Pubblichiamo a puntate il resoconto integrale dell’incontro-dibattito «Salvare l’Università di Siena. Quale modello per il futuro?».
Angela Ciarrocchi (Presidente Associazione Culturale “Nuove Prospettive”). Io vorrei cominciare ringraziando tutti quelli che sono qui presenti stasera. A nome dell’Associazione “Nuove Prospettive”, volevo ringraziare i relatori che hanno accolto il nostro invito e il Comune di Siena che ci ospita questa sera qui e che ha dato il patrocinio a questa nostra iniziativa.
Cosa vogliamo fare? Il titolo della serata mi sembra abbastanza chiaro. “Nuove Prospettive” vuole offrire uno spazio di confronto, un forum che possa incominciare a parlare, a confrontare le idee, dove tutti, ognuno nel rispetto delle proprie opinioni, ma con onestà intellettuale, possa dare il proprio apporto per trovare una via d’uscita alla situazione in cui versa l’Università di Siena in questo momento.
Ora, io prima scherzavo e dicevo che forse questa statua incombente qui dietro esagera un po’, comunque la situazione di crisi la conosciamo tutti, però sappiamo anche altre cose. Sappiamo che l’Università di Siena ha più di 700 anni e che è stata nel corso di questi secoli molte volte, anche nei momenti di decadenza della città di Siena, il motore per la rinascita, un centro di innovazione e di promozione sociale.
La crisi sta ormai da un po’ di tempo attanagliando questa nostra istituzione, ed è una crisi che è economica, ma non solo economica e che, per certi aspetti, è una crisi che colpisce molte delle Università italiane, però presenta anche degli aspetti peculiari propri dell’Università di Siena. Io poi passerò la parola a chi più di me ha la capacità di affrontare questo tema. Volevo solo ricordare a me stessa e un po’ anche a tutti che il termine latino “universitas”, da cui “università”, vuol dire “corporazione di studenti”.
Quindi credo che per qualunque spunto, per qualunque riflessione dobbiamo tenere presente che la centralità dell’Università sono gli studenti e i loro diritti, cui seguono i diritti della società civile, una società civile che paga per l’Università e che ha il diritto di aspettarsi dall’Università che sforni professionisti preparati e una classe dirigente degna di questo nome.
Purtroppo, negli anni, un po’ ovunque, ma anche qui da noi, ci sono state altre esigenze che sono passate avanti a questi diritti, esigenze che hanno portato a molte conseguenze, una di queste è che il costo della docenza è lievitato. Quindi ci sono dei costi di docenza molto alti. Ora, ovviamente, il servizio dell’insegnamento è un servizio essenziale dentro all’Università. I docenti sono il cuore e l’anima, perlomeno molti lo sono, però se confrontiamo i costi sociali ed economici con i benefici che otteniamo, i risultati che otteniamo – i risultati sono in termini di numero di ragazzi che escono veramente formati dall’Università rispetto al numero dei ragazzi che vi entrano – vediamo che l’insegnamento ha perso, nel corso degli anni, di efficacia e di efficienza.
Io credo, e non lo credo solo io, l’investimento più grosso che un paese possa fare è sui giovani, che sono il futuro del paese. Quindi qualunque investimento fatto sulla formazione dei giovani poi ci ritornerà. Di qualunque cosa si parli, qualunque siano le strade future per uscire da questo momento di crisi, ci sono due cose, secondo me, che andrebbero tenute presenti: la prima è la centralità degli studenti, come dicevo, e la seconda è la valorizzazione del merito. Poi le risorse disponibili devono essere spese in modo corretto e responsabile, ma prima di tutto queste due cose: centralità dello studente e valorizzazione del merito.
Passo ora la parola al moderatore della serata, Stefano Bisi.
Stefano Bisi (Vice Direttore “Corriere di Siena”) Moderatore. È vero che questo signore che sta dietro a noi si tiene la mano nella testa, però è vero anche che siamo nella Sala del Risorgimento, quindi speriamo nel risorgimento dell’Università di Siena. Per parlare del possibile risorgimento dell’Università di Siena il circolo “Nuove Prospettive” ha invitato alcuni docenti, che sono: Giovanni Grasso, docente dell’Università di Siena; Mario Ascheri, un altro docente, che ha forse la fortuna in questo momento di insegnare non all’Università di Siena; un ex Rettore, Mauro Barni, insieme a un altro ex Rettore, Adalberto Grossi.
Quando chiesi ad Agostino Milani, Consigliere comunale, perché aveva scelto questi personaggi, riferendosi ai due ex rettori presenti, disse – …posso dire la battuta? Ormai ho incominciato, sarebbe scortese non dirla – “i due rettori che non hanno fatto il buco all’Università di Siena”. E per questo, quindi, già meritano un applauso, penso, no? (Applausi)
Poi il professor Lorenzo Gaeta, un preside… (Gaeta fuori microfono: “Scadente”) in scadenza, scadente è brutto. Poi siamo tutti… è per questo che sorride.
Poi in sala ci sono tanti professori dell’Università di Siena, se dopo vorranno potranno intervenire, proprio per consentire a tutti di intervenire in questo dibattito, che vede la presenza di molti addetti ai lavori, credo che ci debba essere spazio per tutti. E la presenza di molti addetti ai lavori è già un primo buon segno, perché finora mi è sembrato, nel lungo dibattito che ormai da più di un anno e mezzo appassiona, forse poche persone in città, però io ho sempre detto che mi pare ci sia poca consapevolezza del dramma che sta investendo l’Università di Siena.
Non essendoci più i partiti, non si discute più nei partiti, non sono più i tempi della vituperata Prima Repubblica, prima che nascesse quel personaggio che si chiama Antonio Di Pietro, che l’ha abbattuta. I rettori dell’Università di Siena – possono confermarlo sia Barni che Grossi – venivano chiamati dai rispettivi partiti di appartenenza, o vicini; mi ricordo il P.S.I. chiamava Mauro Barni in via del Casato, la D.C. chiamava Adalberto Grossi in via dei Termini. Oggi nessuno più chiama nessuno, ognuno fa nei suoi club, nei suoi circoli le scelte e si vedono soprattutto tanti professori di medicina che invece di andare ai partiti fanno la corsa a chi per primo incontra ora il governatore, allora era l’assessore regionale alla sanità Enrico Rossi. Era meglio nella Prima Repubblica, quando tante discussioni, e anche dei concorsi, forse, si parlava nei partiti.
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