Ma quali professori universitari facevano parte del poltronificio della Siena Biotech? Paolo Neri si riferisce, forse, ai colleghi del Comitato scientifico, del Comitato etico di controllo e del Consiglio di Amministrazione?
«Sulla misera fine di Siena Biotech tante colpe dei prof» (da: Corriere di Siena, 17/12/2014)
Paolo Neri. Parlar male, oggi, della Siena Biotech, senza una parola di solidarietà per chi rischia di perderci il lavoro è un po’ come sparare sulla Croce rossa. D’altra parte, la Storia è piena di bravi soldati, che hanno combattuto (spesso con valore) per cause perse, sotto il comando di generali inetti. Il grosso pubblico reputa che la ricerca scientifica sia cosa buona in assoluto, e ne considera i centri ove essa si svolge come i monasteri di un tempo: dove i monaci levavano preghiere per implorare la fine di una pestilenza o di una carestia. La realtà è molto diversa. Secondo le stime di un importante istituto internazionale per la valutazione della qualità della ricerca, solo l’8% delle pubblicazioni scientifiche contribuisce a far avanzare la conoscenza. Il restante 92% riguarda conferme, rifiniture e, soprattutto, banalità.
Se si considera che solo una minima parte di quell’8% potrà generare innovazioni significative per il benessere della società, si capisce quanto il successo nel campo della ricerca sia realmente raro. Ricordo, in proposito, quanto soleva dire Albert Sabin: «È facile darsi da fare in laboratorio. Il difficile è farlo utilmente». Anche la fiducia, illimitata nella quantità di denaro investita è fuorviante. Serbo nella mente un’altra massima che ho appreso da un premio Nobel, col quale ho avuto l’onore d’iniziare la mia carriera scientifica, il professor Boris Chain, che condivise il prestigioso premio con Fleming e Florey: «Il denaro è importante, ma usarlo bene lo è di più». Credo che queste semplici considerazioni siano sufficienti a chiarire come Siena Biotech sia un altro classico prodotto di quel “groviglio armonioso” che ha ridotto la nostra Città allo sfascio. La Scienza è una faccenda seria, e affidarne le sorti a politici, bancari e avvocati non può che condurre al disastro.
La Siena Biotech, però, non è stata tanto un errore dal punto di vista tecnico scientifico (anche!), ma soprattutto da quello politico. Infatti, la cosa che serviva di meno, per mettere in sicurezza il distretto biotecnologico senese, nato dalla diaspora della vecchia Sclavo, rispetto agli imprevedibili disegni delle varie multinazionali, perno del sistema, era un centro ricerche. Tale, infatti, essa ha finito con l’essere, seppur camuffata da start up. Nata senza avere un brevetto veramente originale, o di una tecnologia propria, o del controllo riconosciuto di un segmento di mercato (condizioni essenziali per destare interesse in investitori sani di mente), Siena Biotech ha avuto soprattutto funzioni d’immagine, grazie a una disponibilità praticamente illimitata di denaro. Sicché, al momento che il sistema Siena è andato in crisi, e il flusso di denaro si è arrestato, l’impresa è necessariamente andata in coma. Ovviamente, l’obiettivo ufficiale suonava in altro modo: un’impresa per finalità proprie per differenziare le attività della Fondazione.
Siena Biotech, quindi, ha cominciato a funzionare, partendo da zero (per quanto riguarda la scienza) ma da una disponibilità finanziaria spropositata. E, soprattutto, a tempo indeterminato. Quale sarebbe richiesto (ma non è vero!) dalle imprese di alta tecnologia. Il tutto, condito con succulenti compensi per consiglieri, consulenti e direttori. Insomma: un “poltronificio” in piena regola. (C’era anche un Comitato per prevenire il rischio di ricerche non etiche: un doveroso tributo al politically correct!)
Quando, come esperto della materia, esternavo questi miei dubbi a personaggi di vario calibro intricati nella vicenda, ne ricevevo un compunto – direi quasi – doloroso assenso: salvo vederli correre, un momento dopo, a incassare lauti gettoni o a pietire piccoli favori.
Tra i molti che hanno contribuito a creare la leggenda della Siena Biotech, forse le colpe maggiori vanno a molti miei ex colleghi, il cui compito era, quella, di tranquillizzare gli amministratori della Fondazione (digiuni sia di creazione d’imprese che di Biotecnologia), fornendo le coperture scientifiche d’occasione.
