Filed under: Diritti negati, Emergenze, Per riflettere, Quelli dell'uva puttanella | Tagged: Anac, Cnu, Comitato Nazionale Universitario, Concorsi universitari, Corruzione, Fuga dei cervelli, Raffaele Cantone |
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Cantone anticipa che il nuovo Piano nazionale anticorruzione 2017 dedicherà «un capitolo» all’università. Meno male che non ha detto un «fascicolo». L’Anac, spiega, proverà «a suggerire alle università misure concrete di contrasto». Non so se verrà introdotto l’interrogatorio di terzo grado al posto della “prova orale”, ma allora, se vi è bisogno di altri lacci e lacciuoli burocratici, supervisione della magistratura, vuol dire che ANVUR, VQR, SUA, ASN e tutto l’ambaradan burocratico post-gelminiano non servono assolutamente a niente? Ho la sensazione che l’accrescimento della burocrazia e della quantità di norme servirà solo a questo: dare lavoro agli avvocati, secondo il principio keynesiano che nei periodi di crisi bisogna pagare della gente per fare buche ed altra gente per ricoprirle, e riconsegnare l’università nelle mani delle grandi “logge” dei potentati baronali nazionali. In ogni caso Bertoldo non sarà mai contento e non troverà mai l’albero giusto a cui impiccarsi.
Ma si può sapere dove, al mondo, il reclutamento universitario è governato da un ginepraio normativo di regole che cambiano continuamente, si sovrappongono e si contraddicono come in Italia? Ogni concorso ha il suo ricorso, e gli avvocati ci ingrassano. Sono regole che sembrano fatte apposta per essere eluse. O almeno “interpretate”, equivocate, mal interpretate, interpretate in modo ambiguo. Io credo che la maggior parte delle persone abbia bisogno solo di sapere quali sono le regole del gioco. Le quali non possono essere semi-occulte, perennemente cangianti, cervellotiche o puramente formali. Forse ha ragione Pietro Ichino:
«Per un verso, è ben difficile che la scorrettezza della valutazione possa essere dimostrata in un’aula giudiziaria. Per altro verso, sarebbe preoccupante anche che la scelta dei professori finisse coll’essere affidata ai giudici. Se vogliamo che nelle università vengano scelti davvero i migliori, non servono regole formali diverse, cioè nuove procedure concorsuali: ne abbiamo già sperimentate di tutti i tipi. Occorre introdurre gli incentivi giusti.» http://www.unita.tv/opinioni/la-peste-dei-concorsi-universitari/
La vulgata che si sta diffondendo è comunque intollerabile: una finta idea di normalità, fa passare il discorso che se uno non vince un concorso, faccio per dire, a Siena non è, tra le altre cose, per colpa del fatto che sono dieci anni che non si bandisce un posto di ruolo, della perversa volontà del malefico barone. Perché come si sa, all’università sono tutti baroni. I concorsi naturalmente (specie quelli che non ci sono) vengono tutti quanti truccati, come si faceva da ragazzi coi motorini, in modo tale che vinca sempre il peggiore.
Dunque si parla di concorsi truccati probabilmente per non dire che in mezza Italia non ci sono affatto. Un po’ come se parlare di cibo facesse passare la fame.
«indagine dell’Associazione dottorandi italiani (Adi): dal 2014 meno 18% delle borse di studio. Negli ultimi 10 anni posti quasi dimezzati, mentre i dottorati si concentrano in 10 atenei (solo due a Sud). Il governo ha un altro progetto: assumerà 500 docenti per chiamata diretta, darà 1,5 miliardi allo “Human Technopole” di Milano e non restituirà 1,1 miliardi tagliati da Berlusconi-Gelmini agli atenei. Addio università pubblica» http://ilmanifesto.info/renzi-taglia-la-ricerca-e-chiama-cinquecento-superprof/
Piuttosto che ai provvedimenti eccezionali io punterei a risolvere i problemi di quelle decine di migliaia di precari, di molti dei quali, oltre alla fama, è conclamata la chiara fame. Che poi i dottorati non vengano diluiti in mille rivoli, ogni piccolo dipartimento di piccolo ateneo il suo, non mi pare cosa disdicevole, poiché spesso gli atenei che bandiscono i dottorati non hanno la forza per sostenerli. Sicché il dottorato si riduce sovente ad una mera borsa di studio che non di rado con “la ricerca” non ha proprio niente a che vedere. Il dottorato, inteso come PhD, di fatto non esiste: meglio dunque una vera riforma e dei consorzi tra atenei dotati di “massa critica” ove si bandiscano dottorati veri con della ricerca vera. Drammatica mi sembra piuttosto la notizia che i posti sono dimezzati, ribadita anche qui:
«Università, ricercatori dimezzati in 10 anni, e solo 6 su 100 fanno carriera. La fotografia impietosa dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani: -44,5% posti di dottorato in dieci anni, con un enorme gap Nord-Sud.» http://www.corriere.it/scuola/universita/16_ottobre_06/dottori-ricerca-dimezzati-10-anni-solo-6-100-fanno-carriera-18c8d75e-8bca-11e6-8000-f6407e3c703c.shtml
Ma l’uomo della strada dice che sono sempre troppi. E poi so’ tutti ladri e fannulloni ecc. ecc.
