Agenda per il nuovo rettore dell’Università di Siena

Piero Tosi - Silvano Focardi - Angelo Riccaboni

Piero Tosi – Silvano Focardi – Angelo Riccaboni

Rabbi Jaqov Jizchaq. Mi permetto sommessamente di sottoporre questa agenda al nuovo Rettore.

«L’università riparte da un bilancio che è risanato, andiamo avanti guardando al futuro e con una forte volontà di innovarci ancora… Ora che il bilancio dell’ateneo è risanato, possiamo tornare a investire.» Frati

Gli risponde il prof. Petraglia: «L’esempio è quello del paziente dopo l’operazione: non è più in pericolo di vita ma ancora non può essere del tutto sano». Io direi piuttosto: la casa di Swift, così perfettamente “equilibrata” che rischiava di crollare non appena vi si posava un passero. Gli rispose anche il prof. Grasso… un chiarimento definitivo sullo stato delle finanze sarebbe auspicabile (e pensare che io credevo che la matematica fosse una scienza esatta!).

«Abbiamo perso numerosi docenti. Il blocco del turnover: significa avere forza lavoro che viene immessa per solo una frazione di quelli che perdiamo per prepensionamento, è un depauperamento che indebolisce tutti.» Frati

Beh, insomma, non proprio tutti: ci sono settori che si sono svuotati perché il personale era più anziano e meno numeroso: è un demerito? Ci sono inoltre settori riempiti a dismisura di personale giovane ai tempi dello scialo: è un merito? Ho riportato tempo fa un articolo in cui si diceva che gli ordinari più anziani in Italia sono quelli di Fisica. Basta inoltre guardare il sito del MIUR alla voce “Siena” e agli anni 2007- 2008, settore per settore, per rendersi conto degli squilibri. Anche ieri, al bar, ho sentito uno che proclamava questa teoria: 600 docenti bastano, in nome del “piccolo è bello”. Ma bastano per fare cosa? Chi ti mantiene il giocattolino “piccolo e bello”? La gente parla come se un oncologo o un etruscologo fossero intercambiabili, come se stessimo parlando di mandrie vaccine. Ne ho desunto che devo bere meno caffè. E con 1000 amministrativi che ci fai, se continui a smantellare le strutture didattiche e della ricerca? Intanto guardiamo alla realtà: la perdita del 43% del corpo docente a caso, cioè sparando nel mucchio, con conseguente desertificazione e smantellamento di diverse aree scientifiche, ha poco a che vedere, sia col merito, che con la razionalizzazione. La programmazione dei ruoli per il futuro immediato (sulla base dei “punti organico” toccatici) non credo consenta di rimpiazzarne nemmeno un decimo. Si dà dunque per scontato che ciò che è morto o moribondo, non risorgerà. R.I.P.

«Potenziare il sistema di sostegno alle attività di ricerca incrementando piano di sostegno alla ricerca e costituire gruppo di persone che si formano continuamente e aiutano i ricercatori a redigere i progetti, dobbiamo incrementare nostra attività facendo vedere che siamo i primi in Italia per servizi offerti. Creare cabina di regia per innovazione e dobbiamo lavorare su sistemi informativi». Frati

Direi che da chiarire, innanzitutto, c’è il ruolo e le peculiarità dell’ateneo senese nella cornice del bel quadretto dipinto dal prof. Barocci, nonché dall’ANVUR, da esponenti di governo ed opposizione (ci muoviamo nel quadro della legge Gelmini), e da tutta una “corrente di pensiero” che vuole la concentrazione delle risorse in pochi grossi atenei di ricerca siti in specifici territori, onde sfruttare le economie di scala, quindi la distinzione fra molte università “di massa” (professionalizzanti, o di pura didattica di primo livello) e poche università “d’élite” (di ricerca). La posizione rispetto agli altri atenei toscani non può essere né di mera sudditanza (servo e padrone), né di totale mancanza di collaborazione, considerato che diverse aree scientifiche rischiano di sparire dall’intero comprensorio universitario toscano.

