Morto Casaleggio, protagonista della modernità nella politica ai tempi di Internet

Gianroberto Casaleggio - Marco Pannella - Emma Bonino

Gianroberto Casaleggio – Marco Pannella – Emma Bonino

In morte del guru, ridateci Emma e Marco (Editoriale: l’Opinione, 13 aprile 2016)

Paolo Pillitteri. Da giorni il pensiero va all’antica, eppur viva, esperienza radicale. Sarà il referendum prossimo venturo, sarà anche il riflusso politico a proposito degli aborti (troppi gli obiettori, la mala pasqua ai pochi medici osservanti della 194, con pesanti ricadute anche penali, ecc.). Ma poi è arrivata la notizia della morte di Gianroberto Casaleggio e la costrizione a riflettere sull’assenza “politica”, o quasi, di Marco Pannella e di Emma Bonino, mi ha indotto a concludere che sì, è vero, Casaleggio è stato un importante innovatore, che la Rete, i blog e i meetup costituiscono un bagaglio comunicativo e aggregante di notevole valore, ma ne avverto sempre una virtualità che cozza fortemente con bisogno di fisicità, di esempi per dir così viventi, di corpi reali, di persone “in carne ed ossa” cui guardare. E, dunque, non mi resta che proclamare: mi manca Marco, mi manca Emma, ci mancano i “radicali” come erano rappresentati da quei due simboli. Riflettendo ulteriormente su Casaleggio ne ho scovate delle similitudini con quei “radicali”, ma erano e sono puramente formali se non, addirittura, frutto di un desiderio personale piuttosto che di una corrispondenza politica e storica.

Magari i seguaci di Grillo e Casaleggio si fossero ispirati alla tradizione libertaria, liberale e garantista dei radicali. Spiace sempre la morte di un protagonista della modernità portata nella politica ai tempi di Internet, e Casaleggio lo è stato indubbiamente. Ma è diversa e più intimamente perturbante la memoria di una presenza fervida nella politica italiana di Pannella, della Bonino e di altri esponenti. Una presenza fattiva, sempre in azione, sempre sul pezzo ma conservando una struttura “filosofica” non arrendevole alle mode, non coniugabile con le passeggere voluttà dell’italiano in cerca di novità. E il rapporto fra gli epocali referendum legati ai radicali, le memorie degli scontri su divorzio e aborto con i duelli di carta di oggi in riferimento al prossimo referendum sulle trivelle (con annesse intercettazioni nel fantasmatico Totalgate lucano) ci fa precipitare in una sorta di terra di nessuno dove primeggiano esclusivamente le parole in libertà, la rissa, le contumelie e, soprattutto, la voglia di cappio, la sete di manette, il giustizialismo come arma letale per il nemico. Donde l’acuto rimpianto per le battaglie per il garantismo erga omnes che Pannella condusse negli anni Novanta, e come ci mancano quegli assalti all’imbarbarimento della lotta politica condotta sull’onda del circo mediatico giudiziario. E si scopre, dunque, la portata davvero storica delle battaglie di Marco ed Emma e dell’anima politica che le strutturava, osservandone la durata nel tempo, la loro continua azione nella stessa grigia quotidianità. Perché erano ancorate ad una concezione alta della politica, si iscrivevano prepotentemente in un’agenda che abbisognava assolutamente di una svolta, di una rottura, anche interna alle famiglie della vastissima componente cattolica, ma pur sempre iscritta nell’inconfondibile Dna di una battaglia di contenuti destinata ad incidere sulle esistenze e sulle stesse mode.

Oggi accade l’inverso e nella parabola del Movimento Cinque Stelle e riletta nella vicenda di Casaleggio – che del movimento è stato davvero la magna pars con l’invenzione della mitica democrazia diretta – si racchiude un percorso contraddittorio che dalla primigenia forza bruta distruttiva della politica del “tutti ladri, mandiamoli a casa!” si è progressivamente trasposta su livelli diversi, su piani che abbandonavano gli slogan dell’uno vale uno (Casaleggio docet) per incamminarsi nei sentieri delle consuetudini del fare il sindaco, l’assessore, il responsabile amministrativo e, diciamolo pure, il deputato e il senatore.

