Settimana emblematica per l’università di Siena, quella che si è appena conclusa. Il 22 febbraio è iniziato l’iter amministrativo per la cessione di una parte del Policlinico. Il 23 c’è stata udienza con l’interrogatorio dell’ex rettore Piero Tosi nel processo che lo vede imputato. Il 24 ricorreva il 4° anniversario della sospensione di Tosi da rettore per abuso d’ufficio e falso ideologico. Intanto il Pm sta per concludere l’inchiesta sul dissesto economico dell’ateneo che vede 11 indagati per abuso d’ufficio, falso ideologico e truffa. In tale contesto, sono credibili rettori e direttori amministrativi quando dichiarano: «non sapevamo nulla della manipolazione dei bilanci»? Non considerando, per il momento, la recente chiamata di correo nei confronti di Tosi e Focardi fatta dal principale imputato, la risposta è anche in un vecchio articolo, di seguito riproposto, con il quale cominciamo (altri ne seguiranno) a chiarire le responsabilità dell’«orgiastico saccheggio» a cui è stato sottoposto l’ateneo senese.
Occorre un piano di risanamento rigoroso per l’Ateneo senese (16 luglio 2006)
Giovanni Grasso. L’Università di Siena si trova in una situazione difficilissima, ereditata dalla precedente gestione, la cui sottovalutazione rischia di vanificare qualsiasi tentativo di risanamento, condannando l’Ateneo ad un declino certo. Ad oggi non si conosce ancora lo stato effettivo delle finanze dell’Ateneo senese in quanto non si è proceduto ad una completa verifica dei conti. I debiti complessivi con le banche e l’INPDAP superano i 200 milioni di euro. Il disavanzo d’amministrazione (circa 27 milioni di euro) dell’ultimo esercizio non comprende gli impegni maturati nel corso del 2005 e liquidati per cassa nell’esercizio 2006. Il numero degli studenti si è ridotto del 20%, con la perdita oggi di 4172 iscritti, rispetto alla punta massima del 2003. Per “far soldi” si è dato corso alla “svendita” di migliaia di lauree attraverso il riconoscimento dei crediti formativi. L’immotivata proliferazione di corsi di laurea e di sedi decentrate è ormai insostenibile. La perdita di incentivi ministeriali per una impropria programmazione del fabbisogno di personale è certa. Infine, le assunzioni di docenti e di personale tecnico ed amministrativo, senza il necessario accertamento dell’effettiva necessità e disponibilità finanziaria, stanno dando il colpo di grazia ai conti dell’Ateneo. Si rende necessario, dopo un’attenta verifica economica, finanziaria e anche legale sullo stato di salute dell’Ateneo senese, un piano di risanamento rigoroso, che incida sugli sperperi e soprattutto sulle spese strutturali. Infine, occorre programmare la spesa impostando politiche di gestione oculate e virtuose per rivendicare il diritto ad un aumento del fondo di finanziamento ordinario da parte del Ministero.
Ripreso dalla stampa locale (16 luglio 2006): La Nazione Siena (Un piano di risanamento per l’Ateneo); il Cittadino Oggi (Grasso: «L’Ateneo attraversa un momento difficilissimo»); Corriere di Siena (Grasso: “Crollo delle iscrizioni all’ateneo”).
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Nessuno commenta, e allora alimento il dibattito traendo dal Suo archivio, professor Grasso, un articolo caricato il 31 luglio 2008 (notare la data!), osservando che si sarebbe voluto spendere ancora di più da parte della nostra illuminata sinistra in quel caldo luglio di due anni fa, quando la voragine non era ancora percepita se non da Lei e pochi altri:
L’AUTORIFORMA IMPOSSIBILE DELL’UNIVERSITA’
Mario Ascheri. Assemblea “storica” nell’aula magna “storica” dell’Università di Siena, il 25 luglio. La FLC-CGIL chiama i due rettori senesi e gli altri sindacati per “uno spazio di riflessione (Chi difende l’Università?) per organizzare strategie contro il declino delle università voluto dall’attuale governo con il D. L. 112/08″ ed approvare in fine un documento (già preparato) contro i nuovi provvedimenti che limitano fortemente le spese delle università. Notevole l’assenza delle forze politiche (ma non delle liste civiche!) come pure del corpo docente, presente solo con pochi esponenti, tra i pochi a dire qualcosa di non scontato; il sindaco rappresentato da un assessore.
I provvedimenti governativi sono stati “sprovveduti”: poco o punto spiegati all’opinione pubblica e tali da colpire in modo indiscriminato buoni e cattivi. Si spiega bene la facilità con cui si è potuta coagulare la protesta. Meno invece le ambiguità, i silenzi. Che le università avessero bisogno di uno scrollone lo sapevano anche i sassi, e tanti silenzi imbarazzati si spiegano bene.
L’università ha dimostrato di essere non autoriformabile, un po’ come il sistema dei partiti e la magistratura e la sanità e … ha i difetti del sistema Paese, e non poteva essere diverso: con serena e piena consapevolezza di rettori e di presidi, non ha gli “ordinari” che non fanno neppure le 3 ore denunciate dal “Giornale”, o ricercatori che hanno tanto da “ricercare” che non vanno neppure in sede, o – per un esempio paradossale – i chirurghi che non operano, e forse è meglio per i pazienti…?
Ma come lamentare, com’è stato fatto nell’assemblea, l’attacco all’università pubblica e il pericolo delle Fondazioni (non rese obbligatorie, peraltro) quando le università già ora godono di un’autonomia tale che fanno e disfanno liberamente? E come si può sentir parlare di pericolo del condizionamento privato della ricerca proprio a Siena, dove essa già in gran parte dipende dal “placet” politico, e privatissimo, di un gruppetto oligarchico, ossia della Fondazione MPS? E proprio nel momento in cui, peraltro, è arrivata notizia dei “Prin” (fondi per la ricerca, molto tardivi peraltro) dallo Stato? Un momento invece davvero esilarante (ma per lo più non apprezzato dai presenti) si è avuto quando addirittura si è evocato il pericolo della libertà di informazione e di parola: a Siena, nella situazione in cui versano i “media“, e senza lamentazione alcuna, peraltro, dei vari intellettuali e giornalisti, di partito o no, presenti nelle due università!
Piuttosto, interessante il richiamo che il rettore Focardi ha fatto ai 580 contratti a tempo determinato trasformati a tempo indeterminato: ma chi li pagherà con questi chiari di luna, caro collega? E l’ammissione che c’è un eccesso di presenza di personale non docente del 30/40%? Fortunatamente essa darebbe alla nostra università un primato nella qualità dei servizi – altrove non avviene neppure questo… Mah, un incontro davvero preoccupante. Ma più per la spensierata facilità o (considerata e facile) spensieratezza di quel che s’è detto o che non s’è detto, che per la gravità di quanto fatto dal governo – fatto peraltro, ripeto a mio modesto avviso, in modo davvero maldestro.
Vorrei sbagliarmi, ma andando avanti così, grazie ai nostri politici e agli universitari (anche non docenti), temo che non ci siano molte speranze, né per l’università, né per il Paese. Nello specifico senese, poi, osserverei che è ben possibile ormai un’ulteriore diminuzione degli studenti (per decollo delle università meridionali), un indebolimento del sostegno da parte della Fondazione MPS (conseguente all’avventura Antonveneta), un declino della sanità (per la programmazione regionale)… non sarà bene allora che delle università si riparli in Consiglio comunale come di un grande problema cittadino?
È iniziato, come da prevedersi, un complotto nei mei confronti (fosse il primo!). Parte dalla burocrazia di alcuni palazzi. Il consiglio com.le dovrebbe occuparsi anche di enti bolliti e indicare delle serie responsabilità, oltre che il tema caro ad Arlecchino demoniaco (secondo Dante e la Commedia dell’Arte, oibò!).
Occorrerebbe formare il Consiglio del Popolo…
bardo
Tralascio lo slogan… “nun sacciu niente”…
Aggiungerei… che i nostri neppure sapevano leggere, viste le denunce di Giovanni Grasso.
Chi al vertice (se magnifico o senatore o consigliere), seppur scienziato, manifesta un’inettudine integrale a ricoprire la carica… proprio perché non “si è accorto del buco (???!!)”. Cambiate strategia difensiva!
Ma la giustizia seppur tardiva… non potrà più salvarci. Se lo stesso direttore amministrativo dice che l’eventuale vendita delle Scotte… non basterà… se per la Certosa non ci sono acquirenti… eppoi??
Peraltro sull’idea affittacamere-Certosa, elaborato, senza tenere conto degli obblighi e dei costi di messa a norma, per l’apertura a terzi… hanno rievidenziato l’incapacità e l’impreparazione dei soliti noti.
La mobilità del personale tecnico amministrativo e di quello docenti… è davvero immobile.
Non chiediamoci più se rimarremo senza stipendio, senza energia elettrica e telefoni.
Chiediamoci quando?
Calma! La testimonianza di Ascheri sr mi sembra importante. Ovvio che non ci saranno registrazioni, ma a luglio il rettore ammise di avere cambiato status a 580 persone? Ma le progressioni di stipendio per quanto basse non le aveva calcolate nessuno? E il CdA non disse nulla? O approvò? In che seduta? Chi ha calcolato quanto cambiavano i gravami sul bilancio era o un incompetente assoluto o in male fede? E i revisori non misero nulla a verbale?
Ma quando cominceranno qusti benedetti processi? Non abbiamo diritto a sapere prima delle elezioni?
Il Decano dovrebbe rifiutarsi di convocare i seggi e scrivere al governo chiedendo un intervento. Poi si vede. Scusate, dimenticavo: giovedì Cotta & c. ci risolvono tutto… mio Dio, che pena!
a.
Tutto ok, ma in questo blog – non ricordo per merito di chi – non si era dimostrato che il risparmio nel rottamare o esiliare qualche centinaio di amministrativi era poca cosa? Il problema è senza soluzione perché i docenti costano ma senza docenti non si fanno i corsi – e anche i ricercatori confermati costicchiano, anziché no… ma ripeto: non sarebbe il caso di selezionarli? Su questo problema c’è disinteresse o angoscia totale. Brutto segno.
2+2, caro colleghi!
Ho sentito Barretta e Focardi alle riunioni per i prepensionamenti. La questione mi pare chiara. Occorre vendere Ospedale e Certosa e sperare che il mitico Tremonti non stringa ulteriormente. Dopodichè è essenziale ridurre il gap tra entrate e uscite e questo si fa solo riducendo il personale. Per cui chi si può prepensionare si pensioni e chi si può mobilizzare si mobilizzi…..
E questo gran c… non poteva pensarci quando ancora nel luglio 2008 (vedi sopra articolo Ascherone) quando è andato a protestare contro il governo con i sindacati perché lui, ladro come sempre, non gli permetteva di sperperare di più?
Fare 2+2 collega mio….
La dittatura oligarchico-plutocratica ha dei risvolti nel diktat imposto dai proffe-sederi di pietra: in pratica il CdA (a quel che so) è una barzelletta. I responsabili di questa situazione sono i boiari del pd e le satrapesse del pd, tutti al loro posto e senza “indegnità morale” che li possa cacciare. Stessa cosa nel MpS dove un ex figiciotto e compari – secondo la stampa – intendono vendere o svendere il patrimonio immobiliare facendo del MpS ente virtuale. E stessa cosa negli apparati pubblici dove la canaglia Pd dirigenziale premia i fannulloni e calunnia chi lavora, tentando di nuocere e di svalutare. Non c’è più posto nelle Facoltà per chi lavora e ama il suo lavoro. I kapò Pd han fatto un deserto, idem per enti locali, P.A., ecc. Una dittatura demagogica e vigliacca! Una pseudo-democrazia e in realtà un qualcosa che somiglia al III Reich.
bardo
A proposito del Focardi, l’amico della… foca (e del pinguino), lo sapete che pare lo abbiano visto aggirarsi nei pressi della Città Proibita? Forse cerca studenti gialli ché qui le cose si metton male. Pare che ben poco sia cambiato da quella Siena descritta nel suo “Costituto” dall’esimio prof. Ascheri (Aska ed.). Ma che città e che Paese è il nostro! Il caso Welby… e poi le volontarie del sesso per disabili ancora tabù (non c’è neppure l’ “ultimo desiderio” all’amanuense che le crocerossine pare realizzassero nel 15-18) mentre realtà in Svezia e Svizzera… Ma qui il bau bau a Berlusconi lo fa Bersani, mentre i suoi han liquidato l’università senese e non solo. Ci sarebbe da rispondergli con un leader rivoluzionario…
«L’URSS ha sostenuto lo Scià ed è pronto a tutti i crimini pur di divorare le ricchezze…» (Ruhollah Khomeyni, “Le Monde diplomatique, 1979, 6 aprile).
Bardo
Continuo a pensare, e stavrogin mi perdonerà con un atto cristiano in vista della Pasqua, che l’unica soluzione per salvare il mondo sia la redistribuzione dei redditi. Togliere un po’ a chi ha tanto per far sopravvivere chi non ha quasi nulla. Questo non sarebbe una bestemmia neppure in un luogo, l’ateneo, che dovrebbe rappresentare senso della vita, eticità, sapienza, e altro simile.
Lasciamo perdere stavolta il prosciutto, ma perché fa tanto male pensare che passare da 4mila a 3mila, da 1800 a 1600, da 2000 a 1800 sia un dramma così devastante?
Continuo a chiedere alla comunità logorroica senese (di cui io son parte, certo) quale sia la soluzione, oltre appunto alle carriolate di parole inutili spese a danno di corde vocali e polpastrelli.
Non perdiamo di vista l’essenziale: chi è responsabile di questo troiaio, penalmente e moralmente. Civilmente non se ne parla: chi promuove l’azione? Forse può farlo un CdA in gran parte (forse, sia chiaro per i promotori di azioni penali sempre più frequenti in questa città così ‘liberal’) responsabile almeno moralmente? A proposito, perché non si dimettono visto cosa son stati capaci di non fare in oltre un anno e mezzo con la complice incapacità del Cenni & compagni?
Aspetto sempre che i vari storici dell’Università da Nardi a Balestracci, a Colao, Ascheri ecc. mi dicano chi è stato nei CdA e in Senato dal 1990 in poi: basta? O è segreto di Stato come i progetti presentati in Fondazione MPS e i compensi di Lorsignori? A proposito ancora, il rappresentante del Rettore perché non lo dice? Lui dovrebbe essere la voce nostra o no? Ah Foca’, sveglia, caro! Non siamo in contrada…
Grazie! Vostro 2+2
Dichiarazioni di Enrico Rossi, candidato a Presidente della Regione Toscana.
Enrico Rossi. «La Regione ha fatto e sta facendo interventi importanti per l’università, attraverso i quali abbiamo raggiunto risultati importanti. Nei prossimi cinque anni, però, dobbiamo fare un altro salto di qualità. Sopratutto se, come sembra, nel 2011 a livello nazionale l’università avrà a disposizione 1 miliardo di euro in meno e quella toscana potrebbe avere un deficit intorno agli 80 milioni.
Il salto di qualità può avvenire attraverso i processi di ristrutturazione che si impongono a fronte di una competizione tra università che ormai si gioca nella dimensione europea. A tal proposito occorre un patto tra i tre Atenei. Se sarò eletto, la Regione continuerà a farsi carico della situazione creata anche dai tagli del governo, che ormai stanno andando fuori ogni misura, ma l’università deve avviare un percorso di riorganizzazione. Perché, per giocare bene la partita del futuro, serve un sistema integrato delle università.
