35 Risposte

  1. è una battaglia che purtroppo non trova alcun sostegno nell’opinione pubblica, spesso disinformata e preda oramai di un rancore cieco che taluni spacciano per “indignazione”. Traggo ad esempio questi commenti da Il Fatto http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/31/universita-giusto-lo-sciopero-dei-docenti-il-blocco-salariale-e-il-simbolo-dellattacco-allistruzione/3826178/:

    takesi kovacs
    ● 4 ore fa
    Fuori dall’Italia vale il detto “publish or perish” per i docenti universitari. Cioè, produci o scompari…Non è l’ideale, ma almeno è qualcosa. In Italia, dopo aver leccato il sedere del barone di turno per anni, diventi intoccabile. E si lamentano pure????

    Peter Silvarum
    ● 6 ore fa
    Incredibile. Intere categorie di lavoratori, le cui attività non sono meno utili di quelle svolte dai tanto riveriti professori universitari, percepiscono stipendi risibili nell’indifferenza generale, e quei privilegiati si lamentano pure! Perché non discutiamo dello sconcio malcostume del baronato, del regime castale che vige in seno agli atenei, dello strapotere della massoneria all’interno delle università italiane? E avete pure il coraggio di lagnarvi? Vergognatevi!!!

    Gli altri sono di tono analogo o peggiore. Inutile dire che quasi tutto il sistema attuale oramai è basato (con tutte le degenerazioni che ne conseguono) sul publish or perish e che per dieci anni non si è “entrati” per niente, né leccando il culo, né astenendosene, e che le cospicue slinguazzate non fanno aumentare né il FFO, né i punti organico: diceva Einstein che è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Stupendo poi questo:

    “in Italia noi paghiamo centinaia di ricercatori per esperimenti che sistematicamente falliscono senza mai un risultato utile” http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/20/biologo-a-montreal-in-italia-lavoravo-come-un-mulo-per-arrivare-a-stento-a-fine-mese/3789037/.

    Non è splendido? Se questa sarebbe “l’opposizione” forse urge al più presto un chiarimento … A me pare che tanti finti indignati siano solo utili idioti al servizio del potere, ma questa è una mia personale opinione.

  2. Sì certo, la propaganda è penetrata a fondo nei cervelli. Qualcuno è arrivato a scrivere che i professori universitari prendono 10.000 euro al mese e vanno in yacht. Altri in quel blog non sembravano avere la minima idea di cosa abbia rappresentato la legge Gelmini per il reclutamento e la precarizzazione, mentre si lamentavano dei giovani che lasciano il paese.
    La risposta è: scioperare lo stesso e scioperare in tanti. Abbiamo ragione.

  3. Mi par di capire che la fonte più autorevole contro lo sciopero è un articolo de L’Espresso ‘Ma quant’è bella la vita dei docenti universitari’. Citata da utenti infoiati come fosse la Bibbia: evidentemente la cupola EspressoRepubblicaCorsera esercita sui lettori il potere di annullare il cervello e ci riesce molto bene.

  4. La riforma Gelmini: ma ci pensate all’intero Consiglio di Amministrazione scelto dal Rettore? Tranne i rappresentanti degli amministrativi e degli studenti, che sono eletti! Comunque tutti come le tre scimmiette: non vedono, non sentono e non parlano. E come potrebbero?
    Mario Marcantonio

  5. Ancora qualche considerazione: in questi ‘minuti d’odio’ contro i docenti universitari mi meraviglia la quantità di pensiero acritico circolante sui blog: oggi un utente diceva che tutte le migliori università del mondo sono private, citando Harvard Cambridge e Bocconi.
    L’assurdità di una tale comparazione è evidente: innanzitutto i primi due atenei hanno un filtro in entrata, quindi non sono paragonabili a un qualsivoglia ateneo statale (ciascuno di noi farebbe lezioni di altissimo livello se potesse scegliere i dieci migliori studenti del suo corso, no?) e sono di fatto preclusi alla maggior parte della popolazione per motivi economici; quanto alla Bocconi, se si vuole credere ai famosi ranking mi sembra che ne esca maluccio e comunque percepisce non pochi fondi statali.
    In secondo luogo, personalmente conosco docenti che per una moderata tassazione statale non hanno nulla in meno di grandi star internazionali, ma il grande pubblico non li conosce (come potrebbe? Insegnano materie di nicchia), eppure si tratta di maestri che hanno insegnato, dato tesi e lavorato con grande passione.
    Spiace davvero che l’ignoranza e l’aggressività finiscano per tratteggiare un quadro a senso unito.
    Vola la smemoratezza: l’università italiana per molti decenni ha permesso a figli di operai e piccoli impiegati di laurearsi e fare carriera. Oggi si spinge nella direzione opposta e molti plaudono senza capirlo
    alla fine di un’istruzione pubblica di buona qualità, per la quale vale assolutamente la pena di battersi.