L’imposizione ferrea delle lex del network superiore ad ogni altra prescrizione ha finito col denegare il senso della democrazia diretta nella misura davvero ridotta dei partecipanti decisori in Rete di scelte che impallidiscono davanti a qualsiasi primarie. Per non parlare dell’ecatombe di espulsi, anche per le più banali ragioni, comprese quelle delle quali i sopravvissuti se ne fanno un baffo, a cominciare dalla presenza nei talk-show, cioè nella tivù, ritenuta, allora, un ferrovecchio utilizzato dai manipolatori del consenso e, chissà mai, dalla piovra delle multinazionali. Mai una presenza nei talk è stata più intensa e petulante di quella di certi pentastellati, sempre arruffati i maschi, spesso anche machi, e altrettanto scarmigliate le donne. Di costoro era riconosciuta, allora, l’irruenza oppositoria sventolante il cappio, ma oggi è ben visibile la disponibilità al set, sia pure con una sempre superba supponenza di chi ha le soluzioni in tasca, ma con tanto di eleganza, di posa, di trucco, appena accennato per i maschi e una molto ben ritoccata plasmatura del volto per le femmine. La Raggi dalla Gruber è l’esempio più insigne.

Dicono che sia stata la scuola di politica (televisiva) imposta loro da Casaleggio a produrre questa modificazione, ma non si tratta solo di fashion ad uso del telespettatore, di una modellatura superficiale. No, perché questi cambiamenti sono avvenuti contestualmente a quelli delle scelte politiche, con un sorta di adagiarsi day by day al vento che spira, agli umori, alle opportunità, agli appigli per prendere in castagna il nemico, cambiando radicalmente posizione, basta pensare alla vicenda della fecondazione assistita per rendersi conto che, adesso, sono le mode ad imporsi sulle scelte politiche e non viceversa, come ci hanno invece mostrato gli esempi di Marco e di Emma. Ci mancano, quanto ci mancano!

Dario Fo

Dario Fo

Il ricordo di Dario Fo (Da: Il blog di Beppe Grillo, 13 aprile 2016)

Dario Fo. Quando si parla di Gianroberto i giornalisti tendono a classificarlo quasi subito come l’ideologo, il guru, del MoVimento 5 Stelle. È la definizione più banale e ovvia che si possa pensare. Bisogna partire da un fatto importante, la sua cultura. Era un uomo di una conoscenza straordinaria, leggeva tutto quello che riteneva fosse importante sapere, faceva collegamenti molto acuti fra i vari testi e aveva un modo di esprimersi riguardo alle diverse situazioni mai banale e prevedibile. Mi capitava spesso di chiedere se avesse letto dei particolari libri che ritenevo importanti, e non azzeccavo mai un documento che lui non conoscesse già, tanto che un giorno gli ho detto: “Ascolta, fai più presto a dirmi quello che non conosci, così non mi metti più in imbarazzo”.
Spesso diceva che era impreparato a dare un giudizio su certi argomenti, e questo denota una modestia, un’umiltà che è difficile trovare nell’ambiente della politica comune.
Un altro tratto del suo carattere che posso testimoniare è la generosità nel modo di comportarsi, specie di fronte ad alcuni momenti tragici della vita del nostro paese.
Inoltre evitava le dichiarazioni roboanti e preferiva analizzare prima di definire. Quando gli chiedevo notizie sulla sua salute cercava di non dare molto peso al problema, diceva: “Sì, non va tanto bene ma speriamo di migliorare”.
A me, personalmente, manca molto. È un baratro nella mia memoria.
La sua scomparsa è una perdita gigantesca per il Movimento, e non so immaginare quali conseguenze possano verificarsi, ma sono certo che le persone straordinarie che ne fanno parte, specie i giovani dell’ultima generazione, saranno in grado di proseguire sulla giusta via.

Il rischio che i grillini corrono è che «diventino più partitocrati dei partitocrati che combattono»

Gianfranco Spadaccia

Gianfranco Spadaccia

«Il M5S? Sono solo apprendisti stregoni» (Da: il manifesto, 8 febbraio 2014)

Carlo Lania. «Noi ci definivamo degli ultrà della democrazia e avevamo una solida cultura liberal-democratica che al M5S non solo manca, ma mi sembra la metta anche in discussione. Grillo deve stare attento, perché rischia di fare la stessa fine della Lega e dell’Idv, che a forza di contrastare la partitocrazia hanno finito per acquisirne tutti i vizi». Se in Italia c’è un partito che in passato ha fatto dell’ostruzionismo una pratica quasi quotidiana questo è il partito Radicale, di cui Gianfranco Spadaccia è stato uno dei fondatori e parlamentare. 79 anni, giornalista, oggi è impegnato in una rilettura degli scritti di Leonardo Sciascia ma osserva con attenzione non solo quanto accade in parlamento, ma anche nella rete, regno di Beppe Grillo. «Questi referendum che organizza su vari temi sono ridicoli», dice. «Come fa a parlare di democrazia diretta quando a votare sono solo 50mila persone contro i 9 milioni di elettori del M5S?».