Also sprach Faraone«dovremmo evitare di creare doppioni ovunque e dovremmo potenziare e razionalizzare costruendo sinergie tra le regioni e spingere in ogni regione per un coordinamento tra gli atenei in relazione all’offerta formativa e di questi con i singoli territori.»

Se in definitiva è opinione del rettore Frati che Siena debba differenziarsi puntando sulle scienze della vita, è evidente che per pretendere di primeggiare in un terreno dove pascolano anche dirimpettai così ingombranti, dovrà investire quasi tutto su questo progetto e pertanto niente su molto del resto: che prospettiva ha chi è escluso dal cono di luce delle “scienze della vita”? Leggo che il piano del rettore uscente di Pisa era quello di creare un ‘maxidistretto federato’ delle università toscane, Firenze, Pisa e Siena, mettendo insieme risorse, organizzazione, e percorsi di studio, in modo da far fronte al “progressivo depauperamento del corpo docente” e rilanciare, così potenziata, l’offerta degli atenei della regione nel panorama accademico internazionale. L’elaborazione del piano per creare il ‘distretto federato’, diceva, “trova concordi tutti e tre i rettori [toscani]”. Sono ancora concordi, i nuovi rettori appena eletti? E come si articola questo piano?

Come ho sommessamente suggerito in uno dei precedenti messaggi, questo può voler dire due cose: una buona e una cattiva. Quella cattiva è evidente: che tutte le eccellenze rimaste fuggano da Siena. Spero per converso (e questo è il lato positivo) che la costituzione di poli regionali dotati di “massa critica” centrati sulle scienze pure, faccia sì che si preservino tradizioni profondamente radicate nella civiltà di questa regione, non più sostenibili localmente: ma per favore, si spiccino! È infatti inutile tentare di rianimare un morto. Devo dire che, sebbene comprenda la necessità, la prospettiva non mi entusiasma: temo che a Siena si stia affermando un concetto provinciale e decadente di “cultura” intesa come orpello, roba di basso profilo da smerciare in sagre primaverili non molto stravinskiane.

Ricordo l’incipit del programma di Rossi, che già citammo in tempi non sospetti in questo blog, una frase del compianto prof. Giorgio Israel: «La sciagurata diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”. Invece, lo straordinario successo della scienza occidentale è stato fondare la tecnica sulla scienza, creando la “tecnologia”. Tutte le grandi scoperte scientifiche che hanno cambiato il volto del mondo – a partire dal computer digitale – sono frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di base”.

5 Risposte

  1. Avevano già provato a federarsi al sud..
    http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/403154/il-ministro-boccia–la-federazione.html

    è un processo lungo, la modifica degli statuti è il primo difficile passo.

    • sono processi lunghi, ma la vita è breve.

      Guai all’uomo che nasce
      con un brutto destino.
      Guai a chi nasce incudine,
      anziché nascere martello.

      (M. de Falla, La vida breve)

  2. p.s. al bar ho sentito che queste sopra esposte sono solo stupidaggini: et voilà! Capisco l’euforia del momento e i lieti calici che inducono volentieri all’oblio. Nunc est bibendum, ma come si dice a Siena, “più piccine e più spesso”.

  3. @Rabbi J. J.
    “Nunc est bibendum, nunc pede libero…nunc Saliaribus.”

    Carissimo Professore,
    stamani, e di buon ora, prendendo spunto dalla sua citazione di Orazio (Odi, I, 37, 1) ho voluto un “tantino” integrare all’uopo il concetto che il poeta rimarcava per tre volte, per sottolineare la gioia improvvisa della notizia della morte di Cleopatra.
    E se scientemente, e con buona pace, brindassimo noi tutti con chiassosa ilarità alla scontata ed indolore morte di UNISI?
    La moltitudine delle genti forse ci crederebbe affetti dalla sindrome di Cassandra?
    In quale cerchio il sommo e geniale poeta ci confinerebbe?
    Bah!…
    Credo fermamente che “accipiter velut mollis columbas”.