  6. Cambridge è statale come Oxford, lse, Imperial College, Warwick ecc. ecc.
    Tanto per citare alcuni pezzi forti del Russel group.

    Se vediamo dall’altra parte dell’oceano University of California system è statale, per esempio…
    Oddio la Bocconi, de gustibus… poi è specialistica, non multidisciplinare come Harvard e Cambridge.
    Quei commenti sono solo sciocchezze da perditempo, l’anno scorso nel medesimo periodo c’era sullo stesso giornale la polemica sterile di quel giornalista ex bocconiano sull’utilità degli studi filosofico-letterari, coincidenza?

  7. dacci oggi la nostra classifica quotidiana: se è sempre più evidente qual è il ruolo dell’ateneo pisano nel sistema universitario toscano, quale sarà il ruolo dell’ateneo senese, oramai dimezzato? Non so…qui dicono tutti che le cose sono tornate a posto, ma che io sappia solo alle lucertole se tagli la coda questa ricresce spontaneamente. A una specie di vermi ricresce addirittura la testa, senza che perdano la memoria, ma non è il caso degli umani
    http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/17_settembre_05/times-incorona-sant-anna-migliore-universita-italiana-68ec57c2-921f-11e7-ad4c-9fea13166872.shtml.

    PISA La Scuola Superiore Sant’Anna è la migliore università italiana. Almeno secondo il Times Higher Education. Nella classifica stilata per il 2016 dalla rivista specializzata britannica pubblicata martedì 5 settembre, infatti, l’istituto universitario pisano si posiziona al primo posto in Italia e al 155esimo nel mondo, superando per la prima volta la Scuola Normale Superiore che scende dal podio nazionale e dal 137esimo al 184esimo posto mondiale.

    Sotto la lente oltre 1.000 atenei

    Il Times Higher Education ha esaminato 1.102 istituzioni in 77 paesi del mondo, contro le 980 dell’anno scorso: per l’ateneo pisano si tratta di un netto salto in avanti, pari a 35 posizioni in più rispetto alla graduatoria del 2015. Nel Bel Paese, dunque, il podio è tutto toscano: Scuola Sant’Anna e Scuola Normale sono le uniche italiane nella top 200 delle eccellenze vere e proprie. Sono cinque i parametri che determinano la graduatoria: la didattica, la qualità della ricerca e la sua reputazione, le citazioni (ovvero, l’influenza della ricerca effettuata dall’ateneo), le prospettive internazionali e il trasferimento di conoscenza all’industria.

  8. La Francia ha da tempo avviato processi totalmente antidemocratici nell’educazione: tagli alle superiori, creazione di doppi binari, limitazione degli accessi alle scuole elitarie (addirittura su base territoriale, cioè a totale favore di Parigi). La cosa più spaventosa è il modo in cui la popolazione se lo fa imporre. Hanno perso parecchi punti anche loro negli ultimi decenni.

  9. in effetti sono paragoni del cacchio: Sant’Anna e Normale non sono atenei; ma il segnale che viene dai media, i quali a loro volta captano il segnale che viene dalla politica, è chiaro e va nella direzione della cancellazione del modello di un buon livello medio diffuso, per concentrare la più parte delle risorse in pochi grandi “hub” di alta qualificazione. Così, magari, qualche università italiana entrerà nel gotha degli atenei, secondo Times Education. Siccome non è detto che le eccellenze al momento risiedano nelle sedi predestinate, se magari fossero più espliciti e dicessero cosa attende chi (non essendo per forza un idiota) vive e opera alla periferia dell’impero, non sarebbe male. Non so se dopo lungo assedio si aspettano suicidi collettivi, come nella fortezza di Masada….

