Con la divisione tra realtà e senso comune si viola il diritto alla conoscenza

Ora chi glielo dice a Galli Della Loggia? (Editoriale, da: Il Dubbio, 17 agosto 2017)

Piero Sansonetti. (…) Perché esiste questa frattura, vistosissima, tra realtà e senso comune? E chi lavora per tenere aperta questa frattura?

La frattura esiste perché tutto il sistema dell’informazione è impegnato nel fornire un quadro sbagliato all’opinione pubblica. E nell’alimentare la spirale tra opinione pubblica che insegue l’informazione e viceversa, esaltandosi a vicenda e immaginando una società in crescente pericolo e bisognosa soprattutto di sicurezza.

Prima di morire, Marco Pannella iniziò l’ultima delle sue battaglie visionarie. Quella per il “diritto alla conoscenza”. Sembrava una cosa astrusa, eccentrica, come spesso appaiono, a prima vista, le campagne di Pannella. Invece affrontava esattamente questo tema: non le fake news, che sono occasionali e possono essere facilmente smentite. Ma la rappresentazione organica e insistente della realtà in modo diverso o addirittura del tutto opposto a come la realtà è. È in questo modo che, sistematicamente, si viola il diritto alla conoscenza e si limitano in modo drastico le possibilità di libero sviluppo della democrazia. Gli organi di informazione, in larghissima parte, sono responsabili di questa violazione di diritti. E lo sono, generalmente, in legame stretto con una parte consistente della politica.

Perché questo avviene? Io credo che avvenga per due ragioni. Da una parte c’è la forza del populismo, che è un movimento politico forte, generalmente privo di ideologie e anche di idee, che trova la sua forza nell’alimentare l’ira popolare su temi facili e che non chiedono grande cultura e grandi strumenti politici. Come appunto i temi della sicurezza e della ricerca del linciaggio. Dall’altra c’è la debolezza dei liberali, che non trovano la forza di contrastare il populismo e preferiscono assecondarlo. E nell’esercito dei liberali metto gran parte dell’intellettualità, che evidentemente ha rinunciato consapevolmente al proprio ruolo di “sapienza”. Accettando la divisione netta tra realtà vera e realtà raccontata.

In questa divisione c’è la morte della politica. Perché non è possibile nessuna politica seria se si confonde realtà e demagogia.

Il caso Pannella: un paradigma italiano

Adelaide Aglietta e Marco Pannella

Adelaide Aglietta e Marco Pannella

In vita lo silenziarono
Gli ordini sono ordini: Pannella no
(da: Il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2016)

Furio Colombo. (…) quando e dove questo Marco Pannella, adesso al colmo della celebrazione, abbia mai messo mano alle vicende, leggi o cambiamenti della vita italiana. Il suo caso è di estremo interesse (…) per ciò che è avvenuto in vita. Pannella non doveva apparire nei mezzi di comunicazione di massa, e non è mai apparso. Pannella non doveva parlare, benché fosse il più prolifico e sorprendente oratore politico del Paese, e non ha mai parlato, salvo frammenti di frasi isolate dal contesto.

Gli ascoltatori di Radio Radicale ricordano le meticolose ricerche nella mattutina rassegna della stampa di Bordin. Dopo un evento a cui Pannella aveva inteso dedicare una rivoluzione culturale (come “il diritto alla conoscenza” oppure “lo Stato di diritto” invece del “diritto di Stato”, oppure l’invocazione per la salvezza di un popolo) il giornalista accantonava una dopo l’altra le grandi testate, e doveva quasi sempre concludere che no, sui radicali oggi non c’è alcuna notizia. Impossibile non pensarci vedendo sfilare direttori e colleghi giornalisti di fronte alla salma dell’appena defunto leader radicale, dicendo al microfono, subito disponibile, almeno qualcuna delle cose che in 40 anni non sono mai state dette, e anzi fingendo che gli eventi a cui quelle parole si riferivano non fossero mai avvenuti.