Ora che i buoi sono scappati, sarà difficile recuperare, anche in parte, quanto la Siena Biotech ha, inghiottito (si parla di 160 milioni). E pensare cosa si sarebbe potuto fare di realmente utile e sensato per il mitico “Territorio”, con tutte simili risorse! Ad esempio: promuovendo e sostenendo lo sviluppo di competenze cruciali nella nostra Università; o creando servizi accessibili a tutte le imprese biotecnologiche operanti autonomamente nel territorio. Cose serie ma – ahimè – poco adatte per pompose inaugurazioni.
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[…] Siena Biotech e i professori che fornivano coperture scientifiche intascando lauti gettoni […]
«Puntare sul polo delle scienze della vita. Esprimo la mia solidarietà ai dipendenti di Siena Biotech che vivono un momento di grande difficoltà e di incertezza…. Siena Biotech è elemento di un più ampio progetto di rafforzamento del polo biotecnologico senese.» L. Dallai
…insomma, sarà anche al centro di non so quale progetto, ma di fatto sta per chiudere e i dipendenti stanno per essere licenziati: se non la Fondazione, i soldi per mantenerla in vita (che è cosa forse diversa dal tappare momentaneamente un buco), in buona sostanza, chi ce li mette, per quanto tempo e a quali patti?
Leggo però che Biotech è un classico prodotto del Groviglio Armonioso: «La Scienza è una faccenda seria, e affidarne le sorti a politici, bancari e avvocati non può che condurre al disastro» (Paolo Neri). Dalla lista nera mancano solo i preti. Che, come diceva Balzac, vestono in nero perché, come gli avvocati, portano il lutto delle loro colpe (“il prete, il medico e l’uomo di legge… vestono di nero perché portano il lutto per tutti i desideri e le illusioni degli uomini” – H. De Balzac, Il colonnello Chabert).
Leggo che ha ingoiato da sola una quantità di danaro pari alla metà del “buho” nel bilancio dell’università: una storia di scialo o dissipazione, dunque? Personalmente non sono in grado di valutare se i quattrini siano stati realmente buttati al vento, o se i risultati sul piano scientifico siano stati invece all’altezza delle attese, ragionevolmente, nell’arco temporale dall’esistenza di questa struttura.
Certo, iniziare da zero prevede tempi assai lunghi di rodaggio e forti investimenti: la ricerca feconda di risultati non si instaura in un mese o un anno, e questo mi porta peraltro a riflettere ancora una volta sulla leggerezza con la quale all’università si parla, a seguito della spada di Damocle costituita dal pensionamento del 50% del personale docente, di tagliare, chiudere, amputare sopprimere aree, che per essere eventualmente riavviate impiegherebbero un ventennio.
Mi riallaccio dunque al mio messaggio precedente. Non solo la ferale notizia solleva qualche perplessità sullo sbandierato progetto di volgere l’ateneo interamente in direzione delle “scienze della vita”, ma non si capisce bene, in realtà, se si vogliano e si possano salvare altre aree scientifiche escluse da questo cono di luce, oppure se le si considera oramai espulse dal contesto accademico e culturale senese: nel primo caso, onestà e logica vorrebbero che si pensasse e si dicesse, operativamente, anche come s’intende salvarle; nel secondo caso, se oramai le si considera perdute e chi ci lavora, pura zavorra, si eviti di mentire: si aggreghino ad altri atenei, o addirittura si trasferiscano altrove baracca e burattini, onde garantire almeno un presidio robusto, dotato di massa critica a livello regionale. Tertium non datur.
«Auspichiamo che la Fondazione collabori effettivamente con la Regione e con le altre istituzioni coinvolte nel Protocollo di valorizzazione del Polo senese delle Scienze della vita. L’obiettivo prioritario è quello di attrarre sul territorio senese nuovi player che potrebbero portare investimenti e valorizzare competenze e talenti già presenti nel nostro territorio.» Valentini
Tutti paventano, all’università, non senza motivo, la colonizzazione da parte degli altri atenei della regione (vaso di coccio fra vasi di ferro). Ufficialmente, dunque, si vuol salvare tutto e tutto, a parole, si vuol preservare dall’invasione de “lo stranier”; ma si sa che questo non è possibile, né risponde alle reali intenzioni di chi ha in mano le leve del potere accademico e politico; se alcuni settori sono moribondi, altri sono già andati al creatore e molte aree scientifiche, checché si dica, per molteplici resposabilità, sono state di fatto abbandonate alla deriva. Per la resurrezione dei morti, aspettiamo il giorno del giudizio.
