Università di Siena: quando il governo centrale “segue” «il senso della misura»

Pubblichiamo la risposta integrale del Miur (Ufficio Legislativo, settore università) all’interrogazione dell’On. Franco Ceccuzzi sulla drammatica situazione dell’ateneo senese. Nonostante alcune imprecisioni (quali: disavanzo di competenza ed entrate per il 2010) per le quali si rimanda al post precedente, il documento, che riporta anche dati di questo blog, mette in risalto l’inadeguatezza degli organi di governo e della direzione amministrativa nella gestione della crisi. In queste condizioni non resta che il commissariamento che, in assenza di norme specifiche, diventa  di competenza esclusivamente prefettizia, come suggerisce un acuto collega.

«La complessa questione concernente la situazione finanziaria dell’Università degli Studi di Siena e le iniziative prospettate dall’Ateneo ai fini del risanamento, come ricordato dall’Onorevole interrogante, è già stata oggetto di discussione presso questa Commissione: si ritiene comunque opportuno riassumere la vicenda.

La situazione di grave crisi economica e finanziaria in cui versa l’Università degli Studi di Siena da una parte è riconducibile ai rilevanti debiti accumulati negli esercizi precedenti, dovuti, soprattutto, al mancato rispetto delle scadenze dei versamenti dell’IRAP e degli oneri dovuti all’INPDAP e dall’altra è conseguenza dello squilibrio tra le spese fisse e finanziamento statale determinato, in particolare, dal numero storicamente alto dei dipendenti rispetto al fondo di finanziamento ordinario che nel corso degli ultimi anni ha fatto registrare un valore superiore al limite massimo del 90% previsto dall’art. 51, comma 4, della legge 449/1997.

Un ulteriore elemento di criticità è costituito dal fatto che solo alla fine dell’anno 2008 è emersa l’ampiezza dello squilibrio strutturale fra entrate ed uscite d’esercizio, stante la rappresentazione non veritiera dei risultati d’amministrazione pregressi riportati nei rispettivi documenti di bilancio che ha contribuito ad impedire un’evidenziazione chiara e tempestiva dello squilibrio.

Nonostante nel corso dell’anno 2009, si sia proceduto all’estinzione della situazione debitoria pregressa nei confronti dell’INPDAP (72,9 milioni di euro) mediante l’utilizzo dei proventi della vendita di un immobile (San Niccolò), il disavanzo presunto di amministrazione al 31 dicembre 2009 risulta stimato in oltre 104 milioni di euro nella situazione finanziaria allegata al bilancio di previsione 2010, approvato dal Consiglio di amministrazione il 29 dicembre 2009.

Peraltro, il disavanzo di competenza previsto per l’anno 2010 ammonta a 32,3 milioni di euro, a fronte di entrate previste per 254,1 milioni di euro e spese per 286,4 milioni di euro.

Al riguardo, si precisa che, sulla base di quanto comunicato dall’Ateneo con nota n. 289 del 7 gennaio 2010, dette previsioni sono state predisposte in attuazione del Piano di risanamento 2009-2014 approvato dal Consiglio di Amministrazione nella seduta del 13 luglio 2009 i cui effetti, sempre sulla base di quanto dichiarato dallo stesso Ateneo, si sono in parte realizzati nel corso dell’anno 2009 (blocco del turnover, tagli delle dotazioni ai centri autonomi di spesa, riduzione del numero di borse di dottorato e degli assegni di ricerca, recesso di alcuni contratti di locazione, cessazione del ricorso al lavoro interinale, riduzione dei contratti di pulizia e sorveglianza, ecc.).

A fronte di tale squilibrio finanziario, l’Ateneo prevede di effettuare nel corso del primo semestre del corrente anno ulteriori dismissioni di beni immobili non strumentali (Policlinico le Scotte, Certosa di Pontignano, Palazzo Bandini-Piccolomini, Collegio Santa Chiara), dei quali non si è in grado, al momento, di conoscere il relativo valore economico di mercato.

Va fatto presente che all’Ateneo è preclusa la possibilità di ricorrere alla contrazione di prestiti e altre tipologie di indebitamento, tenuto conto che dette operazioni sono possibili solo per il finanziamento di interventi in conto capitale, così come definiti dall’art. 3, comma 18, delle legge n. 350/2003.

Inoltre, l’indicatore del limite di indebitamento riferito all’anno 2008 – calcolato rapportando l’onere complessivo di ammortamento annuo (capitale ed interessi) dei mutui e di altre forme di indebitamento a carico del bilancio dell’Ateneo alla somma algebrica dei contributi statali per il funzionamento, per gli investimenti e l’edilizia ed i proventi delle tasse, soprattasse e contributi universitari nell’anno di riferimento – si attesta al 34,5% e quindi l’Ateneo incorre nel divieto sancito dall’art. 3, comma 1° del decreto interministeriale del 1° settembre 2009 che prevede l’impossibilità di contrarre nuovi mutui e altre forme di indebitamento con oneri a carico del proprio bilancio in casi in cui l’indicatore di indebitamento risulti pari o superiore al 15%.

Per quanto riguarda la richiesta prospettata nell’interrogazione di interventi legislativi volti ad introdurre la possibilità di prepensionamenti o forme di ammortizzatori sociali non previsti dalla vigente normativa, si fa presente che gli stessi determinano oneri per la finanza pubblica, per i quali è necessario individuare i relativi mezzi di copertura.

In particolare, per quanto concerne, nel merito, la possibilità di prepensionamenti, si evidenzia che la stessa si porrebbe in contrasto con l’obiettivo di elevazione media dell’età di pensionamento dei lavoratori prevista dai provvedimenti di riforma del sistema previdenziale.

Relativamente al personale dell’Ateneo senese, nel documento parlamentare, si parla genericamente di contratti in scadenza e di mancati rinnovi di contratti di personale vincitore di concorso, ma non ancora stabilizzato: tali indicazioni sono frammentarie e non consentono di individuare esattamente le posizioni giuridiche di cui i soggetti sono titolari. Sulla materia, tuttavia, si rammenta che le Università sono assoggettate ad una specifica disciplina limitativa delle assunzioni a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 66, comma 13, del d.l. 112/2008 come modificato dall’art. 1, comma 3, del d.1. 180/2008 convenito con modifiche dalla legge n. 1/2009 fermi restando i vincoli di cui all’art. 1, comma 105, della legge n. 311/2004.

In merito all’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo determinato, invece, vigono i limiti giuridici e di spesa previsti rispettivamente dall’art. 49 della legge n. 133/2008 e dall’art. 1, commi 187 e 188 della legge n. 266/2005 e successive modificazioni e integrazioni.

In materia di mobilità specifica del personale dell’Ateneo non sono state poste in essere, allo stato attuale, iniziative in materia di prepensionamenti e mobilità; tuttavia occorre evidenziare che, nell’ambito degli interventi per favorire la mobilità del personale docente e ricercatore (D.M. 23 settembre 2009, n. 45), sono stati previsti maggiori incentivi nell’ipotesi in cui i soggetti chiamati prestavano servizio presso atenei con un rapporto assegni fissi/FFO maggiore del 90%.

In via generale, però, corre l’obbligo di rappresentare che tutte le procedure autorizzatorie di assunzioni devono essere precedute dall’esperimento di procedure di mobilità. Sul tema si rinvia anche alle indicazioni recate dalla circolare, di concerto MEF e Dipartimento Funzione Pubblica, prot. 14115/05/1.2.3.1 dell’11 aprile 2005.

Quanto alle problematiche relative alle qualifiche dirigenziali e al direttore amministrativo si rappresenta che, sulla scorta di alcune anomalie di dati emerse in sede di rilevazione del conto annuale per l’anno 2008, ai sensi del titolo V del decreto legislativo n. 165/2001, il Ministero sta procedendo all’approfondimento al fine di assumere eventuali iniziative in caso di comprovata violazione di disposizioni di legge, regolamentari o contrattuali.

Ad ogni buon conto, considerato che le anomalie riscontrate in alcuni Atenei, tra cui quello di Siena, riguardavano tra l’altro il conferimento di incarichi di dirigente di prima fascia si e provveduto, in sede di incontri tecnici relativi all’atto di indirizzo dell’Area VII (ricomprendente la dirigenza amministrativa delle Università e degli enti di ricerca), a puntualizzare che nelle Università non è prevista la prima fascia dirigenziale.

Per quanto riguarda gli aspetti connessi al piano di risanamento si evidenzia che lo strutturale squilibrio finanziario è determinato dall’eccessivo costo del personale atteso che nell’Ateneo senese sussiste il rapporto di una unità di personale ogni 3,7 studenti, rispetto ad una media nazionale di una unità di personale ogni otto studenti.

