Siena, università e città senza speranza

Da: Il Fatto Quotidinano (25 giugno 2011).

Cosimo Loré. A Parma il giorno stesso in cui si è saputo che erano state distratte risorse pubbliche nella misura di qualche centinaio di migliaia di euro è scattata vivace una reazione popolare (manganellata dai soliti violenti di Stato).

A Siena, cinque anni dopo che ognuno aveva potuto ben comprendere la natura criminale e la rilevanza epocale (centinaia di milioni di euro con paralisi permanente di ogni assunzione e promozione del personale docente) del disastro della più importante istituzione culturale cittadina (l’antico ateneo: classe 1240!), nessuno (eccezion fatta per il sottoscritto che si è recato alla locale Procura della Repubblica, il titolare del blog Il senso della misura Giovanni Grasso e la consigliera di amministrazione Michela Muscettola) ha dato “segni di reazione vitale”, dimostrando sani riflessi. Altrove, ad esempio nell’ateneo barese, taluno aveva segnalato la stoltezza miserabile del fenomeno criminale accademico, da ricondurre non solo a ragioni rituali di status symbol ma anche a scellerate manovre di nepotismo ambientale.

Eppure si tratta del fallimento di una prestigiosa università prodotto da prolungata, continuativa, subdola, collegiale gestione delinquenziale di rettori e dirigenti che, una volta sorpresi con le mani nel sacco, hanno avuto la ostentata, ostinata spudoratezza di negare l’evidenza atteggiandosi a vittime, denigrando chi aveva osato rompere il muro di omertà e adire le vie legali e i mass media.

Se la giustizia ha da esser amministrata nel nome del popolo… in una città passiva (e collusa?!) come quella del Palio si affievoliscono assai le chance di punire la cricca e recuperare il maltolto.

Al peggio non v’è fine: dopo tutto quel che è stato accertato, c’è chi tra gli attuali amministratori e amministrati tenta la “soluzione” della cacciata (“prepensionamento”) dei veterani della docenza!

55 Risposte

  1. «Al peggio non v’è fine: dopo tutto quel che è stato accertato, c’è chi tra gli attuali amministratori e amministrati tenta la “soluzione” della cacciata (“prepensionamento”) dei veterani della docenza!…» Loré

    Ancora? Ma ci siete o ci fate? La cacciata? Ma di che state parlando? La cacciata è volontaria… anzitutto. Quindi non è una cacciata. Non è una cacciata perché è incentivata coi soldi, e consente di restare a fare quello che si faceva. Le cacciate non le avete mai viste. Perché per vostra fortuna siete la generazione del lavoro sicuro… e ben pagato…

    Francamente mi meraviglio che si continui a consentire di scrivere queste inesattezze che dimostrano o scarsa conoscenza dei regolamenti o malafede.

    Il resto è ben condivisibile…

  2. «Francamente mi meraviglio che si continui a consentire di scrivere queste inesattezze che dimostrano o scarsa conoscenza dei regolamenti o malafede. Cal