Spadaccia, le piace il modo di fare opposizione del M5S?
Devo dire che ho stima di alcuni di loro perché mi ricordano tanti ragazzi che hanno militato nel partito Radicale e nei Verdi. Gente arrivata alla politica non solo per esigenze morali, ma per voglia di rinnovamento. Detto questo, non condivido assolutamente il metodo con cui il M5S fa opposizione e la patente di democrazia diretta che Grillo attribuisce a se stesso. Viviamo in un mondo in cui la partitocrazia ha travolto tutte le regole della formazione delle classi dirigenti, del dibattito democratico, della trasparenza nella gestione della cosa pubblica, e poi facciamo qualcosa di ancora più evanescente e più opaco, perché il web va a impulsi, e chi controlla gli impulsi governa la democrazia diretta del web.

Ovviamente parla di Grillo e Casaleggio.
Sicuro. Io sono una persona che crede che la democrazia parlamentare debba essere integrata da forme di democrazia diretta. E sono convinto che in questo quadro il web possa essere utilmente utilizzato, ma deve essere regolamentato, non può essere affidato all’autogestione di un singolo partito.

In questi giorni si paragona il M5S al fascismo. Le sembra corretto?
Sono molto prudente sia nel rispondere positivamente che negativamente. Se vado a guardare tutte le persone che hanno collaborato al Popolo d’Italia negli anni precedenti il fascismo e le buone ragioni che molti dei sostenitori iniziali del fascismo avevano… Tanto per intenderci: prima di incontrare Salvemini anche Ernesto Rossi scriveva sul Popolo d’Italia. Quello che posso dire è che alcuni meccanismi autoritari sono molto pericolosi e vedo nei grillini il rischio di diventare degli apprendisti stregoni che non controllano più quello che mettono in movimento.

Che differenza vede tra il modo in cui voi facevate ostruzionismo e quello del M5S?
Mi colpisce sempre che loro con l’ostruzionismo pensano di non far passare un provvedimento, mentre noi facevamo un’opposizione durissima ma quando il governo poneva la fiducia ci fermavamo. L’importante era far passare il messaggio, far capire al Paese il perché del nostro comportamento. Ma la differenza fondamentale è un’altra: come noi anche loro, almeno a parole, sono degli ultrà della democrazia, però mentre noi avevamo una solida cultura liberal-democratica, qui non solo mi pare che manchi, ma viene perfino messa in discussione, tanto che parlano di democrazia delegata.

C’è poi il problema delle alleanze: Grillo le rifiuta, voi le cercavate.
Certo, le faccio un esempio: sul divorzio con Loris Fortuna e nella Lid negli anni ’60 realizzammo da extraparlamentari un’alleanza con Psi, Pli e partiti laici che coinvolse l’opposizione comunista. E su questa alleanza puntammo negli anni 70 per costruire una alternativa ai governi Dc, in polemica con la strategia del compromesso storico.

Possiamo dire che un movimento come il quello di Grillo un po’ ce lo siamo voluto?
Se lo sono voluto. L’assetto partitocratico si è sempre scelto, un po’ per inerzia e un po’ a ragion veduta, i propri oppositori. Questo è avvenuto con la Lega, ma anche con l’IdV di Di Pietro. Il rischio che adesso i 5 stelle corrono è che si ripeta quello che è successo per la Lega e per l’Idv, che dalla lotta alla partitocrazia finiscano col diventare più partitocrati dei partitocrati che combattono. Grillo non può pensare di salvarsi con gli stipendi bassi dei parlamentari. Anche esagerando in questo, con il rischio che una serie di spese vengano scaricate sul finanziamento dei gruppi. Perché se tu tagli troppo stipendi e rimborsi a chi deve venire in parlamento, poi delle compensazioni bisogna trovarle.

Torniamo all’ostruzionismo. Anche voi non ci andavate certo leggeri.
Guardi, io non dico che noi era­vamo buoni ed edu­cati per­ché non lo era­vamo affatto. Ricordo Roberto Cicciomessere che alla Camera arrivò a strappare il regolamento davanti al banco della presidenza. Fu un gesto forte, molto offensivo, ma simbolico. Ma penso anche agli scontri avuti alla Camera con Mario Pochetti, che era il mastino del presidente del gruppo comunista, ma anche al Senato, dove ho avuto confronti durissimi con Perna, Trombadori, Bufalini, con lo stesso Maurizio Ferrara. Tuttavia c’era rispetto reciproco e sono nate anche delle amicizie.