Auspico che questa riforma venga dall’interno delle università. So che le autoriforme sono sempre difficili ma ho la sensazione che, se non si prova a seguire questa strada, rischieremo di perdere il complesso di una proposta universitaria e di ricerca di qualità. Di fronte ad un progetto di riforma all’interno delle università noi saremmo pronti a supportarlo anche finanziariamente.»
Forse non sono stato abbastanza chiaro; vorrà dire che ci ritornerò con altri dati più incisivi. Per il momento vorrei segnalare che Focardi s’è insediato nel maggio 2006 e che nello stesso mese (29 maggio 2006) il CdA ha approvato il conto consuntivo dell’esercizio 2005 (amministrazione Tosi). È sufficiente leggere le due relazioni allegate (quella dell’Amministrazione e quella dei Revisori dei Conti) e l’intervento di qualche consigliere per rendersi conto della drammaticità della situazione economico-finanziaria dell’ateneo senese. Badate che siamo nel 2006; la voragine diviene di pubblico dominio solo nel settembre 2008. Cosa avrebbero dovuto fare, in questi 28 mesi, gli organi di governo dell’ateneo? Cosa avrebbero potuto fare? Invece, cosa hanno fatto? Ecco questo è il punto: non hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare; hanno, però, fatto quello che non avrebbero dovuto fare, trasformando così il buco di bilancio in un’enorme voragine che ha inghiottito l’università di Siena. I dettagli nel prossimo post.
Giovanni Grasso
Chi ha tempo vada a filmare, per somma cortesia, l’incontro Cotta & c. ad futuram rei memoriam… Sarà un pezzo di storia culturale del nostro Paese meglio de ‘La terra trema’, statene sicuri!
2+2
Ah la lungimiranza di Napoleone!
A proposito di bue muschiato, mi è arrivata una richiesta di libri da uno che insegna Storia e critica dei Saperi!
Presto giungeranno richieste di Comunicazioni Intergalattiche, facendo ombra a Omarre e C. Scherzi a parte… bello quel “troiaio”: è nostro idioma, descrive bene la situazione. Scusate talvolta i miei sfoghi ma sono sotto tiro… Ma uno che non a parole ma a fatti ha denunciato una decina di concorsi ed è stato chiamato dal sig. Procuratore… se le merita, lo si può scusare…
Bardo, l’Arciere Senese
Caro Outis,
visto che siamo alla frutta diciamocela tutta: ma avete mai pensato alla genialità del «sindacato della “conoscenza”», con tutto il rispetto degli iscritti sia chiaro?
Sa molto dell’età fascista… quelli che volano, quelli che fanno arte, quelli che “conoscono”!
C’è qualcosa di più razzista? Gli altri che so’, dei poveri ignoranti genetici?
Oh Dio, che pena! Che i professoroni iscritti non l’abbiano avvertito è anche peggio: basterebbe questo a degradarli, come nella Germania democratica.
Non c’è da vergognarsi solo del silenzio su fatti come questi?
E discutono di revisionismo questi eletti della conoscenza. Che pena, ripeto! Prof. Cotta sta con questi anche Lei? È un eccellente della “conoscenza”?
2+2
«…e perché i docenti costano ma senza docenti non si fanno i corsi – e anche i ricercatori confermati costicchiano, anziché no… ma ripeto: non sarebbe il caso di selezionarli?» Arlecchino
…aridagli! Ma tu parli di quarantenni come ragazzi di bottega. Arlecchino, per favore, meno spocchia: dai retta a me, se nutri questi dubbi, allora manda via i pochi dipendenti con tutti i denti sani, non ancora in menopausa e senza la prostata, che ti costano 1600 euro: bella prospettiva di rilancio, vero? Sarebbe poi il caso di “selezionare” anche chi guadagna cinque volte di più di un ricercatore, se è per questo, e comunque di smetterla di sputare nel piatto dove si mangia, visto che non mi pare siano “i ricercatori” a domandare di essere sfruttati: hai per caso dei dati a tua disposizione che attestino che i ricercatori – i.e. professori quarantenni-quarantacinquenni-insegnano male? Chiedete agli studenti, se sono capaci di distinguere un ricercatore da un associato o un ordinario. Eppure ci sono le annuali valutazioni dell’ufficio apposito, corso per corso, docente per docente e non resta che consultarle; 399 darwinianamente “selezionatissimi” ricercatori, dopo quindici anni di precariato e lotta per la sopravvivenza in cui la fame almeno quanto la fama li ha selezionati assai meglio di come avrebbe fatto una sanatoria stile anni ’80, di quelle attraverso la quali tante illustri mezze seghe con doppio salto mortale carpiato si sono ritrovate in cattedra saturando l’ambiente, tengono aperta la baracca di questa università: sono questi i nemici? Ma per piacere, invece di rompere le balle ai ricercatori, andate a vedere cosa fanno (o cosa non fanno) certi ordinari! Cercate di non far incazzare troppo gente che svolge per tre quarti della giornata mansioni non previste dal proprio contratto, né retribuite, che lavora di più e meglio di certi venerabili fannulloni di cui si son perse le tracce da anni, e soprattutto che a Siena non ha ormai più speranza di carriera e scarsa di dedicarsi alla ricerca.
E poi… “si mobilizzi chi può”: ma chi può? Come si fa? Attraverso quali canali? Credo che a questi lumi di luna sarebbero in realtà non pochi, tra il personale docente, che accetterebbero volentieri di trasferirsi ad altra sede: è una prospettiva concreta o sono solo chiacchiere?
«A proposito di bue muschiato, mi è arrivata una richiesta di libri da uno che insegna Storia e critica dei Saperi!» outis
Ma se ti fosse arrivata una richiesta da parte di uno che insegna Fisica dei Plasmi, Equazioni Ellittiche oppure Ottica Quantistica, pensi che la battuta sarebbe stata di minor effetto sul popolino che detesta le astrusità e concepisce tutt’al più l’Igiene Dentale? Insomma, continuate a ridere mentre la nave affonda, facendo opera di autopersuasione e convincendovi che tanto chi soccomberà sono solo i corsi sul “bue muschiato”: profetizzo che in tal modo fra qualche anno ci ritroveremo solo corsi sul “bue muschiato”.
«Ricercatori… mi chiedo che fine avran fatto molti di questi aspiranti professori…» Paolo il Bardo
…questi “aspiranti professori”, ossia 20.000 ricercatori, si vocifera messi ad esaurimento dalla ministra per la cancellazione di questo ruolo, caro Paolo insegnano, anche 120-150 ore, ossia il doppio di molti ordinari (giacché ve ne sono ancora alcuni che rifiutano addirittura di insegnare 60 ore, o le fanno solo nominalmente); dai dati forniti da Giovanni Grasso risulta che quasi tutti i 399 ricercatori di Siena, chi più, chi meno (stiamo parlando di oltre il 30% del corpo docente, ma credo che le medie siano le stesse su tutto il territorio nazionale) insegnano e sono titolari di corsi: se non insegnassero, l’università di Siena chiuderebbe all’istante, punto e basta, non c’è niente da aggiungere, se non che quando l’università vanta spocchiosamente standard qualitativi alti in ordine alla didattica e la ricerca, naturalmente il 30% di coloro che contribuiscono a ciò, non ne è estraneo. Ecco cosa fanno “i ricercatori”, caro Paolo: per lo più insegnano a poco prezzo (blanditi come “prof. aggr.”, recente crimine lessicale della burocrazia, una vera presa per il culo, come giustamente ribadisce il filmato), e tengono aperta la bottega, ciucciandosi non di rado in veste di personale impiegatizio la oramai soverchiante mole di lavoro burocratico inflitta da una amministrazione dello stato impazzita che produce quintali di scartoffie per implementare tre riforme in tre anni. Taluni, ti segnalo, avrebbero persino la pretesa inaudita di dedicarsi alla ricerca, il fine settimana, dopo aver cambiato il pannolone al bebè, mentre i benpensanti si chiedono “ma cosa fanno mai questi ricercatori?”, in un clima asfissiante di omertà che produce una rappresentazione manierata della realtà, una facciata di cartone spesso assai diversa dalla realtà effettuale delle cose.
«Lasciamo perdere stavolta il prosciutto, ma perché fa tanto male pensare che passare da 4mila a 3mila, da 1800 a 1600, da 2000 a 1800 sia un dramma così devastante?» akaki
Akaki, veramente è difficile interloquire con te: tu parli al netto di leggi, regolamenti, in maniera naive… immagino che nel tuo socialismo (sur)reale poi vorrai far passare chi guadagna 1500 a 1000 (e poi, come si dice in gergo, “una fettina di c…”? Prova ad affidare l’insegnamento universitario a qualche extracomunitario senegalese o eritreo appena sbarcato dal barcone, che di gente in gamba fra loro non manca). A sentire te, pare che uno acceda alla cattedra, che so, di Topologia Differenziale o Biologia Molecolare con la scuola dell’obbligo, senza alcuna qualifica professionale e la raccomandazione dello zio arciprete. Ma devo dire che non sei solo, giacché anche all’interno dell’Accademia vi è chi interpreta il proprio lavoro come un hobby, “soprassedendo” (a parole…) alla retribuzione. Comunque, se pensi che una paga da usciere sia q.b. a pagare un disgraziato per insegnare all’università, si vede che tu non capisci cos’è il lavoro professionale e non hai mai chiamato un idraulico la domenica; vedrai che “la mobilità” dei ricercatori non dovrai chiederla, perché ci saranno code di gente che affannosamente cercherà di fuggire maledicendo questa gabbia di pazzi e l’effige dell’obeso cavalier Ricciarello da Panforte che si staglia dalle confezioni di dolciumi locali. C’è gente a cui fa schifo che un ricercatore (confermato), alias professore “di terza fascia” guadagni sui 1600 euro (e per favore, andateci piano con le cifre, andate a guardare le buste paga effettive, considerando oltretutto che i suddetti non godono di 14 mensilità come altro personale universitario), quando due stanze in affitto a Siena ne costano mille e leggo che i deputati della Fondazione Monte dei Paschi, ogni volta che si riuniscono, percepiscono 2500 euro di gettone di presenza, ossia lo stipendio intero di un associato, per star lì a grattarsi le palle un par d’ore. Comunque Akaki, puoi anche secedere, fare la repubblichetta per conto tuo, con le leggi che più ti piacciono, diverse da quelle varate a “Roma ladrona”, incluse quelle relative agli stipendi, cui gli atenei devono, nella loro “autonomia”, in modo spontaneamente obbligatorio adeguarsi, senza che “Roma ladrona” però adegui all’uopo il fondo di finanziamento: chi te lo impedisce?
Caro Stavrogin
se mi fosse arrivata una richiesta da parte di uno che insegna Ottica quantistica non lo avrei postato, aggiungo che il succitato professore di Storia e critica dei Saperi non ha azzeccato un nome giusto: Leppin è diventato Lippin (in crasi con il C.T. Lippi), Lizarazo Lizaraso (il romanziere colombiano si è fatto la barba) e Chodasevic Chadasevic, giusta la pronunzia russa. Il popolino non c’entra e non c’è niente da ridere, molto invece da piangere.
Due settimane di chiusura dell’ufficio ragioneria (dall’8 al 22 marzo): inquietante notizia.
Si scava oltre il fondo del barile?
No, si cerca di ritrovare il barile perduto…
Stavrogin… so bene che i ricercatori insegnano, e son pagati un fico secco. Io mi riferivo ironicamente – lo avra capito – a quelli che facevano manfrine di partito e allisciavano. Ma forse facevan per la pagnotta, son troppo severo…
Intanto – gaudemus igitur – il Vedovelli e la sua università son stati condannati – vedi i giornali di oggi – a pagare fior di quattrini per mobbing fatto verso due insegnanti pagati adrittura a 750 euro mensili!!!
Ciao
bardo
Sulla chiusura al pubblico dell’Ufficio Ragioneria dall’8 al 22 marzo scherzano (ma non tanto) vicky (si scava oltre il fondo del barile?) e archimede (no, si cerca di ritrovare il barile perduto).
Vorrei aggiungere che il barile non è stato perso, è al suo posto, ermeticamente chiuso perché pieno di merda. Quel che manca è lo “Shpalman” giusto, che lo apra davanti ai responsabili del dissesto dell’ateneo senese con un ventilatore in funzione.
Ribadisco, Stavrogin, che la mia polemica era rivolta solo a un pugno di ricercatori o aspiranti tali, di mia conoscenza che sgomitavano per accaparrarsi il posto, facevan gli occhi di triglia ai vari Luperini, al Trio Lescano, ecc. ecc. So benissimo che il lavoro di ricerca – lavoro intellettuale – è lavoro vero e proprio, stressante, ecc. I più nobili pensatori, sociologi, questo han sottolineato: ma siamo in un paese paramafioso…
Contestualizzatemi e… non si sforerà!
Ma scherzo, ovvio. E lo fo mentre è in atto un complotto contro la mia professionalità di ricercatore (non universitario, ma simile). Forse ha ragione un proffe: sono banditi da strada, settarii, mascalzoni! Non mi schioderanno né mi tapperanno la bocca, fossi pure l’ultimo dei Mohicani!
The Bardus
Il Prof Grasso fa giustamente notare:
«Infine, le assunzioni di docenti e di personale tecnico ed amministrativo, senza il necessario accertamento dell’effettiva necessità e disponibilità finanziaria, stanno dando il colpo di grazia ai conti dell’Ateneo.»
Perché, oggi, nel piano di risanamento, non iniziare la mobilità da queste persone (sono 244 se non erro). Il Regolamento di Ateneo “art. 5 e 7”
http://www.unisi.it/stabilizzazione/regolamento_stabilizzazione2007.pdf prevede questo. È presumibile che buona parte degli stabilizzati abbiano terminato i progetti per cui erano stati assunti con contratto a tempo determinato.
Buona idea quella di Francesco. Con la mobilità volontaria (pare arrivata oggi e.mail di disponibilità all’INPS) stanno andando via, i dipendenti, con maggiore esperienza e competenza. Chi resterà?
Coloro che sono entrati per un progetto… ma senza altre competenze? La moral suasion alla mobilità volontaria, non dovrebbe essere generalizzata, ma rivolta… a chi ha completato il progetto, per il quale era stato temporaneamente assunto.
Già oggi bisognerebbe sapere quali sono i corsi di cui si può fare a meno per l’anno prossimo: le Facoltà devono programmare, ma la selezione chi la fa? Gli eccellenti di sempre, tipo Cotta-Detti? No, grazie!