    Dai Cal, spiegaci questi “regolamenti”, che così facciamo quattro risate. Chi ignora radicalmente quali siano le regole del gioco, mi pare che sia tu e quello che dici: “non è una cacciata perché è incentivata coi soldi, e consente di restare a fare quello che si faceva”, costituisce solo l’ennesimo tentativo di depistaggio. Difatti non questo il punto del problema, né l’oggetto del contendere. Soprassiederò sul modo da piccolo Minchionne con cui ti rivolgi a chi ha onestamente speso una vita della ricerca, come se parlassi di branchi di maiali, il che è di per sé deplorevole: ma tu continui protervamente a ignorare che quando uno va in pensione esce dal ruolo, cioè a dire nei “regolamenti” che sventoli (senza averli letti) non conta più, punto e basta. Tornando a contratto, uno non conta pressoché una mazza; pertanto, quando hai chiuso bottega, hai chiuso bottega e se sei l’unico di quel settore, il settore chiude. Amen. La tua esilarante barzelletta secondo cui tutti hanno moltiplicato le cattedre “per gli allievi”, la dice lunga sul “milieu” dal quale provieni, dove questo cose evidentemente sono (state) la normale prassi. E chi chiude oggi, non riapre (questo se non vado errato dice la legge). Punto e basta. Innescata la reazione a catena, il pensionamento senza turn over di un certo numero di docenti determina la chiusura di cattedre, la scomparsa di discipline, la soppressione di un corso di laurea o la cancellazione di un dipartimento, e chi la prende in der cul (per parlare tedesco, che così mi dai ancora dell’intellettuale – o tempora!) è la fanteria, sono quelli che restano (che restano dove, per inciso? Anche su questo ti ho chiesto delucidazioni, che ti sei ben guardato dal dare) e non quelli che se na vanno.
    L’esito della tenzone dipende dalla consistenza delle falangi, dal numero di opliti e cavalieri, cioè a dire dal personale di ruolo: ricercatori, associati e ordinari. Il resto, i contratti, non contano un fico secco. Come mi tocca ripetere, anche se con te non giova, chi ha rimpolpato le guarnigioni, sopravvive, mentre chi ne ha di meno folte o assottigliate dalle dipartite naturali o precoci, chiude bottega; pertanto chi ha moltiplicato per cinque o per sei le cattedre senza necessità (e talvolta bisognerebbe vedere che cattedre!), lungi dall’essere punito per questo, vivrà, mentre chi, volens nolens, per onestà o coglioneria è stato più morigerato, o ha comunque personale più anziano (leggevo su “Il Fatto” un articolo di Francesco Sylos Labini, che sottolineava come l’età media degli ordinari di Fisica sia in generale elevatissima) soccomberà, e questo è l’unico “criterio di valutazione” che ci è dato di vedere. Dunque almeno risparmiati i melliflui pistolotti “politically correct”; dimmi solo cosa ne vuoi fare delle decine di persone che lavorano nei dipartimenti, corsi di laurea, settori disciplinari investiti dalla tua furia nichilista: vuoi mandarli nella Kolyma a rieducarsi, convertendosi dalla Fisica Astroparticellare alla “Comunicazione istituzionale” (absit iniuria… cito casualmente e senza secondi fini)? Ma in fondo furono inutili anche i “ragazzi di via Panisperna”: pochi, per giustificare un corso di laurea (bastavano appena per formare una squadra di calcetto). Possiamo anche far così e rassegnarci a diventare l’università delle cazzate, visti gli straordinari successi conseguiti lungo questa strada.
    Possibile che tu non percepisca la drammaticità del momento e non ti entrino nella zucca quelle cosine che si chiamano numeri, i famigerati “requisiti minimi di docenza”, presupposto che tenti di eludere di tutte le tue considerazioni, ossia la cabala mussiano-gelminiana che governa questa fase dell’interminabile terremoto che ha colpito l’università italiana e quella senese in particolare? Possibile che tu non riesca nemmeno a immaginare quali tipi di “problematiche”, diciamo così, si aprano quando si deve decidere chi far fuori, visto che non è esattamente un cenacolo di saggi super partes o di santi che in modo imparziale decide cosa ha valore e cosa non ne ha? Con la tua baldanzosa vacuità ti unisci al coro dei piccoli grulli ammaestrati, che si aggirano proclamando l’inutilità di persone che hanno dedicato una vita intera alla ricerca scientifica; gente che non conosci, né sei in grado di apprezzare …ma “gnamo”, che roba è? Populismo da quattro soldi: per quanto mascherata da tonitruante e belluino ardore rivoluzionario, la tua è solo una “ginnastica d’obbedienza”, come diceva il buon Fabrizio de André, visto che non fai altro che riproporre slogan vuoti e demagogici artatamente prodotti dal “regime” come armi di distrazione di massa. Tu ragioni al netto delle leggi dello stato: e meno male che inviti me a mettere i piedi per terra e citi non meglio precisati “regolamenti” (di conti?).

    «Perché per vostra fortuna siete la generazione del lavoro sicuro… e ben pagato…» Cal

    Caro Cal, io uno stipendio sicuro l’ho visto dopo quindici anni di precariato, in Italia e fuori: secondo te quanto mi pagano? Credo che tu, prima di ambire al posto di professore universitario, dovresti passare ancora qualche annetto all’asilo infantile. Smettila di insultare chiunque ti capiti a tiro.

  3. Ah eccoci qua. Il problema è che uno non conta più una mazza. E allora dillo chiaramente senza nasconderti in 100 righe di insulti. Se uno va in pensione esce dal ruolo. E quindi perde potere. A 70 anni mi parrebbe quasi giusto, a te?

    Allora ti metto il link del regolamento…

    Fai clic per accedere a REG_pensionamento_volontario_proff_2011.pdf

    Leggi l’art 2, comma 6 e comma 7. Il docente prepensionato rimane titolare dei fondi e rimane nella consistenza numerica del dipartimento.
    Leggi il comma 8… se sei anziano ma produttivo puoi dopo rimanere per 2 anni sfruttando le strutture senza obblighi…
    L’unica differenza è che perdi il diritto di voto in consiglio di Facoltà (comma 10).

