La pseudo-internazionalizzazione: il Consiglio di Stato boccia i corsi in inglese nell’università italiana

Clicca per ascoltare: Il Consiglio di Stato boccia i corsi in inglese del Politecnico di Milano.

Università: con il mantra della valutazione e della meritocrazia siamo in pieno delirio

Donato Zipeto

Da: Unilex, 17 e 18 gennaio 2018

Donato Zipeto. Ha senso parlare di merito quando si parte tutti dalle stesse condizioni.
Gara dei 100 metri… partono tutti dalla stessa linea, nello stesso momento, sulla stessa pista, con lo stesso tipo di scarpe, ecc. ecc. Non parte uno prima, uno dopo, uno zoppo, uno monco, qualcuno scalzo o con i chiodi seminati lungo la pista.
Nelle gare “meritocratiche” all’italiana, chi arriva primo la prossima volta parte 10 metri più avanti. L’ultimo 10 metri indietro. Così aumentiamo la “meritocrazia” e continuiamo a premiare i primi.

Quello non è merito, è reiterare e aumentare disuguaglianze e divari.
Facile la “competizione” e la sedicente “meritocrazia” quando si hanno a disposizione aeroporti, ferrovie, infrastrutture adeguate per organizzare convegni, per alimentare collaborazioni fra sedi diverse, per ricevere tempestivamente reagenti o strumentazioni. Quando si possono invitare colleghi dall’estero per corsi e seminari.
Mi piacerebbe prendere i tanti fautori di questa meritocrazia “pelosa”, confinare le tante sedicenti “eccellenze” in sedi decentrate senza risorse, strutture e infrastrutture, e vedere dove va a finire, da lì a poco, la loro eccellenza e la loro meritocrazia.
La ricerca, la cultura, sono innanzitutto collaborazione, scambio, ibridazione, idee che circolano, che si muovono, che si diffondono.
Parlare di competizione, gara, eccellenze e simili, nell’ambito della conoscenza, è una totale idiozia. Il neoliberismo lasciatelo agli economisti vecchia scuola, quelli della crescita infinita e indefinita, e ai danni che stanno facendo.

Risponde Franco Pavese: «Zipeto ha messo come “gara” il significato di riconoscimento del merito…»

Replica Zipeto: «Caro collega, non l’ho “messo” io. È il sistema messo in piedi da politici ignoranti, imprenditori beceri e truffaldini, giornalisti lecchini, opinione pubblica ostile e manipolata e colleghi ignavi.
Si brandiscono termini, quali meritocrazia ed eccellenza, come clave per far fuori chi canta fuori dal coro. Mi limito a costatare quello che è davanti agli occhi di tutti.»

Scrive ancora Franco Pavese: «sottoscrivo le parole di Zipeto solo quando dice “la ricerca, la cultura, sono innanzitutto collaborazione, scambio, ibridazione, idee che circolano, che si muovono, che si diffondono”, ma ciò è ben chiaro e realizzato solo da chi svolge bene la sua professione intellettuale, che può dimostrare senza timori a chicchessia il suo “merito”, mediante il suo curriculum fondato su dati oggettivi: pubblicazioni per la ricerca, soddisfazione degli studenti ai suoi corsi.»

Replica Zipeto: La ricerca, quella vera non la “catena di montaggio” che va di moda oggi per essere “eccellenti”, è serendipity. E non c’è tutto questo merito nella serendipity.
Quando ero ancora studente, una vita fa, ricordo l’ultima lezione del professore di fisiologia, che da lì a poco sarebbe andato in pensione. Ci raccontò, quell’ultimo suo giorno in università, la storia della principessa che perde l’anello durante il ballo, in giardino. Il re chiama il capo delle guardie, e tutti a cercare l’anello smarrito in ogni fosso, dietro ogni cespuglio, sotto ogni sasso. Finalmente una guardia lo trova, torna con l’anello, e il re propone per lui un premio. Il capo delle guardie si oppone. Perché la guardia che ha ritrovato l’anello smarrito c’è riuscita perché tanti altri, tutti gli altri, cercavano da qualche altra parte. Da solo non ce l’avrebbe mai fatta.