Si riferisce, infine, che il gruppo di lavoro incaricato di procedere ad una accurata analisi delle situazioni finanziarie deficitarie di alcune Università, compresa quella di Siena, sta predisponendo la versione definitiva della relazione finale e, pertanto, si ritiene che l’incontro con il Ministro debba essere rinviato ad un momento successivo all’esame della suddetta relazione.»

41 Risposte

  1. Onestamente non credo che ci sia di che essre contenti.
    Se davvero il commissario potesse licenziare, saremmo davanti ad una probabile macelleria sociale. Chi mandiamo a casa? Docenti? Amministrativi? Tutti e due? Quanti? E le famiglie?

  2. Un intervento di Massimo Mori, Consigliere provinciale PdL a Siena (da: La Nazione Siena, 20 febbraio 2010).

    Ancora Ateneo, ancora troppa demagogia

    Massimo Mori. Finalmente un po’ di lucidità, finalmente si comprende che la contrapposizione non paga, adesso il messaggio diventa pacato, consapevole e attento. Ora si comincia a parlare di mobilità fra enti, ora si comincia ad avere la percezione reale della situazione, una situazione che è solo frutto di chi ha gestito l’Università di Siena negli ultimi decenni.
    Colpa di chi ha usato in maniera strumentale la disperazione di chi cercava un posto di lavoro, colpa di chi ha creato dirigenti e quadri, colpa di chi guardava al proprio potere senza porsi mai il problema di chi poi avrebbe pagato tali scelte. Poi dalle colpe che ormai, ha ragione l’onorevole Ceccuzzi, non servono più a nessuno, siamo arrivati alla attuale crisi drammatica e devastante per la soluzione della quale si chiede un tavolo istituzionale. Ma per fare cosa, per quale progetto? Ceccuzzi assimila l’Università ad una azienda ma questa non è neppure vicina al concetto di azienda, nella quale i conti sono sempre un fattore determinante pena il fallimento, del tipo “quel che ci và ci vuole” tanto paga qualcun altro in questo caso il governo, cosi tutti noi.
    Smettiamo di prenderci in giro e riflettiamo con serietà, che lo vogliamo. Tre sono le possibilità di uscire dalla attuale situazione: aumentare le entrate, ridurre i costi, cambiare il quadro dirigente responsabile di questa attuale situazione. Perché un progetto di risanamento per essere credibile non può partire in assoluto solo risparmiando su ciò che a prima vista ha il costo maggiore, l’obiettivo primario deve essere altresì quello di utilizzare a pieno le risorse disponibili, e le persone sono da considerare non un costo ma risorse. Quindi prima di tutto occorre evitare una caduta di immagine; poi c’è l’aspetto del risparmio, rispetto alle entrate e rispetto a quanto è possibile avere dalle strutture centrali. A Siena c’è troppo personale esso è entrato in una struttura gonfiata da chi ha fatto promesse che non poteva mantenere. E poi si pensa davvero che altri soldi possano arrivare a chi li usa non si sa come? Vi siete domandati dove sono finiti gli oltre 2mila miliardi di contributi erogati dalla Fondazione Mps sulla provincia di Siena, e poi dove sono finiti tutti i denari dei mutui contratti da parte dei comuni e della provincia, delle società controllate e dell’Università quando tutto il territario è nella stessa crisi? A tutti i dipendenti dell’Università, a tutti i lavoratori delle aziende in crisi, a tutti coloro che hanno perso il lavoro, a tutti coloro che non l’hanno mai trovato, vogliamo dire che chi oggi comincia a diventare preoccupato lo è solo perché pensa di poter perdere il privilegio non perché vuole davvero la soluzione del problema, perché altrimenti con molta umiltà, avrebbe chiesto aiuto, invece no, il governo deve pagare e coloro che hanno il diritto di gestire le risorse ancora gli stessi, vi pare davvero possibile che questo sia il percorso più logico?

  3. Il governo deve pagare perché altrimenti come si fa a continuare a pagare il deficit di Pontignano (1,16 mln), di Ampugnano (1,1 mln), della Biotech (10 mln all’anno?), la Toscana Life Sciences, i vari Sgarbi, i progetti per lo stadio che non si farà mai, i garanti dell’informazione per il Regolamento edilizio mai finito ecc. ecc.? Non c’è nessuna graduazione dell’importanza degli interventi e dei deficit quindi: questo è il peggiore governo che Siena abbia mai avuto, ma c’è solo Barzanti a mugugnare nella sinistra… Nessuno che ci dica che fine faranno le biblioteche, il pane quotidiano della ricerca umanistica e delle scienze sociali… intanto facciamo un giro a Cuba!

  4. Un altro schiaffo, che lascerà il segno, agli organi di governo dell’ateneo senese

    Documento dell’assemblea dei ricercatori dell’Università di Siena (19 febbraio 2010)

    «L’assemblea dei Ricercatori dell’Università degli Studi di Siena esprime il suo totale dissenso sul pensionamento anticipato dei ricercatori Universitari disposto dall’Ateneo Senese, che giudicano un attacco alla dignità di coloro che hanno svolto fino ad oggi funzioni di didattica, ricerca ed assistenza al pari dei colleghi professori Ordinari ed Associati.
    L’assemblea denuncia con forza il mancato rispetto delle relazioni sindacali che prevedono tra l’altro la preventiva consultazione delle OO.SS. per i problemi e le decisioni inerenti il personale e i conseguenti effetti sulle attività garantite.
    Seppur pienamente coscienti dell’attuale difficile situazione in cui versa l’Ateneo, si è d’accordo con le organizzazioni sindacali che hanno già manifestato, sia a livello nazionale che locale, contrarietà all’applicazione delle nuove norme in materia (decreto Brunetta) che fanno due pesi e due misure tra il personale docente, stabilendo età di pensionamento diverse in base allo status giuridico di appartenenza, che giudichiamo ipocrite, ingiuste e anticostituzionali. L’assemblea unanime chiede agli Organi di Ateneo di sospendere qualsiasi forma di pensionamento “coatto”, se non su base volontaria, come accade per il resto della Docenza (prof. Ordinari e Associati) e si riserva, qualora tale richiesta non fosse accolta, di attuare tutte le forme di lotta a salvaguardia della propria dignità professionale, riservandosi anche di esperire le vie legali per tutelare i diritti costituzionali.
    Evidenziamo come i Ricercatori per l’attività didattica contribuiscano al possesso dei requisiti minimi dell’offerta formativa dell’Ateneo, utili alla validità dei titoli di studio rilasciati. Come è possibile accettare che i Ricercatori, da organismi ministeriali come il CINECA, vengano considerati a tutti gli effetti come Professori mentre per l’applicazione in sede locale del “famigerato” decreto Brunetta vengano considerati al pari del Personale Contrattualizzato?
    Facciamo presente le contraddizioni contenute nel pensionamento “forzoso” messo in atto a Siena, come non dia certezza all’Amministrazione di un effettivo risparmio. Le nostre attività di ricerca e didattica si fondono in alcuni casi anche con quelle dell’assistenza sanitaria. La perdita di personale, non essendo possibile un nuovo reclutamento in questo anno e nei prossimi, causerebbe seri problemi all’offerta formativa, alla ricerca e ai servizi assistenziali, con evidente calo dell’offerta dei servizi e della qualità che oggi anche noi contribuiamo a garantire.
    Non crediamo nella cosiddetta “rottamazione” coatta dei Ricercatori, che riteniamo deleteria per l’Ateneo e le sue missioni: didattica, ricerca e assistenza.
    In altre sedi universitarie sono state trovate e attuate soluzioni diverse non lesive dei diritti acquisiti dei lavoratori.
    Qualora l’amministrazione rifiuti di riconoscere l’equiparazione alla funzione di professore dei Ricercatori Universitari saremmo costretti a chiedere l’annullamento per illegittimità di tutti gli atti formali relativi alla didattica che si basano sul conteggio delle unità di personale ricercatore, un atto molto più che simbolico, per dimostrare il possesso dei requisiti minimi dei Corsi di Laurea previsti dalla normativa.
    I Ricercatori denunciano altresì che a fronte di un inquadramento giuridico a carattere nazionale, si sta a creando una situazione di disparità che penalizza i Ricercatori senesi rispetto agli altri colleghi.
    L’assemblea all’unanimità chiede con forza all’Amministrazione di rivedere la Sua posizione che giudichiamo impropria e dà mandato ai propri rappresentanti di contattare le forze politiche e sociali della città, per trovare ogni soluzione capace di tutelare l’affermazione dei nostri diritti e il riconoscimento del contributo dato alla didattica, alla ricerca e all’assistenza, riconosciuto dalle misurazioni e certificazioni di qualità anche da parte degli studenti e dalle valutazioni ministeriali con le conseguenti attribuzioni di fondi per la produzione di brevetti e di lavori scientifici ad alto impatto internazionale.»