    Poi c’è la parte economica comma 5 che non mi pare male. Lo so magari per un professorone 25mila sono pochi ma ti assicuro che molti precari apprezzerebbero moltissimo

    «quando hai chiuso bottega, hai chiuso bottega e se sei l’unico di quel settore, il settore chiude» cosa che avviene puntualmente l’anno dopo. Quindi che cambia? Anno prima o anno dopo? Continuo a non capirlo.

    «La tua esilarante barzelletta secondo cui tutti hanno moltiplicato le cattedre “per gli allievi”, la dice lunga sul “milieu” dal quale provieni, dove queste cose evidentemente sono (state) la normale prassi» non ho mai detto questo se leggi bene… ho detto solo che potrebbe – ripeto potrebbe – condizionale ok? – essere considerato un criterio nel ragionamento. Se uno non ha avuto allievi forse della sua disciplina non c’è stato molto bisogno o no? Ma ripeto è uno dei criteri – non l’unico. Personalmente credo che ci sia talvolta anche un profilo di capacità del docente nel crearsi i suoi allievi o no? O dobbiamo pensare che chi ha allievi è sempre un disonesto e chi non ne ha è sempre onesto? Chi sei tu per giudicare cosa fanno gli altri?

  4. «Poi c’è la parte economica comma 5 che non mi pare male. Lo so magari per un professorone 25mila sono pochi ma ti assicuro che molti precari apprezzerebbero moltissimo.» Cal

    Cal, ma perché non la finisci di scrivere idiozie?

  5. Art 5. Il corrispettivo complessivamente spettante al professore per l’attività di cui al precedente comma 2, da intendersi al netto degli oneri riflessi a carico dell’Università (lordo beneficiario) e da pagarsi in rate mensili posticipate, è costituito dalla somma:
    a) del differenziale annuo tra la retribuzione fissa, al netto delle ritenute previdenziali ed
    assistenziali nonché delle indennità assistenziali, percepita dal professore all’atto della cessazione, e la pensione; tale somma non può comunque essere negativa. Nel caso di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), l’importo del differenziale annuo non potrà in alcun modo superare la cifra di € 10.000.
    b) di un importo annuo di € 25.000, di cui € 5.000 vengono messi a disposizione del Dipartimento cui il professore afferiva. L’importo residuo è incrementato di € 3.000 per ogni anno di rinnovo, quale compenso forfettario per la minore somma percepita a titolo di indennità di fine servizio. L’importo di € 5.000 non è assoggettato ad alcuna ritenuta ed ha lo scopo di riconoscere il diritto al mantenimento dei servizi in godimento al momento del collocamento in pensione.

    Rabbi… questo è l’articolo 5 del Regolamento.
    Sai quanto prende un assegnista di ricerca? € 16.138,00 lordo beneficiario. Tanto è vero che queste somme possono essere destinate a tale scopo a seguito della scelta del docente pensionando.
    Sai che c’erano ragazzi che facevano docenza a contratto come loro unica fonte di sostentamento?

    Per cui quando la finisci con gli insulti? La misura è colma e la pazienza ha un limite…

  6. @ Rabbi

    Intelligenti pauca.

  7. Scusate, ma il problema vero è che la gente di Siena è morta, defunta. L’università ridotta così, la Fondazione in brache di tela, il titolo Monte è a 0,50 e tutti stanno in silenzio!!! Mi sembra di essere in un film di RomeroLa Terra dei morti Viventi…

  8. «Da stamani i cavalli corrono sul tufo e forse non è, per tutti, il momento di analizzare il bilancio consuntivo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena ma qualche riflessione, soprattutto sul futuro, va fatta. Ora lasciamo il neosindaco Franco Ceccuzzi alle prese con le misure dei cavalli e con la difficile azione di mettere un po’ di ordine nel Campo, come suggerisce Sergio Profeti, colui che il 2 luglio del ’90 invase la pista come un qualsiasi esibizionista per festeggiare, lui torraiolo, l’arrivo vittorioso del suo amico Bastiano, fantino della Giraffa. Poi, passata la festa e consegnato il drappellone di Tullio Pericoli potrebbe essere proprio il sindaco a promuovere una riflessione collettiva. E, visto che Simone Bezzini, Massimo Guasconi, Giuseppe Mussari, Antonio Buoncristiani, Angelo Riccaboni, non hanno da pensare a tondini, provette e ai suggerimenti del Profeti, potrebbero già avviare la riflessione collettiva. Non è da buttare nel cestino la proposta che la Lega nord ha fatto di “iniziare un percorso nuovo, che coinvolga tutta la città”. Non si può far finta di nulla perchè, per la prima volta in sedici anni, la Fondazione Mps ha chiuso in perdita il bilancio consuntivo del 2010. Il disavanzo infatti è di 128,4 milioni di euro. Un risultato, ha spiegato il presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, nel presentare i dati del consuntivo, conseguente al “mancato dividendo da parte della Banca Mps e allo sforzo richiesto alla Fondazione per aderire al’aumento di capitale varato dall’istituto di credito senese”. L’adesione ha comportato per la Fondazione, “la necessita’ di destinare 150 milioni al fondo oscillazione titoli in conseguenza del quale è avvenuto il trasferimento dal comparto immobilizzato a quello dell’attivo circolante delle partecipazioni in Mediobanca e Intesa che poi è stata ceduta”. Ma la Fondazione Mps bisogna che pensi a far “fruttare” anche le proprie risorse perché era troppo facile ridistribuire gli utili che arrivavano dalla banca. Anche un giovanotto fresco di diploma di maturità avrebbe saputo dare un po’ di soldi a questo e a quello. Ora ci vuole fantasia. In attesa del consuntivo del 2011 che sarà migliore di quello 2010?» Stefano Bisi sul Corriere di Siena