2+2
«già oggi bisognerebbe sapere quali sono i corsi di cui si può fare a meno per l’anno prossimo: le Facoltà devono programmare, ma la selezione chi la fa? gli eccellenti di sempre, tipo Cotta-Detti? no, grazie! 2+2» archimede
Archimede, il problema è decisamente mal posto: esso non è infatti di quali corsi possiamo fare a meno, ma soprattutto di quali dovremo, talvolta obtorto collo fare a meno, giacché la nuova più restrittiva interpretazione della faccenda dei “requisiti minimi di docenza” per tenere aperto un corso di laurea (prima) e il drastico innalzamento dei medesimi (tra breve), obbligheranno a chiudere molti altri corsi, inclusi molti di quelli or ora varati sulla base dei criteri stabiliti dal precedente ministro, a prescindere da qualunque valutazione, dall’ “importanza”, dal “valore” ecc. volens nolens, per via dei semplici e naturali calcoli aritmetici basati sulle forze attualmente a disposizione e sui pensionamenti dei docenti che avverranno nel corso dei prossimi anni. Inoltre, sia perché quantitativamente i docenti non sono distribuiti in modo omogeneo in tutti i settori, sia perché i pensionamenti colpiscono a casaccio, la mannaia, temo, colpirà in modo pesante in alcuni comparti e meno pesante in altri, senza che in ciò vi sia una “ratio” precisa legata a considerazioni di qualità; alla fine, facendo di necessità virtù, si dirà che è morto proprio colui che doveva soccombere ed era giusto ed auspicabile che soccombesse, e ci accontenteremo di quel che resta: “non può quel che vuole/vorrà quel che può”. A me pare che oggi lo stato dell’arte sia questo, ma sarei contento di essere confutato.
Vicky ha accennato alla disponibilità dell’Inps ad accogliere una piccola parte del personale amministrativo in esubero dell’ateneo senese. Sarebbe bene leggerlo, il comunicato di Barretta inviato al personale tecnico ed amministrativo. Fra 15 giorni sapremo chi sono i fortunati/sfortunati che sono stati scelti: ci sarà qualche sorpresa.
«Si comunica che l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ha manifestato a questa Amministrazione l’interesse ad accogliere per mobilità volontaria presso le proprie sedi allocate nelle Province Toscane, alcune unità di personale tecnico amministrativo appartenente alla categoria D (corrispondente all’area C del CCNL del Comparto degli Enti Pubblici non economici) che non abbiano compiuto il 50° anno di età.
Di seguito si riportano le disponibilità di posti in mobilità volontaria:
n. 7 unità presso sedi Inps della Provincia di Siena;
n. 7 unità presso sedi Inps della Provincia di Arezzo;
n. 4 unità presso sedi Inps della Provincia di Grosseto;
n. 20 unità presso sedi Inps della Provincia di Firenze;
n. 10 unità presso sedi Inps della Provincia di Prato;
n. 3 unità presso sedi Inps della Provincia di Lucca;
n. 5 unità presso sedi Inps della Provincia di Livorno;
n. 8 unità presso sedi Inps della Provincia di Pisa;
n. 3 unità presso sedi Inps della Provincia di Massa Carrara;
n. 3 unità presso sedi Inps della Provincia di Pistoia.
Il trasferimento potrà essere disposto per i dipendenti che possiedono la categoria del posto da ricoprire valutando anche l’equivalenza delle competenze, delle conoscenze e delle capacità necessarie per l’espletamento delle attività lavorative.
Tutti coloro che sono interessati alle proposte di trasferimento volontario possono presentare istanza all’Ufficio Amministrazione Personale Tecnico ed Amministrativo. Le domande di trasferimento saranno valutate dall’Inps che potrà prevedere l’espletamento di un colloquio al fine di valutare se il trasferimento risponde alle effettive esigenze dell’Ente stesso in relazione alle professionalità ricercate: l’esame delle domande nonché la partecipazione al colloquio non fa sorgere a favore dei candidati alcun diritto all’assunzione presso l’Ente interessato cui spetta la valutazione della corrispondenza tra posizione professionale del lavoratore presso l’amministrazione cedente e presso quella cessionaria.
Il trasferimento è comunque subordinato al previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire ed in base alle esigenze e gli obiettivi di funzionalità delle strutture di provenienza e di destinazione interessate tenendo altresì conto di motivazioni effettive e rilevanti espresse dal dipendente interessato.
A seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità verrà applicato esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della amministrazione di destinazione.
Ai sensi del Decreto Legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, l’Università si impegna a rispettare il carattere riservato delle informazioni fornite dai dipendenti e ad utilizzarle esclusivamente per le finalità connesse alle procedure di mobilità.»
Il Direttore Amministrativo
Prof. Antonio D. Barretta
Non vorrei che si pensasse che chiudere corsi di laurea porti un risparmio significativo. Di fatto il piano di risanamento prevede già un taglio progressivo del budget delle supplenze/contratti che a partire dal 2011/2012 sarà azzerato. A questo punto i costi che rimangono sono quelli del personale strutturato docente e TA necessario a garantire la didattica e i servizi per il corso. Questi costi sono proprio quelli che non si possono eliminare. Tenete conto che chiudere corsi potrebbe anche significare:
– docenti e personale TA che non sanno cosa fare pur essendo in carico all’ateneo.
– dare un’impressione di precarietà dell’offerta agli studenti che vedono un corso attivo un anno e disattivato l’anno successivo (magari non in base a criteri di qualità). Tenete conto che la revisione dei corsi di studi è stata fatta solo da un anno e rivedere tutto richiede un bel po’ di lavoro. Il problema non si riduce semplicemente a chiudo questo e quello no, ma occorre rivedere l’offerta complessiva. Infatti, come osservato da altri, i criteri per la chiusura tengono conto di parametri non legati alla qualità e all’interesse dei corsi.
– perdere gli studenti che si iscrivevano a quei corsi.
Con questo non voglio dire di essere a favore del mantenimento di qualsivoglia corso di studi, anzi penso che una buona università dovrebbe avere un’offerta razionale e supportata da un’alta qualità nella ricerca (che purtroppo non va di pari passo con la moltiplicazione dei corsi).
Ma all’Università per Stranieri chi pagherà il maxi risarcimento per i due insegnanti di italiano allontanati (si parla di 150mila euro in tutto)?
Se non sono sbronzo, e potrebbe essere come ogni sera, si tratta di denaro pubblico che viene esborsato per riparare a specifici errori di amministratori di cui si sanno nomi e cognomi.
Perché se io commetto un errore devo pagare di tasca mia? Perché in un Ateneo italiano ogni causa persa dall’Amministrazione (vedi ora UniStraSi) viene pagata da tutti i cittadini e non dalle tasche dei Direttori Amministrativi o dei Rettori?
I caprioli e i daini stanno subendo tutte le mie capacità, quindi seguo il blog, ma partecipo poco. Inoltre mi sembra di vedere vicinissimo il precipizio e quindi cerco di stivare carne nei congelatori, non si sa mai …
Qualche spigolatura:
@ Cal
che ci riferisce delle riunioni “pro pensioni” dico che una volta tanto ha fatto affermazioni sensate ed ha compreso – mi pare fra i pochissimi che l’hanno fatto – appieno la situazione. In altri casi, come quando sosteneva che 1200 euro per 36 ore di lavoro settimanali non erano poi male, aveva prodotto minzioni parecchio lontano dal vaso direi.
@ Vicky
Un po’ meno di approssimazione quando si parla della buccia delle gente corrisponderebbe se non altro ad una buona educazione. La moral suasion, come la chiami tu, è solo il primo passo di una passeggiatina obbligatoria per molti, forse anche per quei 240 o 280 che sono entrati per ultimi e che manco per idea erano stati assunti per un progetto. Alcuni sì ed alcuni no. E comunque gli enti che accolgono la mobilità dall’Ateneo, secondo l’illuminata Vicky, vorranno le professionalità migliori o le scartine? E chi è che vuole (vista la volontarietà) levare le tende dall’Ateneo: quelli che non fanno una mazza dalla mattina alla sera o quelli che – pur essendo capaci e volenterosi – hanno visto vanificare anche la parvenza di carriera e di incentivazione sotto il peso del mostruoso dissesto? E vista l’acqua alla gola, l’Amministrazione se lo può permettere, anche non andasse contra legem come invece accade, di impedire a qualcuno di andarsene?
@ Archimede
Vedo che rispetto a qualche tempo fa, Cotta e co. alla fine ti hanno disgustato. Comunque mi risulta che non ci fosse nulla da filmare, se non con il grandangolo vista l’Aula Magna (adatta alle eccellenze, perdio!) pressoché deserta dove si scorgeva in lontananza uno sparuto gruppetto di persone (una trentina) quattro o cinque delle quali dell’entourage Cotta, i due galletti anti-Focardi e qualche sfaccendato che non sapeva come altrimenti passare il pomeriggio. “Tristezza, portami via”, si sarebbe tentati di dire.
Ah: non ho mai detto che a liberarsi di qualche centinaio di amministrativi si guadagnava poco, ho detto che era largamente insufficiente anche il liberarsi di 500 (più o meno la metà) e che se per assurdo si mandassero via tutti non basterebbe a ricoprire lo sbilancio strutturale.
@ Stavrogin
Mi sa che rimpiangi amaramente i momenti di interlocuzione con me piuttosto che col forcaiolissimo e brunettiano Akaki che vorrebbe equamente mantenere Rubbia e lo specialista di bue muschiato colla medesima fetta di prosciutto (rancido, perché no?) ed un tozzo di pane secco inzuppato in mare. Di recente ho sentito fare un’affermazione molto sensata: l’Ateneo non deve dimagrire, ma essere dimezzato in tutte le sue componenti. Che questo avvenga naturaliter piuttosto che coattivamente non fa molta differenza. Coloro i quali, di qualsiasi razza siano (docenti, tecnici, amministrativi, ricercatori, assegnisti), ritengano ognuno per la propria parte di poterne uscire intatti o, come dice Petrolini, “più belli e più superbi che pria”, impareranno amaramente e sulla propria pelle quanto grande sia la loro scempiaggine.
Stanco delle cacce odierne e amareggiato dallo scenario penoso che vede dalla Colonna, vi saluta il vostro Favi di Montarrenti
Nuova, Akaki ma dove vivi? Sai delle cause perse dal Comune di Siena persino su richieste di accesso agli atti dei consiglieri comunali? Non sai niente? Loro festeggiano il Costituto “trasparente” del Trecento e sono i primi a non esserlo. Già, forse capisco, ne parla solo la stampa non senese di queste cose.
Torniamo a cose più Vostre: scusate, ma si può sapere quali sono quei benedetti 34 corsi già chiusi? I docenti che insegnavano in quei corsi che fine han fatto? Un elenco di quelli oggi attivati con gli studenti iscritti a lato esiste, prof. Grasso? Scusi sono un “forestiero”! Almeno i consiglieri di amministrazione lo sapranno, vero?
Chi parlava di un incontro Detti-Cotta di oggi? Hanno selezionato loro i buoni e i cattivi?
a.
@favi
Si vede che con la caccia si guadagna di più. Ma quanto prende un dottorando, o un assegnista o un docente a contratto lo sai? Quando ero dottorando io… 800 euro e 60 ore… 60 alla settimana. 1200 euro per stare 36 ore in un posto anche se non si fa niente come a volte succede non è poco…
@Favi
Ottimo affare conservare “le scartine”!!! Non era stata costituita anche l’ennesima commissione, per esaminare le competenze/mansioni dei singoli uffici e proporre una riorganizzazione? Che fine ha fatto questa commissione ed i risultati del lavoro, che si diceva concluso?
Che ci dobbiamo alleggerire mi pare ovvio, così come che sarebbe opportuno non “liberarsi” degli elementi più validi. Problematico è identificare coloro che se ne dovrebbero andare. Mi risulta che nella stagione dei tagli ci siano strutture che ancora chiedono incrementi di personale. Ho la sensazione che oltre che il personale siano da sfrondare alcune procedure che sono state messe su per giustificare tutto i personale che abbiamo.
«L’Ateneo non deve dimagrire, ma essere dimezzato in tutte le sue componenti. Che questo avvenga naturaliter piuttosto che coattivamente non fa molta differenza.» Favi
l’ateneo verrà (non “deve essere”) dimezzato fatalmente; ma non illudiamoci che la mannaia selezioni le eccellenze: «’a livella» dei pensionamenti e dei “requisiti minimi” si abbatterà su tutti, belli e brutti, un po’ a casaccio contro tutte le componenti, ma il criterio di chi vivrà e chi soccomberà non appare imperscrutabile come la volontà del cielo, bensì meramente quantitativo, riconducibile sostanzialmente a una gara a “chi ce l’ha più grosso” (il corpo docenti). Ciò infatti non credo che avverrà sulla base di criteri razionali, essendo il meccanismo puramente aleatorio delle pensioni e quello del possesso di un numero elevato di docenti i criteri principali attraverso i quali verranno selezionati i corsi di laurea da preservare; dunque attendiamoci tanti bei corsi sul “bue muschiato”, e vedrete quanto balzerà in alto l’ateneo senese negli indici di qualità. Non credo che nel complesso Siena abbia da rallegrarsi della cacciata del “culturame”: dimezzare l’offerta didattica è dimezzare gli studenti, ossia dimezzare gli introiti, con conseguente crisi nera sulla città, che sovente sputa nel piatto dove mangia.
Non ho capito bene, infine, cosa intendano fare dei docenti e ricercatori residui di quei corsi inesorabilmente condannati a morte, visto che la “mobilità” dei docenti nel presente quadro normativo appare come una chimera, ma tanto con un paio di fette di prosciutto (davanti agli occhi) il problema sarà presto risolto.
Vorrei ricordare ai Signori Docenti che i tecnici amministrativi “brocchi” che residueranno dalla mobilità volontaria, sono quelli che dicono NO prima ancora di aver sentito la domanda……
«Ho la sensazione che oltre che il personale siano da sfrondare alcune procedure che sono state messe su per giustificare tutto i personale che abbiamo». Cal
Magari fosse così. Da quando sono entrato in Ateneo ho visto moltiplicarsi in misura esponenziale i procedimenti normati da leggi (nazionali e regionali), da atti amministrativi, da circolari… E mai che un procedimento si sia snellito nel tempo, anzi…
L’ultima novità sono i DURC, che rendono praticamente impossibile effettuare pagamenti ai fornitori.
L’Università è diventata il ricettacolo di norme imposte da tutti gli stakeholder. Con buona pace per la semplificazione amministrativa….
Ok, Stavrogin, parole sacrosante, ma i 34 corsi estinti si continua a non conoscerli… quelli estinguendi non dovrebbe essere difficile individuarli sin da ora, no? I criteri sono oggettivi e i dati anagrafici anche.
Il rettorato non è in grado di dare questi dati? Nessun consigliere li ha chiesti?
Non è strano? A un anno e mezzo nulla di concreto è stato fatto. Di fronte a questa classe dirigente bisogna togliersi il cappello, vero? Difficile dire chi è il peggio, Vi pare?
Servitor Vs. a.
In realtà non ci sono 34 corsi “estinti”, ma in genere la riduzione è frutto di una revisione che ha portato ad accorpamenti e riorganizzazione dell’offerta precedente. Un corso di studio non si inventa o si distrugge in poche ore. La recente revisione ha richiesto svariate giornate, direi mesi, di lavoro da parte di comitati ordinatori e simili. In genere il lavoro viene fatto cercando di creare un percorso che possa interessare gli studenti, altrimenti già ora con il DM 544 sui requisiti minimi un corso deve chiudere se il numero di studenti è sotto una soglia fissata dal ministero.
La fonte ufficiale (e pubblica) per vedere l’offerta formativa dell’ateneo nei vari anni è il sito del ministero http://offf.miur.it/ che riporta tutte le informazioni relative ai corsi di studio sia di primo che di secondo livello. Tuttavia inferire solo dai titoli dei corsi di studio se questi sono o meno “fuffa inutile” è una modalità superficiale. Occorrerebbe guardare tutta la documentazione. D’altra parte l’attivazione di un corso richiede una serie di approvazioni sia a livello locale che nazionale, ministero compreso.