Certo è che non si possono fare entrambe le cose assieme: preservare aree scientifiche e strutture didattiche e di ricerca, e non supportarle con adeguate risorse. Allora bisognerebbe essere chiari ed espliciti al riguardo, senza promettere tutto a tutti, per poi trovarsi a fare le nozze coi fichi secchi. Il continuo alternarsi di dichiarazioni, ora in un senso, ora nell’altro, credo che abbia già smesso di sortire come conseguenza un diffuso consenso e abbia cominciato semmai a produrre sgomento.
Visto che siamo adesso a chiederci se valeva la pena creare una struttura durata lo spazio di un mattino, mi domando con che criterio si facciano le cose in questa città, con quanta convinzione, quanta lungimiranza, quanta cognizione di causa. Cosa voglia dire che si punta su un settore, entro quali tempi è legittimo attendersi dei risultati concreti, cosa sono i risultati “concreti”, e quanto, finanziariamente, si è in grado di scommetterci. Se pensiamo all’ateneo degli ultimi venti anni, è tutta una storia di costose intraprese effimere, inconcludenti, di non-finiti, non certo michelangioleschi, ma più simili semmai a certe palazzine abusive mai completate che appestano le periferie italiane.
Auguri a tutto il blog!
P.S. …momentaneamente ricredendomi circa la sospettata non esistenza di Babbo Natale, registro, sperando che sia di buon auspicio per l’anno avvenire, questo dato positivo:
«Il Miur premia gli atenei toscani. In arrivo 30 milioni di euro in più. Il Fondo di Finanziamento 2014 per la prima volta dopo diversi anni segna un più nella quota complessiva destinata agli Atenei italiani (quasi 500 milioni in più) e premia Firenze, Pisa e Siena, ma anche la Normale e la Sant’Anna. Oltre 30 milioni di euro in più per gli Atenei toscani, con un boom di risorse grazie agli ottimi risultati ottenuti nella ricerca. …Quasi 11 milioni di euro in più per Firenze (239.391.416 la quota complessiva), 8 milioni per Pisa (200.422.616), 4 milioni e mezzo per Siena (110.029.738): a trainare i tre principali atenei della nostra regione è senza dubbio la ricerca, ed infatti la cosiddetta quota premiale (quella che cioè riserva dei soldi in base ai risultati della ricerca e al grado di internazionalizzazione raggiunto dalle Università) mostra indici a doppia cifra per le toscane. E a correre non sono soltanto gli Atenei più grandi, perché il saldo positivo (che riguarda il 67 per cento delle università italiane) coinvolge anche la Scuola Normale Superiore di Pisa (+5 milioni e mezzo in più), la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (due milioni in più) e l’Imt di Lucca, con un saldo positivo rispetto al 2013 di 500 mila euro.» Corriere della Sera.
Ecco alcuni dei Professori senesi che fanno ancora parte del “poltronificio” in Siena Biotech di cui parla il Prof. Paolo Neri. Allungate la lista.
Comitato Scientifico:
– Gian Maria Rossolini (Presidente del Comitato)
– Antonio Federico
Comitato Etico di Controllo:
– Mauro Barni
– Marco Ventura
Consiglio di Amministrazione:
– Gian Maria Rossolini (Vice Presidente)
«Cosa voglia dire che si punta su un settore, entro quali tempi è legittimo attendersi dei risultati concreti, cosa sono i risultati “concreti”, e quanto, finanziariamente, si è in grado di scommetterci.»
… a mio parere, la cosiddetta “ricerca” è diventata un alibi (o forse sarebbe meglio dire una “copertura”!) a garanzia del “business” di “forchettoni” e paraculi che infestano questo mondo (il mondo della “ricerca”, appunto!). Qui siamo di fronte a uno storico problema di natura culturale ed etica! Finché ci saranno governi, istituzioni, politici e politicanti che, senza alcuna cognizione di causa, ma solo per l'”immagine” (demagogica!) e per amor di greppia e di poltrona, continueranno a tirar fuori denari a sproposito e senza costrutto, paraculi e forchettoni di cui sopra, continueranno a prosperare e la Ricerca continuerà a languire!