  9. «Ah eccoci qua. Il problema è che uno non conta più una mazza. E allora dillo chiaramente senza nasconderti in 100 righe di insulti. Se uno va in pensione esce dal ruolo. E quindi perde potere.» Cal

    …e vai col liscio! Chiunque ha potuto, leggendo quello che ho scritto, valutare se si tratta di “insulti” rivolti a te e se codesta sia una interpetazione accettabile delle opinioni che ho espresso. Tu distorci sistematicamente quello che scrivono gli altri: “non conti più“, vuol dire semplicemente che ai fini di quei conteggi che stanno alla base della vita o della morte di insegnamenti, corsi di laurea e dipartimenti, quando vai fuori ruolo di fatto tu non conti più; dunque l’uscita di ruolo di moltissimi docenti, senza che sia alle viste alcun meccanismo di turn-over, costituisce un problema epocale per l’università italiana, accentuato qui per ovvi motivi, che ha degli effetti gravissimi ora: almeno parti dalla realtà, e non dalle fiabe, come quella secondo cui mandando via più gente possibile l’università di Siena rinascerà dalle ceneri più grande e più forte che pria. Ogni giorno ti incarichi di replicarmi senza però mai entrare nel merito delle uniche reali obiezioni che ti sottopongo: ti ho detto io per primo, che oramai certi personaggi compaiono solo al libro paga e non si capisce quale sia il loro contributo, ma tu generalizzi inondando il mondo intero con la tua “indignazione” e lo fai in realtà solo allo scopo di portare il discorso altrove. Cosa dobbiamo ricavare dal tuo “glissando” sul nocciolo del problema e dal continuo intorbidire le acque creando una cacofonia di luoghi comuni ogni volta che si tenti di metterci il ditino? Tattica di depistaggio, fumo negli occhi, “disinformazia”: ogni giorno si sentono sibilare discorsi come i tuoi, grondanti di demagogia, sulla bocca di certi “sofisti” capaci di adattare repentinamente la propria retorica a seconda delle circostanze, con la stessa fulminea velocità con cui si cambiano le mutande e la flessibilità del relativo elastico: se ne intuisce facilmente il senso strumentale, il valore “tattico”, l’intento manipolatorio e i secondi fini. Accà nisciuno è fesso…

    «Sai quanto prende un assegnista di ricerca? € 16.138,00 lordo beneficiario.» Cal