Gli ordini sono ordini, ora da destra e ora da sinistra. Ma Pannella deve stare fuori. E il vero successo che oggi stiamo celebrando e che merita attenzione, perché è un fenomeno ben radicato, non sono tutte le cose (diritti, difese, rivelazioni, affermazioni, impegni internazionali) che Pannella è riuscito a realizzare nonostante tutto. Ma il fatto che, nonostante tutto, un enorme richiamo politico, una straordinaria capacità di toccare il punto in anticipo, una vena profetica e una di naturale e fortissima empatia per il mondo estraneo al potere a cui si rivolgeva (ma anche una straordinaria inclinazione pedagogica per i capi partito che il leader radicale si ostinava a tentare di salvare), Pannella è stato lasciato fuori da ogni canale di comunicazione del Paese e privato di ogni contatto con la grandissima maggioranza degli italiani.

Il vero capolavoro è che ci siano riusciti. Sempre. Per ogni decennio del lavoro instancabile di un grande politico ricco di intuizione istantanea, di abilità strategica, di anticipazione del dopo, di una straordinaria visione del contesto, Pannella ha avuto le sue rivincite, e in molti casi impossibili è riuscito a imporre qualla che lui vedeva (e che era) la sola strada possibile. (…) Il vero capolavoro è la sistematica eliminazione di voce, presenza e azione nella vita di un grande Paese. (…) Il fenomeno ha due aspetti che riguardano entrambi le condizioni della nostra democrazia: il silenzio di Pannella è stato ordinato (Chiesa, Stato, interessi organizzati, necessità di eliminare l’obiezione intelligente). Il silenzio di Pannella è stato eseguito, nel senso che praticamente tutti, nella vita pubblica italiana, hanno osservato quel silenzio come se si trattasse di un normale dovere civico.

Non si ricordano importanti violazioni del comandamento. Ma si sono visti rendere omaggio, anche con dichiarazioni vibranti davanti alla salma, coloro (tutti) che hanno eseguito scrupolosamente la linea di partito del silenzio su ogni iniziativa radicale. Pannella è stato un grande e nuovo uomo politico italiano. Perciò conta molto l’operazione della perfetta esclusione della vita pubblica. È una operazione fondata sulla disciplina, senza se e senza ma, di direttori, commentatori, cronisti, che scrivono volentieri solo ciò che si può scrivere. (…)

Ricordando Marco Pannella

Divorzio

Il padre (Leonardo) e la madre (Andrée Estachon) all'uscita dal seggio nel 1979

Il padre (Leonardo) e la madre (Andrée Estachon) all’uscita dal seggio nel 1979

Pannella2Marco Pannella. «Non mi batto per il detenuto eccellente, ma per la tutela del diritto nei confronti del detenuto ignoto.» L’ultimo messaggio: «ragazzi, niente tristezza, non mollate mai, sappiate che alla fine abbiamo vinto noi».

Emma Bonino. Non ha mai avuto in vita i riconoscimenti adeguati, nessuno glieli ha mai attribuiti. Ma penso che una riflessione su quello che ci ha lasciato e ci lascia di che cosa è, e che cosa dovrebbe essere la politica, la passione, l’impegno, anche il suo modo di essere, la sua irruenza, il suo modo, appunto, di non presenza dello spettacolo ma per rompere dei conformismi così incrostati debba far riflettere molto i nuovisti dei giorni nostri. Ci mancherà e mancherà a questo Paese, più che a noi radicali che lo abbiamo imparato, digerito, fatto nostro, il senso delle istituzioni, il senso delle regole, il senso del rispetto dell’altro, il senso dello stato di diritto che, ovviamente, serve ai più deboli, ai più fragili, perché i potenti lo ritengono, molto spesso, un intralcio. Molti riconosceranno o diranno di lui che aveva il senso dello spettacolo, dello sberleffo, del pretesto; non è così. Era molto più profondo, questo suo modo di usare il corpo, per esempio, nella conseguente prassi della nonviolenza. Ci sono molte cose da scavare, molte cose che rimarranno in questa società, in questo paese che poco l’ha riconosciuto o meglio molto l’ha amato, ma poco, certamente, ne ha riconosciuto i meriti. Marco non era un mediocre, era un grande nelle sue intuizioni e anche nelle sue debolezze. A noi radicali ha insegnato molto, quasi tutto. A questo paese ha insegnato davvero molto e la classe politica dirigente, per esempio, potrebbe trarne grande ispirazione, nel senso che la politica è impegno, è visione, è credibilità, è coerenza; cose che a volte, anzi molto spesso sono dimenticate. Per il momento la mancanza, il dolore, ma la consapevolezza grave che mancherà veramente a tutti.