In ogni caso, al momento attuale avere 20-30-40-..-100 corsi di studio non cambia più di tanto la situazione visto che non essendoci risorse vengono tenuti a costo praticamente zero. Il budget delle supplenze/contratti è di fatto quasi azzerato (e lo sarà fra un anno) e non è vincente l’idea di avere un corso per giustificare assunzioni che non si possono più fare, anzi avere troppi corsi diventa un’arma che si ritorce contro se stessi. Infatti visto che non si può assumere nessuno, non si possono dare contratti di supplenza gli insegnamenti dovranno essere coperti tutti dai docenti strutturati a meno di trovare “volontari” che vogliono lavorare gratis….
Quindi, vedere nella chiusura di alcuni corsi di laurea una soluzione al deficit è di fondo sbagliata… non si risparmia granché, anzi potendo perdere anche pochi studenti, si perdono degli introiti. Ripeto, non difendo a priori i corsi di laurea esistenti, ma al momento attuale non contribuiscono più di tanto al disavanzo strutturale.
Per dare una risposta a cosa è cambiato (vedete non dico cosa è stato disattivato) vi riporto la comparazione dell’offerta formativa del 2008/2009 e 2009/2010 per la facoltà di economia (ho preso questa come esempio) come si ricava dal sito offf del ministero.
Lauree triennali
2008/2009
Scienze Statistiche ed Economiche, SIENA
Economia dei Mercati Finanziari, SIENA
Economia e Gestione delle Piccole e Medie Imprese, AREZZO
Scienze Economiche e Bancarie, SIENA
Economia Ambientale, SIENA
Economia dell’Ambiente e del Turismo Sostenibile, GROSSETO
Economia delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali, SIENA
Economia e Commercio, SIENA
Scienze Economiche, SIENA
2009/2010
Economia e Commercio, AREZZO, SIENA
Economia, SIENA
Economia e Sviluppo Territoriale, GROSSETO
Scienze Economiche e Bancarie, SIENA
Lauree Specialistiche/Magistrali
2008/2009
Finanza, SIENA
Scienze Economiche, SIENA
Direzione delle Pubbliche Amministrazioni, SIENA
Economia, Ambiente e Salute, SIENA
Economia e Gestione degli Intermediari Finanziari, SIENA
Economia e Management, SIENA
Governo e Controllo Aziendale, SIENA
2009/2010
Finance, SIENA
Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo, SIENA
Economics, SIENA
Economia e Gestione degli Intermediari Finanziari,
SIENA Management e Governance,
SIENA Scienze Statistiche per le Indagini Campionarie, SIENA
La lista delle lauree di economia si legge male (non sono venute le interruzioni di linea). Comunque le triennali sono passate da 9 a 4 (una mutuata a siena/arezzo) e le specialistiche/magistrali da 7 a 6 (di cui una in inglese).
Aggiungo al caos e all’orrore generale la proposta dei tecnici di Siena di prevedere concorsi riservati per il passaggio a ricercatori e, cito testualmente, «con possibilità di conseguire l’idoneità nazionale per Professore Associato e beneficiare della conseguente stabilizzazione».
Non ho parole….
….aggiungo che prima dell’anno prossimo (2010-2011) diverse triennali partite ad Ottobre di quest’anno dovranno essere già revisionate, per via della recente presa di posizione del ministero che vieta, in sostanza, alcune modalità adottate per gli accorpamenti (“qui si ammazza troppo poco”). L’anno successivo, dovrà essere revisionato di nuovo tutto quanto, perché con i pensionamenti nel frattempo intercorsi, i numeri non torneranno più ugualmente. Probabilmente la strategia sarà quella di ridurre all’osso le triennali per salvare le specialistiche (senza le quali, senza dunque nemmeno i dottorati, Siena diventerebbe un liceuzzo di serie B per nulla appetibile e totalmente dequalificato). Tonnellate di scartoffie, gente legata a catena a occuparsi solo di questo per un altro biennio, per rattoppare la nave e cercare di andare avanti. Questo è quanto, e poi tocca aspettare quello che piove da Roma, e complimenti a Marco per la chiarezza.
Strabismo
Il “Costituto” dell’Ascheri non è stato visto dalla cricca. Peccato. Al di là di come la pensa politicamente il prof., occorrerebbe dare esempio di democratica tolleranza… E’ uscito il solito foglio “Metis” che attacca fortemente la Lega Nord (Tabucchi, Belli, ecc.). Va bene… potrebbe andare anche benone. Tuttavia non una parola sull’occupazione manu militari dell’università (il divieto che vi insegnino i non iscritti a quel partito…), delle burocrazie milionare dei vari eni e sulla prepotenza – molto fascista – della canaglia burocratica verso la “plebe”. Il mobbing della Stranieri la dice lunga!!! Dovrebbe pagare il Vedovelli e chi ha fatto mobbing. E Vedovelli era sul carro del Cenni. Va da sé che altri “indipendenti” ed ex rossi fanno orrore. Costituire un comitato di salute pubblica.
Bardo
P.S. Arlecchino, il dato di 34 corsi, ripeto, era riportato sul Sole 24 ore; io ne conosco alcuni, ma non dispongo della lista completa; comunque il meccanismo è stato quello che ha detto Marco, ossia l’accorpamento, ma siccome la ministra ha detto che con questo meccanismo si è tagliato troppo poco, lo sta rendendo sempre più difficile, onde per cui il futuro è molto incerto:
«A Trento, ad esempio, sono stati tagliati due corsi, in particolare Scienze storiche a Lettere e Fisica e tecnologie biomediche a Scienze. È stato disattivato anche il corso biennale di specializzazione a Giurisprudenza, sostituito da un corso unico quinquennale. Nessuno stravolgimento, invece, nei principali atenei lombardi, salvo che alla Cattolica dove i corsi soppressi sono 11 (Viticoltura ed enologia, Teorie e tecniche della comunicazione multimediale, ecc.). In Piemonte l’università di Torino ha deciso di far scendere dagli attuali 191 a 177 i corsi (a subire i tagli maggiori sono Scienze che passa da 37 a 27 corsi e Agraria, da 13 a 8). Il Friuli Venezia Giulia ha risposto all’appello spazzando via 14 corsi a Trieste e programmandone tra il 10 e il 13% in meno a Udine. In Toscana sono previsti interventi consistenti: 34 corsi in meno a Siena, 24 a Pisa e 13 a Firenze (dove si prevede una riduzione del numero dei corsi del 30% nel 2009-2010).»
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/05/universita-taglio-corsi-offerta.shtml?uuid=33d5c1d0-488c-11de-8b93-5eacd5e2fc6c&DocRulesView=Libero
Il dato è confermato da “Il Resto del Carlino”, ma ci vorrebbe un riscontro ” a posteriori”:
«Ecco una panoramica regione per regione.
– TRENTO: due i corsi tagliati, Scienze storiche a Lettere e Fisica e tecnologie biomediche a Scienze. È stato disattivato anche il corso biennale di specializzazione a Giurisprudenza, sostituito da un corso unico quinquennale.
– LOMBARDIA: nessun stravolgimento nei principali atenei salvo che alla Cattolica: i corsi soppressi sono 11, da Viticoltura ed enologia a Teorie e tecniche della comunicazione multimediale. A Pavia l’euroateneo ha ridotto i corsi di circa il 10%.
– PIEMONTE: se l’università di Torino ha deciso di far scendere dagli attuali 191 a 177 i corsi (a subire i tagli maggiori sono Scienze che passa da 37 a 27 corsi e Agraria, da 13 a 8), resta sostanzialmente invariata l’offerta del Politecnico.
– LIGURIA: la razionalizzazione si è fatta sentire con corsi già tagliati del 10%, docenti con più anzianità pensionati, le 11 facoltà regionali in via di accorpamento in 5 scuole, i dipartimenti dimezzati e i poli decentrati riorganizzati.
– FRIULI: ha risposto all’appello spazzando via 14 corsi a Trieste e programmandone tra il 10 e il 13% in meno a Udine.
– TOSCANA: previsti interventi consistenti: 34 corsi in meno a Siena, 24 a Pisa e 13 a Firenze (dove si prevede una riduzione del numero dei corsi del 30% nel 2009-2010).
– ROMA: alla Sapienza sono 46 i corsi eliminati per il prossimo anno accademico e rappresentano il 12,3% rispetto ai 373 esistenti. A Tor Vergata, a lettere, saranno invece accorpati circa otto corsi e uno o due saranno quelli tagliati a Roma Tre.
– PUGLIA: il ventaglio dell’offerta si è ristretto. A Bari i corsi sono passati da 159 del 2006-2007 a 131 del 2090-2010, a Lecce ne sono stati accorpati una decina mentre a Foggia ne sono stati soppressi due.
– PALERMO: le indicazioni di viale Trastevere si sono tradotte in un taglio ai corsi di laurea del 21,20% prevedendo un tetto minimo di iscritti per avviare le lezioni. Complessivamente i corsi di laurea erano 184 nel 2007-2008 e oggi si riducono a 145. Rimanendo in Sicilia, l’ateneo di Messina ha deciso di sacrificare la facoltà di scienze statistiche: la facoltà aveva in tutto solo 33 iscritti per tutti i corsi di laurea.»
http://ilrestodelcarlino.ilsole24ore.com/civitanova_marche/2009/05/24/182038-alla_politecnica_delle_marche_corsi.shtml
E le idee per rilanciare l’ateneo? Non è forse l’ateneo un posto dove l’intelligenza è una merce abbondante? La si usi per produrre idee.
Leccarsi le ferite e stanare i colpevoli va bene ma l’ateneo non può essere soltanto un purgatorio. Chi ha energie da spendere lo faccia anche e soprattutto per rilanciare l’ateneo. Se non con le idee almeno con il lavoro, l’efficienza e la produttività. Si prendano a modello i brillanti esempi che pure esistono nonostante che tutto sembri andare allo sfascio. Si provi ad aprirsi di più al mondo, all’industria, al commercio, all’artigianato, alla tecnologia, alla comunicazione, all’energia. Si tessano rapporti, si stabiliscano collaborazioni, si elaborino progetti comuni. Si provi ad uscire di casa. Esiste la Cina, l’India, gli Stati Uniti, l’Europa, l’Africa, l’Asia, l’America latina. Può sembrare banale ma giova forse ricordare che le potenzialità sono immense e le oppurtunità sono all’ordine del giorno. Occorre coglierle mettendo in moto le grandi energie umane disponibili ed alimentando gli interscambi culturali.
Per riportare il rapporto studenti/dipendenti da tre ad otto occorre rilanciare l’università. Alternativamente c’è solo la mobilità che, tradotto in italiano limpido, significa buttare la gente e le famiglie sul lastrico.
Focardi ci ha impiegato due anni a far venire a galla i misfatti. Se avesse dato le dimissioni subito sarebbe forse stato un eroe. Invece è rimasto un comune mortale e s’è rigirata la patata bollente (con incorporata la prospettiva di dover buttare la gente sul lastrico) nelle mani per due anni. Qualcuno può garantire che stando al suo posto avrebbe fatto di meglio? E come? Dimettendosi ed invocando l’arrivo di un commissario? Francamente non credo sarebbe stata la soluzione di tutti i guai.
È andata come è andata. Se ci sono stati dei farabutti li si individui e li si allontani. Si metta alla gogna chi è da mettere alla gogna. Si calcoli il valore degli immobili e ci si faccia i conti su come meglio li si potrebbe usare per abbattere i debiti. Si stia attenti a non ritrovarsi senza casa soltanto per sostenere le spese correnti. In altre parole occorre certamente stare coi piedi per terra. A patto di non rinchiudersi in un circolo vizioso asfittico e senza uscite. Non si dimentichi che la medaglia ha un’altra faccia: quella del saper anche volare. Occorre essere costruttivi portando idee e coinvolgendo la comunità, le istituzioni e il terrotorio. È la priorità numero uno che tutti i dipendendi dell’università devono darsi. Per rilanciare il prestigio e ritrovare l’orgoglio e l’onore di riuscire ad affrontare al meglio le sfide. E trattandosi di una università l’obiettivo non può che essere quello di ritornare ad essere un’officina che sforna sapere, formazione, scienza, tecnologia, arte, cultura, professionalità, gioia di vivere, fiducia nelle potenzialità della nostra società e fiducia nel futuro. Basta acrimonia! Basta decadenza! Basta purgatorio! Oramai è ora di costruire.
Ok, ma nessuno ci dice cosa han costruito Cotta & Co., ad es. i pochi che, per motivi buoni o cattivi, si son fatti vivi. E gli altri?
Intanto si dica quanti studenti hanno i corsi esistenti, in modo analitico, altrimenti che idee si lanciano?
Una proposta positiva è ad es. fondersi con l’Università per Stranieri: sareste benedetti dal Ministero, potreste conservare e rafforzare certi corsi – non credo francamente che affoghino di studenti “normali”, italiani -acquisendo colleghi, e loro hanno di certo utili collegamenti internazionali, da Cina a paesi arabi in poi…
Un rettorato di quel tipo è + spesa che non ci si può permettere, Vi pare?
A proposito, Focardi ha rinunciato alla prebenda?
a.
Scrive Petracca: «Qualcuno può garantire che (Focardi) stando al suo posto avrebbe fatto di meglio?»
Ma Focardi è rimasto al suo posto e, quindi, siamo in grado oggi di dire se ha fatto di meglio o di peggio. Forse, c’è un refuso nella frase di Petracca? Manca un “non”? La frase dovrebbe, forse, essere: “non stando al suo posto”?
@ Roberto Petracca
dalla commemorazione di Quirico Bacilieri, tribuno romagnolo:
«Eravamo seduti davanti ad un bicchiere di lambrusco, quando: – Quirico – gli dissi – Quirico, qui bisogna fare qualcosa!»
Non è un refuso ma certamente avrei fatto meglio a scrivere “mettendosi” invece di “stando”.
Quindi mi sono spiegato male.
Nessuno può dire se Focardi ha fatto di meglio o di peggio. Rispetto a chi?
Manca un termine di paragone che in ogni caso sarebbe stato impossibile avere.
Si può solo approvare o criticare il suo operato.
Sagredo scrive: «Aggiungo al caos e all’orrore generale la proposta dei tecnici di Siena di prevedere concorsi riservati per il passaggio a ricercatori e, cito testualmente, «con possibilità di conseguire l’idoneità nazionale per Professore Associato e beneficiare della conseguente stabilizzazione».
Non ho parole…»
Mi sembra una proposta un po’ da… Simplicio, che giunge fuori tempo massimo, giacché quella dei ricercatori è una razza in via d’estinzione, se è vero ciò che si vocifera circa la cancellazione di questo ruolo. Mannaggia, ma qui la gente cerca sempre e solo scorciatoie, un lodo o un “decreto interpretativo”! E allora la gente normale, ovvero quella che segue le normali procedure, cosa deve fare, sentirsi dei “diversi”?
Conosco alcuni ricercatori a tempo determinato che sperano nella riforma Gelmini per diventare Prof. Associati in pochi anni, senza concorso.
Povera Italia, dove siamo arrivati. Oltre il capolinea, ormai siamo entrati a casa dell’autista, all’ora di cena, davanti a un piatto di spaghetti freddi (il prosciutto, Stavrogin, è ormai finito, e sappiamo ormai chi se l’è mangiato).
Ma chi sono i “tecnici di Siena” di cui parla Sagredo? Ma è ovvio che i ricercatori vanno immessi – salvo un minimo di verifica perché lo sanno anche i sassi che localmente sono state fatte cose oscene a volte.