    Ma va? Non lo sapevo… bravo Cal, tu sei il “povero” e tutti gli altri partecipanti alla discussione di questo forum sono “ricchi”, che non hanno mai conosciuto, né conoscono i “morsi della fame”.
    Nessun altro ha naturalmente seguito il tuo calvario: tu se l’unico uomo al mondo, e “gli altri” sono solo vetusti ordinari che guadagnano un fottio di quattrini, ovviamente rubandoli. Tertium non datur. A me pare solo che tu abbia preso un bel colpo di sole, caro Cal. Posso darti lezioni in fatto di precariato e descriverti nel dettaglio la cronistoria di ogni sorta di “assegno”, borsa, contratto o altro genere di perversione che abbia partorito la mente malata dei nostri burocrati negli ultimi vent’anni a mo’ di strumenti di tortura.
    Come assegnista, di questi tempi sei addirittura un privilegiato, rispetto a coloro che sono stati semplicemente spazzati via in malo modo, o insegnano a contratto, gratuitamente o quasi, non sapendo nemmeno se lo tsunami che sta interessando questo ateneo risparmierà le loro discipline e dunque se avranno una flebile speranza che il loro non sia semplicemente tempo perso.
    È assai discutibile che il tuo “nemico di classe” sia chi dopo essersi fatto un mazzo doppio del tuo ha avuto finalmente accesso ad una posizione stabile, magari giungendoci con le ossa rotte. Ti lamenti perché hai un “assegno” e ti senti precario: ma per la maggior parte dei tuoi colleghi, cresciuti dopo che era tramontata l’epoca tragicomica delle vacche grasse, dello scialo insensato e delle “ope legis”, l’assegno è stato solo l’inizio di un precariato di lungo corso. Protervamente, continui a non spiegarci quale cacchio di “posto fisso”, addirittura di associato (visto che i ricercatori non esistono più), ti daranno alla fine, cioè quando nel futuribile scenario alla “Blade Runner” del 2017, si riaprirà col contagocce il reclutamento e verosimilmente si scateneranno guerre intestine violentissime, se avranno nel frattempo soppresso il tuo settore disciplinare, il tuo corso di laurea e il tuo dipartimento: chi ti recluterà, oltretutto con sistema di chiamata diretta e senza nemmeno la foglia di fico del “concorso”, forse la tu’ nonna? E ti recluterà per fare cosa, se la tua specialità non sarà più contemplata fra quelle offerte da questa premiata osteria? Per questo ti ho ripetuto ad nauseam che con lo smantellamento, non già dei corsi sul “bue muschiato”, ma di pezzi importanti delle strutture scientifiche e didattiche dell’ateneo, da te allegramente e baldanzosamente auspicato, chi la prende in quel posto sono i più giovani, che ne vengono travolti. Ma se non lo capisci, evidentemente hai avuto ampie rassicurazioni in tal senso ed è perciò che ti permetti il lusso di dichiarare “inutili” pressoché tutte le scienze e gli scienziati, essendo loro il principale intralcio… alla ricerca (o tempora!).

  10. C’hai messo due giorni a scrivere la risposta – speravo fosse più moderata e meditata.

    Allora. Ti ho scritto circa 12 volte che diciamo la stessa cosa sul fatto che alcuni settori si troveranno scoperti. Si tratta di una perdita ma che ci possiamo realisticamente fare? Cosa risolve tenere il 69enne posto che lavorerebbe comunque un solo anno in più, a carico del bilancio di unisi?
    Esistono statistiche che ci dicono quanti sono questi settori scientifico disciplinari che andranno perduti nei prossimi anni? Io non ne conosco ma se tu li hai postali perché sarebbe interessante, non credi? Almeno parleremmo di numeri e non di supposizioni (ottimistiche le mie, pessimistiche le tue).

    Peraltro il prepensionando rimane nella consistenza del dipartimento e continua a insegnare nel suo SSD. In ogni caso il problema è solo eventualmente anticipato di qualche (uno?) anno.

    So bene che la politica del prepensionamento non basterà ad unisi per ripartire. Come non basterà la mobilità del personale. Ci vorranno altre dismissioni probabilmente. Però converrai che se la pressione sulle spese di personale calasse un po’ più rapidamente della sua naturale evoluzione potremmo per esempio accedere ai meccanismi incentivati dei trasferimenti e provare a rendere il ridimensionamento meno drastico. O comunque potremmo soddisfare le legittime aspettative di carriera di tutti coloro che magari all’interno di unisi hanno lavorato a capo basso anche in questi anni duri, non credi? Perchè dobbiamo castrare queste opportunità? E perché alcuni docenti prepensionabili si sono/si stanno prepensionando? Cosa li spinge? Non gli frega più nulla del loro settore disciplinare, di unisi e della ricerca o avvertono una pressione morale verso la scelta finanziariamente più sostenibile per unisi?

    Riguardo alla mia posizione individuale che deduci dal mio post precedente, è completamente errata. Non sono assegnista di ricerca. Il mio era un ragionamento esclusivamente sulle cifre. I 25mila di “scivolo” finanzierebbero una posizione per un anno di un assegnista di ricerca. Non è molto ma è meglio di niente. Quando vedo persone valide che se ne vanno da unisi, io mi rammarico. Se avessimo speso meglio avremmo avuto la possibilità di essere migliori oggi e a maggior ragione domani.
    Non fare ipotesi su di me e sulla mia “carriera”. Non ci conosciamo per cui ogni supposizione potrebbe essere errata e perfino offensiva.

  11. Scrive Cal: «E perché alcuni docenti prepensionabili si sono/si stanno prepensionando? Cosa li spinge? Non gli frega più nulla del loro settore disciplinare, di unisi e della ricerca o avvertono una pressione morale verso la scelta finanziariamente più sostenibile per unisi?»