Prendendo spunto da questa storiella e arrivando alla realtà dei giorni nostri, va scovata e sanzionata la guardia che invece di cercare s’imbosca, si nasconde, schiaccia un pisolino, o comunque non fa il suo dovere.
Magari una pacca sulla spalla o una mezza giornata di libera uscita a chi ha trovato l’anello. E un grazie a tutti quelli che hanno svolto il loro compito.
Con la retorica dell’eccellenza e della “mediocrazia” de noantri invece, facciamo generale la guardia che ha trovato l’anello, e tutti gli altri a pulire le latrine.

I comportamenti poco etici (scambi di citazioni, salami-publishing, dati vagamente confermati et similia) stanno minando la credibilità della scienza e della ricerca. Tutto nel nome del mantra della valutazione e della meritocrazia. Altrove stanno cominciando a capirlo, e a fare qualche passo indietro. Da noi siamo in pieno delirio.

Un’ultima osservazione. Se per scovare e non finanziare un, diciamo, 5% di fannulloni, e non “sprecare” x € per nulla, imbastiamo una valutazione dai costi esorbitanti, diciamo 10x €, stiamo facendo una boiata pazzesca. Perché ci saranno meno fondi per il 95% che lavora bene, e andremo a ingrassare valutatori scopiazzatori, politici in libera uscita, editor di riviste predatorie, burocrati asfissianti, e tutto il resto del circo che vi gira intorno.
My 2 cents.

Con un trucco contabile, e trasferimenti, le università non virtuose si svuotano, risanano e ridiventano “virtuose”?

Da: Italian Engineers (12 gennaio 2018)

Michele Ciavarella. Il collega ItalianEngineer “Renzo Rosso” di PoliMI lamentava sul SecoloXIX vedi qua che non ci sono più i trasferimenti. Si sbagliava! La legge italiana rende trasferibile e quindi virtuoso un docente, conteso da tutte le Università italiane, non perché è bravo, ma perché viene da una Università non virtuosa!

Sì avete sentito bene, il paradosso è questo, solo un qualunque docente di Università non virtuosa ha uno status privilegiato, e diventa per questo “virtuoso”. Forse le Università che lo accolgono fanno una scelta e verificano se è virtuoso, ma siccome costa zero, perché andare per il sottile?
Le università che sono in “tensione finanziaria”, una volta si diceva “non virtuose”, potrebbero svuotarsi progressivamente (probabilmente semplicemente dei docenti di altra sede), almeno fino a riportarsi a situazione “positiva” (ossia sotto 80% di quota stipendi), e ridiventare virtuose. Anzi, i docenti di queste sedi hanno un’occasione unica per andarsene, visto che chi li assume, recupera interamente il loro costo!

Questo va:
0) A vantaggio dei docenti fuori sede delle Università non virtuose, che in questo hanno un vantaggio rispetto ad analoghi docenti di Università virtuose; la discriminazione paradossale di cui sopra.
1) A vantaggio delle grandi Università virtuose che non hanno questo problema e si possono scegliere dei docenti da assumere “gratis”; questo almeno mi pare sensato.
2) A vantaggio anche delle Università non virtuose che risolvono la loro situazione rapidamente: si svuotano! Sembrerebbe paradossale ma questo lo fa intuire che l’emendamento sia stato proposto da un parlamentare dell’area di Cassino (Pilozzi). Infatti, svuotandosi, si torna in condizioni finanziarie vantaggiose (sotto 80% del monte stipendi) ossia virtuosi, e si può ottenere per il futuro più posti da Professore visto che l’indicatore oltre all’80% blocca l’assegnazione al 50% del turnover.
Quindi, se perdo X professori oggi, però scendo sotto 80%, il turn-over si sblocca. Per capire il vantaggio occorrerebbe sapere quanti sono i docenti che devono andare in pensione. Se sono molti (per es. 10X), allora si crea un vantaggio netto passando da 25% del turnover (credo) al 50%, di 2X docenti.
3) Alla fine tutto ridiventa “virtuoso”, ma fa parte dei giochi complessi dell’assegnazione dei fondi all’università che non ci sia stato un intervento a copertura della manovra, perché in realtà questo non crea dei punti organico, ma solo sblocca il turnover in alcune Università. Se fosse stato fatto anni fa, quando le Università non virtuose erano molte, avrebbe creato un chaos.
4) Naturalmente, a regime tutti diventiamo “virtuosi”, fino a nuova definizione di “virtuoso”, ad oggi sconosciuta, e che verrà decisa a posteriori un giorno X non noto oggi.