Proposta: sorteggiamo tra i fuori ruolo di ogni gruppo disciplinare una commissioncina: si può fare tutto prima dell’estate! Salvo a vedere come pagare i nuovi associati, no?
2+2
Oggi si legge sui giornali che la vendita delle Scotte è imminente, speriamo che dopo questa vendita non si ridica, in tono trionfalistico, che i problemi sono risolti, come fu detto (e scritto) alla cessione del San Niccolò.
Le altre misure di risanamento, che fine hanno fatto? Gli affitti sono sempre lì, i Poli sono sempre lì (quanti veri iscritti??), gli altri immobili da alienare.
Ad esempio, per la Certosa di Pontignano, quanti acquirenti si sono presentati sinora? Qual’è stato il carico di lavoro dei dipendenti della Certosa, in questo anno?
Dall’elenco eventi pubblicato sul sito, la maggioranza sembra costituita da Master: quanti sono gli iscritti ai Master ed i relativi docenti??
Pensare di trasferire in altre strutture di Ateneo, il personale, in ragione del diminuito carico di lavoro?
Vicky giustissimo. Ma chi se ne occupa? Il Prof. Cotta con i suoi ci sta pensando? La vendita dà solo un po’ di respiro per gli stipendi e così rinvia le operazioni di risanamento. Devo ammettere che il governo fa bene a non intervenire. Una volta tanto ne indovina una! Il tavolo inter-istituzionale si è più riunito?
Pensare che a fine ‘800 fu la città a salvare l’Università dalla soppressione. La gente capisce, circolano avvisi di camere libere da tutte le parti, ma il sindaco sembra assente. Cioè, lo è più del solito. Se il MPS anche continua così la città può chiudere. Alcuni dipendenti mi dicono di un incontro organizzato da Mercato libero per venerdì prossimo a Siena: andate al sito, ne spara di grosse, da non perdere. E speriamo che non siano vere.
Buona domenica, Signori!
Conosco alcuni ricercatori a tempo determinato che sperano nella riforma Gelmini per diventare Prof. Associati in pochi anni, senza concorso.
Akaki, tu stai dando i numeri. Ritorna all’osteria
Senti Akaki, dacci un taglio; cerca di renderti conto che c’è gente adulta e con famiglia a carico, con tanti titoli da sommergerti e a cui girano i coglioni non poco, per essersi trovati in questa situazione. Il tuo sport preferito è insultare i 400 ricercatori dell’università di Siena; sarebbe interessante capire chi cacchio sei, che titoli hai, come ti guadagni il pane e da che pulpito parli.
Se quelli come te sono l’alternativa al presente, preferisco scendere.
P.S. Ripensandoci, Akaki, stai dicendo una cretinata colossale: se sparirà il ruolo di “ricercatore a tempo indeterminato, è ovvio che se un precario dovrà sperare in qualche cosa, spererà di diventare associato (il “senza concorso” l’hai aggiunto tu, “aggratisse”). Ma tu, si può sapere che mestiere fai e come ti guadagni il pane?
@ stavrogin
Intelligenti pauca!
Stavrogin, ora stai esagerando, io non ti ho mai offeso, cerca di ritrovare un po’ di equilibrio, sei adulto, dovresti dare altri esempi a chi ti passa vicino.
E dici anche di lavorare in un ateneo. Che tipo. Ma chi te l’ha data la laurea (se mai ce l’hai).
Gentile Prof. Grasso,
La ringrazio per avermi ospitato nel suo blog e per avermi dato la possibilità di esprimere le mie opinioni e certi miei punti di vista su quanto accade nei nostri atenei. Purtroppo, viste le recenti insistenti e ossessive offese di cui sono stato oggetto da parte di un signore che evidentemente non ha di meglio da fare durante le sue giornate, preferisco salutare Lei e salutare tutti i miei gentili interlocutori.
Qualcuno ne gioirà, certo. Son felice per lui (o forse, mi par di capire da certe tinte, per lei).
Indubbiamente, è strano che in un blog serio e ponderato come questo ci siano individui incapaci di dare equilibrio al proprio linguaggio, incapaci di rispettare le opinioni altrui, quando diverse dalle sue.
Buon lavoro e grazie di nuovo.
Anch’io sarei curioso di sapere “chi sono i tecnici di Siena di cui parla Sagredo”……
È una notizia passata dal TG del Minzolingua o letta sulla rubrica “Lo sapevate che…” del Vernacoliere?
No sai, perché come dice Stavrogin “c’è gente adulta e con famiglia a carico, con tanti titoli da sommergerti e a cui girano i coglioni non poco, per essersi trovati in questa situazione.”
Mica ci sarà bisogno di un altro decreto interpretativo per capire che a forza di tirare la corda…
Akaki, tu, insistentemente offendi in blocco centinaia di persone e non si è capito chi sei e a che titolo parli; questo c’entra abbastanza poco con la discussione, seppur accesa, e molto col qualunquismo becero. Se ti sei offeso, mi rincresce e se ritieni che io sia stato volgare nel mandarti a quel paese, allora tu lo sei almeno quattrocento volte più di me, perché diffondi urbi et orbi i tuoi insulti, mentre io (diciamo così) li ho concentrati “ad personam”. Ho già ricordato che mentre a Trieste la ministra dell’Università e della Ricerca, inaugurava la prima parte del nuovo acceleratore lineare di elettroni ”Fermi”, qui tu andavi scrivendo che gli universitari debbono essere pagati con due fette di prosciutto (segue risata): questa è una eloquente rappresentazione della realtà, ma anche della mentalità che ad essa ha condotto: se siamo a questo livello di provincialismo, tanto vale chiudere bottega. Io credevo che uno dei mali dell’ateneo senese fosse l’aver speso soldi in futilità, e ora parliamo di smantellare questo e quello un po’ a casaccio, senza che mai affiori il tema dell’eccellenza (altro segno di provincialismo estremo…). Parliamo di cose serie, per piacere.
«Pensare che a fine ‘800 fu la città a salvare l’Università dalla soppressione. La gente capisce, circolano avvisi di camere libere da tutte le parti, ma il sindaco sembra assente. Cioè, lo è più del solito. Se il MPS anche continua così la città può chiudere.» Arlecchino
Mi rendo conto che posso apparire monomaniacale, ma nel 2011-2012 verrà completamente ridisegnato l’ateneo senese, sulla base del computo dei docenti sopravvissuti e dei nuovi requisiti attesi a breve. Ciò è ineluttabile: facoltà che dopo il varo dei nuovi ordinamenti di quest’anno e le recenti amputazioni avevano dieci corsi di laurea, ne avranno se va bene tre o quattro; interi settori scompariranno o sopravviveranno solo nominalmente, diluiti all’interno di aggregazioni più ampie. Non si sa bene che fine faranno diverse lauree magistrali (e dunque dottorati ecc.). L’università cambia inevitabilmente i propri connotati, questa metamorfosi è anche (se non principalmente) un fatto culturale, ma ne sentite parlare mai voialtri, tranne nei corridoi o al bar? Non dovrebbe aprirsi un ampio dibattito pubblico su questo fatto? Qualcuno ha tracciato una mappa dell’ateneo di dopodomani ed un elenco dei sopravvissuti?
Partirei da quel che ha approvato il Senato: non abbiamo un preside, uno che sia, disponibile a dirlo, o l’Università è come la Fondazione, “pubblica” solo nella propaganda? Forza, un po’ di palle…
Segnalo questo articolo su Repubblica di oggi:
“Dal prossimo anno non insegneremo più, ci dedicheremo solo alla ricerca”
Università, cattedre vuote. Lo sciopero dei ricercatori.
Centinaia di ricercatori minacciano di non salire in cattedra dal prossimo anno: se così fosse rischiano di restare scoperti molti corsi universitari. Da Torino a Bari e in un’altra decina di città si fa strada una nuova protesta: lo sciopero bianco della didattica. Contro il disegno di legge Gelmini di riforma dell’università sono i più giovani, cioè i ricercatori, a mobilitarsi minacciando la “serrata”. Sono quei docenti che per poco più di mille euro al mese coprono quasi la metà dei corsi di laurea in tutti gli atenei.
http://www.repubblica.it/scuola/2010/03/21/news/universit_cattedre_vuote_lo_sciopero_dei_ricercatori-2798883/
…direi che quando affermano di volersi dedicare alla ricerca, sono insolitamente ottimisti. La ricerca si fa dove la ricerca c’è: strutture, gruppi di ricerca, progetti di ricerca concreti, organizzazione.
P.S. Vale la pena di ricordare che i ricercatori sono circa 25.000, e insegnano quasi tutti: si fa, ma non si dice.
“Verso la fine dell’Ottocento furono costruite fabbriche le cui macchine, per un caso stranissimo, produssero più uomini che merci. Di questi uomini da principio nessuno si curò affatto; essi però presentarono poi esigenze legittime…”, così von Doderer. Mi sembra che qualcosa di simile stia alla base del problema dei ricercatori di cui si discute. Si crea all’inizio la figura del ricercatore (nelle sue varie forme), il cui fine è insito nella parola stessa. Le sue funzioni sono definite (se sbaglio mi corrigerete) e non ha obblighi di docenza. Ad un certo punto si arriva ad averne lo spropositato numero di 25.000 e, quasi tutti, in cattedra. Le ragioni, o sragioni, di questo fatto sono molteplici, mi limito a proporne due: il desiderio del cattedratico di lavorare meno, o per nulla, e la foia di aumentare a dismisura i corsi, ufficialmente per accrescere l’offerta formativa, in verità per dilatare il proprio potere.
La situazione odierna si fonda dunque su un vizio di origine che nessuno, insisto nessuno, ha tentato di mettere in discussione al tempo delle vacche grasse. Ora i ricercatori minacciano il blocco didattico. Chiudo con il seguito della considerazione di von Doderer, con la quale ho aperto: “in seguito alle quali (esigenze legittime n.d.r.), in un primo tempo, si fecero notare in modo spiacevole; poi divennero più spiacevoli ancora, spiacevoli proprio sul serio.”.
Provo, visto che mi ritrovo un po’ di tempo dacché qualsiasi tipo di caccia è chiusa e la domenica non lavoro nel bosco, a fare un po’ di storia di questa assai penosa vicenda dei ricercatori.
Dunque l’accademia italiana, insieme alla delirante politica di certi ministri, da molti decenni, ma, in modo molto più marcato, da una ventina di anni, ha subìto un sonno della ragione che, come si sa, genera mostri. Lunga sarebbe la teorìa di minchiate e gaglioffaggini da illustrare, ma siccome qui si parla di ricercatori, parliamo di ricercatori. Quanto asserisce Outis è la perfetta descrizione di quanto è accaduto. Manca un po’ di panorama di ipotesi, che Outis limita a due, che sono verificabili entrambe, ma alle quali si deve aggiungere il famoso carico da undici.
Questi 25.000, come giustamente osserva il nostro amico greco, non hanno fatto una piega per anni di fronte all’evidente sfruttamento perpetrato nei loro confronti dai più blasonati colleghi (che tali però non si sono mai definiti), anzi hanno prestato le loro giovani e meno giovani menti alla didattica onde sostituire associati e ordinari (e facendo ciò hanno violato la legge dello Stato che imponeva loro di fare solo ed esclusivamente la ricerca) e le loro giovani e meno giovani terga a qualsiasi porcherìa, coltivando l’idea che questo loro infame zerbinaggio li avrebbe messi nella condizione via via di prendere il posto dei loro presunti torturatori pro tempore. E i 1.100 euro di partenza costituivano una ghiottissima ed insperata ricompensa, avrebbero fatto tutto ciò per molto, molto meno. Anzi. Possiamo fare un passo indietro, moltiplicare quel 25.000 per almeno 10 e riportare tutto quanto detto sinora anche per quella pletora di cosiddetti “precari della ricerca” (categoria nella quale vengono di solito fatti rientrare insiemi non omogenei, exempli gratia “assegnisti” e “dottorandi”). Possiamo anzi dire che questi ultimi avrebbero accettato di ricevere attenzioni anche da Rocco Siffredi per ancor meno dei 1.100 (e l’hanno anche fatto, per anni: vedi i mitici contratti per tenere un corso per la mercede di un lauto pasto di Natale a base di bucce di cocomero tanto decantati sia da Cal che da Stavrogin).
Ora qualcuno, che ha la mazza in mano, a torto od a ragione, si è rotto gli zebedei di continuare questo stato vergognoso di cose, in cui la didattica e la ricerca (e con esse gli studenti) hanno costituito l’ultima delle preoccupazioni della maggioranza di tutta questa gente (ordinari, associati, ricercatori, dottorandi, assegnisti) e ha provveduto a stabilire dei paletti, prima legislativi (i requisiti minimi), poi finanziari (133/2008 e riforma Gelmini) cui è stata data solo una parziale moderazione nel 2009/2010 visto che appetto ai 680 milioni di tagli, 380 sono stati reinseriti nel sistema grazie al tanto deprecato scudo fiscale (deprecato urbi et orbi, sì, ma l’Università si è guardata bene dal dire: noi i soldi ricavati in questo modo infame non li vogliamo; e risiamo allo zerbinaggio).
Già in un altro post avevo ricordato la massima kafkiana in base alla quale non esiste carnefice senza che esista la vittima e qui risiamo alle solite. Si ribellino pure i ricercatori, fuori tempo, ma si ribellino. Vorrà dire che faremo a meno di una marea di corsi, molti dei quali utilissimi e eccellenti (come afferma Stavrogin), alcuni dei quali invece sul bue muschiato (pochi, può darsi), tutti comunque erogati sino ad oggi contra legem, oltre che contro qualsiasi criterio di opportunità.
La Repubblica, per ovvie ragioni e politiche e di carenza culturale grave, utilizza un termine assolutamente fuori luogo: sciopero. Lo sciopero, ci insegna qualsiasi manuale di diritto del lavoro, è l’astensione volontaria dal lavoro. Lo sciopero bianco è invece quella forma (illegittima) di sciopero in cui vengono seguite pedissequamente le obbligazioni stabilite nel mansionario e/o nel contratto collettivo di lavoro, ma i ricercatori – a parte la banale osservazione di Outis che hanno la propria funzione nel nome stesso – non ce l’hanno un mansionario e non sono contrattualizzati (e come loro i dottorandi e gli assegnisti, ecco perché – caro Stavrogin – i sindacati se ne sono fregati delle torture al limite della crudeltà degli Khmer rossi che ordinari ed associati hanno perpetrato nei loro confronti). Fare quello che asserisce l’articolo, quindi, significa semplicemente quello che devono fare normalmente e che avrebbero dovuto fare da sempre (e che spesso non hanno fatto o comunque non si è verificato che l’avessero fatto). Buon per loro no?
Saluti dal Favi di Montarrenti
Caro Favi, su Siena ne sai, ma dell’ordinamento nazionale un po’ meno… conosci questa normativa? Forse sei troppo giovane, ma dovrebbe pur sempre far parte dell’ord. universitario. O no, prof. Grasso, Lei che ha l’età giusta per conoscerla?
Art. 32. Compiti dei ricercatori universitari
1. I ricercatori universitari contribuiscono allo sviluppo della ricerca scientifica universitaria e assolvono a compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali. Tra tali compiti sono comprese le esercitazioni, la collaborazione con gli studenti nelle ricerche attinenti alle tesi di laurea e la partecipazione alla sperimentazione di nuove modalità di insegnamento ed alle connesse attività tutoriali.