  5. «In particolare, per quanto concerne, nel merito, la possibilità di prepensionamenti, si evidenzia che la stessa si porrebbe in contrasto con l’obiettivo di elevazione media dell’età di pensionamento dei lavoratori prevista dai provvedimenti di riforma del sistema previdenziale.» Ministero

    Ma cos’è, uno scherzo? Già i professori italiani vanno in pensione più tardi dei loro colleghi di altri paesi europei… ma poi, a che età vogliono mandarceli, a ottant’anni? Non è obiettivo del governo far posto anche a un po’ di giovani? Un giono si reclamano i prepensionamenti, accusando i docenti di non voler cedere il passo alle giovani generazioni, il giorno dopo addirittura li accusano di voler andare in pensione troppo presto…

  6. «A Siena c’è troppo personale esso è entrato in una struttura gonfiata da chi ha fatto promesse che non poteva mantenere.» Mori

    Per favore, smettiamola con discorsi generici suffragati da statistiche inoppugnabili perché troppo vaghe: se vogliamo dirla tutta, diciamo a chiare note dove c’è troppo personale (quali corsi di laurea? Quali settori?) e che tipo di personale (amministrativo? Docente?); diciamo cosa è il caso di chiudere senza appello e che si intende farne di chi ci lavora e ci studia, diciamo chi potrebbe fare a meno di alcune unità di personale e chi no (e non sto parlando dei famigerati corsi sul “bue muschiato”): a meno di non voler mandare un custode a spiegare l’equazione di Schroedinger, la questione è dirimente. Sarebbe utile, se proprio vogliamo perseguire la strada dei prepensionamenti (nonostante, su questo punto, la sorprendente nota del governo circa l’aumento dell’età pensionabile), abbinarla ad un meccanismo di do ut des, in modo tale che se uno se ne va, entra subito un giovane al suo posto, che costa assai di meno (dunque con un risparmio cospicuo) magari con contratti meno indecenti di quelli da 3000 euro all’anno (che equivalgono alle “due fette di prosciutto” che Akaki ritiene essere la retribuzione giusta per un ricercatore), in attesa di tempi migliori e per garantire la didattica e un minimo di continuità nella ricerca.

  7. Insomma ti è proprio garbata la mia metafora, eh stavrogin? O bravo!

  8. Un vigile urbano un giorno del Novantuno disse che il comunismo era restato nello Yemen del Sud, a Cuba e a Siena. Barzelette da bar strafasciste, ovvio… Tuttavia io ho visitato Cuba in anni ormai lontani. Una miseria nera su cui volteggiava un condor assessore senese, un gaglioffo targato pci. Una merda d’uomo affarista. Ma debbo dire che la ricerca e medicina erano ottime. Qui siamo ricchi e la ricerca e l’insegnamento fa cagare. Ci sarà una ragione… o ci vuole ancora una guerra del pacifista Obama degno successore di Bush??
    Bardo

  9. È una vergogna che un governo che sperpera i denari pubblici come abbiamo visto in questi ultimi giorni (tanto per fare un piccolo esempio le cifre della Maddalena sono passate da 300 a 600 milioni come se niente fosse!!) si metta a fare la morale. Così finiranno di distruggere la nostra Università e la nostra città! Io proporrei di chiamare Bertolaso o meglio Bertonaso, come lo definisce Travaglio, perché qui si tratta di una calamità… naturale!

  10. «se vogliamo dirla tutta, diciamo a chiare note dove c’è troppo personale (quali corsi di laurea? Quali settori?) e che tipo di personale (amministrativo? Docente?); diciamo cosa è il caso di chiudere senza appello e che si intende farne di chi ci lavora e ci studia, diciamo chi potrebbe fare a meno di alcune unità di personale e chi no.» stavrogin

    Qui è il problema, cari colleghi ed amici! Finalmente ci siamo. Ma chi fa la selezione? Non può farla chi è responsabile della situazione, tipo Focardi-Cotta-Detti & c.
    Chi fa una valutazione seria che indichi le vere aree di eccellenza e di “possibilità” a fini didattici?
    Ma non quelle degli amici di sempre! Per la Germania democratica si procedette con (sostanziali) commissioni di epurazione fatte da prof. della Germania ovest. Qui neppure questo éscamotage abbiamo… Ma sarebbe purtroppo il 2+2, no?
    A proposito, si spende sempre per le valutazioni ufficiali? Quanto, da quanti anni e con quali effetti?

  11. Il commento del presidente della Provincia e del sindaco di Siena

    Simone Bezzini e Maurizio Cenni. Esprimiamo la nostra più profonda amarezza per la volontà espressa dal governo di impedire all’Università di Siena di ricorrere alla contrazione di prestiti, di favorire prepensionamenti o di incentivare procedure di mobilità. Un orientamento che, secondo l’esecutivo, è legato all’attuale quadro normativo ma che, di fatto, mette in serio pericolo il futuro della nostra Università.
    Oggi, dopo sei mesi di attesa e di silenzio il governo ha ufficializzato la decisione di non autorizzare l’Università degli Studi ad accendere mutui, impedendo al nostro ateneo di attivare la linea di credito e finanziamento proposta nel mese di agosto dalla Banca Monte dei Paschi per oltre 100 milioni di euro. Una soluzione che avrebbe potuto rappresentare uno dei passi fondamentali per attuare il Piano di risanamento proposto dall’Università e per guardare con maggiori speranze al futuro.
    La risposta del governo arriva in maniera tardiva e in netta contrapposizione con le parole di rassicurazione espresse da alcuni esponenti dell’esecutivo, il 23 novembre scorso, durante la visita del governo a Siena. In questi mesi sono state le istituzioni locali, insieme alla Regione Toscana, a portare avanti iniziative concrete per salvaguardare i dipendenti, gli studenti, tutti i lavoratori e i fornitori. È stata, per prima la Regione a riconoscere all’Università di Siena circa 8 milioni di euro all’anno per i prossimi cinque anni e ad avviare un percorso di acquisizione del polo ospedaliero de Le Scotte, che dovrebbe consentire nei prossimi mesi di reperire risorse decisive per l’attuazione del Piano di Risanamento. Anche la Fondazione Mps, in questi anni, ha fatto la sua parte, erogando risorse importanti per progetti di ricerca e formazione. L’unica istituzione che ha la competenza primaria sull’Università e che fino ad oggi si è contraddistinta per immobilismo e mancanza di risposte è stata il governo, al quale, sia chiaro, le istituzioni locali non possono sostituirsi.
    Oggi l’intervento urgente dell’esecutivo non è più rinviabile. Per questo chiediamo di procedere all’attuazione di un intervento straordinario, dal punto di vista normativo e finanziario, a favore di tutte le Università che, come quella di Siena, versano in una situazione finanziaria difficile. In questo modo si eviterebbe la messa in discussione dell’operatività di prestigiose istituzioni che producono un bene pubblico di valore inestimabile, come il sapere. Fino ad oggi gli unici ad avere pagato sulla propria pelle e senza colpe, le conseguenze della crisi sono stati i lavoratori che hanno visto il loro contratto finire e quelli che vivono da mesi in una situazione di grande incertezza.
    Per la prima volta il governo ha riconosciuto esplicitamente, la gravità della situazione e lo stato di emergenza della nostra università. Per questo, alla luce di questo riconoscimento si rende ancora più urgente la convocazione di un tavolo di crisi, presso il Miur o la presidenza del consiglio, che veda riuniti gli enti locali, la Regione, l’Università e il governo mettendo da parte ogni contrapposizione e lavorando per il bene dell’Ateneo, di chi ci lavora, della nostra città e della nostra Provincia.