un articolo interessante:
http://www.ilfoglio.it/cultura/2016/10/07/raffaele-cantone-universita-italiana-corruzione___1-v-148779-rubriche_c355.htm
[…] Anche il CNU dice la sua sul collegamento tra fuga di cervelli e corruzione nell’Università […]
“L’Italia non investe nella ricerca: il 96% dei progetti viene bocciato…. 97 atenei Italiani, 895 dipartimenti, 4431 progetti inviati e 2 miliardi e cento milioni di euro richiesti. Non è la tombola, ma i numeri del bando Prin, che vaglia i progetti di ricerca che verranno finanziati dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dal 2015 al 2016. Il numero che spaventa di più è però quello dei progetti bocciati: il 96%. Degli oltre 4000 progetti scientifici che sono stati inviati al Miur, solo a 300 è stato dato il via libera, per un investimento totale pari a 92 milioni di euro.” http://www.huffingtonpost.it/2016/10/12/italia-boccia-la-ricerca_n_12450696.html
Forse la metà di questi progetti meritava di essere bocciato, giacché sovente non è chiaro cosa si intenda per “ricerca”: progetti vacui, messi insieme solo per raccattare un po’ di soldi da spendere ciascuno per conto proprio, sperando in una distribuzione a pioggia. Va detto tuttavia che il 96% dei progetti bocciati sono tanti!
«Da qualche giorno la comunità scientifica è in subbuglio a causa delle “cattedre Natta”, le 500 posizioni da professore associato e ordinario che il governo si accinge ad assegnare a ricercatori eccellenti, per lo più residenti all’estero: “si tratta del primo tentativo di introdurre quel principio meritocratico sconosciuto nell’accademia italiana”, dice Fabio Sabatini professore associato di Politica economica alla Sapienza.» http://www.ilfoglio.it/politica/2016/10/13/universita-renzi-cattedre-natta-non-sono-panacea-ma-sasso-su-stagno-universita___1-v-149154-rubriche_c265.htm
Ciò significa che chi non è entrato in questa maniera, compreso lo stesso autore di tale affermazione, non meritava di entrare? Seguita il professore:
«bisognerebbe premiare ex post la produttività scientifica dei professori… sulla base di una valutazione periodica dell’attività di ricerca di ognuno. In questo modo si stimolerebbe una virtuosa competizione tra gli studiosi, incentivati a lavorare meglio, e tra gli atenei, che potrebbero contendersi gli studiosi più bravi.» (ibid.)
…beh, qui siamo oltre la contrattualizzazione della posizione del docente verso la quale ci stiamo avviando (conseguenza della distinzione fra “teaching universities” e “research universities”, ovvero abolizione del valore legale del titolo di studio). A parte che già avviene, con i meccanismi incentivanti che hanno sostituito gli scatti, ora si propone uno stipendio cangiante ogni sei mesi? E ovviamente niente pensione? Buona idea: perché non mensilmente? Questo mese pago il mutuo, il prossimo chissà? Se mi ammalo, devo pubblicare due articoli su rivista di fascia A, anche se i tempi di accettazione di quelle serie superano sei mesi; se devo portare il figlio dal dentista, meglio se incremento l’H-index! Mi viene in mente una lettera di Johann Sebastian Bach, con la quale il compositore implorava un suo mecenate di acquistargli delle composizioni, perché – diceva – l’inverno eccezionalmente tiepido aveva causato meno decessi e dunque vi erano state poche commesse di cantante funebri.
Un paio di cosette non mi tornano: se per guadagnarsi la pagnotta si dovrà dedicare ogni attimo ed ogni respiro alla produzione di materiale cartaceo, che fine farà l’insegnamento? Da sottolineare che secondo l’ANVUR, già da ora l’insegnamento è tempo assolutamente buttato via: attività quasi esecrabile che pertanto verrà sempre più scaricata sui sottoposti. Del resto, se volevano che legioni di ricercatori e di precari si dedicassero veramente ed esclusivamente alla ricerca, non avevano che da chiederlo… Ma questo è il passato, ladies and gentlemen, mesdames et messieurs: chi ha avuto, ha avuto. Adesso il governo provvede a cercare all’estero i commissari per le cattedre “Natta” ed afferma questo essere un procedimento da estendere poi a tutti i docenti. La domanda è: ma allora a che servono l’ANVUR e l’ASN e tutto il delirio burocratico che ci sta sommergendo?
Comunque non vedo come si possa scindere questo discorso da quelli precedentemente affrontati anche nel blog, intorno al disfacimento di certe aree di ricerca ed alla necessità di ricompattarle (se non localmente, come auspicabile – ma improbabile – almeno a livello di uno “hub toscano” prossimo venturo) onde procurare quella “massa critica” indispensabile senza la quale i ragionamenti intorno alla ricerca sono del tutto privi di senso. Credo che queste siano le sfide che attendono il prossimo Rettore.