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Eugenio Montale. Dove il potere nega, in forme palesi ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrej Sakharov e Marco Pannella che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi.

Marco Cappato. Riconoscenza e amore per te che mi hai rivoluzionato la vita. Essere speranza invece di “avere”: non me ne scorderò.

Marco Perduca. Per una volta, forse l’unica, nella storia dei “coccodrilli” i riconoscimenti per le lotte di Pannella saranno tutti meritati – tutti.

Roberto Saviano. Addio Marco, sembrava che nulla potesse fermarti e in qualche modo non lo farà la morte.

Vittorio Sgarbi. Gli hanno negato il rango di Senatore a vita preferendogli pizzicagnoli inutili.

È morto Marco Pannella

Marco-Pannella

Lo ricordiamo così: la vita e le battaglie (da Radio Radicale).

Morto Casaleggio, protagonista della modernità nella politica ai tempi di Internet

Gianroberto Casaleggio - Marco Pannella - Emma Bonino

Gianroberto Casaleggio – Marco Pannella – Emma Bonino

In morte del guru, ridateci Emma e Marco (Editoriale: l’Opinione, 13 aprile 2016)

Paolo Pillitteri. Da giorni il pensiero va all’antica, eppur viva, esperienza radicale. Sarà il referendum prossimo venturo, sarà anche il riflusso politico a proposito degli aborti (troppi gli obiettori, la mala pasqua ai pochi medici osservanti della 194, con pesanti ricadute anche penali, ecc.). Ma poi è arrivata la notizia della morte di Gianroberto Casaleggio e la costrizione a riflettere sull’assenza “politica”, o quasi, di Marco Pannella e di Emma Bonino, mi ha indotto a concludere che sì, è vero, Casaleggio è stato un importante innovatore, che la Rete, i blog e i meetup costituiscono un bagaglio comunicativo e aggregante di notevole valore, ma ne avverto sempre una virtualità che cozza fortemente con bisogno di fisicità, di esempi per dir così viventi, di corpi reali, di persone “in carne ed ossa” cui guardare. E, dunque, non mi resta che proclamare: mi manca Marco, mi manca Emma, ci mancano i “radicali” come erano rappresentati da quei due simboli. Riflettendo ulteriormente su Casaleggio ne ho scovate delle similitudini con quei “radicali”, ma erano e sono puramente formali se non, addirittura, frutto di un desiderio personale piuttosto che di una corrispondenza politica e storica.