2. I ricercatori confermati possono accedere direttamente ai fondi per la ricerca scientifica, sia a livello nazionale sia a livello locale. Essi adempiono a compiti di ricerca scientifica su temi di loro scelta e possono partecipare ai programmi di ricerca delle strutture universitarie in cui sono inseriti. Possono altresì svolgere, oltre ai compiti didattici, di cui al precedente comma, cicli di lezioni interne ai corsi attivati e attività di seminario secondo modalità definite dal consiglio del corso di laurea e d’intesa con i professori titolari degli insegnamenti ufficiali. Possono altresì partecipare alle commissioni d’esame di profitto come cultori della materia.
3. I consigli delle facoltà dalle quali i ricercatori dipendono determinano, ogni anno accademico, gli impegni e le modalità di esercizio delle funzioni scientifiche e di quelle didattiche.
4. Per le funzioni didattiche il ricercatore è tenuto ad un impegno per non più di 250 ore annue annotate dal ricercatore medesimo in apposito registro. Il ricercatore è inoltre tenuto ad assicurare il suo impegno per le attività collegiali negli Atenei, ove investito della relativa rappresentanza.
5. Le predette modalità sono definite, sentito il ricercatore interessato, dal consiglio del corso di laurea, per quanto concerne le attività didattiche, e, per quanto concerne la ricerca scientifica e l’accesso ai relativi fondi, dal Dipartimento, se costituito, ovvero dal consiglio di istituto nel quale il ricercatore è inserito per la ricerca .
Direi che sono abbastanza vecchio da interpretare correttamente una legge scritta in italiano e che conferma, parola per parola, quanto avevamo da dire io e Outis. Infatti se solo si legge il comma 1 del riportato art. 32 (magari averci aggiunto anche il numero della legge e l’anno di promulgazione non avrebbe fatto scomodo), si vede che si parla esclusivamente di compiti didattici integrativi. Quindi mai e poi mai, anche sulla base degli altri comma, un ricercatore avrebbe potuto essere titolare di un corso, potendo invece solamente svolgere “cicli di lezioni interne ai corsi attivati e attività di seminario”. Fra l’altro, sempre sulla scorta del dettato normativo, il ricercatore non può essere costretto nemmeno a fare 250 ore l’anno perché viene previsto che debba essere sentito dal consiglio di corso di laurea ed è evidente che in caso di rifiuto il seminario o non si fa o se lo fa il professore (che fra l’altro è pagato per questo, lui).
Insomma non capisco in che modo il passo normativo riportato possa essere contrapposto a quanto ho scritto poco sopra. Semmai conferma pienamente l’efficacia delle mie riflessioni. Q.E.D.
Saluti dal Favi “Delitala” di Montarrenti
«Quindi mai e poi mai, anche sulla base degli altri comma, un ricercatore avrebbe potuto essere titolare di un corso, potendo invece solamente svolgere “cicli di lezioni interne ai corsi attivati e attività di seminario». favi di Montarrenti
… Favi, non capisco bene, ma che siamo al negazionismo? Vorrà dire che 25000 ricercatori si saranno sbagliati… a me pare improprio citare articoli di legge a fronte della dura e palmare evidenza dei fatti: se in particolare a Siena quasi quattrocento ricercatori insegnano da anni, come titolari di corsi, sovente quanto e più degli ordinari, oltretutto coprendo spesso settori fondamentali, non è che ci si può limitare a dire, dopo dieci anni che glielo chiedono, “beh, ma non dovrebbero… birbanti, ora che li abbiamo scoperti, li facciamo smettere”, quasi che qualcuno avesse reclamato il diritto di lavorare gratis in vista di qualche privilegio, perché in tal caso si dovrebbe semplicemente andare a cercare un ordinario od associato che insegni al posto loro: si badi bene, non un professore raccogliticcio che insegni pessimamente come “hobby” una materia che non è la sua e che non conosce, come si suol dire per “mutuazione”. Per esperienza dico che molti studenti devono ringraziare il cielo per aver avuto per docente un cosiddetto “ricercatore” che li ha accuditi ed ha insegnato loro qualche cosa. Se veramente qualcuno pensa che i “ricercatori” (stupido eufemismo per dire “docenti di terza fascia pagati poco”) usurpino un ruolo che non spetta loro (oltre al danno, la beffa), lo dica, in primo luogo agli interessati e operi per togliere loro l’insegnamento: vorrà dire che invece di chiudere solo mezza università, la chiuderemo, all’istante, quasi tutta. Francamente anche il recente accenno in proposito ad opera del rettore (una specie di “rappel à l’ordre” e alla gerarchia) mi è apparso fuor di luogo, come se qualcuno gli avesse chiesto qualche cosa! Sembra quasi che qualcuno pretenda qualcosa, o che goda nel lavorare sottopagato, o si creda chissacchì, o cerchi vie traverse per arrivare chissàddove, quando questa (volenti o no) è invece, da anni, semplicemente la regola. Io trovo estremamente volgare che dopo aver intimato, oramai da anni, ai ricercatori di insegnare quanto e più dei più blasonati colleghi, adesso si chieda loro: “ma chi vi ha dato il permesso?”: una gratitudine pari a quella del celebre mendicante che ricambiava l’elemosina con un rutto. Infine smettiamo di prenderci per il didietro: dopo l’epoca delle vacche grasse e delle ope legis, quando forse i posti di ricercatore si davano via come noccioline, e ragionando al netto delle cordate che hanno avuto accesso privilegiato ai forzieri, elargendo posti ai numerosi famigli, col dilagare del precariato la posizione di ricercatore è ambita e spesso è l’unica cosa che un’università ridotta ai minimi termini, o affaccendata a dilapidare il patrimonio in cazzate, ha saputo offrire a studiosi che altrove, nel mondo, si chiamerebbero associati. Stiamo parlando di gente che mediamente ha quarant’anni o più, uno o più dottorati, postdoct, frequentemente esperienze di lavoro in mezzo mondo (pregasi non citare l’esempio del vicino di casa, erudito cultore di storia dei ricciarelli e dei cavallucci che invece ecc. ecc.), e che in particolare nella presente situazione finanziaria senese, congelata sine die, qui non farà mai carriera (e dato il sistema feudale dell’università italiana, difficilmente la farà altrove), anche se pubblicasse tonnellate di libri e di articoli. Vorrei che si riflettesse sulla dimensione del fenomeno, che ha un carattere macroscopico e sistematico, non di trascurabile eccezione. Infine, quello che veramente appare fuor di luogo è il paternalismo: in quale sistema universitario, nell’intero orbe terracqueo, un quarantenne è considerato alla stregua di un pargolo inesperto? Certo non tutti si chiamano Galois o Mozart, ma col nonnismo, il babbismo, il mammismo in Italia stiamo davvero esagerando, se è vero che qualcuno vorrebbe persino assimilare i conservatori alle università, cioè sfornare musicisti che inizierebbero la carriera all’età in cui Glenn Gould si era già ritirato dalle scene. Lo sanno tutti, che gli studenti molto spesso studiano, imparano, vedono, ricevono assistenza dai ricercatori e giammai si sono resi conto che quelli fossero docenti di serie B. Se l’università di Siena oltre a vantare un debito stratosferico, ha sbandierato ai quatro venti attestati di “eccellenza”, come potete pensare che il 30% del corpo docente ne sia estraneo?
Francamente certe considerazioni sui ricercatori che si odono in giro mi paiono appartenere alla categoria delle “piccole cose di pessimo gusto”, lontane… lontane… lontane… dalla realtà.
Beh la soluzione ci sarebbe. Il ricercatore smette di insegnare e qualche ordinario o associato copre la didattica. Alzando il proprio impegno. Non si chiuderebbe nulla dal corso essenziale a quello sul bue muschiato. Cominciamo a far lavorare chi prende stipendi maggiori… ci state?
Qui vi volevo! Sono corsi extra legem quindi! Voi sostenete che alcune università (non tutte, Stavrogin, prego!) hanno creato una nuova figura giuridica facendo il “professore aggregato” che pone vari problemi.
1) Aspettative: perché dovrebbero averle solo loro e non anche i ricercatori di altre università o facoltà in cui tale figura misteriosa in natura iuris, diciamo, non è stata adottata?
2) Non violerebbe il principio di uguaglianza pertanto una leggina che disponesse l’ope legis solo per loro?
3) Urgente allora pensare seriamente a commissioni di valutazione: chi merita di diventare associato?
4) Favi: “sentito” non vuol dire che ci debba essere il suo consenso! Mi duole ma è un’interpretatio di favore palesemente contraria al senso; semplicemente ha diritto a che, di fonte a una proposta, dica la sua: pertinenza o meno con le sue preferenze, preparazione ecc. ma se quelle 250 ore il consiglio decide che si usino in un certo modo “nonostante”, una vuole messa a verbale la eventuale valutazione di “disopportunità” del ricercatore, non credo ci sia giudice amm.vo che gli dia ragione.
@ Stavrogin
Siamo direi al contrario del negazionismo e non funziona in quel modo la legge (“Ah birbantelli!”). Siccome per cinque o sei anni il Reich ha pensato bene di saponificare fino a 6.000.000 milioni di ebrei (et alii… vedi Aktion T4) ora che si scopre che la cosa non è proprio in punta di diritto vorremmo mica farli smettere, poveri nazisti?
L’analogia non c’è, ovviamente, ma la parola “negazionismo” mi ha fatto venire in mente un esempio su quella scorta. E certo che sono convinto che se si è agito fuori della legge sinora, visti i risultati, si deve tornare nell’ambito della legge, coute ce que coute.
Siccome finora abbiamo pagato i CEL come degli associati (inopportunamente mi pare di capire e contro tutti gli altri tecnici amministrativi), ora che scopriamo che la legge ci consente di non rinnovare un contratto evidentemente folle, lo rinnoviamo comunque sennò, poverini, perdono i loro privilegi.
Ma che ragionamento è, scusa?
@ Arlecchino
Arlecchino, c’è anche un comma 4 di quella legge che hai riportato che sostiene che il massimo dell’orario può essere 250 ore annue, ma può essere anche meno. Quindi il consiglio non può decidere di impiegare proprio nulla perché le risorse anche orarie sono indeterminate (e se un ricercatore ne fa 20 annue? O 120?). E chi lo decide? Dalla lettera della norma non sembra potersi indurre un potere per gli organi accademici di controllo (che peraltro, notoriamente, non hanno mai controllato una minchia: non eri tu che dicevi che non hai mai visto bocciare una relazione triennale di un ricercatore?) di costringere un ricercatore a presenziare il massimo consentito dalla legge? A me sembrerebbe una bella forzatura senza bisogno per chicchessia di adire il giudice amministrativo. E poi, via, anche senza entrare nelle raffinatezze interpretative, la ratio della disposizione è chiarissima: il ricercatore deve ricercare e, incidentalmente, può partecipare a funzioni didattiche integrative. Punto e basta. Ogni altra lettura è fuorviante e capziosa con buona pace della realtà sviluppatasi negli ultimi anni e di chi la difende o cerca di utilizzarla per scopi innominabili (una sanatorietta?).
E poi, una bella domanda a Stavrogin: ma i corsi tenuti dai ricercatori, o meglio ancora, i ricercatori professori aggregati sono conteggiati nei minimi mussiani o no? A me risulta di no, anche perché mi sa che Siena primeggia negativamente anche in questa manìa di aggregare il 99% dei ricercatori (altrove non sono sicuro che si riproduca la medesima situazione, anzi sono sicuro del contrario). Se invece fosse così (ma non per sentito dire eh, per cortesia o per averlo letto su qualche fogliaccio della cui veridicità sappiamo bene cosa pensare) certo sarebbe un problema grosso, ma che non dovrebbe in ogni caso perpetuare un comportamento extra, per non dire contra legem.
Spera di essersi spiegato il vostro Favi di Montarrenti
Stavrogin, cerca di leggere bene i post, prima di affuocarti: nessuno vuol licenziare nessuno: che i ricercatori siano titolari di corsi è tranquillamente ammesso, che si siano create delle situazioni che fruttano “legittime esigenze” è stato scritto, che ci siano asini o persone preparate tra di loro nessuno se l’è posto (personalmente sono convinto, con Cipolla, che la percentuale di stupidi e/o impreparati sia la medesima qualunque categoria si prenda in esame), ma è altrettanto pacifico che la legge non consentiva la titolarità di corsi per i ricercatori e qui appunto sta quel vizio di origine di cui sopra. La mia era una considerazione storica: – come siamo arrivati a questo? – tu sposti il discorso in direzione di un pragma che non era nelle mie intenzioni toccare, io ho solo detto che il fregio del Partenone è di Fidia ed ora si trova al British Museum, ho fatto una rapida disamina di come c’è arrivato ed ho concluso che sotto quell’appropriazione c’è un vizio di origine, poi non ho auspicato uno sbarco della marina greca in Inghilterra.
P.S. Ovviamente gli inglesi devono smettere di rubare opere d’arte eseguite da civiltà al cui tempo loro si tingevano la faccia di blu e, altrettanto ovviamente, si deve cessare di affidare corsi a ricercatori, rientrando nella legge.
Sorry! comma 5: “sono definite dal consiglio”, non dal ricercatore, quindi; se poi non vuol definirle per convenienza di molti è altro discorso…
Perugia (Giur.) lo ha già chiarito anche in sede giudiziaria essendo preside Severino Caprioli (Roma 2), che mi dicono ama dare delucidazioni in merito.
Giusto invece che aggregati non dovrebbero essere conteggiati nei minimi mussiani: se non esistono giuridicamente come incardinati come protrebbero?
Se fossero tenuti in conto, ancora una volta in sede giudiziaria non basterebbe farsi riconoscere lo status corrispondente?
@ arlecchino
Definite dal consiglio non significa imposte, tant’è che segue: sentito il ricercatore interessato. È evidente l’intenzione del legislatore di contemperare eventuali necessità di seminari, attività tutoriali, e comunque integrative del consiglio e quelle del ricercatore che, una volta espletati i suoi doveri didattici integrativi, deve portare avanti la propria attività di ricerca, per la quale appunto è stato assunto e che deve rimanere la sua principale.
‘Sentito’ non vuol dire con suo consenso, però!
Ovvio che deve rimanere principale la ricerca, tant’è che il massimo, cioè 250 ore, sono – per 10 e 1/2 mesi di lavoro, no? – un 22 ore al mese più o meno. Non resta tempo per la ricerca?
Piuttosto non vedo il problema, a meno che non ci sia una causa in itinere o in arrivo!
Sbagliare a formalizzare tutto. Se si tira la corda è ovvio che un consiglio di corso deve metere nero su bianco gli orari, che perderebbero l’elasticità attuale, per cui l’assenza andrebbe motivata con cdertificato medico: se è questo che qualcuno vuole lo dica.
Anche per aggregati esagerate, perché sono espressione di autonomia o no? Non è contra legem, ma solo praeter legem o sbaglio? Associati e ordinari ne fanno (quando lavorano) di cose non strettamente pertinenti!
Su discipline secondarie l’aggregato si può fare le ossa. Chiaro piuttosto che andrebbe pagato perché è un di più non previsto e soprattutto andrebbe seguito se giovane e inesperto per farlo diventare un momento formativo. La didattica non s’impara con la ricerca, e infatti abbiamo anche ordinari sull’orlo del fuori ruolo che non sanno fare lezione! Ma se non s’impara allora, quando?