    Partiamo dai dati certi:
    1) Se tutti i docenti che ne hanno i requisiti andassero oggi in pensione o in prepensionamento, non si raggiungerebbe il pareggio di bilancio nel 2015 e, soprattutto, non si scenderebbe al di sotto del famigerato 90%. (Fonte: il rettore con il suo “unisi 2015”).
    2) Pertanto niente reclutamento fino al 2016 e sicuramente anche per gli anni successivi.
    3) Cosa spinge i colleghi a prepensionarsi? La risposta è semplice: i soldi! A questi colleghi, con il vecchio regolamento (quello di Focardi), l’Ateneo più indebitato del paese regala 25.000 € il primo anno, 30.000 € il secondo anno, 35.000 € il terzo anno, 40.000 € il quarto anno, 45.000 € il quinto e ultimo anno. La prova? Appena si è diffusa la voce di un nuovo regolamento per il prepensionamento, i colleghi che avevano sottoscritto il contratto con Focardi si sono subito allarmati. Sono stati, però, prontamente tranquillizzati dall’amministrazione che si è impegnata a rispettare il vecchio accordo e ad estenderlo anche a tutti coloro che si fossero decisi ad andare in prepensionamento entro maggio 2011. Vogliamo scommettere che tutti i nuovi prepensionati hanno firmato per tempo il vecchio contratto? Altro che pressione morale verso la scelta finanziariamente più sostenibile per unisi! Ovviamente sono esclusi da questo commento sarcastico quei colleghi che non hanno intascato un euro e che hanno messo a disposizione l’intera cifra per un assegno di ricerca o per una borsa di dottorato o per un posto di ricercatore a tempo determinato.
    4) Non solo denaro fresco, ma anche altri privilegi: dimezzate le ore di didattica da 120, di chi resta in servizio, a 60 per i prepensionati.
    5) Come si regolano gli altri atenei? A Firenze, Pisa, Bari, Roma “La Sapienza” concedono un incentivo di 5.000 € o 6.000 € ogni anno.
    6) È legittimo quel che succede a Siena? Non si ravvisa un danno erariale in tutto ciò? È corretto scaricare su chi resta le 60 ore di lezioni del collega prepensionato?

  12. Mi sembra che rabbi jaqov jizchaq sia stato colpito sul vivo se risponde con tanta veemenza, con metodi evidentemente mutuati dalle stesse regole di Chomsky che lui stesso ha evocato, come per esempio le accuse basate su pregiudizio sull’interlocutore.
    E dire che aveva scritto cose condivisibili.
    Purtroppo, pur parlando bene, pur evidenziando un problema di sistema, che sicuramente il prepensionamento non può risolvere, non si rende conto che il sistema in decadenza che qui tutti denunciano è stato determinato dalla casta che cerca strenuamente di difendere.

  13. @ Outis

    Dulce est desipere in loco

  14. Si concede queste risorse ma risparmia in media 100mila all’anno ciascuno. I conti son fatti per convenire. Si poteva negoziare meglio dici tu. Certo ma qui il problema è incentivare tante persone… e questo si fa solo alzando il premio.
    Quindi non direi che ci sia un danno erariale. Sulle ore ripeto. O parliamo di numeri o andiamo a caso e facciamo solo ipotesi. Se la didattica diminuisce non credo che ste famose 60 saranno comunque insegnate… può anche darsi che non ci sia necessità.

  15. @ cal «Quindi non direi che ci sia un danno erariale»

    Dipende da cosa intendi. Se intendi “danno per l’erario” è difficile non vederlo. Persone che potrebbero continuare a vivere del proprio stipendio e a pagare contributi per mantenere dei pensionati vengono incentivati a passare anzitempo a carico dell’erario medesimo, diventando pensionati e facendosi loro mantenere dai più giovani che restano al lavoro.

    L’aspettativa media di vita in Italia è 79 anni per gli uomini e 84 per le donne, per cui già andando in pensione a 70 anni il costo per chi rimane è alto. Andando in pensione prima il peso su chi rimane è ancora più alto.
    Quindi l’erario incassa di meno e spende di più e per più anni, da cui appunto il danno all’erario.

    Insomma, se c’è qualcuno che riscuote, ci dev’essere qualcuno che paga. E se uno riscuote la stessa cifra che riscuoterebbe lavorando ma lavora la metà (o forse addirittura per niente, tu sostieni), il qualcuno che paga lo stanno imbrogliando.

    Sesto Empirico
    scettico

  16. Mah… mi sembra che anche Sesto Empirico badi alle quisquilie pur di difendere la casta.
    Bonae fidei non congruit de apicibus iuris disputare.
    Non saprei spiegare altrimenti come addurre l’aspettativa di vita media per evitare i prepensionamenti. Altrettanto incongruo profilare un danno erariale, che altro non è che un giro di posta: senza contare che se (grosso se, che, caro Cal, neanche tu puoi risolvere) ai prepensionamenti corrispondessero nuove assunzioni di giovani, questi emergerebbero dalla palude delle gestione separata, o dell’assenza di qualunque versamento pensionistico, per ripianare il “buco” dei “giovani” virgulti, come sembra vederli il nostro Sesto Empirico, prepensionandi. E che “buco” per le casse dell’INPDAP! Ma in fondo capisco, ovunque è Cicero pro domo sua.