Magari i seguaci di Grillo e Casaleggio si fossero ispirati alla tradizione libertaria, liberale e garantista dei radicali. Spiace sempre la morte di un protagonista della modernità portata nella politica ai tempi di Internet, e Casaleggio lo è stato indubbiamente. Ma è diversa e più intimamente perturbante la memoria di una presenza fervida nella politica italiana di Pannella, della Bonino e di altri esponenti. Una presenza fattiva, sempre in azione, sempre sul pezzo ma conservando una struttura “filosofica” non arrendevole alle mode, non coniugabile con le passeggere voluttà dell’italiano in cerca di novità. E il rapporto fra gli epocali referendum legati ai radicali, le memorie degli scontri su divorzio e aborto con i duelli di carta di oggi in riferimento al prossimo referendum sulle trivelle (con annesse intercettazioni nel fantasmatico Totalgate lucano) ci fa precipitare in una sorta di terra di nessuno dove primeggiano esclusivamente le parole in libertà, la rissa, le contumelie e, soprattutto, la voglia di cappio, la sete di manette, il giustizialismo come arma letale per il nemico. Donde l’acuto rimpianto per le battaglie per il garantismo erga omnes che Pannella condusse negli anni Novanta, e come ci mancano quegli assalti all’imbarbarimento della lotta politica condotta sull’onda del circo mediatico giudiziario. E si scopre, dunque, la portata davvero storica delle battaglie di Marco ed Emma e dell’anima politica che le strutturava, osservandone la durata nel tempo, la loro continua azione nella stessa grigia quotidianità. Perché erano ancorate ad una concezione alta della politica, si iscrivevano prepotentemente in un’agenda che abbisognava assolutamente di una svolta, di una rottura, anche interna alle famiglie della vastissima componente cattolica, ma pur sempre iscritta nell’inconfondibile Dna di una battaglia di contenuti destinata ad incidere sulle esistenze e sulle stesse mode.

Oggi accade l’inverso e nella parabola del Movimento Cinque Stelle e riletta nella vicenda di Casaleggio – che del movimento è stato davvero la magna pars con l’invenzione della mitica democrazia diretta – si racchiude un percorso contraddittorio che dalla primigenia forza bruta distruttiva della politica del “tutti ladri, mandiamoli a casa!” si è progressivamente trasposta su livelli diversi, su piani che abbandonavano gli slogan dell’uno vale uno (Casaleggio docet) per incamminarsi nei sentieri delle consuetudini del fare il sindaco, l’assessore, il responsabile amministrativo e, diciamolo pure, il deputato e il senatore.

L’imposizione ferrea delle lex del network superiore ad ogni altra prescrizione ha finito col denegare il senso della democrazia diretta nella misura davvero ridotta dei partecipanti decisori in Rete di scelte che impallidiscono davanti a qualsiasi primarie. Per non parlare dell’ecatombe di espulsi, anche per le più banali ragioni, comprese quelle delle quali i sopravvissuti se ne fanno un baffo, a cominciare dalla presenza nei talk-show, cioè nella tivù, ritenuta, allora, un ferrovecchio utilizzato dai manipolatori del consenso e, chissà mai, dalla piovra delle multinazionali. Mai una presenza nei talk è stata più intensa e petulante di quella di certi pentastellati, sempre arruffati i maschi, spesso anche machi, e altrettanto scarmigliate le donne. Di costoro era riconosciuta, allora, l’irruenza oppositoria sventolante il cappio, ma oggi è ben visibile la disponibilità al set, sia pure con una sempre superba supponenza di chi ha le soluzioni in tasca, ma con tanto di eleganza, di posa, di trucco, appena accennato per i maschi e una molto ben ritoccata plasmatura del volto per le femmine. La Raggi dalla Gruber è l’esempio più insigne.

Dicono che sia stata la scuola di politica (televisiva) imposta loro da Casaleggio a produrre questa modificazione, ma non si tratta solo di fashion ad uso del telespettatore, di una modellatura superficiale. No, perché questi cambiamenti sono avvenuti contestualmente a quelli delle scelte politiche, con un sorta di adagiarsi day by day al vento che spira, agli umori, alle opportunità, agli appigli per prendere in castagna il nemico, cambiando radicalmente posizione, basta pensare alla vicenda della fecondazione assistita per rendersi conto che, adesso, sono le mode ad imporsi sulle scelte politiche e non viceversa, come ci hanno invece mostrato gli esempi di Marco e di Emma. Ci mancano, quanto ci mancano!