2+2
Outis, io non mi “affuoco”. È che mi sembra di leggere una fiaba narrata da persone che vivono in un altro pianeta o nel fantastico mondo di Amelie e faccio notare che nel mio post precedente, approssimavo per difetto:
“Nell’attuale università i ricercatori (24.138 per l’Istat nel 2008) costituiscono circa il 40% del corpo docente.” Corriere della Sera di oggi.
Il quaranta per cento della didattica, avete capito?
OK, ma chi sa se gli “aggregati” contano per i criteri mussiani?
I ricercatori (alias prof. aggr.) contano eccome!!! Per questo sono così preziosi nella fase dei pensionamenti. Buttate a mare anche loro e la catastrofe sarà completa: àpres nous, le déluge….
In quanto ricercatori, non aggregati che non esistono che nella mente autonomica (che ha condotto ai disastri notissimi): non legale!
Stavrogin dove nel Corsera che trovo solo ora? A che pagina?
Arlecchino, eccolo:
http://www.corriere.it/cronache/10_marzo_21/ricercatori-universita-sciopero-gelmini_5200641e-34d9-11df-b226-00144f02aabe.shtml
Ce n’era un altro di analogo contenuto su Repubblica del giorno prima.
Sì, c’è un problema da creare, l’unico che può dare uno scrollone: una bella causa per il riconoscimento dello status di docente “vero” davanti al giudice del lavoro. Vedrete che si svegliano, a destra e a sinistra. Ma possibile non ci abbiano pensato? Sono così fiduciosi da pensare che ci penseranno le Facoltà al loro futuro? Forza, palle! Il che, però, e a fortiori, pone il problema della “selezione” di merito. O nessuno la vuole e pensa che mentre tra i professori. ordinari e associati ci sono molti indegni tra i ricercatori tutti sono degni?
«Sì, c’è un problema da creare, l’unico che può dare uno scrollone: una bella causa per il riconoscimento dello status di docente “vero” davanti al giudice del lavoro.» archimede
Archimede, ma guarda che i ricercatori sono docenti “veri” sin dai primi anni ’90, se non erro: costituiscono il 40% del corpo docente e non è che insegnano di sotterfugio; comunque il DdL allo studio ho sentito dire che attribuisce loro – ai 25000 oggi in essere – per legge, e non solo per “consuetutdine”, un ammontare di ore pari a quello degli ordinari (ma non lo stipendio…) e sostanzialmente nessuna possibilità di carriera: 25000 persone da rottamare e francamente non credo che pure i futuri ricercatori a TD avranno prospettive radiose, con i tempi che corrono.
Il rumor raccolto da Stavrogin circa il Ddl che attribuirebbe ai ricercatori un ammontare di ore pari a quello degli ordinari, senza toccare lo stipendio, mi ricorda un film dei fratelli Marx in cui Groucho, legato ad un palo, sussurra all’indiano di guardia:-“Procurami una canoa, che ti faccio remare”.
Compulsi al pragma dalla callida proposta di Archimede (penso giuridicamente improponibile), proviamo ad esperire delle ipotesi di soluzione di uno status quo che, ripeto, ha fondamenti illegittimi (praeter, extra o contra legem, è un puro esercizio sulle preposizioni latine che reggono l’accusativo).
Ipotesi 1: sanatoria generale che promuove tutti i ricercatori ad associati. Il primo e insormontabile ostacolo è la cifra necessaria all’operazione, segue poi l’obbiezione di Arlecchino che, stante che non tutte le università hanno trasformato nei fatti ogni ricercatore in docente, si lederebbero i diritti proprio di chi è rimasto nei limiti della legge istitutiva del ruolo.
Ipotesi 2: si creano comitati, meglio sarebbe un comitato nazionale, di valutazione e si promuovono i meritevoli. Sottoipotesi 2.1: la valutazione consiste nella solita pagliacciata italica, todos caballeros, con che torniamo all’ipotesi 1. Sottoipotesi 2.2: la valutazione è corretta e selettiva, ma selettiva quanto? Quanti dei 25.000 resterebbero sul terreno, destinati a questo punto a morire quasi certamente ricercatori ed a proseguire, dio solo sa con quanto entusiasmo, le loro ricerche? E la pattuglia dei sopravvissuti garantirebbe le necessità della didattica? Sottoipotesi (ma nemmeno tanto) 2.3: i ricorsi dei bocciati si riversano come uno tsunami sui tribunali ammministrativi, sul Consiglio di Stato, sulla Corte dei conti, sul Tribunale delle acque, su su, fino alla Corte internazionale dell’Aja per arrivare all’ONU fino, extrema ratio, alla formazione di bande partigiane armate.
Ipotesi 3: con un ukaz il ministero vieta dall’oggi al domani che i ricercatori siano titolari di corsi (giusta la legge). Le università che hanno seguito, in maniera più o meno dissennata, l’andazzo antigiuridico si arrangino. Sottoipotesi 3.1: i ricercatori sono contenti perché si possono dedicare tranquillamente alle loro ricerche senza essere oberati da un lavoro che non spetterebbe loro e che non è pagato. Sottoipotesi 3.2: i ricercatori si imbufaliscono perché, ritenendosi sostanzialmente veri e propri docenti, vedono in ciò una deminutio del loro status; con che si torna alla sottoipotesi 2.3.
Altro dirvi non so.
Molti dimenticano una legge del 2005, la numero 230 che all’art. 1 detta:
Comma 11. «Ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, che hanno svolto tre anni di insegnamento ai sensi dell’articolo 12 della legge 19 novembre 1990, n. 341, nonché ai professori incaricati stabilizzati, sono affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici nonché compiti di tutorato e di didattica integrativa. Ad essi è attribuito il titolo di professore aggregato per il periodo di durata degli stessi corsi e moduli. Lo stesso titolo è attribuito, per il periodo di durata dell’incarico, ai ricercatori reclutati come previsto al comma 7, ove ad essi siano affidati corsi o moduli curriculari.»
Si parla di “corsi” mi sembra, e gli aggregati sono ripresi perciò nel progetto Gelmini.
Temo non si possa fare nessuna causa, essendo figure “legali”.
Interessante per dati e concretezza la Vs. discussione. Vi do perciò notizia d’una lettera mandata al mio rettore (Roma3)
Caro Rettore,
leggo il comunicato CRUI con la precisazione relativa agli aggregati “i cui obblighi didattici non possono comunque essere equiparati a quelli dei professori”. Uhm, excusatio non petita quasi provocatoria! Come farete a sostenere che chi fa lezione esattamente come gli altri non sia equiparabile? O le loro lezioni sono meno ‘buone’? E allora perché certe Facoltà le consentono? È un cul de sac, temo forte.
C’è da sperare che non investano la magistratura… che darebbe ben più grane che non uno sciopero. Come CRUI forse potreste studiare la cosa.
Bisogna evitare l’ope legis (anche per non discriminare i ricercatori di Facoltà che non fanno aggregazioni), ma l’unico modo è prevedere un rapido assorbimento degli idonei a passare di grado. Una commissione nazionale che faccia rapidamente l’elenco degli idonei che possono essere chiamati come associati?
«…vorrei di nuovo esprimere il mio stupore e sgomento, constatando la distanza siderale che intercorre tra la realtà e la rappresentazione della realtà e mettere tutti in guardia dal delegittimare e demoralizzare quell’oltre 30% del corpo docente che non credo abbia grandi responsabilità nella pessima gestione dell’università di Siena:»
«Siccome per cinque o sei anni il Reich ha pensato bene di saponificare fino a 6.000.000 milioni di ebrei (et alii… vedi Aktion T4) ora che si scopre che la cosa non è proprio in punta di diritto vorremmo mica farli smettere, poveri nazisti?» favi
………………….
“Il Reich“, per restare nella tua graziosa metafora, vent’anni fa ha pensato bene di far insegnare quelli che oggi sono 25.000 ricercatori (il 40% del corpo docente, secondo l’articolo citato del Corriere della Sera del noto “comunista” de Bortoli; a Siena, circa 350): “il Reich” e tutti i gerarchi, sino all’ultimo caporale lo sapevano bene, ovvio, e gli ha fatto comodo, ed è grottesco che oggi gridino allo scandalo – ma lo “scandalo” quale sarebbe, quello che gente competente ed esperta insegni, o che lo faccia in pratica senza compenso e riconoscimento adeguato? Trovo questa sceneggiata indegna: fino a ieri – e sono circa venti anni che le cose stanno così – questa legione di “giovani professori” era un vanto, un “contributo inestimabile” all’eccellenza di diverse facoltà; oggi, preventivamente, per non correre il rischio di dover dare loro qualche cosa che si teme gli spetti, d’improvviso diventa “uno scandalo” – badate bene, loro sarebbero lo scandalo, in questa nefasta congiuntura… e non dirò altro -, mentre se c’è qualcosa di veramente scandaloso è semmai proprio questo voltafaccia. Favi se il termine “negazionismo” non ti appare adeguato possiamo provare con “Denegazione” o “Diniego” o “Dissociazione” o “Scissione”, per apostrofare il comportamento preoccupante sul piano psichiatrico delle “competenti autorità”.
I ricercatori contano ai fini dei “requisiti minimi” mussiano-gelminiani: peseranno sempre di più man mano che ordinari ed associati andranno in pensione, non essendo rimpiazzati, ed è singolare che lo si ignori, giacché presumibilmente molti dei corsi di laurea ai quali afferisce chi ora cade dal pero (“hypocrite lecteur“), non starebbero in piedi senza computare questi numeri. Quanto al tema del costo dei ricercatori, sollevato dal Favi, è vero che un ricercatore con forte anzianità non costa pochissimo (2000 euro?), ma quanti sono mediamente i ricercatori anziani? Come la statura delle persone è distribuita in modo che molti sono vicini alla media e meno ai livelli più alti e più bassi, così immagino che la media dei ricercatori percepisca stipendi sensibilmente più contenuti: dunque per le facoltà che se ne avvalgono costituiscono un affarone!
«3.1: i ricercatori sono contenti perché si possono dedicare tranquillamente alle loro ricerche senza essere oberati da un lavoro che non spetterebbe loro e che non è pagato.» outis
Non so quanto sarebbero contenti nel veder scomparire dai propri dipartimenti e dai propri corsi di laurea la materia che talvolta unicamente loro insegnano (e non sto parlando delle famose e sempre più impropriamente chiamate in causa “teorie” del “Bue Muschiato”: per piacere, non se ne può più di insinuazioni basate sul niente), e che senso avrebbe la loro permanenza in loco qualora venisse soppressa: perché allora non facciamo una bella legge sulla mobilità, che consenta ai ricercatori di recarsi laddove sono graditi, non vengono insultati e dove la ricerca c’è? Domandiamoci semmai che nesso sussiste nell’università di oggi, quella dei corsettini del menga mordi – e – fuggi, fra didattica e ricerca, e soprattutto, se vi è ancora un nesso. Proviamo a rovesciare i riflettori e a porci altre domande, visto che le “gerarchie” vengono chiamate in causa solo quando fa comodo: chi ha la responsabilità in ordine alla organizzazione e direzione della ricerca? Chi dovrebbe con maggiore solerzia preoccuparsi di creare le condizioni per far andar avanti progetti di ricerca credibili? Occorrono ancora specialisti di qualche cosa nell’università dove troppi ritengono di essere in grado di insegnare tutto? La didattica è sempre di più appiattita ed annacquata e la ricerca è per lo più disorganizzata: questo – ancor più della carenza dei finanziamenti – è a mio avviso il male oscuro dell’università italiana, che induce molti a fuggirsene; ma anche nella realtà nostrana, parlando dei “corsi” tenuti dai ricercatori, per piacere, piantiamola di alludere a corsi immaginifici creati ad hoc: non è così, o non è così per moltissimi; ripeto, se andate a vedere, carte alla mano, vi accorgerete che molto spesso l’insegnamento dei ricercatori non è un sovrappiù che si affianca al corso importante tenuto dal “principale”, bensì “il principale”, semplicemente, non c’è mai stato o non c’è più. Dopo chiedetevi semplicemente e senza insinuazioni gratuite se chi ne ha fatto per anni le veci, ha lavorato bene o ha lavorato male, e forse piuttosto che domandarvi, assai bizzarramente, dopo un ventennio che prosegue questo andazzo e questi interrogativi non erano per niente all’ordine del giorno: “ma perché un ricercatore insegna?”, spesso vi domanderete: “ma perché questo qua è ancora ricercatore?”.
“Scandalose”, infatti, sono da un lato le carriere facili di alcuni, trovatisi nell’ambiente “giusto”, nell’epoca giusta, a fronte delle carriere troncate di altri, figli di N.N. (accademicamente parlando) e vittime del caso e della congiuntura, del tutto a prescindere da ogni considerazione di merito.
«Sottoipotesi 3.2: i ricercatori si imbufaliscono perché, ritenendosi sostanzialmente veri e propri docenti, vedono in ciò una deminutio del loro status; con che si torna alla sottoipotesi 2.3.
Altro dirvi non so.» Outis
Ma come “ritenendosi“!?!?!??!?!?! Outis, “hypotheses non fingo”, questi sono ragionamenti astratti, mentre la concreta realtà dei fatti da cui corre l’obbligo di partire è che revocando il “diritto”, cioè l’obbligo (!) di insegnare ai ricercatori, se scomparisse quell’oltre un terzo di contributo alla didattica di gente che quando è entrata all’università aveva sicuramente più entusiasmo ed altre aspettative ed un’immagine più positiva dell’istituzione stessa, sarebbero tutti col culo per terra. E lo sanno.
Essere definiti “prof. aggrrrrrrrrr.” è già motivo sufficiente per impalare l’inventore di questa singolare definizione, ma uno che tiene 120 ore o più di lezione all’anno, con esami, ogni ordine di tesi, comitati e sottocomitati, essendo ufficialmente da tempo titolare dei corsi che tiene, che cos’è, se non un docente “vero”? I ricercatori sono docenti “veri” da vent’anni: non è che si può chiedere qualcosa a un disgraziato per anni e poi ringraziarlo con un pernacchio, perché stiamo parlando di gente adulta e con famiglia a carico.
«Il rumor raccolto da Stavrogin circa il DdL che attribuirebbe ai ricercatori un ammontare di ore pari a quello degli ordinari, senza toccare lo stipendio, mi ricorda un film dei fratelli Marx in cui Groucho, legato ad un palo, sussurra all’indiano di guardia:-”Procurami una canoa, che ti faccio remare”.» Outis
…dato che stiamo affrontando il problema dell’indispensabilità del contributo dei ricercatori all’insegnamento, nella cornice generale del venir meno dei “requisiti minimi di docenza” a causa dei pensionamenti, troverei più appropriata quest’altra citazione marxiana (nel senso di Groucho):
“Siamo nei pasticci amici, correte a Freedonia: tre uomini e una donna sono bloccati… Mandate aiuto! Se non potete mandare aiuto, mandate altre due donne!”