    • p.s. gli articoli citati da Andrea, uniti a una campagna stampa battente, accompagnata da ondate di interventi di genere squadristico e diffamatorio sui blog tendenti a delegittimare in tutti i modi possibili l’università al grido de: “la cultura non serve a niente!”, preludono all’epilogo non esattamente fantapolitico che pavento: la concentrazione in pochi “hub” macroregionali di quasi tutte le risorse (“università di serie A”, “research university”), onde riuscire ad entrare nel salotto buono dell’ARWU o di Times Education. Il resto o chiuso o ridotto a scuole professionali parauniversitarie del genere Fachhochsculen e a sedi distaccate ove si svolge soltanto la didattica (almeno finché non verrà generalizzato il metodo della teledidattica a distanza). Questo modello rischia di inaridire oltre ogni limite accettabile intere aree del paese. In ogni caso, se è vero che in molti paesi università e scuole professionali, didattica e ricerca sono separate, nel modello che si va prefigurando restano da chiarire i rapporti fra centro e periferia, tra didattica e ricerca.

  10. Cambiare classe politica.

    • Se la classe politica che si prepara a defenestrare quella attuale facesse il favore di dire come la pensa su questi temi, gliene saremmo tutti grati.

  11. Intanto dovrebbe cambiare un’intera classe dirigente europea, che ha portato l’università verso modelli aziendalistici ed economicistici senza chiedercelo (in Germania, uno dei paesi più ricchi della terra, sono ormai pochissimi i posti da strutturato). L’Italia poi ha una classe politica scadente, ancora peggiore di quella fatta fuori da Mani pulite, costituita da piddini che odiano il proprio paese, intrallazzoni destrorsi, grillini esagitati, leghisti arrabbiati. Tranne i grillini, di cui non so dare un giudizio, gli altri non hanno mai agito a favore della scuola e dell’università e vi hanno messo mano solo per distruggere, complice un paese abbastanza anestetizzato e a volte complice.

    • “Dal governo di una Repubblica fondata anche sullo «sviluppo della cultura» e sulla «ricerca » ci si aspetta non la cancellazione delle scritte sui monumenti di ottant’anni fa, ma la costruzione di strumenti per leggere storicamente e moralmente quelle scritte. Il disinvestimento nella cultura e nella scuola, il sottofinanziamento dell’università e il loro orientamento sempre più professionalizzante rappresentano uno smantellamento della formazione alla cittadinanza, e dunque una distruzione dei veri anticorpi antifascisti.
      Per rispondere al terribile fascismo fiorentino degli anni venti, Nello Rosselli progettava di fondare biblioteche per ragazzi in ogni quartiere della città, e mentre era chiuso in carcere Antonio Gramsci rifletteva sull’urgenza di dotare l’Italia di «servizi pubblici intellettuali: oltre la scuola, nei suoi vari gradi», quelli che «non possono essere lasciati all’iniziativa privata, ma che in una società moderna, devono essere assicurati dallo Stato e dagli enti locali (comuni e province): il teatro, le biblioteche, i musei di vario genere, le pinacoteche, i giardini zoologici, gli orti botanici». E non si pensa senza vergogna alla nostra attuale incapacità di costruire a Milano un vero Museo della Resistenza, cioè un grande centro di ricerca, capace di redistribuire conoscenza critica attraverso i canali più moderni.” (Tomaso Montanari, Repubblica, 13 settembre 2017, riguardo alla proposta di abradere la scritta «Mussolini Dux» dall’obelisco del Foro Italico. http://www.eddyburg.it/2017/09/per-combattere-il-fascismo-meglio.html)

  12. “Sanno che si tratta di un’università sgangherata, dove troveranno professori scarsi e demotivati, aule e laboratori insufficienti, servizi improbabili. Se avessero i genitori ricchi se ne andrebbero a studiare in Inghilterra o in America, ma sono costretti ad accontentarsi di questa istituzione sbilenca dove si arriva dopo un esame di maturità disciplinato da 59 atti normativi e ci si trova di fronte allo sbarramento del numero chiuso.”

    http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/09/07/news/le_porte_chiuse_dell_universita_-174867916/

  13. L’autorazzismo e la ricerca di paradisi esteri (che paradisi non sono o comunque lo sono a caro prezzo) fa parte del dna piddino. Il piddino preferisce mandare il figlio all’estero che far funzionare l’università sotto casa. Non c’è niente da fare, non gli cambi la testa.