  12. …ripeto, sogno o son desto? Ho forse frainteso? Questa nota mi pare infatti sconcertante, in perfetta controtendenza con quello che si è datto da tutte le parti sino ad ora, ossia che i docenti italiani vanno in pensione troppo tardi:

    «In particolare, per quanto concerne, nel merito, la possibilità di prepensionamenti, si evidenzia che la stessa si porrebbe in contrasto con l’obiettivo di elevazione media dell’età di pensionamento dei lavoratori prevista dai provvedimenti di riforma del sistema previdenziale.» Ministero

    Reperisco in rete questi dati, che vi prego di smentire, se falsi:

    La Camera,
    premesso che:
    all’articolo 5, comma 3, del provvedimento in esame, si prevede – in riferimento al comma 11 dell’articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – la facoltà per le amministrazioni pubbliche, in caso di compimento dell’anzianità massima di servizio effettivo di 40 anni del personale dipendente, di risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi;
    il citato articolo 72, comma 11, prevedendo l’esenzione dall’applicazione della norma per i professori universitari, si muove in direzione opposta rispetto all’esigenza di svecchiare la dirigenza pubblica in particolare nell’ambito universitario;
    a tale riguardo sarebbe stato più utile prevedere l’abrogazione della deroga stessa per i professori universitari;
    infatti, la classe docente italiana è anche la più vecchia d’Europa: come riportato nel rapporto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il 55 per cento dei docenti di ruolo supera i 50 anni con una distribuzione dell’età diversa fra le tre fasce. Gli ultracinquantenni costituiscono l’82 per cento degli ordinari, il 55 per cento degli associati e il 31 per cento dei ricercatori. Se poi si osserva la fascia di età degli ordinari, si rileva che il 45 per cento ha più di 60 anni e che addirittura il 24 per cento ne ha oltre 65. Nel panorama internazionale, ed europeo in particolare, l’Italia è tra i paesi con la quota più alta di docenti ultracinquantenni;
    le cause dell’elevata età media dei docenti sono essenzialmente due:
    i tempi troppo lunghi per l’immissione in ruolo dei ricercatori, che avviene secondo percorsi non definiti;
    una normativa troppo generosa sull’età pensionabile dei professori ordinari;
    il primo aspetto è stato affrontato dal decreto-legge n. 180 del 2008 che fissa al 60 per cento la quota di immissione dei ricercatori; il secondo aspetto richiederebbe un intervento mirato di riduzione dell’età pensionabile;
    in Italia, i lavoratori vanno in pensione a 65 anni, mentre i professori universitari lo fanno molto più tardi: la legge n. 498 del 1950 introduce la collocazione fuori ruolo a 70 anni e la pensione definitiva a 75. Il limite viene mantenuto fino alla legge n. 382 del 1980 che abbassa l’età di collocamento fuori ruolo a 65 anni e quella della pensione a 70. Un cambiamento superato con la legge n. 230 del 1990 che ripristina la normativa precedente, definendo opzionale il collocamento fuori ruolo a 65 anni. Come se ciò non bastasse, con il decreto-legge n. 503 del 1992 si permette ai docenti di rimanere in servizio per un ulteriore biennio oltre il limite di età, innalzando quindi l’età di permanenza in ruolo sino a 72 anni. A questa opzione favorevole si è aggiunta la possibilità di ottenere il fuori ruolo per tre anni in modo automatico;
    molti docenti immessi in ruolo negli anni ottanta godono di questo privilegio, che tuttavia dopo la riforma dell’allora ministro Mussi (articolo 2 della Legge finanziaria 2008) è in progressiva abolizione;
    infine, la «riforma Moratti», legge n. 203 del 2005, ha abolito la permanenza fuori ruolo e fissa a 70 anni l’età della pensione, ma questo solo per i nuovi assunti;
    nei decenni passati, l’idea del pensionamento in tarda età per i professori universitari era in linea dì principio condivisibile poiché riconosceva ai pochi professori, provenienti da un duro percorso di selezione, un valore intellettuale e professionale tale da rendere vantaggioso per il sistema universitario una vita lavorativa prolungata;
    i cambiamenti legislativi che hanno aumentato il numero degli ordinari e svuotato il processo di selezione con le sanatorie e le idoneità multiple ha però di fatto reso controproducente e costoso per il sistema una vita lavorativa protratta fino a 72 anni e più;
    nell’enorme massa dei circa 20 mila ordinari che popolano le facoltà italiane sono difatti ben pochi quelli in grado di rimanere attivi nella ricerca e nella didattica fino a tarda età. I sette anni aggiuntivi rispetto agli anni di fine carriera costano al proprio ateneo circa 120 mila euro all’anno, che per sette anni diventano 840 mila. Con questa cifra si potrebbero pagare 28 ricercatori per un anno o, se si preferisce, un ricercatore per 28 anni;
    lo svecchiamento del sistema universitario e l’aumento dei giovani ricercatori, necessari per rimettere in moto l’università italiana, passano anche attraverso una revisione dell’età pensionabile che andrebbe riportata a 65 anni per i docenti oggi in servizio;
    è altresì vero che nella massa dei 20 mila ordinari ci sono personalità di grande spessore scientifico e culturale, i quali costituiscono un patrimonio importante per la trasmissione del sapere. Ispirandosi al sistema anglosassone, per loro andrebbe prevista la costituzione dellafigura del «professore emerito». Un titolo da conferire unicamente ai professori meritevoli e di chiara fama che dopo il raggiungimento dell’età pensionabile desiderano continuare l’attività di insegnamento e di ricerca. Per evitare i soliti automatismi dell’università italiana, il titolo andrebbe riconosciuto solo su richiesta motivata e attribuito solo per alti meriti scientifici dopo una rigorosa valutazione. Infine, per evitare abusi il numero massimo di professori emeriti andrebbe fissato per legge, ad esempio al 5 per cento del numero di professori ordinari della facoltà di appartenenza,

    impegna il Governo

    a valutare l’opportunità di prendere le opportune iniziative anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, per rivedere la normativa concernente l’età di pensionamento dei professori universitari al fine di favorire lo svecchiamento del corpo docente delle nostre università.
    9/2031-A/22.(Nuova formulazione, nel testo modificato) Zazzera

  13. I proff. della Sapienza hanno vinto due-tre mesi fa il ricorso Tar contro il più recente tentativo di mandare a casa a 70 anni gli assunti con vecchi concorsi.

  14. Questi governanti senesi sono buffi!
    Fanno la battaglia per la legalità contro l’illegale Berlusca e poi chiedono per Siena provvedimenti che sono contra legem: o sbaglio, grandi giuristi di Siena?
    Servitor Vostro
    a.

  15. Il Tar, quello del lazio in particolare, la dà a tutti, la sospensiva intendo, basta pagare (un avvocato). Anche tutti i “luminari” senesi settantenni hanno fatto ricorso e avranno la sospensiva. Tra loro anche i responsabili dello sfascio dell’Ateneo. Paradossalmente, in queste settimane, il Magnifico e il direttore amministrativo fanno il giro delle facoltà per spiegare i vantaggi del prepensionamento sconfessato dal Governo, anch’esso in confusione totale (Stavrogin). Il Sindaco e il Presidente della Provincia tuonano contro il Governo, reo di non ripianare l’enorme debito che è stato generato. E pensare che nel CdA hanno sempre avuto i loro rappresentanti che, evidentemente, avevano il solo obiettivo di riscuotere il gettone di presenza visto che non si degnavano neanche di ascoltare la voce di chi aveva capito tutto. La speranza, che traspare nel finale dell’articolo di Cosimo, di qualche giorno addietro non mi pare condivisibile. Non ci sono armi Cosimo!!! Il prelato di turno ha già intonato da tempo: In Paradiso deducant te angeli; in tuo adventu suscipiant te martyres.

  16. Pare che, secondo i media locali, entrerà in campo la Confindustria coi suoi servizi e salverà il culo a tutti, in primis al solito nauseante Gotha.
    Ma, o Cosimo et alii, Iddio ne scampi da una vita grigia che tarpa l’ali alle aquile, come dice il grande Balzac nel romanzo della “Commedia” dedicato alla stampa.
    Bardo

  17. Dice il mio Sire:
    «Sit autem sermo vester: Est, est, Non, non; quod autem his abundantius est, a Malo est».
    Tanto sia lo vostro parlare.
    Giovanna d’Arco

  18. Il tuo parlare sia si o no no… La fa facile il Cristo! Ma sapeva forse (scribi a parte e quei della tribù di Levi) dei ghirigori della intellighentsija?? No. Direbbe Balzac (“Illusioni perdute”): la casta salottiera dei nobili diceva si ed era da interpretare no, e vice-versa. Poi qui si veste bene quanto detto da Balzac sulla provincia: tutto si immeschinisce; l’uomo più magnanimo ha a che fare con quelli “terra terra” (sic) e quindi i suoi orizzonti si restringono. La donna che poteva dare l’amore più nobile e grande… corre dietro ai mosconi! Consiglio anche Cechov, fustigatore della lurida provinca russa. Tal è Siena, forse l’intera Italia. I “signori” scopano e ladrano, incensati dai noti Sgarbi e proff parassiti, la plebe ha i suoi circhi e le sue giostre e gode del godimento dei signori. So che a qualcuno roderà il culo di fronte alla verità, ma sic est! Speriamo semmai che – per dirla con Jung – le persone sensibili non debbano perire in un mondo cinico e disumano. La fine ingloriosa dello “Studium” colpisce al cuore chi ama la cultura e la didattica. Pochi nauti debbono affrontare Scilla e Cariddi e poi le Sirene e la Maga Circe ecc. Hanno contro Eolo e affini…
    «Perché uno buono conviene che perisca infra molti che non sono buoni» (Il grande Niccolò Machiavelli).
    Memento osare semper!
    The Italian Bardo

  19. «Infine, il Presidente del Nucleo di valutazione ha esposto al Consiglio la propria relazione sugli indicatori di qualità dei corsi di studio, dalla
    quale emergono spunti importanti di riflessione per la programmazione dei corsi di studio da attivarsi nel prossimo anno accademico»
    .
    Ci siamo al potere effettivo…

