«Comunque vada l’appello, l’esigenza di fare luce (anche fuori delle aule giudiziarie) su molti anni di gestione universitaria è sempre viva»

Documenti prodotti in 1° grado

Mario Ascheri. In bocca al lupo al prof. Giovanni Grasso, condannato in primo grado per diffamazione per un attacco del 2013 al rettore Riccaboni. Grasso è stato il primo blogger senese, conducendo esemplari battaglie per la libertà di opinione e la trasparenza, non solo all’Università, in anni di buio pesto per l’informazione quando più sarebbe stata necessaria libera e approfondita. Spero vivamente che in appello abbia modo di difendere la propria posizione, come pare non essergli stato possibile in questo primo grado di giudizio.
Comunque vada il processo su questo episodio specifico, l’esigenza di fare luce (anche fuori delle aule giudiziarie) su molti anni di gestione universitaria è sempre viva.
È interesse della città, prima ancora che dell’Università e delle singole persone coinvolte. Ma mi sembra che siamo molto indietro, come su tante altre questioni cittadine.

3 Risposte

  1. Caro Professor Grasso, vorrei esprimerle il mio dispiacere per l’esito del processo e la speranza che quello di secondo grado possa essere a Lei favorevole.
    Ora il professor Riccaboni, dopo aver così bene operato nell’Università di Siena, avrà la possibilità di mettere in mostra le sue indubbie qualità manageriali nel governo del Monte. Finalmente, grazie alla sua riconosciuta indipendenza dal Sistema Siena – l’elemento magmatico che ha “liofilizzato” pure l’Università – la Città riavrà una banca pulita, efficiente e rispettosa dell’etica.

    Coraggio Professore, tenga duro e continui ad esserci d’esempio come uomo libero e coraggioso.

  2. C’è sicuramente l’esigenza di fare luce sul passato, ma ancor più pressante è l’esigenza di “fare luce” sul futuro. I dati parlano chiaro: i docenti di ruolo oggi sono poco più di 600, dunque perdita di 400 docenti su 1000 a casaccio e smantellamento di intere aree scientifiche solamente a causa dell’anagrafe: anzi, chi meno mangiò al tempo delle abbuffate, quello risulta adesso più penalizzato. Anche chi dice che il numero è quello “giusto” per un piccolo ateneo, dovrebbe spiegare “giusto” per cosa, giacché si tratta semplicemente di quelli che non sono andati in pensione, senza dunque particolari affinità, che non siano quelle anagrafiche. Chi, sovente per puro caso, è sopravvissuto al terremoto, ha maturato una insana idea di predestinazione e di onnipotenza, ritenendosi talvolta autorizzato a calpestare la dignità altrui.

    E poi ci si dovrebbe chiedere se nella cornice della politica universitaria oramai consolidatasi, a prescindere dal colore dei governi (prossimo ministro: Superciuk, l’eroe dei fumetti che rubava ai poveri per donare ai ricchi), un “piccolo ateneo” povero ha una qualche possibilità di sopravvivenza, insistendo in un territorio dove nel raggio di cinquanta chilometri vi sono altri due grandi atenei ricchi. Dopo la débacle della perdita del 40% dei docenti, il reclutamento è ripreso a scartamento ridotto (non al livello di oltre il 50% come nei grandi atenei finanziariamente “virtuosi”, a causa del gravame dei debiti che ancora pesano su Siena). E poi in quali settori? Ci sono le emergenze, e poi c’è semplicemente la legge del più forte e la lotta per la vita, come Tarzan nella giungla.

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