E si manteneva il rispetto delle istituzioni.
Una volta, parlando con Pannella, Loris Fortuna ci definì i sollecitatatori delle istituzioni, quelli che pretendevano di attivare i meccanismi della democrazia.

Sia sincero: le è mai scappato un insulto sessista?
No, il sessismo non ha mai fatto parte delle nostro bagaglio, ma neanche la violenza, al di là di quella simbolica. Il massimo che ricordo sono le accuse di Mellini e nostre ad alcuni settori del femminismo che, tra gli anni 70 e 80, finivano per essere contrari alla libertà sessuale in nome della parità tra uomo e donna. Noi le accusavamo di essere delle bigotte di sinistra. Ricordo anche che una volta Pannella rimproverò a Nilde Iotti di tenere l’ordine in aula come una maestrina. Ma questo è davvero tutto.

Una cosa in comune con il M5S i radicali comunque ce l’hanno, ed è la battaglia per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Non è così. Vede io mi preoccupo di abolire il finanziamento pubblico ma mi chiedo anche quali debbano essere le forme di finanziamento della politica che posso prevedere. Un’idea bisogna averla. Non si può risolvere tutto dicendo io faccio il fondo per le piccole imprese, perché è solo un modo per farsi pubblicità. Lei dice che abbiamo lo stesso obiettivo? Io le rispondo che l’estate scorsa noi radicali abbiamo presentato un referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico e ci siamo rivolti anche al M5S, ma loro si sono guardati bene dall’aderire.

I radicali e la sindrome grillina

Marco Pannella ed Emma Bonino

Marco Pannella ed Emma Bonino

Da: L’opinione 2 marzo 2013

Dimitri Buffa. C’è chi non voleva “morire per Danzica”. E poi contribuì allo scoppio della seconda guerra mondiale. E c’è chi, oggi, mutatis mutandis, tra i radicali italiani, intesi come i più o meno aderenti o iscritti alla galassia creata da Pannella alla fine degli anni ’80 attorno al Partito radicale transnazionale e transpartito, si chiede se abbia senso continuare a fare politica perché gli altri ne raccolgano i frutti elettorali e istituzionali. Cioè se abbia senso “lavorare per Grillo”. L’interessato però, benché il gennaio 1998 in un’intervista vagamente profetica avesse reso omaggio al duo Pannella-Bonino, definiti come gli ultimi romantici in politica, lo scorso 8 maggio, dopo la notevole affermazione avuta alle amministrative, in una dichiarazione che offese non poco la sensibilità radicale ebbe il coraggio di dire che “se il MoVimento 5 Stelle farà boom (come quello dei favolosi anni ’60), il prossimo presidente non sarà un’emanazione dei partiti, come la Emma Bonino”. Come a volersi scrollare da dosso un eventuale debito di royalty da pagare alle idee radicali. Gli addetti ai lavori della politica sanno che le poche idee buone, quelle migliori, tra quelle che hanno portato all’incredibile successo del M5s sono tutte farina del sacco radicale: abolizione del finanziamento dei partiti e restituzione del bottino, trasparenza on line, anagrafe degli eletti e dei nominati, eccetera.

Mentre le altre idee, quelle sulla decrescita, alcune demagogiche altre addirittura demenziali, appartengono all’ala movimentista casaleggiana e poco o nulla hanno a che vedere con l’odio verso la casta. Che i radicali sobillano da cinquant’anni ma che regolarmente non riescono a tradurre in consenso elettorale. E checché ne dica l’attuale dirigenza radicale questo avere raccolto solamente settantamila voti, a fronte dei 300 mila se non 500 mila cui ci si era abituati, ha poche plausibili spiegazioni nella pur giusta analisi di uno stato, quello italiano, che vive fuori dalla legalità interna e internazionale come peraltro dimostrano le continue condanne europee in materia di giustizia e di carceri in particolare. Grillo nel 1998 irrideva la visione pannellian-boniniana di un paese che aveva perso il proprio stato di diritto. Definiva i radicali come “gli ultimi romantici” della politica e sosteneva essere giusto, con un notevole gusto del paradosso, che dovessero scomparire. Sostenendo che l’Italia si stesse avviando verso le tenebre. Nei 24 minuti testimoniati dalla intervista di Dario Vese trasmessa da Radio radicale quel 5 gennaio 1998, nel contesto della nascita di Radio Parlamento e dei timori che la Radio di Pannella potesse essere gradualmente fatta fuori, Grillo tirava fuori la propria visione apocalittica del mondo secondo cui il diritto ormai era diventato “nemico della gente”. I paradossi e l’irrazionalità del messaggio di Grillo erano già chiari. Ad esempio nella frase “ma perché vi ostinate a pensare che far sentire il Parlamento è far sentire la voce della democrazia..?” Grillo poi suggeriva a Radio radicale di andare a far sentire la voce della “ggente” in diretta dai super mercati. O di andare a protestare a Bankitalia. Ecco a ben vedere è quello che poi lui ha fatto più o meno nella personalissima “lunga marcia” partita dal Vaffa day e conclusasi con lo “Tsunami tour”.