  14. “L’università italiana non ha nemmeno un ateneo fra i primi cento!” (Udito alla radio). Ma i primi cento de che?

    • facciano qualche mega conglomerato con 5 o 6 università federate, almeno si levano sta voglia una volta per tutte.

  15. Il piddino deve spargere odio verso le istituzioni nazionali (possibilmente scuola, sanità e amministrazioni territoriali) per poterle demolire con pseudoriforme fatte da tagli + cialtroneria esterofila. Neanche il referendum del 4 dicembre li fa arretrare: speriamo che cadano almeno per la loro stupidità. Ma non basta ancora: bisognerebbe ripulire anche il miur come Eracle fece con le stalle di Augia.

  16. Gentilissimo Andrea, assolutamente no. La tragedia di questo paese sta nella mancanza di alternative.

    • Oggi alcuni giornali pubblicano l’OCSE “Education at glance 2017”. Ecco la diagnosi, ancorché confusa. Se ci capite di più, correggetemi:

      1. “Lauree in Italia, la metà della media Ocse http://www.repubblica.it/scuola/2017/09/12/news/pochi_laureati_in_italia_la_meta_della_media_ocse-175261786. L’Italia registra appena il 18% di laureati, contro il 37% della media nella zona Ocse: il dato più basso dopo quello del Messico”.

      Ma “laureati” de che? I giornali fanno di tutta l’erba un fascio e non chiariscono se si tratta di laureati quinquennali o “laureati” triennali, o la somma di entrambi. Visto che in Italia meno del 50% dei triennalisti proseguono iscrivendosi al biennio successivo, la differenza non è da poco. Ma quando la smetteranno con questo colossale equivoco di confondere i “laureati” di primo livello, cioè i diplomati triennali con i “laureati” strictu sensu, cioè quelli magistrali? È giusto istituire lauree brevi professionalizzanti, ma qui stanno facendo passare un messaggio assai equivoco, ovvero che, salvo in blasonati atenei di grande nomea, la “vera” laurea è quella triennale (o tempora…): sarà il preludio di un declassamento degli atenei non destinati all’Olimpo dei “grandi hub” della ricerca?

      2. “Sono pochi (il 25 per cento contro il 37 per cento della Germania e il 29 per cento del Regno Unito) – redarguisce Repubblica/ – i giovani che escono dai dipartimenti più appetiti dal mercato: Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica, raggruppate sotto l’acronimo Stem.”

      Va bene, anche se dubito che il mercato si contenda laureati triennali STEM (salvo rispettabili eccezioni), ma se in totale i “laureati” (?) sono il 18%, mi sa che i “dottori” sono pochi in generale, sia gli scienziati, che gli umanisti. Ecco, statistiche a parte, una perplessità: lungi da me il disprezzare le applicazioni, quando odo questi discorsi vorrei soprattutto capire cosa intendono per “studi scientifici”, e se riescono ad intravederne un ruolo, un senso, che non sia meramente ancillare e di servizio rispetto alle immediate esigenze dell’economia.

      3. “Il tasso di occupazione nell’ambito Stem è dell’82%, (85% per ingegneria), in quello economico-giuridico dell’81%, per le materie umanistiche scende al 74%. “.

      Fantastico il trattamento della Giurisprudenza e dell’Economia, talvolta considerate “umanistiche”, talvolta “scientifiche”, talvolta né questo, né quello: 1,X,2.

      4. “Troppi laureati in discipline umanistiche – stigmatizza anche il Sole24Ore http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-09-12/italia-maglia-nera-laureati-fermi-18percentoe-boom-titoli-umanistici-104053.shtml?uuid=AEaw7ZRC – Colpa anche di un orientamento dei neolaureati poco legato ai bisogni emergenti dell’economia. Nel 2015 il 39% degli studenti ha conseguito una laurea di primo livello [cioè triennale] nel campo delle belle arti e delle discipline umanistiche, delle scienze sociali, del giornalismo e dell’informazione (media Ocse, 23%)”.