Dario Fo

Dario Fo

Il ricordo di Dario Fo (Da: Il blog di Beppe Grillo, 13 aprile 2016)

Dario Fo. Quando si parla di Gianroberto i giornalisti tendono a classificarlo quasi subito come l’ideologo, il guru, del MoVimento 5 Stelle. È la definizione più banale e ovvia che si possa pensare. Bisogna partire da un fatto importante, la sua cultura. Era un uomo di una conoscenza straordinaria, leggeva tutto quello che riteneva fosse importante sapere, faceva collegamenti molto acuti fra i vari testi e aveva un modo di esprimersi riguardo alle diverse situazioni mai banale e prevedibile. Mi capitava spesso di chiedere se avesse letto dei particolari libri che ritenevo importanti, e non azzeccavo mai un documento che lui non conoscesse già, tanto che un giorno gli ho detto: “Ascolta, fai più presto a dirmi quello che non conosci, così non mi metti più in imbarazzo”.
Spesso diceva che era impreparato a dare un giudizio su certi argomenti, e questo denota una modestia, un’umiltà che è difficile trovare nell’ambiente della politica comune.
Un altro tratto del suo carattere che posso testimoniare è la generosità nel modo di comportarsi, specie di fronte ad alcuni momenti tragici della vita del nostro paese.
Inoltre evitava le dichiarazioni roboanti e preferiva analizzare prima di definire. Quando gli chiedevo notizie sulla sua salute cercava di non dare molto peso al problema, diceva: “Sì, non va tanto bene ma speriamo di migliorare”.
A me, personalmente, manca molto. È un baratro nella mia memoria.
La sua scomparsa è una perdita gigantesca per il Movimento, e non so immaginare quali conseguenze possano verificarsi, ma sono certo che le persone straordinarie che ne fanno parte, specie i giovani dell’ultima generazione, saranno in grado di proseguire sulla giusta via.

Fusse ca fusse la vorta bbona: Marco Pannella senatore a vita?

Garantista

Fausto Bertinotti. Marco Pannella ha concluso ieri a Roma un convegno su “Stato di diritto contro ragion di Stato”. Si è trattato di una messa a fuoco di un lungo lavoro di ricerca, inchiesta e riflessione che Pannella e il suo partito conducono da tempo passando per le diverse capitali europee. Ancora una volta colpisce la capacità del vecchio leader di stare al passo coi tempi, quando non gli accade addirittura di anticiparli. A nessuno può sfuggire l’importanza della questione per lo stato di salute della democrazia.

La ragion di Stato viene indagata criticamente e denunciata per come essa si è eretta (spesso) contro la verità dei diritti della persona. La guerra in Iraq – le cui disastrose conseguenze investono anche il mondo di oggi – è stato un caso clamoroso nel quale i governi dell’Occidente, a partire da quello di Blair, hanno motivato la guerra sulla menzogna. Ma così accade ogni giorno e in tanta parte del mondo nel rapporto tra lo Stato e i cittadini, quando lo Stato, per perseguire i suoi obiettivi fa strame della legalità, fino al ricorso alla tortura.

È la pretesa dello Stato di avvalersi della proclamazione dello Stato di eccezione. Ma c’è un aspetto del problema che investe ormai l’Europa reale nella quale la democrazia è sempre più sostituita da un ordine oligarchico che usa costruire il velo dell’ignoranza al riparo del quale prende le sue decisioni. Lo Stato di eccezione tende a farsi permanente. La ragione di stato investe l’economia, il conflitto, come le condizioni di disagio sociale o di povertà o di immigrazione contro lo Stato di diritto e i diritti di tutti gli abitanti di questi territori. Porre, come fa Pannella, il diritto alla conoscenza come diritto umano da rivendicare alle Nazioni Unite – e noi aggiungiamo, in Europa – mette in luce la sua capacità di cogliere la sfida del tempo. Giorgio Napolitano ha nei giorni scorsi resa pubblica la sua volontà insindacabile di mettere fine prossimamente al suo mandato presidenziale. Io penso che questa fase conclusiva di una lunga esperienza presidenziale dovrebbe essere l’occasione per compiere un gesto capace di onorare la bella politica.

