, fra l’altro, ha eccelso in questo tipo di comportamento, grazie anche all’inettitudine ed alla prepotenza dei gruppi dirigenti espressi negli organi di governo, ma – sempre per rimanere nel “latinorum” – ad impossibilia nemo tenetur.
Nelle condizioni, per giunta, in cui si trovano le finanze dell’Ateneo gli effetti di queste riforme testé descritte assumono proporzioni devastanti che dubito possano essere contrastate, tout court, men che meno con la logica del not in my backyard che invece mi sembra sia quella a tutt’oggi prevalente.
Un meditativo e in punta di fioretto Favi di Montarrenti
Il feu feu, o pianto greco che si voglia,non serve e non è mai servito a nulla; chiedersi che spettacolo avrà il campo di Waterloo, una volta perduta la battaglia, ha poco senso. Io chiedevo in primis, un po’ scherzando, un po’ sul serio, della natura dei 34 corsi deleti o accorpati, per sapere quanto dovessimo piangerci sopra, poco, tanto, o per niente. Cosa vuole il governo è chiarissimo, lo era il decreto Mussi, lo sarà il DDL o DM della Gelmini: mettere a dieta l’Università italiana che, una volta lasciata libera al pascolo, ha mangiato troppo. E’ ovvio che le leggi in casi simili sono del taglione, né potrebbe essere diversamente, sarebbe impossibile distinguere il grano dal loglio, non si è mai fatto, né mai si farà. Probabile quindi, o almeno non impossibile, che il bue muschiato sopravviva ad un corso sulla fiammeggiante poesia di Arnaut Daniel. Il fatto è che non si doveva arrivare a tanto. Ora, senza andare a ricercare le responsabilità trascorse, ma anche senza frignare, chiediamoci cosa fa e cosa ha fatto l’istituzione, l’Università di Siena, per tentar di mettere qualche pezza alla situazione: ha disdetto inutili affitti? No. Ha chiuso manu militari le metastasi di Montorsaio, Sovicille, Ponticini e Prato della Contessa? No. Ha sbattuto fuori i responsabili patenti di alterazioni contabili? No. Sta lì, sospesa tra l’aspettazione di una gragnuola di legnate o dell’apparizione della Madonna di Czestochowa, mentre alcuni tramestano, nella beata speranza di cavarsela, come fino ad ora gli è riuscito, altri, come lo jurodyvij Nikolka, piangono sulle disgrazie della Russia, altri, infine, imperterriti, e anche perché non sanno fare altro, tengono corsi sull’impatto sociale della rarefazione del bue muschiato. E il premio sperato, promesso a quei forti (quelli che hanno in mano lo scettro del comando), sarebbe, o delusi, rivolger le sorti di un’istituzione allo sbando, mal gestita e senza iniziative? Sarà come a Gerico, o a Tessalonica e prima sarà, meglio sarà, soprattutto per quelli che verranno, scevri da colpe.
Voi discettate in modo serio del sesso degli angeli ma intanto c’è eccome chi pensa alle cose serie terra terra. A Siena i giornali annunciavano aumenti per gli Amministratori della Fondazione! Mentre l’Unversità si disfa dei suoi precari e la Novartis comincia a fare pulizia, in attesa di monetizzare i metri cubi che il Comune rosso gli consentirà di costruire con il famigerato nuovo Piano Regolatore, o come altrimenti si chiama tecnicamente. Il sindaco conferma che si farà lo stadio, che costa a oggi senza aver smosso una zolla di terra oltre 100 milioni. Già siamo stracolmi di nuove costruzioni vuote, così ci saranno anche tante gradinate. Per pattinarci sopra?
Caro Arlecchino,
non abbiamo bisogno delle tue frettolose sbirciate fiorentine ai nostri giornali! Se vuoi, ai “pericolanti” puoi aggiungere Whirpool e Swissel. La provincia di Siena è quella che sta peggio di tutta la Toscana, nonostante i 1.800 (!) miliardi di lire (meglio usare vecchi parametri per capirci) che negli ultimi anni la Fondazione MPS ha spalmato in città, soprattutto, e in provincia!
Altroché Montecarlo: si potrebbe vivere senza tasse qui, ma in questo modo… non si alimenterebbe il clientelismo. Intanto Mussari è candidato all’ABI: anello debole, il più condizionabile, non è un presidente perfetto per i vari Caltagirone? Azioni MPS vicine a 1, leggasi un euro, cioè con perdita di oltre il dieci per cento dall’inzio anno, che già era cominciato male. La presidenza premia il merito, all’italiana.
Perché vi tedio con questi dettagli, prima che ce li dicano da Firenze? Perché ciò significa che non si sa a che artifizi dovrà ricorrere la Fondazione per ridare quattrini a Siena, Università compresa. Un intervento eccezionale, a partire da Pontignano, poteva farlo solo lei: ma se non becca utili dal MPS banca come farà? Aprile mese decisivo non solo per i nostri stipendi.
Finiamo con un tocco di ilarità pre-domenicale: il nuovo DA promette di far quadrare i conti a Pontignano (un milione di deficit annuo si dice, come ad Ampugnano: a Siena si viaggia così, abituati come si è allo spreco sinistroide, detto “solidale”) facendolo albergatore con la benedizione del sindaco di Castelnuovo.
Senonché Pontignano l’ha già fatto eccome, con i sindacati, ad esempio, o con l’Ulivo l’albergatore in tempi di vacche grasse congressuali.
Ricordate i tempi eroici del Calabrese, quello del tetto d’oro a San Galgano (si veda youtube ad hominem)? Ma ora, che c’è una valanga di agriturismo che offrono prezzi stracciati dove vuole andare il generoso (e giovane, beato lui) DA? Meglio cercarsi un’altra sede, come sto facendo io. Credetemi.
Non sarà facile di questi tempi, ma un tentativo va fatto. E di corsa: nonostante gli anni!
[…] Rossi. Al “Dies Irae” sull’università di Siena i candidati a rettore intonano “una marcia in […]