    Sena da Oxfo

  4. P.S. Facendo seguito alle considerazioni svolte nei precedenti messaggi, e visto che il dibattito sul futuro dell’ateneo pare prescindere totalmente dall’argomento (come se un dibattito sul Palio prescindesse dai cavalli), cade a fagiolo questo interessante articolo sul Corriere della Sera di pochi giorni fa, del quale raccomando la lettura aggiungendo un mio commento:

    “Proposta semiseria per una revisione: abolire una congiunzione nel primo comma dell’articolo 9. Oggi è improponibile la cultura distinta dalla ricerca scientifica e tecnica […] Recita l’articolo 9, primo comma: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica». Sì: cultura e ricerca….
    l’arte poetica non sembra avere troppo in comune con la chimica, dunque in un certo senso le distinzioni sono giustificate almeno sulla base di una convenienza pratica. Meno apprezzabile è tuttavia l’incoronazione di un dominio specifico a Cultura per antonomasia o, meglio, l’esclusione della ricerca scientifica da essa.” http://www.corriere.it/cultura/16_luglio_11/costituzione-proposta-congiunzione-articolo-9-a31e452e-478c-11e6-af4e-15bff4e09cf7.shtml

    ………………….

    Giambattista Vico coniò l’espressione “Ingegni minuti”, poi recuperata da Benedetto Croce, per significare lo scarso valore intellettuale che egli attribuiva agli scienziati, contrapposti ai “filosofi”. Questo melenso leitmotiv pervade tutt’oggi, a livello più o meno consapevole, la didattica delle scuole superiori italiane, secondo una visione peraltro lievemente retrograda rispetto gli sviluppi della cultura di quest’ultimo secolo. Quelli che vogliono sovvertire questo punto di vista (L’è peso el tacon del buso), spesso fanno solo danno, asserendo la totale inutilità della cultura.

    Vico affermava di aver provato invano a leggere gli Elementi di Euclide, senza tuttavia andare oltre la quinta proposizione, perché la sua mente di metafisico non riusciva a piegarsi a quei ragionamenti adatti agli “ingegni minuti” dei matematici, che si sogliono chiamare “dimostrazioni”. Che dire? Eppure quanto a raffinatezza metafisica, matematici come Cartesio o Leibniz non furono certo da meno di Vico.

    La cultura italiana recente, incomprensibilmente oltremodo anti-illuministica, non è andata molto al di là di questo anatema verso le scienze e “la tecnica”. Partendo da una base storicista, si è evoluta ispirandosi ora ad un Heidegger, magari cercando di coniugarlo con il marxismo, salvo poi scoprire con imbarazzo che il fu rettore di Friburgo era integralmente nazista ed antisemita. Oppure a certi temi della Scuola di Francoforte, con ciò rimanendo sostanzialmente estranea alla cultura illuminisitca.

    Gentile si chiedeva, con scetticismo, come potessero coesistere in una stessa rivista “l’elettromagnetismo e la coscienza”, e questo nell’Europa dei Poincaré, degli Hilbert, dei Carnap, dei Cassirer, dei Russell, o degli Einstein (!!!!). Un simile atteggiamento liquidatorio ha sortito due effetti: un tratto provincialistico e superficiale della cultura italiana dei nostri giorni, ed una concezione della ricerca scientifica che tratta con disprezzo la ricerca “pura” non immediatamente convertibile in danaro contante. Salvo poi non saper delineare con esattezza il confine e dire esattamente quale parte delle scienze è “applicabile” ed “utile”, visto che ogni nuova scoperta in linea di principio lo è.

    Entrambi i partiti concordano sull’inutilità della “scienza pura” e della cultura di livello non superficiale che dialoga con le scienze. L’odio viscerale per la cultura, d’altra parte, è uno dei tratti distintivi della società italiana di oggi. Il prodotto di questa concezione non può che essere la totale sterilità sia della scienza che della cultura e la loro completa estraneità alla migliore tradizione europea.

    P.S. Segnalo sul tema questo libro:
    Lucio Russo ed Emanuela SantoniIngegni minuti. Una storia della scienza in Italia”, Feltrinelli, 2011.

    Buone vacanze, se ci andate.

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