La politica di oggi vive una crisi per molti versi addirittura devastante. Il discredito polare ha colpito lei come le istituzioni rappresentative. Non è un j’accuse. E non è più neppure una tesi ricavata da un’analisi politica. Questo distacco del popolo dalla politica si è manifestato direttamente con l’esodo dalle urne nelle recenti elezioni parziali di circa metà degli elettori. Qualcuno, tempo fa, aveva detto discutibilmente che non si governa con il 51 per cento dei voti, ma è certo che non si governa democraticamente senza la partecipazione e il voto popolare.

La crisi della democrazia in Europa e l’abbandono di tanta parte della popolazione – specie quella più colpita dalle disuguaglianze e dal disagio sociale – camminano insieme. E insieme erodono le fondamenta stesse della nostra democrazia.

Ma la politica non è sempre stata così misera. E se è stata capace un tempo di suscitare impegno, partecipazione e grandi passioni, se lo è stata nel passato, può tornare ad esserlo nel futuro. Perciò oggi, per posare lo sguardo su un futuro nel quale possano rinascere la politica e la democrazia, è utile indicare degli esempi di un passato glorioso (del resto si è chiamato così anche quel tempo detto “dei trent’anni gloriosi”). Marco Pannella ha attraversato, camminando per i suoi sentieri, l’intero dopoguerra italiano. Ha vissuto il tempo delle grandi culture politiche. Ha militato con rispettabile partigianeria per una delle grandi opzioni in campo. È stato interlocutore autorevole, anche quando radicalmente critico, nei confronti delle altre. È stato un protagonista tra i protagonisti dell’Italia politica uscita dalla Costituzione repubblicana e segnata da grandi e dure lotte: lotte di classe, lotte politiche e di civiltà. Di quella storia, Marco Pannella è rimasto uno dei pochi a vivere l’attuale (e così diversa) stagione sempre da protagonista. Come recita il motto riferito a Radio Radicale –“dentro ma fuori dal palazzo” –, Pannella vive una politica in cui la strada vale almeno quanto le aule del palazzo. Ha frequentato le une e le altre con decoro, come la nostra Costituzione richiede al politico. Ha privilegiato e privilegia l’essere sull’avere. Non cerca il potere. E alla sua età fa riprendere nel Satyagraha uno sciopero della fame per una nobile quanto difficile battaglia per il diritto e la legalità.

Che Guevara ha detto che la politica è una passione durevole. Pannella ha fatto di questa passione durevole la sua scelta di vita. Io penso che in questi tempi grigi una scelta di vita come la sua andrebbe indicata alla politica per la sua rinascita.

Il presidente della Repubblica può farlo dalla sua alta cattedra, nominando Marco Pannella senatore a vita. La conclusione del mandato presidenziale suggellerebbe così la fede nella politica e nella sua sempre possibile resurrezione.

Commissario anche per l’Agcom ma non per l’università di Siena

MarcoPannellaRai/par condicio: Tar dà ragione a Pannella e condanna Agcom

Dal 2010 i Radicali discriminati dalla Rai illegalmente: il Tar ordina all’Agcom di adempiere entro 30 giorni, altrimenti nominerà Commissario. Comunicato dell’associazione politica nazionale Lista Marco Pannella

I criteri elaborati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in base ai quali dall’aprile 2010 i Radicali sono stati discriminati dai telegiornali e dai programmi di approfondimento politico della Rai sono illegittimi. È quanto ha stabilito il Tar Lazio-Sezione Terza ter con la sentenza n. 4539 del 2 maggio 2013, accertando che l’Agcom ha eluso una precedente sentenza del novembre 2011 con cui lo stesso giudice ammnistrativo aveva annullato la delibera di archiviazione dell’esposto radicale.

Il Tar ha anche stabilito la nomina di un Commissario ad acta qualora entro 30 giorni l’Agcom non esegua la sentenza, condannandola comunque a rifondere le spese legali.