Se questa manovra viene anche ripetuta è un po’ la ciliegina sulla torta di chi pensava che veramente nel 2001, quando si cominciò a parlare di Università virtuose, si volesse fare sul serio!

Premi ai dipartimenti sani e di eccellenza e cure compassionevoli a quelli sofferenti e “disabili”

Rabbi Jaqov Jizchaq. «Sono quattro i dipartimenti di eccellenza dell’Università di Siena entrati nella lista dei 180 dipartimenti che otterranno fondi straordinari dal Miur nel quinquennio 2018-2022, ripartendosi 271 milioni di euro complessivi previsti annualmente, secondo quanto stabilito dalla legge di bilancio 2017. Gli esiti della selezione, molto attesi, sono stati resi noti questa sera dal Ministero. I dipartimenti premiati sono Biotecnologie, chimica e farmacia, Biotecnologie mediche, Filologia e critica delle letterature antiche e moderne, Scienze sociali, politiche e cognitive, sulla base di progetti di alto valore scientifico elaborati e presentati nei mesi scorsi, e successivamente valutati da una commissione di sette esperti individuati dal ministero in collaborazione con ANVUR.» (il Cittadino online)

Complimenti senza dubbio ai vincitori dei “ludi dipartimentali”, ultima gara dei ludi cartacei che hanno occupato gli atenei a tempo pieno in questi anni. Rimane il dubbio di fondo sul fatto che un medico non dovrebbe “giudicare” il paziente, premiandolo se è sano. Così la politica universitaria dovrebbe considerare le aree scientifiche in pesante sofferenza e valutare se culturalmente e strategicamente è il caso di curarle, piuttosto che limitarsi a giudicarle negativamente. Insomma, dovrebbe avere una visione. Molte aree scientifiche sono prossime alla scomparsa: mi chiedo se la politica universitaria, abdicando al suo ruolo, debba intervenire solo post mortem e limitarsi al ruolo di becchino, affiggendo manifesti funebri alla memoria del “caro estinto”, una volta constatato il decesso.

Fermo restando che dopo lo scioglimento delle Facoltà, dai nomi di molti nuovi dipartimenti non si capisce nemmeno quale ne sia il contenuto effettivo (e mi metto nei panni di un referee neozelandese di una rivista, che in calce ad un articolo legga l’affiliazione dell’autore), nelle condizioni in cui sono ridotti, molti settori che fanno parte di questi contenitori non sono più in grado di competere con le corazzate di grandi atenei. S’intravede per essi solo una lenta agonia e una sopravvivenza grama in una posizione ancillare. Mi domando se non sarebbe meglio chiuderli definitivamente e dislocare altrove chi vi lavora, e qui tornano utili le considerazioni fatte in precedenti messaggi intorno alla necessità di una “massa critica” per produrre qualità. Ma il punto è che il giudizio pare irreversibile in aeternum: un meccanismo che si autoalimenta, per cui ai “ludi” prossimi venturi vinceranno sempre i soliti. Questa continua accentuazione dei divari esistenti, finanziando alcuni dipartimenti a danno degli altri (ulteriormente indeboliti dunque in modo deliberato), finisce difatti per chiamare inevitabilmente in causa il destino dell’intero sistema degli atenei, questione che non può più essere elusa.

Dice giustamente Viesti: «un gruppo di tecnocrati “illuminati”… in base alla conoscenza che solo essi hanno del Bene e del Male, perseguono un disegno politico-ideologico (assai simile nelle sue linee ispiratrici a quello del partito conservatore britannico) volto ad un radicale ridisegno del sistema dell’istruzione superiore, che concentra risorse su poche sedi da essi prescelte, e destina misure compassionevoli alle altre, caratterizzate “da disabilità”, secondo l’espressione coniata da (due membri del) direttivo ANVUR.»