Brunello Mantelli (da: mailing list unilex@list.cineca.it). Prima sensazione: giustizia a orologeria. Lo so che è slogan berlusconico e perciò sospetto, tanto più se usato da uno come me che, sia pur sommessamente, ha già scritto in passato di ritenere ciò che accadde in Italia tra il 2010 ed il 2011 qualcosa di simile ad un colpo di Stato postmoderno (che ancora attende un suo Curzio Malaparte), ma come non rilevare che l’annuncio dato esplosivamente sui mezzi di comunicazione di massa abbia coinciso quasi perfettamente con la riuscita oltre le previsioni dello sciopero dei docenti universitari indetto dal Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria (ciò al di là di ogni valutazione interna e specifica che dello sciopero stesso si voglia dare)?
I settori coinvolti, parrebbe (in attesa di sentenze della magistratura): alcuni rami del diritto, quegli stessi che per le caratteristiche della disciplina permettono di unire attività di ricerca e didattica con attività libero-professionale, caratteristica che accomuna questi settori con altri a suo tempo coinvolti in vicende similari (discipline mediche, discipline afferenti all’area economica et similia). Non per caso nella vicenda fiorentina si è letto che tutte le parti in causa, denunziante compreso, erano titolari di importanti studi professionali. Curiosamente (è una battuta, sia chiaro, non è affatto curioso), parrebbe che aree come la storia bizantina, l’etruscologia, la filologia germanica, la glottologia, la fisica teorica, la matematica siano meno inclini a trovarsi coinvolte in storie analoghe. Non sarà perché lì non si dà proprio l’intreccio tra potere accademico e denaro professionale?
Stupisce allora che, nella pletora di proposte autorevolmente avanzate per porre rimedio allo “scandalo” (per ora presunto ed esistente solo sulle pagine delle gazzette), non ne sia stata avanzata una molto semplice: l’abolizione con effetto immediato del tempo “definito” (che permette, infatti, di intrecciare funzioni (attività universitaria e attività libero-professionale) ponendo, a chi desideri entrare all’università, l’alternativa secca: tempo pieno o nulla. L’impegno nell’Accademia ha da essere un’attività totalizzante. Del resto nelle aree che ho citato, e in molte altre, compresa la mia (Storia Contemporanea, M-STO/04), la scelta del tempo pieno è pressoché unanime. Sarà forse perché chi vi afferisce è dotato di cervelli meno multitasking di chi invece si occupa di diritto tributario, medicina, economia aziendale, et similia? Ipotesi interessante, andrebbe verificata (nuovamente, sto celiando). Del resto l’idea dell’alternativa secca tra tempo pieno nelle strutture pubbliche, o libera professione altrove non è una novità; era stata proposta ed attuata per i medici ospedalieri dal miglior ministro della Sanità (oops, della Salute.. sic!) che la Repubblica abbia mai avuto: Rosy Bindi. Non per caso la misura fu poi rapidamente ritirata quando il dicastero passò ad altri.
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