Nel dare ragione all’associazione Lista Marco Pannella, difesa dall’avvocato Giuliano Fonderico, il Tar ha sottolineato i vizi alla base del provvedimento con cui l’Agcom ha archiviato l’esposto radicale e “legalizzato” la condotta della Rai, la quale aveva negato qualsiasi presenza dei Radicali nelle trasmissioni Ballarò, Porta a Porta e Annozero, marginalizzandoli anche nei telegiornali. In particolare, è stata censurata la motivazione in base alla quale l’Agcom aveva equiparato i Radicali a soggetti politici privi di rappresentanza parlamentare nonostante avessero 6 deputati e 3 senatori, senza peraltro considerare che una serie di partiti realmente privi di rappresentanza parlamentare fossero stati, comunque, molto presenti nei programmi Rai, come ad esempio gli esponenti di SEL.

La sentenza, infine, ribadisce l’illegittimità di equiparare tout court la presenza in programmi di basso ascolto a quella nei programmi di prima serata, specificando che il rispetto della par condicio deve essere valutato all’interno di ciascuno di essi.

Clemente Pistilli. Par condicio il Tar dà ragione a Pannella. La Notizia 4 maggio 2013

I radicali e la sindrome grillina

Marco Pannella ed Emma Bonino

Marco Pannella ed Emma Bonino

Da: L’opinione 2 marzo 2013

Dimitri Buffa. C’è chi non voleva “morire per Danzica”. E poi contribuì allo scoppio della seconda guerra mondiale. E c’è chi, oggi, mutatis mutandis, tra i radicali italiani, intesi come i più o meno aderenti o iscritti alla galassia creata da Pannella alla fine degli anni ’80 attorno al Partito radicale transnazionale e transpartito, si chiede se abbia senso continuare a fare politica perché gli altri ne raccolgano i frutti elettorali e istituzionali. Cioè se abbia senso “lavorare per Grillo”. L’interessato però, benché il gennaio 1998 in un’intervista vagamente profetica avesse reso omaggio al duo Pannella-Bonino, definiti come gli ultimi romantici in politica, lo scorso 8 maggio, dopo la notevole affermazione avuta alle amministrative, in una dichiarazione che offese non poco la sensibilità radicale ebbe il coraggio di dire che “se il MoVimento 5 Stelle farà boom (come quello dei favolosi anni ’60), il prossimo presidente non sarà un’emanazione dei partiti, come la Emma Bonino”. Come a volersi scrollare da dosso un eventuale debito di royalty da pagare alle idee radicali. Gli addetti ai lavori della politica sanno che le poche idee buone, quelle migliori, tra quelle che hanno portato all’incredibile successo del M5s sono tutte farina del sacco radicale: abolizione del finanziamento dei partiti e restituzione del bottino, trasparenza on line, anagrafe degli eletti e dei nominati, eccetera.

Mentre le altre idee, quelle sulla decrescita, alcune demagogiche altre addirittura demenziali, appartengono all’ala movimentista casaleggiana e poco o nulla hanno a che vedere con l’odio verso la casta. Che i radicali sobillano da cinquant’anni ma che regolarmente non riescono a tradurre in consenso elettorale. E checché ne dica l’attuale dirigenza radicale questo avere raccolto solamente settantamila voti, a fronte dei 300 mila se non 500 mila cui ci si era abituati, ha poche plausibili spiegazioni nella pur giusta analisi di uno stato, quello italiano, che vive fuori dalla legalità interna e internazionale come peraltro dimostrano le continue condanne europee in materia di giustizia e di carceri in particolare. Grillo nel 1998 irrideva la visione pannellian-boniniana di un paese che aveva perso il proprio stato di diritto. Definiva i radicali come “gli ultimi romantici” della politica e sosteneva essere giusto, con un notevole gusto del paradosso, che dovessero scomparire. Sostenendo che l’Italia si stesse avviando verso le tenebre. Nei 24 minuti testimoniati dalla intervista di Dario Vese trasmessa da Radio radicale quel 5 gennaio 1998, nel contesto della nascita di Radio Parlamento e dei timori che la Radio di Pannella potesse essere gradualmente fatta fuori, Grillo tirava fuori la propria visione apocalittica del mondo secondo cui il diritto ormai era diventato “nemico della gente”. I paradossi e l’irrazionalità del messaggio di Grillo erano già chiari. Ad esempio nella frase “ma perché vi ostinate a pensare che far sentire il Parlamento è far sentire la voce della democrazia..?” Grillo poi suggeriva a Radio radicale di andare a far sentire la voce della “ggente” in diretta dai super mercati. O di andare a protestare a Bankitalia. Ecco a ben vedere è quello che poi lui ha fatto più o meno nella personalissima “lunga marcia” partita dal Vaffa day e conclusasi con lo “Tsunami tour”.