  20. Imporsi, imporsi… unirsi ai professori – ce ne sono benché pochi – progressisti, che intendono svecchiare il “Sistema” (che non addivenga… sistemico…). E che cerchino di adiuvare le competenze, le eccellenze, la ricerca e la didattica. È sul campo, “in fieri” la battaglia; di ingiustizie è piena la nostra storia, ahimé!!! Ricordatevi e ricordiamoci di osare sempre, come ho italianizzato nel post precedente (D’Annunzio coniò “Memento audere semper). Osare lottare, osare vincere, come anche diceva il Grande Timoniere (magari nei fatti se la fece sotto…).
    Si levi alta e tonante la voce delle rappresentanze nel CdA, si impedisca ai venduti di fare papocchi e inciuci, si imponga la democrazia ai manutengoli e ai conformisti. È tempo che i “pagnottisti” cedano il passo alla intelligentsia del futuro…
    bardus

  21. E se improvvisamente la Regione Toscana non avesse fondi per acquisire l’Ospedale? Se li dovrà far prestare, infatti. E da chi? E se la Banca non li desse?
    In quel caso, vedrete tutti, o amici, come sarà facile licenziare tutti i docenti, ricercatori, ed affini che hanno maturato 40 anni di servizio (benché finora vale il potere a non far valere questa opzione), di contributi, le 58enni, i 62/63 enni. Perché se la “rotamazione coatta” non è avvenuta è solo perché ci sono ancora soldi per pagare gli stipendi.
    Si parla di rottamazione coatta. Questo termine mi ha imbufalito. Ma come si può sentire un operaio licenziato o a Cassa integrazione nel leggere che un dipendente dell’Università, o un docente, debba essere così tutelato? Un rottame, ve lo dico chiaramente. E le centinaia di migliaia di docenti della scuola che, ingannati dalle SSIS, Sicsi, Silsis, i cui dirigenti hanno promesso per anni che sarebbero entrati tutti in ruolo, ora sono tutti a casa dopo aver insegnato per cinque/sei anni? Sono stati rottamati prima della rottamazione ufficiale? Quanti di voi sanno che la SSIS, nazionalmente parlando, fu inventata a Siena?
    E poi, andando avanti così, nessuno spedirà più i propri pargoli a Siena a studiare.

    Concludendo, l’ultimo CDA ha dimostrato che non si farà nulla. Io invece attendo che chiedano i soldi al Montepaschi per comprare le Scotte. Lì, penso che avverrà qualcosa che modificherà comunque la storia di questa sonnolenta città.
    Aurevoir

  22. Postumo
    Ritengo anche giusto manifestare apertamente le soluzioni al problema, almeno per farvi capire come la penso. Tenere in cattedra e dietro la scrivania personale che ha oltre 20 anni di contributi ha un costo maggiore rispetto a personale più giovane. A mio avviso la “grande” Università di Siena non ha contribuito realmente alla crescita culturale della città. In altre località, con lo stesso numero di studenti che ha avuto l’Ateneo senese, più quello per Stranieri, ci sarebbe stato spazio per tre quotidiani e un numero molto più alto di case editrici, quali sono a Siena ora. L’editoria senese è troppo piccola a fronte di questo Ateneone creatosi dopo il 1998. Ciò vuol dire che l’Ateneone ha una testa troppo grossa a confronto con un corpo troppo esile. Ciò vuol dire che i senesi leggono troppo poco, ma anche che l’ambiente dell’ateneone non ha affatto condizionato o saputo condizionare il pubblico presente a Siena e dintorni (qui intendo gli studenti fuorisede, i contradaioli, i dirigenti MPS, etc. Ciò vuol dire che, in fondo, l’ambiente tutto ritiene l’ateneone un corpo estraneo, che lo usa. Se vi fosse stato un potere editoriale vero, un potere vero degli editori, il ricambio generazionale dei docenti sarebbe stato preteso. Come? Semplicissimo: agli editori interessa vendere; per vendere prodotti editoriali occorre che si mantenga vivo un sostrato di dibattito su cui fondare il prodotto editoriale; per mantenere vivo quel sostrato occorrono sempre nuove forze, giovani per l’appunto. Andando avanti così l’editoria senese, quella della carta stampata e libraria, finirà per chiudere bottega, quindi altri posti di lavoro persi. Personalmente, Bisi mi è pure simpatico ma resta per me un nome ed un cognome. La sua forza sta nella passione che mette in ciò che fa, così come il sig. Grasso crede in ciò che fa. La forza, tuttavia, è più alta quando ognuno riesce ad essere tanti.
    Noi quanti siamo?

  23. Ma di che parli, Lorenzaccio? Lo sai che l’Ascherino ha dovuto pubblicare alla macchia e si porta i libri a mano in libreria?
    Scendi dalle nuvole, questa è una città che da venti/trent’anni vive al di sopra delle sue possibilità… e come avviene in qualsiasi famiglia a un certo punto i conti si fanno… il MPS prende in prestito, non può più fare prestiti reali! Sveglia amico! Il Bisi è il primo a offuscare la verità! Leggi ZOOM e mondoraro.org piuttosto… vedrai un’altra Siena: quella vera, tragica di oggi, l’unica che si merita questa università di dormienti!

  24. Lorenzaccio, qui si comincia a non capire più niente, perché la “rottamazione” pare essere avversata dal Ministro medesimo:
    «In particolare, per quanto concerne, nel merito, la possibilità di prepensionamenti, si evidenzia che la stessa si porrebbe in contrasto con l’obiettivo di elevazione media dell’età di pensionamento dei lavoratori prevista dai provvedimenti di riforma del sistema previdenziale.» Ministero

    …ciò mi lascia sconvolto perché mi pare un ignobile gioco delle parti, che maggioranza e opposizione si scambiano come recitassero un canovaccio nella commedia dell’arte: infatti è noto che i professori italiani vanno in pensione molto in là con gli anni, più tardi dei colleghi europei; poi ripeterò fino alla nausea che certe misure vanno prese “cum grano salis”, perché nell’università esistono quelle cosine che si chiamano “requisiti minimi di docenza”, che oltretutto il DdL prossimo venturo si accinge ad alzare di molto, determinando il collasso automatico di molti settori: dunque, che almeno si dica esplicitamente quali settori ci si accinge a rottamare! Siccome non puoi prendere un usciere e metterlo a insegnare fisica teorica, né un botanico metterlo ad insegnare algebra commutativa, far impartire lezioni di chimica a un ragioniere o un docente di elettronica farlo insegnare archeologia etrusca; siccome la legge stabilisce esattamente come deve essere imbastito un corso di laurea e quanti docenti ci vogliono e come devono essere distribuiti (fra cherubini e serafini); siccome non è assolutamente vero che ovunque ve ne siano troppi (bella scusa eh, da parte di chi ha gozzovigliato, salvare il deretano facendo pagare il conto agli altri?) e siccome infine molti se ne stanno andando in pensione anche senza “rottamazione”, direi che occorre un po’ di cautela nel pestare questo pedale, perché ci si predispone oggi ineluttabilmente a sbaraccare mezzo ateneo e le accelerazioni possono risultare letali, essendo che potrebbe cadere l’intero palazzo cercando incautamente di abbattere qualche parapetto: forse tutto andrebbe fatto con maggiore discernimento e parlando in maniera più esplicita (“Si-Si” e “No-No“…). Anche la “rottamazione” magari andrebbe fatta accompagnando l’uscita di un vecchio con l’ingresso di un giovane che, se in questa fase non può essere assunto, potrebbe essere ingaggiato con contratti meno ignobili e farseschi di quelli attuali (costerebbe molto, ma molto di meno e forse potrebbe addirittura entro certi limiti essere conteggiato ai fini dei “requisiti minimi”). In ogni caso la ristrutturazione dovrebbe avvenire senza accarezzare demagogicamente la morbosità del popolino che chiede la forca per “il culturame” e senza lasciar credere che questa operazione – che talvolta significa chiudere una cattedra, con tutto ciò che comporta per chi vi ruota intorno – sia facile e indolore come buttar giù un bicchier d’acqua. Vorrei infine sapere – per rispondere retoricamente alla tua domanda retorica – perché uno alla fine di questo terremoto dovrebbe mandare “i pargoli a studiare a Siena”, se molti corsi di laurea non ci saranno più (e non parlo solo delle “fuffologie”) e di quelli sopravvissuti a stento ai tagli Mussi-Gelmini, nonché alla débacle finanziaria, dopo il salasso di docenti e i successivi riaccorpamenti la maggior parte saranno così vaghi, dequalificati e senza possibilità di specializzazione e di prosecuzione in vista della ricerca, da non avere più alcuna attrattiva.