E d’altra parte, come ignorare il ruolo dell’industria farmaceutica in questo sfacelo culturale e morale? L’industria dei farmaci tiene in pugno la quasi totalità della ricerca biomedica mondiale, con un’aggravante, rispetto a governi e politici di cui sopra; ossia, che più spesso finanzia ricerche volte non certo a migliorare la salute della gente, ma, caso mai, a cronicizzare le malattie per garantirsi quote di mercato sempre più ampie e durevoli nel tempo!
La soluzione? Difficile da trovare; ma intanto comincerei a spiegare alla gente come stanno veramente le cose (http://www.informasalus.it/it/articoli/tradimento-ippocrate-mastrangelo.php) e a fare piazza pulita di quanto di inutile c’è, in questa immondizia che continuiamo a chiamare “ricerca”! Per esempio, il 92% di ciò che viene pubblicato è inutile (io credo che la percentuale sia 99,9% e che non solo sia inutile, ma, purtroppo, spesso anche dannoso!)? Bene, allora si stabilisca che solo l’8% di ciò che viene quotidianamente prodotto da paraculi e forchettoni di cui sopra, venga effettivamente pubblicato! Sì, perché, mentre si afferma che il 92% di quanto viene pubblicato, non ha alcun valore effettivo, si dimentica, purtroppo, che su quel 92%, con quella fregnaccia dell'”Impact Factor”, i forchettoni e i paraculi della ricerca costruiscono carriere accademiche e reputazioni fondate sul nulla assoluto! … Non so perché, ma a quasi sessant’anni, con trentacinque anni di laurea in medicina, quattro specializzazioni e uno stipendio di 1280 euro mensili, non riesco a provare nessuna pena per i “poveri” lavoratori di Siena Biotech, rimasti senza lavoro, alcuni dei quali, per quanto ne so, ne hanno già trovato un altro all’estero … e perfino meglio retribuito!
Pronta la risposta di Toscana Life Sciences
“Scienze della vita, una priorità per la Regione Toscana, un’opportunità per il territorio senese”
La Regione Toscana ha individuato nelle Scienze della Vita uno dei settori trainanti per il rilancio e il potenziamento della competitività regionale, guardando al miglioramento complessivo della salute e del benessere dei cittadini, ma anche alla crescita economica del territorio. I Distretti sono gli ecosistemi di riferimento creati per questo obiettivo e per favorire il dialogo e la collaborazione tra gli attori principali dei settori strategici, in primis imprese, università, soggetti territoriali e, in questo caso assai rilevante, anche il Sistema Sanitario Regionale.
In Toscana, il Distretto Scienze della vita conta su tre poli di specializzazione che fanno riferimento alle province sedi di università: Firenze, Pisa e Siena. Quest’ultima, in particolare, ha saputo mettere a valore una tradizione di ricerca biotecnologica che risale agli inizi del Novecento, attraverso lo sviluppo di un tessuto competitivo a livello internazionale dove convivono grandi imprese e start-up innovative, un ateneo d’eccellenza per didattica e ricerca, un incubatore di imprese, oggi insediato presso la Fondazione Toscana Life Sciences, che ha raggiunto negli anni i risultati attesi, e un’azienda ospedaliera che, sempre più, vede nella generazione di innovazione uno strumento fondamentale per il miglioramento dell’assistenza e della cura.
È su questa qualità diffusa che dobbiamo scommettere per il futuro del nostro territorio e per affrontare anche situazioni critiche – come quella che stanno vivendo Siena Biotech e i suoi lavoratori – che sono connaturate a settori in cui il rischio è un fattore intrinseco. Perché senza rischio difficilmente si genera innovazione.