Chiaramente proporre a un filosofo come Pannella (che discetta per ore in Radio di Cesare e di Pietro, prendendo a prestito le parole di Cristo per comunicare come oggi il problema sia proprio Cesare, lo stato, che non rispetta più le sue stesse leggi e questo non solamente in Italia ma un po’ in tutto il mondo, e come persino Pietro, cioè la Chiesa, magari quella del Ratzinger dimissionario, si stia evolvendo nei suoi confronti) di scendere sul piano grillesco è un po’ una bestemmia. Però quel che è avvenuto, come si lamentano nei vari forum i tanti “radicali ignoti”, è esattamente il contrario: “abbiamo lavorato per Grillo”. E per 50 anni. Nel senso che questa persona si è presa le idee cardine dell’ontologia radicale, principalmente sul finanziamento dei partiti e sullo svergognamento della casta, se ne è appropriato senza neanche ringraziare ed è andato a raccontarle nelle piazze e su internet come se fossero una sua invenzione. E quegli stessi italioti che per decenni hanno detto “che palle ‘sto Pannella con la partitocrazia”, eccoli oggi delirare per l’astuto comico genovese che ha condito il tutto con un po’ di salsa no Tav, no logo e con tanto giovanilismo d’accatto. Grillo però ha fatto di più e di peggio a Pannella e ai radicali: non solo si è impadronito della parte centrale del loro pensiero politico ma se le è anche venduta meglio e ha dimostrato come sia ormai un falso problema essere più o meno silenziati da tv e giornali prima, durante e dopo la campagna elettorale.

E depotenziando così l’eterna giustificazione di ogni insuccesso radicale: “ci hanno silenziato”. Questo problema di comunicazione spicciola è oggi il problema centrale della galassia radicale e non lo si combatte più con scioperi della fame e della sete che provocano appelli di solidarietà come negli anni ’70 ma che nessuno a livello della plebe riesce più a capire per l’ottimo motivo che non siamo più negli anni ’70. L’Italia è regredita intellettualmente prima che moralmente. Grillo diceva che i radicali dovevano “adeguarsi strutturalmente al nuovo mercato”. Non lo sapeva ma non aveva torto. Tra il 1968 e la fine degli anni ’70 l’ideologia spingeva anche il bottegaio ad emanciparsi dalla propria ignoranza e dal proprio particulare mentre la classe operaia era chiaramente indottrinata ed intellettualizzata, e questo tanto a destra quanto a sinistra. Adesso la politica la si fa negli outlet e sebbene Pannella e Bonino non si siano mai rassegnati a questo andazzo e non abbiano voluto prendere qualche contromisura le cose stanno così. Grillo, che ha molta meno onestà intellettuale ma tanta più furbizia politica, dopo essersi impossessato delle idee per cui i radicali hanno lavorato una vita oggi passa all’incasso. Mentre i nostri eroi scompaiono dalle istituzioni e lo stesso partito, senza soldi, è ridotto, come si dice a Roma, a “due pinze ‘na tenaglia”. Grillo diceva che i radicali dovevano morire per poi risorgere. È anche vero, come dice Pannella, che di profeti della scomparsa dei Radicali sono pieni i cimiteri della poiltica italiana. Speriamo bene.