    P.S. A me imbufalisce che si parli di “rottamazione”, sia per quanto riguarda gli operai, che per quanto riguarda i professori universitari: sono certo che chi usa questo linguaggio ha poca dimestichezza col lavoro e la fatica (e magari le tasse).

  25. Un’impressione da condividere.
    I colleghi tecnici-amministrativi che stanno andando in mobilità volontaria sono tra i migliori che ha l’Università.
    Resteranno forse solo i brocchi e chi, veramente, all’Università ci tiene.
    MM

  26. Il peccato di presunzione. Sempre quello, da millenni. Siena, una piccola città nel sud della Toscana, un giorno s’impunta, si crede bella, e decide di avere due atenei molto simili tra loro. Due rettori. Decine di prof, centinaia di impiegati, lustrini, banchetti, decori.

    Un giorno, la città si sveglia dal sogno, si guarda allo specchio, si vede bruttina, meridionale, agreste. Gli studenti fuggono, ritornano alle loro terre calabresi, pugliesi, siciliane. Gli affittacamere rantolano, battono la coda, si rivalgono sui nuovi arrivi cinesi della Stranieri. Camere a 390 euro a posto letto, che cortesia nel senese, i civili cortesi toscani che cor magis eccetera. Che accolgono il pellegrino a braccia aperte, se ha il portafogli pieno.

    Insomma, un fuggi fuggi, come si dice in toscano, ma i prof anche a 70 anni sono troppo bravi per lasciare lo scettro. Per carità, che scandalo. Mica si vorrà far paragoni tra un vero prof bardato e un semplice suddito. I prof hanno il diritto di stare a prendere lo stipendio oltre il dovuto, non come gli altri poveri del carro bestiame.

    Allora ditemi, lettori, qual è la soluzione alla fiaba. Come si concluderà la bella storia di questa città che si credeva bella e si svegliò bruttina e logorroica.

    Parole tante. Soldi tanti, in banca. Prof tanti. Studenti pochi, sempre meno.

  27. «…i prof anche a 70 anni sono troppo bravi per lasciare lo scettro. Per carità, che scandalo. Mica si vorrà far paragoni tra un vero prof bardato e un semplice suddito.» Akaki

    Akaki, che l’università italiana, dopo le grandi infornate di ordinari degli anni di vacche grasse (e gli inevitabili digiuni successivi) stia diventando una sorta di Campansi, è vero, ma nella tua ansia solipsistica di insultare sistematicamente “il culturame”, forse ti è sfuggito un particolare: sui prepensionamenti questo è il parere – per me del tutto indecifrabile – del ministro, non della CGIL:

    «In particolare, per quanto concerne, nel merito, la possibilità di prepensionamenti, si evidenzia che la stessa si porrebbe in contrasto con l’obiettivo di elevazione media dell’età di pensionamento dei lavoratori prevista dai provvedimenti di riforma del sistema previdenziale.» Ministero

    Quanto alla problematica legata alle ripercussioni dei pensionamenti, non è per omaggiare il sottoscritto, ma la tua intelligenza, che dovresti degnarti di prendere in considerazione (eventualmente per confutarlo) quello che, “senza nulla a pretendere”, ho scritto qui sopra. Altrimenti rischi di continuare a parlare a vanvera. E piantala con queste bischerate sui “profesurun” tutti ricchi e sfaccendati: rischi di essere impalato e girato a porchetta da qualche torma di precari e di ricercatori imbufaliti.

  28. L’intervento dei consiglieri comunali Milani e Bandini (Corriere di Siena, 24 febbraio 2010)

    «Sulla’ateneo non sarà che Comune e Provincia ci mettano solo il bercio
    Agostino Milani e Massimo Bandini. In occasione del consiglio comunale del 9 febbraio, come consiglieri dei gruppi PDL, presentammo una interrogazione urgente dove chiedevamo al sindaco di conoscere “Che cosa si impegnano a fare le istituzioni, in particolare il Comune, a favore dell’Ateneo Senese facendo anche riferimento al problema dei lavoratori in esubero”.
    Purtroppo, nonostante la semplicità della domanda, il sindaco Cenni non rispose, salvo poi uscirsene domenica scorsa, congiuntamente con il presidente della Provincia Bezzini, con un comunicato che di fatto non dice niente. Il comunicato parte dalla notizia che il Governo non ha autorizzato l’Università degli Studi di Siena a ricorrere alla contrattazione di prestiti con la banca MPS per potere fare fronte a debiti pregressi. “Un orientamento” dicono “legato all’attuale quadro normativo ma che, di fatto, mette in serio pericolo il futuro della nostra Università”. In altre parole dicono che l’autorizzazione non era possibile perché per rilasciarla il Governo avrebbe dovuto andare in deroga, cioè contro, le leggi vigenti aggiungendo però che se il Governo non fa una eccezione per l’Università di Siena, ne mette in serio pericolo il futuro. Come se la responsabilità della crisi dell’Ateneo senese fosse del Governo e non della mala gestione dello stesso Ateneo. È chiaro che almeno Cenni è consapevole che certe affermazioni non stanno né in cielo né in terra, così come è altrettanto evidente che lo stesso sia costretto a certe sortite per dare manforte alle interrogazioni parlamentari dell’on. Ceccuzzi.
    Ed allora viene rilanciata, per l’ennesima volta, la pensata di Ceccuzzi dell’intervento straordinario a favore delle università che versano in situazioni finanziarie difficili, magari tipo quella di Siena. Si rilancia anche la proposta della gita a Roma, evitando di chiarire se il Governo ad oggi ha rifiutato l’incontro o se si sono dimenticati di chiederlo secondo la via istituzionale. Elencando le cose fatte dalle istituzioni locali, ci dicono quello che ha fatto (poco)elezioni e nessuno si sorprende se qualche altro si mette a fare propaganda. Ci mancherebbe! Solo che elencando le cose fatte dalle istituzioni locali, ci dicono quello che ha fatto (poco) e quello che ha intenzione di fare (molto) la Regione Toscana, ci dicono anche che cosa ha fatto la Fondazione MPS, ci dicono infine quello che dovrebbe fare il Governo, ma non ci dicono quello che hanno hanno fatto ed hanno intenzione di fare Comune e Provincia. Non gli sarà mica sfuggito che loro non intendono fare nulla o, come direbbe Cenni, che al massimo ci mettono il bercio?

  29. Interessanti interventi… Uhmmm… non tutta la provincia è composta da lacché “terra terra”, come diceva il grande scrittore Balzac. Intanto qualcuno cerca di punire le voci libere – mi dicono – e si sta scatenando l’ennesimo complotto con colpi di bastone scagliati da qualche dirigente ricattabile. Vi è un inciucio antipopolare e degno dei peggiori regimi, un sottobanco schifoso… anche qui, credo, non solo a livello nazionale… Ma… Che l’inse! (Il balilla genovese).
    Bardo

  30. «Ed allora viene rilanciata, per l’ennesima volta, la pensata di Ceccuzzi dell’intervento straordinario a favore delle università che versano in situazioni finanziarie difficili, magari tipo quella di Siena.» Milani & Bandini

    …in pratica il documento in risposta alla interrogazione del Ceccuzzi da parte del MIUR suona come un “de profundis”, però non ho capito quale sarebbe la proposta globale di M & B: ragazzi, non basta la contemplazione delle ruine e il giochino del reciproco rimbalzarsi delle responsabilità, perché qui il sistema sprofonda – dico in generale, anche senza considerare la situazione senese. “Le università in condizioni difficili” è una circonlocuzione per dire semplicemente (con rare eccezioni) “le università”, come “lavoratore flessibile” è una locuzione pietosa per dire semplicemente “povero”: gli effetti degli aumenti stipendiali (una volta perso da parte degli atenei il braccio di ferro su chi li dovesse pagare) arriveranno come un’onda di piena su tutti gli atenei, sommergendoli ad uno ad uno. Senz’altro la pessima gestione della sedicente “autonomia” – in particolare a Siena! – è in larga parte responsabile del disastro, ma a diverso livello un problema c’è per tutti e non è che il governo del paese possa limitarsi a rimirare compiaciuto la catastrofe dell’intero sistema dell’università pubblica che affonda, strangolata dai debiti e dai tagli, additando un fantomatico e presunto virtuoso “sistema privato” come alternativa salvifica:

    «Atenei: allarme tagli finanziamenti 2010. I 400 milioni di euro previsti dal Governo in finanziaria non basteranno a risanare la situazione economica degli atenei italiani. Le casse sono al verde e a lanciare l’allarme sui tagli è ancora una volta Enrico Decleva, Presidente della Crui, la conferenza dei rettori italiani. A rischio ci sono in primo luogo gli stipendi di docenti e ricercatori, che vengono pagati attraverso il fondo di finanziamento ordinario di ogni ateneo, ma anche i servizi offerti agli studenti iscritti, a cominciare dalla didattica. Rispetto ai tagli a cui è stato sottoposto il fondo di finanziamento ordinario delle università, ha spiegato Decleva, la reintegrazione parziale di 400 milioni di euro – provenienti dallo scudo fiscale – non sarà sufficiente a chiudere i bilanci, e non impedirà il collasso del sistema universitario.»