@ stavrogin
Una sola precisazione: quando ho parlato dell’ormai celebre bue muschiato non ho inteso insinuare nulla e continuo a non insinuare nulla. Se da un lato sono inorgoglito del successo che ha avuto il bue, dall’altro sono dispiaciuto dell’uso improprio che ne è stato fatto. Io volevo semplicemente sottolineare la presenza, nemmeno tanto rara, di corsi demenziali, nati al solo scopo di farcire l’università di cattedre e mi riferivo agli insegnamenti in genere, di ordinari, associati, aggregati, ricercatori e chi più ne ha più ne metta. Il punto era la demenzialità, associata al timore, da te mi pare ricordare condiviso, che magari fossero proprio quelli, stante la loro origine oscura, a sopravvivere ad un eventuale repulisti. C’è da dire anche che, talvolta, a titolo demenziale non corrisponde altrettale insegnamento. Per esempio un mio amico si è veduto assegnare un corso di Gnoseologia (titolo privo di senso), all’interno del quale insegnava filosofia teoretica, non potendosi, per ragioni burocratiche, titolare così il corso.
P.S. Rimane in ballo l’ipotesi 2 e relative sottoipotesi 2.1, 2.2 e 2.3 (più correttamente 2.2.1).
Dunque, facciamo un po’ di chiarezza perché il dibattito qui mi sembra prenda una piega polemica che non ha ragione di esistere. Esiste infatti un ordinamento giuridico che, a saperlo compulsare, chiarisce tutto e funziona da rasoio di Occam.
In effetti non è proprio come dicevo io, ma neanche come dicevano Stavrogin, Archimede ed Arlecchino. Quello che ci è andato più vicino di tutti è stato Outis.
L’articolo 32 riportato da Arlecchino è, ovviamente, quello della famigerata 382/80. E va bene. Poi, sempre la nostra mascherina, per portare acqua al mulino della legalità riporta un passo della 240/2005 (la c.d. Moratti per intendersi) dove in effetti si parla del titolo di professore aggregato da assegnare a quei ricercatori e assistenti fuori ruolo ai quali si è potuto assegnare la titolarità di un corso e, solo per quel periodo, possono effettivamente fregiarsi di tale titolo. Disposizione riportata pari pari dalla Gelmini nel suo famoso DDL.
Inoltre, e qui casca l’asino, la legge del 2005 richiama un’altra disposizione per designare chi mai siano i ricercatori abilitati a tale operazione, la 341/1990, che all’art. 12 comma 3 recita:
3. Ferma restando per i professori la responsabilità didattica di un corso relativo ad un insegnamento, le strutture didattiche, secondo le esigenze della programmazione didattica, attribuiscono ai professori e ai ricercatori confermati, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e con il consenso dell’interessato, l’affidamento e la supplenza di ulteriori corsi o moduli che, comunque, non danno diritto ad alcuna riserva di posti nei concorsi. La programmazione deve in ogni caso assicurare la piena utilizzazione nelle strutture didattiche dei professori e dei ricercatori e l’assolvimento degli impegni previsti dalle rispettive norme di stato giuridico.
Come si vede bene, prima di tutto, caro Arlecchino, ci vuole il consenso dell’interessato, il quale – à la Perelman (Grigorij) – potrebbe dire che non gliene importa proprio nulla e che vuole fare ricerca e non avere gli zebedei rotti e – soprattutto – deve essere confermato.
Dal che discende che siccome i 24.138 sono tutti i ricercatori d’Italia, spero che Stavrogin si sia sbagliato nel dire che tutti hanno un insegnamento perché certo i ricercatori in ruolo non sono tutti confermati e quindi quella cifra scende di parecchio.
Per Siena, poi, la cosa è ancora più grave perché basta girare un po’ per i corridoi (o per i siti dei dipartimenti) e si scopre che sono todos caballeros, cioè che i 398 ricercatori (lo dice Stavrogin, non io) insegnano tutti e sono tutti aggregati. E so per certo che anche a quei 34 famosi che sono stati assunti il 29 dicembre 2008 sono stati affidati corsi e quelli, di certo, non sono confermati. Ergo l’Ateneo ha agito contra legem, almeno per quei casi. Non parliamo poi del fatto che questo Ateneo ha anche retribuito dei corsi assegnati a personale tecnico amministrativo, cosa quella sì espressamente vietata dalla legge, così come li ha affidati a dottorandi e assegnisti, di nuovo contro la legge e ha inoltre fatto un abuso delle docenze a contratto di docenti (?) esterni.
Per concludere tanto in punta di diritto, quanto in generale, in base a buon senso e opportunità abbiamo assistito ad un fenomeno assai deplorevole e che, alla resa dei conti, è in una certa parte anche causa del dissesto (tutto ciò comporta un esborso di danaro, è ovvio). Se, in linea di massima Stavrogin ha ragione a dire che de facto moltissimi ricercatori insegnano e, lo scopriamo finalmente, anche legittimamente, tutto ciò non può subìre un processo socratico dal particolare al generale, anzi il contrario. L’ipotesi migliore mi parrebbe quella della commissione (Una commissiooooone!) che selezioni (parola che a moltissimi fa venire l’orticaria) coloro ai quali andrebbe effettivamente riconosciuto il diritto ad un’elevazione professionale e rimetta al proprio posto coloro che non hanno maturato alcun diritto neanche sulla base dell’opportunità, rientrando così nella legge.
Vi torna o no? Al Favi di Montarrenti, che vi saluta, torna e parecchio
Leggo il comunicato CRUI con la precisazione relativa agli aggregati “i cui obblighi didattici non possono comunque essere equiparati a quelli dei professori”. Ascheri
Veramente enigmatica la presa di posizione della CRUI, che dichiara i cosiddetti ricercatori non essere “docenti equiparati” agli altri che insegnano quanto loro: cattiva coscienza alla vigilia della rottamazione di 25000 ricercatori, ruolo (non senza ragione) dichiarato ad esaurimento, ma senza sapere cosa farne di questi docenti che coprono dal 30% al 40% della didattica, essendo da vent’anni legittimamente titolari dei corsi? Leggo in un sito di ricercatori che il ddl Gelmini proporrebbe di obbligarli “agli stessi doveri dei professori universitari di ruolo, imponendo a tutti – 350 ore annue minime di attività didattica”; allora mi pare che ciò ammonti ad una schizofrenia di fondo.
La caccia ti ha stancato, caro Favi!
Ti dirò di nuovo, sorry!, che il consenso di cui parli è per i corsi e non per le 250 ore, dove la 382 non è stata innovata sul punto e pertanto la storia del consenso non vale. Le eventuali 250 ore di presenza in ufficio per didattica integrativa (o perché ti pesano così tanto, precisato che sono un 22 ore al mese?) non sono toccate.
Piuttosto quel comma 3 che meritoriamente hai portato alla luce, reca un elemento grave di cui non ti sei accorto: esso parla di “piena utilizzazione” (testuale) anche dei ricercatori. Di qui a sostenere che quel massimo di 250 ore è obbligatorio per tutti i ricercatori indipendentemente dal loro consenso ci vuole molto, molto poco. Molti corsi di laurea certamente non lo sapranno… e ti ringrazieranno assai.
Per il resto sono perfettamente d’accordo, anzi grazie!
Pensiamo alle palme/ulivo… pace, pace!
…boh, Favi, me sembra che tu parli di un mondo che non esiste e non è mai esistito, se non “in punta di diritto”. Facciamo pure una bella “commissione” che verifichi chi fa che cosa (e possibilmente chi non fa che cosa, a tutti i livelli), ma l’aria che tira mi pare parecchio brutta e come ripeto non ho molto chiaro perché proprio ora vi sia tutto questo trasecolare per una cosa di cui tutti sin qui si compiacevano; non mi spiego del tutto questo cambiamento di retorica repentino, per cui l’avere una scuderia di “giovani docenti”, adesso non è più motivo d’orgoglio. La confusione del resto è grande, sotto il cielo; leggo su “il Fatto Quotidiano” del 25 marzo:
“Il disegno di legge del ministro per l’Istruzione Mariastella Gelmini prevede infatti l’equiparazione degli obblighi didattici tra professori associati, di ruolo e ricercatori, mantenendo però diversi trattamenti. Fino a oggi i ricercatori potevano fare, a loro discrezione, didattica, fino a un massimo di 350 ore. Con la riforma quel numero diventa il loro limite minimo, come per i professori ecc.”.
Poi leggo il pronunciamento della CRUI, prontamente riportato da Ascheri e diramato dal Rettore, con la precisazione relativa agli aggregati, “i cui obblighi didattici non possono comunque essere equiparati a quelli dei professori”, cioè l’esatto opposto e mi chiedo a che gioco giochiamo.
Tranquillamente si minimizza sul fatto che da vent’anni i ricercatori insegnano, semplicemente perché glielo hanno chiesto, e che essi hanno accettato, non solo perché sono “quelle proposte che non si possono rifiutare”, ma anche per senso di responsabilità (visto che di quattrini… nada), perché il loro contributo alla didattica è essenziale e perché molto spesso sono gli unici che insegnano la loro materia, e non inutili orpelli liquidabili senza conseguenze. Considero non trascurabile poi, la constatazione che negli ambienti dove circolano meno quattrini, un posto di ricercatore è semplicemente un auspicato stipendio fisso che sopraggiunge dopo oltre un decennio di precariato, in cui l’ex “giovine studioso” (che senz’altro avrebbe preferito occuparsi della congettura di Poincaré, o anche qualcosa di più modesto, piuttosto che delle faccende domestiche dei dipartimenti) le ossa se l’è fatte e verosimilmente se l’è anche rotte. In modo sorprendentemente intempestivo, oggi, dopo tutto questo tempo, si odono insinuazioni intorno alla capacità di un “ricercatore” nel pieno vigore delle proprie forze di insegnare: in attesa di sapere da che pulpito viene la predica, suggerisco semmai che è una inutile perdita di tempo cercare di spiegare ad un calabrone che in teoria non potrebbe volare…..
Una piccola domanda ingenua. Perché sono stati dati incarichi di insegnamento ufficiali a ricercatori non confermati, a dottorandi, ad assegnisti, a personale tecnico-amministativo e si è fatto un abuso dei contratti di insegnamento ad esterni?
a) perché i Corsi di Laurea sono troppi?
oppure
b) perché i Docenti insegnano poco?
Tertium non datur.
MM
Rispondo, modestamente, ad MM:
– perché ci sono troppi Corsi di Laurea;
– perché ci sono anche tanti Docenti che insegnano poco.
«Perché sono stati dati incarichi di insegnamento ufficiali a ricercatori non confermati, a dottorandi, ad assegnisti, a personale tecnico-amministativo.» mm
Premesso che non capisco che minchia c’entrino i ricercatori (“non confermati” è soltanto l’ultimo vezzo retorico) con i dottorandi o il personale tecnico amministrativo, noto che continuate ad ignorare quello che scrivo. Vorrà dire che non lo scriverò più, abbandonandovi alle vostre certezze. Vi prego “intimate” ai ricercatori di non insegnare, ma fornite anche il vostro curriculum, prima di ergervi su un caracollante trespolo.
I ricercatori “che non hanno ancora superato il giudizio di conferma da parte di una commissione nazionale composta, per ogni raggruppamento di discipline, da tre professori di ruolo, di cui due ordinari e uno associato, estratti a sorte su un numero triplo di docenti designati dal Consiglio universitario nazionale, tra i docenti del gruppo di discipline (L. 382/80)” (ci siamo con i termini, Stavrogin?) sono citati insieme alle altre figure, non per assimilazione, ma in quanto accomunati dal divieto di svolgere corsi ufficiali (ci potremmo aggiungere i camerieri, i postini, le Escort e chi più ne ha più ne metta). Ma, come segnala il Favi, le figure da me citate in passato hanno ricevuto incarichi.
Caro Stavrogin, se mi dici chi sei il mio curriculum te lo mando per e mail. E poi tu mi mandi il tuo (e comunque, dal fervore con cui difendi i Ricercatori direi che sei un Ricercatore… o mi sbaglio?).
Ti saluto lasciandoti alle certezze tue
MM
Caro MM, nel paragonare i ricercatori alle puttane, ti qualifichi a sufficienza, al punto che non c’è bisogno di altri “curricola” per qualificarti.
Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire…
…chiedo scusa ai Ricercatori per aver usato le parole “ricercatore” ed “Escort” nella stessa frase, senza alcun intento di paragone… ma Stavrogin mi ha veramente fatto incazzare…
MM
«Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire…» MM
Incazzati pure, ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Stiamo debordando, calma, signori, andiamo verso Pasqua!
Mi sembra allora meritoriamente accertato grazie ai vari interventi:
– che i ricercatori sono solo in parte utilizzati con l’affidamento di corsi in modo legale ex legge 2005;
– che hanno avuto un aggravamento del carico (250 ore obbligatorie) sempre ex legge 2005;
– che la CRUI ha gravemente declassato i corsi di cui vengono incaricati (anche quelli legali!): leggete bene l’Ascheri, che deve essere molto amato anche a Roma;
– che ci sono Facoltà che non dando aggregazioni probabilmente fanno trovare i propri ricercatori in posizione più debole a fini di carriera.
Il resto sono chiacchere! Il Siena è sempre a 0-0 con il Genoa, ma io Vi dico: 2+2!
Beh, ora chi è interessato alla legalità ci spieghi allora degli aggregati senesi quanti sono legali e quanti no: un consigliere avrà diritto di chiederlo al Rettore? E ci sarà, no?
Con tutti questi rappresentanti di enti democratici che da sempre lottano per la trasparenza e la democrazia… altrimenti occorrerà chiedere all’on.le Ceccuzzi di fare un’interrogazione al Ministro per saperlo indirettamente almeno!
Forza PD! Se non vinci stavolta, con il Berlusca così cotto, va proprio male, da harakiri!
Dopo Faccia di Cera sarà Ceccuzi, il nemico (??) del Piccini, il nuovo sindaco. Qui pilota tutto il pd-ex pci, dal senato accademico alle maestranze. Io vi dono uno dei
Pensieri di Adriano
“Una persona libera non può vivere a Siena”.
Il Bardo stavolta s’inchina e lascia passare
bardus
…Il cerchio si è chiuso, come direbbe l’ispettore in “Totò Diabolicus”. Rossi subentra a Martini. Alla platea dice lega uguale razzismo, w l’antifascismo e la costituzione… poi – dimentica la supestrada a pagamento che voleva -, il buon medico, invita le multinazionali a entrare in Toscana – come se non ci fossero…
Che Rossi sia un servo delle multinazionali (il “Sim”, dicevano le bierre, e i dc intellettuali a dar loro “ragione”)?
A parte le battute, Rossi intervenga sulla morente università ridotta a feudo picciista… e sui burocrati incompetenti e asini che fanno falsi in atti di ufficio, con sporche e mafiose coperture!
Bardo caustico
«I ricercatori “che non hanno ancora superato il giudizio di conferma da parte di una commissione nazionale composta, per ogni raggruppamento di discipline, da tre professori di ruolo, di cui due ordinari e uno associato, estratti a sorte su un numero triplo di docenti designati dal Consiglio universitario nazionale, tra i docenti del gruppo di discipline (L. 382/80)” (ci siamo con i termini, Stavrogin?) sono citati insieme alle altre figure, non per assimilazione, ma in quanto accomunati dal divieto di svolgere corsi ufficiali (ci potremmo aggiungere i camerieri, i postini, le Escort e chi più ne ha più ne metta).» MM
Questa che scrivi insomma, è una solenne idiozia, che attesta solo ignoranza e menefreghismo.
P.S. Grazie per l’ospitalità. È stato bello partecipare al forum; ma francamente non si capisce più in che direzione stia andando, e se i “riformatori” si chiamano MM, allora stiamo freschi!
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