La specializzazione, l’integrazione delle politiche, l’allineamento con gli scenari europei e, più in generale, con le dinamiche internazionali del settore sono gli ingredienti chiave per rendere la nostra realtà ancora più competitiva, per favorire nuovi investimenti e per sostenere la creazione di nuovi posti di lavoro altamente specializzati. E’ auspicabile puntare su una dinamica di convergenza tecnologica che venga concretamente sostenuta da azioni sistemiche. Tra le principali, il potenziamento dell’alta formazione specialistica e della formazione tecnico professionale, perché la competitività del settore è massimamente legata al valore del capitale umano. Di primaria importanza è anche la messa a sistema degli strumenti e dei processi di trasferimento tecnologico, affinché favoriscano ancor di più il dialogo tra università e impresa. Questo avviene anche attraverso la condivisione e il potenziamento di piattaforme tecnologiche e di ricerca congiunte pubblico-provato e ad accesso aperto, partendo da quelle già esistenti sul territorio. In tale ottica, si inserisce il progetto di Polo senese delle Scienze della Vita, che vede nel sapere tecnico-scientifico e nella presenza della struttura e delle piattaforme tecnologiche di Siena Biotech una grande opportunità di attrazione di nuovi investimenti e di potenziamento di quelli esistenti.
In questa “partita” la Regione Toscana è stata e deve essere sempre di più il nostro interlocutore di riferimento. Negli anni la positiva collaborazione con la Regione – che ha visto in TLS sia un braccio tecnico-operativo, sia il soggetto di riferimento per il coordinamento del Distretto regionale e del progetto di Cluster nazionale – si è consolidata ed è la base su cui possiamo accelerare nella valorizzazione delle eccellenze e delle competenze del territorio senese, all’interno delle politiche regionali di settore. Questo per evitare la frammentazione degli interventi e per mettere a sistema gli sforzi in materia di sostegno all’innovazione e ai nuovi investimenti industriali, che sono le direttrice della Regione nelle politiche di Distretto Life Sciences e per la creazione della cosiddetta Pharma e Devices Valley, di cui Siena è uno degli assi strategici.
Fabrizio Landi, Presidente Fondazione Toscana Life Sciences
Rino Rappuoli, Presidente Distretto Toscano Scienze della Vita
Angelo Riccaboni, Rettore Università di Siena
Stille di saggezza:
«La farsesca abolizione delle Facoltà, ribattezzate dipartimenti con nomi fantasiosi che li rendono irriconoscibili oltreconfine, impegna i professori in sorde lotte di micropotere mettendo in sordina la ricerca con enorme svantaggio degli studenti. Il mantra principale di queste riforme è che siano a costo zero.»
(Salvatore Settis, http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/05/09/news/cosi-vincono-i-peggiori-1.164652)
Buon anno a tutti.
Altre stille di saggezza dal link segnalato da Rabbi:
«(…) La riforma Gelmini, poi legittimata dalla non brillante sequenza di tre ministri-rettori, ha aggravato molti problemi senza risolverne alcuno.
(…) Dobbiamo dunque invocare un’altra riforma? Sì, se imparassimo che nel gioco dell’oca delle riforme una regola c’è: più si affidano a chi non ne sa nulla, più è sicuro che vinceranno i peggiori. E l’Italia perderà.»
Credo si possa sintetizzare l’intervento di Settis dicendo che il grande assente da tutte le discussioni, ad ogni livello, sull’università pubblica, è la cultura, ogni tanto tirata in ballo qua e là come vuoto intercalare nei programmi per un radioso avvenire, o come acquetta lenitiva per risciacquarsi i cabbasisi: sempre intesa, di fatto, come sotto-cultura, “cultura” per modo di dire, di basso profilo, mai (per carità!) cultura scientifica, al massimo saccente erudizione.
L’esito sono delle mostruosità. Nel 1782 Mozart mise in scena Die Entführung aus dem Serail (KV 384); l’imperatore commentò: “troppe note, mio caro Mozart”. Mozart, non senza insolenza, rispose: “allora ditemi voi quale devo togliere…”.
Anche un corso di laurea, un dipartimento, un’area scientifica, sono come una composizione musicale: non se ne può affidare la composizione a burocrati incompetenti che contano solo il numero di note (per restare nella metafora) o duri d’orecchi, o affidarsi all’anarchia e alle pulsioni particolaristiche degli strumentisti di un’orchestra litigiosa ed egoista di genere felliniano.