Chiaramente proporre a un filosofo come Pannella (che discetta per ore in Radio di Cesare e di Pietro, prendendo a prestito le parole di Cristo per comunicare come oggi il problema sia proprio Cesare, lo stato, che non rispetta più le sue stesse leggi e questo non solamente in Italia ma un po’ in tutto il mondo, e come persino Pietro, cioè la Chiesa, magari quella del Ratzinger dimissionario, si stia evolvendo nei suoi confronti) di scendere sul piano grillesco è un po’ una bestemmia. Però quel che è avvenuto, come si lamentano nei vari forum i tanti “radicali ignoti”, è esattamente il contrario: “abbiamo lavorato per Grillo”. E per 50 anni. Nel senso che questa persona si è presa le idee cardine dell’ontologia radicale, principalmente sul finanziamento dei partiti e sullo svergognamento della casta, se ne è appropriato senza neanche ringraziare ed è andato a raccontarle nelle piazze e su internet come se fossero una sua invenzione. E quegli stessi italioti che per decenni hanno detto “che palle ‘sto Pannella con la partitocrazia”, eccoli oggi delirare per l’astuto comico genovese che ha condito il tutto con un po’ di salsa no Tav, no logo e con tanto giovanilismo d’accatto. Grillo però ha fatto di più e di peggio a Pannella e ai radicali: non solo si è impadronito della parte centrale del loro pensiero politico ma se le è anche venduta meglio e ha dimostrato come sia ormai un falso problema essere più o meno silenziati da tv e giornali prima, durante e dopo la campagna elettorale.

E depotenziando così l’eterna giustificazione di ogni insuccesso radicale: “ci hanno silenziato”. Questo problema di comunicazione spicciola è oggi il problema centrale della galassia radicale e non lo si combatte più con scioperi della fame e della sete che provocano appelli di solidarietà come negli anni ’70 ma che nessuno a livello della plebe riesce più a capire per l’ottimo motivo che non siamo più negli anni ’70. L’Italia è regredita intellettualmente prima che moralmente. Grillo diceva che i radicali dovevano “adeguarsi strutturalmente al nuovo mercato”. Non lo sapeva ma non aveva torto. Tra il 1968 e la fine degli anni ’70 l’ideologia spingeva anche il bottegaio ad emanciparsi dalla propria ignoranza e dal proprio particulare mentre la classe operaia era chiaramente indottrinata ed intellettualizzata, e questo tanto a destra quanto a sinistra. Adesso la politica la si fa negli outlet e sebbene Pannella e Bonino non si siano mai rassegnati a questo andazzo e non abbiano voluto prendere qualche contromisura le cose stanno così. Grillo, che ha molta meno onestà intellettuale ma tanta più furbizia politica, dopo essersi impossessato delle idee per cui i radicali hanno lavorato una vita oggi passa all’incasso. Mentre i nostri eroi scompaiono dalle istituzioni e lo stesso partito, senza soldi, è ridotto, come si dice a Roma, a “due pinze ‘na tenaglia”. Grillo diceva che i radicali dovevano morire per poi risorgere. È anche vero, come dice Pannella, che di profeti della scomparsa dei Radicali sono pieni i cimiteri della poiltica italiana. Speriamo bene.

Ovviamente nessuno controlla quel che accade all’Università di Siena!

Emilio-Giannelli

Sergio RizzoMontepaschi: le colpe non viste (Corriere della Sera, 25 gennaio 2013).

Alessandro De AngelisMps, Silvio Berrlusconi non affonda sullo scandalo senese.  Da Milano 2 alle Olgettine, i conti del Cav sono targati Monte dei Paschi (Huffington Post, 24 gennaio 2013).

Mps, Grillo accusa il Pd: “Sono i veri responsabili. Hanno spolpato la banca” (Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2013).

Antonio Padellaro. Il voto e MPS (Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 23013).