    N.B. Mi viene da pensare che 400 milioni sono 1/5 dell’ammontare della truffa ai danni dell’erario venuta alla luce in questi giorni.

  31. Scusatemi se insisto, ma secondo me la soluzione della lunghissima diatriba è legata alla vendita delle Scotte. Io, uccello di malaugurio, arabescamente difeso da questa maschera, dichiaro aperta la scommessa: la Regione alla fine non acquisirà le Scotte. Alzi la mano chi è a favore o contrario. Quanto a ciò che è stato espresso nelle ultime puntate degli amici blogger rispondo che loro hanno risposto indirettamente a favore di quanto sostengo: l’Università di Siena è stata uno strumento lontano dalla società e prova ne è la mancata presenza di una struttura editoriale forte sul territorio. Demerito di chi non ha saputo appassionare.
    Quanto al resto, se si inizia a pensare al mafioso, potente, potentino, nei termini da me elencati la società civile non crescerà mai. Iniziamo a considerare noi stessi dei nomi e cognomi, poi passeremo a considerare gli altri come nomi e cognomi, esseri di passaggio. In tal modo otterremo una bilancia perfetta che ci permetterà di riflettere su ogni cosa con lucidità. A maggior ragione, codesto pensiero andrebbe applicato anche verso il Commissario, ignoto a tutti, quindi avente un nome e cognome ipotetico.
    Infine, largo a giovani.
    Ciao a tutti, di cuore…

  32. P.S. Ho appena visto Mondoraro.org
    Lo stile di Ascheri mi ricorda molto da vicino Giuseppe Impastato. Pertanto gradirei che tutti i sostenitori di Raffaele lo sostenessero per entrare in una Radio. Se non lo vogliono, che ne fondasse una. Una volta aperta, mostrate la vostra voce assieme a quella di Ascheri. Secondo, consiglio di attuare lo stile di intervistatore che praticò a suo tempo Giò Marrazzo, padre di quello oggi “famoso”. I più anziani se lo ricorderanno come un esempio di giornalismo, il primo ad intervistare al telegiornale un boss della Camorra.
    Ascheri, intervista il Tosi, il Berlinguer, mons. Acampa, eccetera. Forse hanno qualcosa da dire.
    Se non si fa in questo modo, come si potrà giungere alla vera verità? Con le invettive personali non si va da nessuna parte. A scanso di querele, Giò Marrazzo se non ricordo male intervistò Antonio “o Malommo” e poi anche Raffaele Cutolo. Per l’epoca fu un colpo giornalistico. Raffaele, tocca a te. Provaci!

  33. …girovagando pei blog durante una notte insonne, trovo casualmente questa dichiarazione del Decleva, dalla quale deduco che il microcosmo senese riflette (in peggio) il macrocosmo italiano:
    «Avremo pensionamenti massicci, ma casuali, cattedre vuote qua e là: se non programmiamo le assunzioni rischiamo di lasciare sguarniti interi settori disciplinari»

    Atteso che qui di assunzioni, naturalmente, non è il caso di parlare, vale “la seconda che hai detto”, ossia che i pensionamenti lasceranno sguarniti vari settori, in maniera del tutto “random”: a posteriori, però, come fa certa storiografia accomodante, si potrà sempre dire che sono stati smantellati sulla base di un preciso disegno razionale volto alla ricerca dell’eccellenza… ripeto, a parte il reciproco rinfacciarsi le responsabilità, se in casi particolarmente delicati non è possibile rimpiazzare chi se ne va nemmeno con un contratto (sperabilmente di tipologia diversa da quelle porcate cui siamo abituati), non ho capito come si intende affrontare questo impasse, se non fatalisticamente aspettando che il destino si compia sulla base di imperscrutabili disegni divini.

  34. Mi fate ridere! Che razionalizzazioni volete se succedono cose così: Alla Camera l’on. Eugenio Mazzarella (Pd) ha presentato un emendamento per togliere questo ‘privilegio’. L’emendamento è stato bocciato. Riportiamo l’intervento di Manzella:

    Eugenio Mazzarella. «Signor Presidente, con questo emendamento chiediamo la soppressione di un comma che prevede che ad alcuni istituti universitari ad ordinamento speciale, ossia all’istituto universitario di studi superiori di Pavia, all’istituto italiano di scienze umane di Firenze e alla scuola IMT alti studi di Lucca, al fine di completare l’istituzione della relativa attività, non si applicano, fino al 31 dicembre 2011, le disposizioni che limitano il turn-over nelle università. Si tratta, a tutta evidenza, di una previsione di favore per questi istituti oggettivamente in contrasto con il rigore finanziario che la normativa vigente mette in capo in termini persino iugulatori ad altri istituti universitari e alle università statali.
    È una difformità di trattamento non consona ad una giusta equiparazione di tutti gli istituti universitari e fa il paio con il tentativo, di recente andato a vuoto grazie alla sensibilità dell’Assemblea in un precedente provvedimento, di consentire l’aumento dell’età pensionabile al settantacinquesimo anno per i professori ordinari delle università private.
    È ora di finirla con deroghe al rigore imposte a tutto, selettive di questi o quegli istituti universitari che immotivatamente alla fine emergono come più uguali degli altri.»

    E che fanno meno di altri a giudicare dall’informazione corrente, no? I classici enti inutili… ma c’è quello di destra e quello di sinistra – l’on.le forse non lo sapeva o ha fatto il furbo, cosa che non escluderei per niente

  35. Un comunicato del Popolo delle Libertà (Corriere di Siena del 27 febbraio 2010) che, nel riportare la posizione del partito sull’università di Siena, accenna, senza nominarli, a quei pochi docenti, come il curatore di questo blog, che denunciarono per tempo il dissesto dell’ateneo.

    «L’ateneo non si salva cedendo il patrimonio»
    PdL di Siena. Sono passati almeno cinque anni da quando si ebbero le prime avvisaglie che la nostra Università stava andando verso un baratro più che pericoloso. Alcuni docenti suonarono importanti campanelli d’allarme così come alcuni quotidiani locali ma, per i più e, in particolare, per i politici di sinistra della nostra città, in quel momento, sembrarono voci da non prendere in considerazione. Un calo di studenti ben marcato: 21366 nell’anno accademico 2003/2004 e intorno ai 18 mila in questi ultimi anni. I soliti benpensanti, all’oscuro o no della triste situazione del nostro ateneo avrebbero anche potuto pensare che con meno studenti si sarebbero potuti contenere i costi e quindi migliorare i bilanci. Macchè, a fronte della contrazione prima ricordata (oltre 3000 iscritti in meno) il personale docente e quello amministrativo è aumentato oltre ogni limite e così le perdite. In ritardo, si cerca di rimediare con la cessione e/o vendita di buona parte del patrimonio. L’ex ospedale psichiatrico va all’Inpdap per i mancati versamenti dei contributi e ritorna all’ateneo in affitto; la Regione sembra voler acquistare la parte del policlinico di proprietà dell’Università; ancora non si hanno notizie certe sulle scelte che verranno prese relativamente alla Certosa di Pontignano visto che il Sindaco di Castelnuovo Berardenga non concederà licenze per la trasformazione del complesso in albergo a cinque stelle. In tutto questo marasma c’e chi chiede, politicamente, che vengano rese note le responsabilità. C’è chi chiede invece troppo insistentemente, come il sindaco della città ed il presidente della Provincia, che sia lo Stato a risollevare le sorti della nostra Università quando altri l’hanno resa difficilmente gestibile. C’e, infine, chi ha invocato e invoca un commissariamento quando la frittata è già stata fatta nel silenzio di tutte le istituzioni cittadine. Il problema principale è stato e rimane quello dei costi del personale che vanno ben oltre il 90% del fondo di dotazione così come previsto dalla normativa sull’autonomia delle Università. È su questo punto che occorre trovare delle soluzioni anche con l’aiuto dello Stato e non su altri aspetti che risulterebbero sempre un tampone provvisorio come sta a dimostrare la prevista perdita di oltre 30 milioni per l’esercizio in corso e i deficit rilevati o rilevabili dai consuntivi 2008 e 2009 che vanno ad assommarsi a quelli precedenti. A parer nostro il problema della spesa corrente non si risolve con la cessione del patrimonio ma, solo ed esclusivamente, con decisioni una volta per tutte serie. Il Senato Accademico, per quanto riguarda il personale docente ha già assunto una decisione per l’esodo anticipato. Per il personale amministrativo, a parer nostro, e proprio con lo Stato, dovrebbero essere ricercate soluzioni unitamente alla mobilità verso altre strutture pubbliche della città, dei comuni della provincia, della stessa Amministrazione provinciale e della Regione. Altro nodo da sciogliere resta quello delle Facoltà che non hanno ragione di esistere per la scarsissima presenza di studenti.

