Nell’inchiesta di Anna Maria Sersale sulle mini-università ci sono alcune inesattezze che mi riguardano, quali la sede lavorativa (Siena, non Firenze), la disciplina (Anatomia umana, non Fisiopatologia) ed il concetto espresso al telefono che era: «L’altro aspetto inquietante riguarda la dispersione delle già magre risorse. Per finanziare sedi di dubbia utilità si danno meno risorse alle sedi centrali, penalizzando in tal modo sia gli studenti delle sedi decentrate (dove mancano laboratori, biblioteche e non si fa ricerca) che gli studenti delle sedi centrali, private dei fondi destinati alle sedi distaccate.» Di seguito, dal blog “Rinnovare le Istituzioni”, l’articolo di presentazione dell’inchiesta di Anna Maria Sersale.
Paolo Padoin. Un interessante articolo di Anna Maria Sersale, pubblicato sul Messaggero del 29 novembre, fa il punto sui nefasti effetti della polverizzazione degli Atenei, segnalando (ma non si tratta certo di una novità) che il Ministero ha censito in totale 268 sedi distaccate, gemmazioni di 79 Atenei, in 33 delle quali c’è un solo corso. Il Ministro Gelmini avrebbe chiesto giustamente conto del numero estremamente elevato e difficilmente sostenibile delle sedi. Nell’articolo, tra l’altro, si legge che «invocate dai politici locali come una conquista e un’opportunità, in realtà le tante “università campanile” spesso sono nate sulla spinta di interessi locali, di congreghe accademiche, in risposta a logiche di potere. Poco importavano gli sprechi, il servizio scadente, la mancanza di laboratori, l’assenza di ricerca. Tranne qualche eccezione.” È quanto avviene in molte Regioni del nostro Paese, nelle quali gli interessi locali specifici di politici, lobby professionali e sindacali prevalgono sempre sugli interessi generali, con risultati catastrofici sulla finanza pubblica. L’ANDU, in un commento all’articolo citato, sostiene che proprio quegli “interessi locali” che hanno portato alle “mini-universita” verrebbero “istituzionalizzati” dal DDL governativo e dalla proposta di DDL del PD, che prevedono la presenza obbligatoria degli ‘esterni’ nel nuovo CdA. È in realtà quanto già stabilito in intese istituzionali fatte da Rettori uscenti e Regioni, in base alle quali le Regioni sono intervenute e intervengono finanziariamente per tappare i buchi enormi di gestioni finanziarie dissennate, in cambio dell’ingresso di loro rappresentanti nel C.d.A. e, quindi, di un loro potere d’indirizzo della politica dell’istruzione universitaria in sede locale. È una tattica vecchia, ma sempre produttiva in Italia! Niente di nuovo sotto il sole. La politica cerca di occupare sempre maggiori spazi in barba all’interesse dei cittadini.
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