  17. Giovanni Golene scrive:
    29 giugno 2011 alle 11:53

    «Mi sembra che rabbi jaqov jizchaq sia stato colpito sul vivo se risponde con tanta veemenza, con metodi evidentemente mutuati dalle stesse regole di Chomsky che lui stesso ha evocato, come per esempio le accuse basate su pregiudizio sull’interlocutore.»

    Caro Golene, io sono sempre colpito nel vivo dalle palesi falsità e dalle conclamate ingiustizie: che ci vuoi fare? Ognuno ha i suoi difetti. Questo mi pare un forum libero, dove come ho già detto, non è richiesto di esibirsi in una insopportabile “ginnastica d’obbedienza”, ripetendo con deferenza slogan precotti “politically correct” come quelli che ci state somministrando tu e Cal. Sennò, scriverei al Minzolini de noartri. Ma mettiamo che io sia veramente una persona interessata, cioè uno che lavora all’università, per riprendere un esempio di fantasia dal mio post precendete, che io sia un “fisico astroparticellare” e tu un “comunicatore istituzionale”: non credi che avrei giustamente da ridire sentendoti affermare che vuoi farmi fuori, in quanto “inutile”? Tu e Cal state offrendo una rappresentazione veramente edulcorata e naive di quello che sta accadendo, tanto che il sospetto si insinua che siate emissari… della casta (eh, eh, eh). Per decenza, evitate di fare orecchi da mercante, e non fingete che io abbia parlato solo di prepensionamenti: devo forse concludere che non vi fa piacere parlare del resto? Direi che l’accusa di aver un qualche interesse privato nel dire certe cose, è come in boomerang che si rovescia vieppiù su di te, visto che pavlovianamente reagisci in modo scomposto, ma non entrando nel merito di quello che scrivo.

    «…non si rende conto che il sistema in decadenza che qui tutti denunciano è stato determinato dalla casta che cerca strenuamente di difendere.» golene

    ….bravo Golene, quando non si sa che dire si tira fuori un bello slogan! Una cazzata a vanvera e il nemico è KO. Raccomandandoti di verificare che il cervello sia collegato quando brandisci la penna, ti chiedo: di grazia, chi, se non quella che tu chiami “la casta”, avrebbe attuato le misure che io critico con veemenza? Rispedisco pertanto al mittente l’insinuazione platealmente insensata con gli interessi. Evidentemente non hai frecce migliori nel tuo arco. “La casta” -concetto moooooooolto trasversale – è sempre lì al suo posto che predica sfracelli, “but not in my Backyard”: tu ne ripeti gli argomenti paro paro, non spiegandoci come mai io difenderei “la casta” se osservo con preoccupazione il Nulla che avanza. La cosa che mi manda in bestia è che Cal dice: “parliamo di numeri!”, ma quando poi uno tira fuori i numeri, lui cambia istantaneamente discorso. Non c’è bisogno di complicate equazioni alle differenze o integrali curvilinei per capire quello che succede: bastano somme e sottrazioni. Certe misure che con allusioni partenopee si dicono tese a “smaltire” il personale docente anziano (a cosa siamo ridotti…), vengono poste in essere, non per aprire la strada ai giovani, ma proprio per non dover in futuro assumere dei giovani. Si tratta in poche parole di far fuori più gente possibile, in modo da far sparire più corsi possibile e non dovere, appunto, aver mai più in futuro bisogno di assumere dei “giovani” nei settori decapitati: se non parti da questa elementare considerazione, stai solo facendo disinformazione.
    Questo è il dato. Ti sfido a dimostrare che stanno scomparendo solo “corsi inutili” e che scomparendo, apriranno la strada a un sacco di baldi giovani (i quali insegneranno ai muri, visto che di studenti non ve ne saranno) o che comunque questi siano la maggioranza tra quelli capitati nel braccio della morte. Cioè a dire, qualunque cosa si pensi circa l’inevitabilità di questa politica, l’obiettivo attuale non è quello di sostituire il personale anziano con personale giovane (il “turn -over”, la baggianata che ripete Cal), ma semplicemente di ridurre drasticamente il numero di docenti e tutta questa situazione sta avendo ripercussioni pesantissime, sia sull’offerta didattica (e quindi sul numero di iscritti), sia sulla vita di molte persone: è dunque lecito o no chiedersi cosa ne rimarrà di questo ateneo e interrogarsi su cosa è opportuno gettare o tenere?
    Siccome il fenomeno ha oramai raggiunto dimensione macroscopica, e non interessa più solo settori marginali (le “scienze del gatto”), non si può non chiedersi quale sarà l’impatto -prevedibilmente nefasto – sul futuro dell’ateneo e tutto questo non può essere ignorato facendo spallucce, commentando con battute grassocce, senza esporre un’idea strategica lievemente più coraggiosa del “tiriamo a campà”. Il punto è questo, al di là della diatriba se sia eticamente e scientificamente corretto ragionare in termini di “rottamazione”, parlando di gente che, almeno nella maggioranza dei casi, ha dedicato una vita alla ricerca e all’insegnamento, o di “inutilità” , riferendosi a gente operosamente attiva in settori complicatissimi della scienza. Cal e Golene trovano naturalmente che tutto ciò non sia problematico, purché non tocchino il loro “utilissimo” giardino.
    Addirittura dicono che chi lo mette in dubbio è un “membro della casta”: e perché no zingaro, ebreo, maomettano e comunista?