  36. Segnalo il seguente articolo de “La Nazione” Siena (27 febbraio 2010).

    Peggiorano i conti ed è scontro. Infuocata seduta del Cda
    Francesco Ianniello. L’ennesima seduta “movimentata” del Cda si è conclusa venerdì alle 20, bloccata da un unico punto in discussione, quello relativo alla liquidità. Alla fine è stato necessario un ulteriore aggiornamento al 15 marzo. La discussione e i litigi si sono scatenati quando è stato presentato un nuovo prospetto con cifre ancora peggiori rispetto a quelle paventate dai sindacati: l’ammontare del disavanzo previsto per fine anno è pari a 137 milioni di euro. Numeri da brividi (e passibili di ulteriori aggiustamenti in negativo) che renderebbero vana anche un’eventuale vendita delle Scotte (le cui modalità e tempistiche sono ancora tutte da definire). Alcuni non hanno esitato a definire la situazione già compromessa: a questo punto l’unica soluzione sembra essere la mobilità di un buon numero di dipendenti. Sul bilancio le spese per il personale stanno diventano davvero insostenibili alla luce anche della diminuzione dell’Ffo e del poco “appeal” che sta dimostrando di avere la manovra di prepensionamento. Prevista per fine marzo l’approvazione del nuovo Piano di risanamento: da più parti si chiedono misure incisive, pena il definitivo collasso del “sistema” Università. Anche ieri si sono cominciati a far sentire i primi effetti delle dinamiche elettorali e così molti docenti sono apparsi quanto mai restii ad accettare alcuni sacrifici che toccherebbero anche a loro. In parecchi non vogliono sentir parlare di accorpamenti di dipartimenti e di riorganizzazioni didattiche preferendo evidentemente (non c’è altra spiegazione) che tutto il peso della crisi dell’Ateneo ricada sul personale Ta. A fine seduta il rettore Focardi ha anche annunciato il ritiro del protocollo con Confindustria, evitando cosi di fatto ulteriori problemi a1 suo direttore amministrativo Antonio Barretta che aveva voluto a tutti i costi un testo che, ieri sera in un clima già infuocato, avrebbe solo prodotto ulteriori fratture e contrapposizioni all’intemo del Cda.

  37. «In parecchi non vogliono sentir parlare di accorpamenti di dipartimenti e di riorganizzazioni didattiche preferendo evidentemente (non c’è altra spiegazione) che tutto il peso della crisi dell’Ateneo ricada sul personale Ta.» Francesco Ianniello

    Questo però non lo capisco: chi non vuol sentirne parlare, a parte qualche marziano (e nell’università non mancano, me compreso, forse)? Volens nolens entro il 2012 l’ateneo senese dovrà essere completamente ridisegnato a causa della perdita di una fetta cospicua del corpo docente e per inciso, quando si dice che Siena ha “troppo personale”, occorrerebbe cominciare a dire chi è dove, in e quale genere di “personale” eccede, sennò non si capisce la doppia verità di un esubero di “personale” e del rischio chiusura di molti comparti di rilievo per mancanza di “personale”. Se diluvia, cosa vuol dire che uno non vuol sentir parlare della pioggia? Personalmente – nel mio piccolo – mi sono limitato a sottolineare alcuni problemi che a mio modestissimo avviso si pongono, legati ad esempio alla casualità dei pensionamenti, perché com’è noto anche quando arriva il temporale, v’è un modo corretto e appropriato di fronteggiare l’emergenza, onde evitare il caos. Anzi, forse sarebbe il caso di parlarne il più possibile, affinché certe operazioni avvengano alla luce del sole e con pieno discernimento. Gli accorpamenti sono imposti dalla legge in forza di numeri che ci ritroviamo, prima ancora che da considerazioni di opportunità, dunque “per forza e per amore” e obtorto collo dovranno accettarli tutti, perché le leggi dello stato (giuste o inique che siano) non sono consigli per gli acquisti. Qui la politica da adottare è quella della limitazione del danno (e se possibile, della limitazione delle porcate).

  38. Segnalo l’articolo di Manfredi Pomar sul pensionamento dei ricercatori tratto da Ateneo palermitano. Consiglio anche di leggere la lettera del Rettore Francesco Tomasello.

    Ricerca: guerra tra poveri

    Manfredi Pomar. Sono cinquanta i ricercatori che, avendo raggiunto quaranta anni di anzianità, dovranno abbandonare l’Università degli Studi di Messina. Lo stabilisce un provvedimento difeso a gran voce dal Rettore dell’Ateneo, Francesco Tomasello, per ragioni economiche e generazionali. La motivazioni addotte dal Rettore in una lettera allegata all’articolo sono state contestate da ricercatori, sindacati e associazioni che ora «chiedono con forza al Magnifico Rettore un incontro urgente per discutere dell’argomento al fine di arrivare a decisioni condivise».

    Ai tagli, chi si occupa di Università, è già abituato; la novità sta nell’aver introdotto nel dibattito il problema del ricambio generazionale. In questo contesto si colloca per esempio la critica dell’Apri (Associazione Precari della Ricerca Italiani) al Ministro Gelmini: l’assunzione di migliaia di ricercatori – più volte annunciata – non ha infatti avuto seguito e così i giovani rimangono a braccia conserte in attesa della grande occasione. Oppure – com’è noto – volano all’estero.

    Chi difende la decisione dell’Ateneo messinese sottolinea l’importanza del turn-over, del passaggio di competenze, bisogna affiancare nuove leve a chi ha già esperienza. Ma per farlo è davvero necessario che alcuni “anziani” si facciano da parte per lasciare il posto ai più giovani? L’impressione è che, ponendo la questione in questi termini, si stia cercando di incoraggiare una guerra tra poveri per distogliere l’attenzione dal problema reale: la crisi della ricerca italiana. Se di anno in anno non si riducesse il numero di ricercatori, questi non sarebbero obbligati a ragionare secondo logiche di competizione generazionale.

    La competitività comporta innumerevoli vantaggi ma la selezione allora dovrebbe essere fondata su basi meritocratiche, non badando a dettagli anagrafici, e l’Università degli Studi di Messina sta selezionando i ricercatori tenendo conto soltanto degli anni di servizio. Se davvero si vuole proteggere il know how e favorire il passaggio di conoscenze, bisognerebbe affiancare ai migliori i più promettenti, non semplicemente i giovani ai “vecchi”.

  39. …a fagiolo, ricevo or ora da un tam-tam di ricercatori questa divertente gag, che immediatamente trasmetto al blog (si ride per non piangere):

    “Oggetto: Realistica rappresentazione di un aspetto della situazione universitaria italiana”

  40. Ricercatori… mi chiedo che fine avran fatto molti di questi aspiranti professori… Uno vabbè, faceva il portaborse di De Vita e casualmente vinse il concorso (denunciai De Vita ma chissà ove sarà finita la mia denuncia)… Un altro lo intrupparono in una casa editrice ma di polvere ne mangia ancora… un po’ introverso il nostro D., ma buono. Poi un amm.vo con l’hobby delle foto lo fecero svernare a Lettere e lo inviarono a giro pel mondo: ma credo ancora non sia proffe. E il biondo ricciolo amm.vo che faceva gli elenchi ai piani alti di Lettere per conto del Trio Lescano di Lettere? Chisà se il suo sunrise e la sua barba lo avranno aiutato… Le comari pd poi hanno fatto posto a figli e amanti, ecc., stilano testi per le merdose tivvu’ locali, fanno comparsate ecc.
    Oggi – notitia criminis – ho preso l’opuscolo dell’Ascheri… chissà se la cricca in filiera aumenterà la persecuzione nei miei confronti? Cose forse che quella vergine di Nanna d’Arco non potrà audire sin troppo, ma cose, appunto, reali… O Nanna, salirò teco al rogo, mi sa, ma la canaglia ha da schianta’!!
    E gli storici locali che pubblicano col Monte? Tacciono? Gabriello veglia su di loro e ci fottono… Va a finire che per i denari e il potere – uniche cose che contano, come dice il Luciano balzacchiano, il poeta, – che pur di compiacere ai padroni diranno che i bombardamenti sui civili li faceva l’Urss del ’50 e non Obama Nobel per la Pace o che Craxi era onesto e il pool milanese era ladronesco… Gino Strada? Un coglione!
    Il Fiero Bardo

  41. […] Legislativo, settore università). Università di Siena: quando il governo centrale “segue” «il senso della […]

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