      È evidente che con una laurea triennale in lettere o giornalismo non si trova lavoro facilmente (per usare un eufemismo), mentre con un diploma professionalizzante la probabilità è più elevata. Ma considerare queste lauree addirittura una colpa, mi pare eccessivo. Lungi dallo sparare a zero contro i corsi di studio “umanistici”, com’è oramai di moda, la mia perplessità è semmai: a che servono le triennali “umanistiche”, se non accompagnate da una magistrale di livello sufficientemente rigoroso? Neppure ad insegnare nelle scuole (e soprattutto, ad insegnarvi bene). Servono solo ad interrompere, disarticolandolo, un percorso formativo completo. Qui la discussione torna al senso del 3+2 ed ai corsi di studio cinobalanici scaturiti dalle recenti ristrutturazioni.

      5.”Secondo l’Ocse, inoltre, l’Italia è maglia nera per la spesa pubblica complessiva nell’istruzione nel 2014.” Almeno questo è chiaro.

    • il problema, a mio avviso, è che di tutto quello che è successo, sta succedendo (e verosimilmente succederà) il cittadino medio non ne ha il minimo sentore. L’informazione giornalistica è la più proterva nel continuare a rappresentare un mondo che non c’è più, arrampicandosi su un lessico incerto e vuoto. Per questo non c’è un atteggiamento vigile. Tutti sono convinti che ci si sia stato un lieve sussulto, non un terremoto, e che tutto sia tornato come prima. Capita di cimentarsi in conversazioni surreali con persone che hanno terminato l’università vent’anni fa, magari perché vogliono iscrivere i figli, o per semplice conversare, e spesso parlano di “facoltà” che non esistono più in quanto tali, di corsi di studio che non esistono più, di dipartimenti che non esistono più, insegnamenti che non esistono più, docenti che non esistono più, un’organizzazione degli studi che non è più quella del tempo che fu, denominazioni che non denotano più niente. Quando glielo dici, cercando pazientemente di aggiornarli sullo stato delle cose, spiegando il significato di quei geroglifici con cui la burocrazia ha rimpiazzato il buon senso e le idee chiare e distinte, susciti spesso delusione, irritazione e sgomento, quasi fosse colpa tua…qualcuno ti prende per matto (“ma che dice questo qua? È matto? Come sarebbe non c’è più? Com’è possibile? Eppure quando ero studente io, c’era!”).

  17. Da anni la Confidustria conduce una battaglia contro l’umanesimo e lo studio inteso come coscienza storico-critica. E’ una battaglia profondamente stupida, ma funzionale a creare un esercito di schiavi pronti a farsi sfruttare e a competere per due soldi con gli immigrati.
    Nessuno impedisce a nessuno di incentivare ‘i bisogni emergenti dell’economia’, ma questa non può essere una battaglia contro l’Umanesimo a cui, tra l’altro, l’Italia deve le sue bellezze artistiche, letterarie e culturali.
    Invece di tagliare un anno di scuola superiore che facciano classi più piccole: molti giovani insegnanti troveranno lavoro e i ragazzi saranno più istruiti. Si curi il territorio, si aprano i musei, si restaurino i monumenti. Mi sembra un investimento molto più intelligente del business dell’immigrazione clandestina, per il quale si trovano 4,6 miliardi di euro l’anno (quindi i soldi ci sono, se si vuole).

    • I simpatizzanti di Confindustria risponderebbero così alle Sue considerazioni: “Belle parole ma fuorvianti, alla fine del mese bisogna pagare le bollette e senza lavoro è impossibile, se non si vuole stare a carico della famiglia ad aeternum”

  18. se abbiamo una percentuale di laureati pari alla metà degli altri paesi OCSE (il 18%, spero di interpretare bene, “di secondo livello”) e comunque risultano essere troppi, inclusi quelli con lauree STEM, credo che la Confindustria dovrebbe fare un serio esame di coscienza sulla natura del capitalismo italiano, visto che persino l’aceto balsamico di Modena è stato acquistato dagli inglesi.

  19. Non lo faranno mai. E mentre il paese complessivamente decade, contribuiscono alla sua decadenza mettendo le mani dove non sono competenti (l’istruzione) e fallendo dove dovrebbero esserlo (l’industria).

  20. […] con la riuscita oltre le previsioni dello sciopero dei docenti universitari indetto dal Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria (ciò al di là di ogni valutazione interna e specifica che dello sciopero stesso si voglia […]

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