Ci si cimenta, magari, in inutili “dibattiti culturali” da benignesca Casa del Popolo (“Pòle la donna pareggiare coll’òmo…”) su dove finisce la cultura scientifica e dove comincia quella umanistica, con lo stucchevole provincialismo di chi appare essere abbastanza digiuno sia dell’una che dell’altra. E poi, quando si parla di “cose serie”, ça va sans dire che si parla d’altro: di fundraising, startup, bootstrapping, crowdfunding, venture capital, angel investor … ed è tutto uno sciorinare di anglicismi, talvolta biascicati senza pensare, come mantra, quasi scopo apotropaico per scongiurare la carestia.
Non è chiaro che importanza abbiano in tutto ciò l’alta cultura e la ricerca di base (quella che in Italia non hanno finanziatori), ma in generale il sospetto è che di importanza ne abbiano sempre meno, perché non portano quattrini. Sospetto che, in particolare, a Siena, diventa vieppiù certezza. Non che tutto ciò che ruota attorno al rapporto col mercato ed alle applicazioni non sia importante (anzi, ci mancherebbe altro! Personalmente aborro sinanco la distinzione netta fra “puro” ed “applicato”), ma il fatto è che spesso ci si limita a parlare dei mezzi, giusto perché il fine non è chiaro.
Tuttavia senza un orizzonte di senso questo, un posto dove la cultura – nel senso più ampio – non gioca più alcun ruolo, non è più “università”, è un’altra roba: il prodotto delle ultime riforme e delle ultime vicissitudini locali è una “università” senza cultura (“scientifica”, “umanistica”, lascio a voi le dispute bizantine sul sesso degli angeli)? Per intenderci, andiamo (mutatis mutandis) verso una distinzione alla tedesca fra Fachhochschulen e Universitäten? Magari! Quella è una cosa seria!
E tuttavia, anche di recente, quello senese è stato definito in un documento ufficiale “ateneo generalista”: ma “generalista” de che? Quello che si vede da noi, con l’incompiuta non certo schubertiana del “3+2” (di cui, come mozzicone, in molti casi rimarrà solo un inutile “3” senza “2”), con il grande rimescolamento dell’abolizione delle facoltà e dell’accorpamento dei corsi, è solo l’apoteosi della burocrazia (la prevalenza del mezzo sul fine) e un tentativo di fare le nozze coi fichi secchi.
La posizione del “buon” Magrini su Siena Biotech.
http://ilsantodisiena.com/2014/12/29/la-rubrica-di-daniele-magrini-enoteca-e-siena-biotech-solo-chiacchiere-e-distintivo/
Daniele Magrini. E di cose se ne leggono anche troppe, su Siena Biotech. L’ultimo intervento è quello, congiunto, del Rettore dell’Università, Angelo Riccaboni, di Rino Rappuoli presidente del Distretto Toscano delle Scienze della vita, e di Fabrizio Landi presidente di Toscana Life Sciences. Nel ribadire la strategicità – indubbia – del distretto delle scienze della vita, sottolineano, come sempre da anni, il tema dell’innovazione, e scrivono: «In questa “partita” la Regione Toscana è stata e deve essere sempre di più il nostro interlocutore di riferimento.» Sì, ma nel concreto cosa accadrà? Ora, di fronte al disimpegno totale della Fondazione Mps per Siena Biotech, oltre che auspicare l’impegno della Regione, ed elencare in modo competente le opportunità di rito, le tre massime autorità del settore, potrebbero spiegarci, nel concreto, le mosse sul piano occupazionale e se e come verranno riassorbiti in altre aziende i dipendenti della Siena Biotech? Potrebbero dire che cosa ne pensano della reprimenda del presidente della Fondazione Mps, Marcello Clarich, alla Regione, accusata di non aver dato seguito alla promessa dei tre milioni per Siena Biotech? Potrebbero dirci che cosa ne pensano del Piano industriale di Siena Biotech che la Fondazione Mps aveva approvato e che – pare – prevedeva un’inversione allo sbilancio nel 2016?
Si potrebbero concretamente far capire i numeri delle previsioni occupazionali – e non solo nelle Scienze della vita – nella realtà senese, in modo da capire nel breve e nel medio periodo cosa accadrà? C’è qualcuno che può farlo? Oppure dovremmo solo star qui a scommettere sul prossimo naufragio del sistema senese dello scempio? Solo chiacchiere e distintivi – anche se prestigiosi – a Siena non bastano più.
Ma non ravvisate una leggera schizofrenia nel temere l’intervento dirigista della Regione, con la conseguente, relativa, perdita di autonomia, da un lato, e dall’altro il continuo tirar per le sottane la Regione stessa perché ci soccorra (prima l’acquisto delle Scotte, poi il DIPINT, poi il salvataggio di Biotech ecc. ecc.)? Perché dovrebbero darti palate di quattrini senza avere controllo dei quattrini che ti danno? Intendiamoci: la propsettiva di una generalizzata “colonizzazione” non mi entusiasma, ma per favore, scopriamo le carte. L’idea che balugina in certe menti è quella di preservare il proprio e lasciare che vada alla deriva tutto il resto (“torrei le donne giovani e leggiadre, e vecchie e laide lasserei altrui”), ed è pertanto ipocrita fingere di non vedere che oramai questa è la strada intrapresa irreversibilmente, obtorto collo o con entusiasmo, che lo si dica apertamente o lo si taccia per convenienza, a seconda dei punti di vista; bisognerebbe decidere e dire apertamente cosa si vuole e si può tenere a Siena, e cosa si vuol chiudere, ovvero trasferire altrove o gestire in una collaborazione con altri, anziché attendere la lenta putrefazione. Ripeto, dire “puntiamo tutto sulle scienze della vita e la sostenibilità ambientale”, automaticamente solleva il quesito di cosa farne del resto. Vabbè, uno può retoricamente inventarsi che anche l’economia c’entra qualche cosa, ma non so come potrà giustificare altre aree scientifiche che decisamente non c’entrano una mazza. Il problema è pressante: il venir meno di 500 docenti, calcolando almeno due corsi a testa (oramai anche la stragrande maggioranza dei ricercatori insegna, con 90 o più ore), significa il venir meno di mille corsi; è evidente che niente sarà come prima. I pasticci, le orge insensate, sia nella proposta didattica di corsi innominabili, sia nella stessa costituzione di dipartimenti i cui nomi sono intraducibili in inglese (come denuncia il prof. Settis), mi pare che abbiano già fatto il loro danno. La metastasi della burocrazia.
….vabbè, buon anno.
O me donzel, serena
la sera a tens la ombrena
tai vecius murs: tal seil
la lus a imbarlumis.
(O me giovinetto, serena la sera tinge l’ombra sui vecchi muri: in cielo la luce accesa.)
P.P. Pasolini,.
“La meglio gioventù”
E ancora, sempre sulla Siena Biotech, una interrogazione di 4 consiglieri (Nuovo Centro Destra) della Regione Toscana.
Alberto Magnolfi, Roberto Benedetti, Andrea Agresti e Marco Taradash.
Premesso che la Siena Biotech è una società di ricerca nel campo delle biotecnologie interamente controllata dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, fondata nel 2000, che si dedica all’individuazione di farmaci nell’area principalmente di malattie oncologiche e neurodegenerative, come l’Alzheimer;
Considerato che l’istituto che nell’epoca di maggiore sviluppo è arrivato a contare circa 150 dipendenti, nasce come completamento ideale di un parco biotecnologico nato nel 1904, quando Achille Sclavo fondò a Siena l’Istituto Sieroterapico Toscano, poi passato alla Chiron e poi alla Novartis;
Evidenziato che la deputazione generale della Fondazione Monte dei Paschi di Siena ha deciso di non appoggiare il piano di ristrutturazione di Siena Biotech che già da alcuni mesi ha messo in cassa integrazione i 40 dipendenti rimasti;
Sottolineato che la stessa deputazione ha dichiarato sulla stampa locale che “ora che non disponiamo di utili, non possiamo continuare ad erogare patrimonio per sostenere un piano industriale cui manca una oggettiva sostenibilità”;
Ricordato che la Regione Toscana nel 2013 ha promesso di intervenire con un contributo di 3 milioni di euro per aiutare la società, contributo che è rimasto solo sulla carta, nonostante il presidente della Regione abbia a più riprese sostenuto l’importanza del polo biotecnologico senese, non solo a livello provinciale, ma anche regionale e nazionale;
Tutto ciò premesso, i sottoscritti consiglieri interrogano il presidente della giunta regionale e l’assessore competente per sapere:
quali motivi hanno indotto la Regione a non attuare l’intervento promesso a Siena Biotech;
quali sono le considerazioni e gli eventuali provvedimenti della Regione per ovviare a questa situazione.