  18. @ sesto
    Credo che questa misura sia stata concordata con l’erario. D’altra parte se unisi non ce la fa gli stipendi chi li paga? L’erario… questa è una misura per alleggerire il carico su unisi. Penso che chi si prepensiona abbia già i requisiti. Certamente se fai i calcoli in complessivo si spende di più ma per guadagnare tempo.

    @ rabbi
    Rispondi a questo, solo a questo. Cosa cambia per la didattica, la ricerca, il futuro e tutte le cose che dici tra pensionare uno a 69 o a 70 anni? Però rispondimi… non menare il can per l’aia come si suol dire…

  19. «Rispondi a questo, solo a questo. Cosa cambia per la didattica, la ricerca, il futuro e tutte le cose che dici tra pensionare uno a 69 o a 70 anni? Però rispondimi… non menare il can per l’aia come si suol dire…» cal

    Aridagli! A te evidentemente hanno insegnato a scrivere, ma non a leggere. È evidente che sei un provocatore infiltrato il cui unico scopo è boicottare la discussione in questo forum.

  20. Ma tu sei il maestro qui… per cui spetta a te far entrare nella mia durissima testa la risposta…
    Aspetto la tua illuminazione o Rabbi…

  21. Cal, è una questione di “principio”. Nessun si muova prima dei 70. Già è scandaloso che sia stato eliminato il fuori ruolo per andarci a 72! Non vedi le conseguenze nefaste e apocalittiche? Lo tsunami dei corsi che chiudono? L’offerta formativa decade, gli studenti scappano, perchè non hanno più il gagliardo sessantanovenne che ha dedicato l’intera vita alla ricerca scientifica (e che solo per questo dovrebbe starci fino a morte sopravvenuta!), che ha fatto il suo precariato da giovane (povero!) per ritrovarsi in cattedra a ben 30, 32 anni!
    Caro Cal, tutti augurano di raggiungere la vecchiaia, ma quando la raggiungono la criticano.

    Comunque Rabbi su un punto ha pienamente ragione: il prepensionamento senza turnover vi ucciderà.
    L’Università di Siena dovrebbe scrivere nero su bianco:
    1. l’organico che vorrebbe avere nel 2020 (gli vanno bene 700 docenti? 1000? E su quanti studenti?)
    2. definire i settori “strategici” che vuole mantenere
    3. conseguentemente delineare la propria strategia di reclutamento per i prossimi anni.

  22. Giovanni, lo so bene che se non ci sarà turnover Siena è destinata al declino. Ma il turnover ci potrà essere solo se prima rimetteremo i conti in equilibrio. E quanto prima sarà fatto tanto meglio sarà.

    Se hai la pazienza di leggere la discussione tra me e Rabbi, converrai che al netto degli insulti e del linguaggio barocco, diciamo al 99% la stessa cosa. Solo sul prepensionamento abbiamo opinioni opposte. Lui lo vede come il fumo negli occhi e io come una delle politiche giuste e sagge che unisi sta portando avanti sempre su base volontaria. Peraltro su questa politica permane un gap informativo mostruoso nonostante lo sforzo di informazione per cui c’è ancora chi parla di rottamazione (quando è su base volontaria), di allontanamento (quando si può rimanere a fare quello che si faceva) ecc. Insomma a molti non piace, molti non la conoscono e pochissimi purtroppo hanno optato per farla ed hanno dato le risorse ai giovani. L’italia non è un paese per giovani soprattutto considerando alcuni dei vecchi che abbiamo.

    Una proiezione della dinamica del personale era stata fatta ed unisi diventerà un’ateneo a stragrande maggioranza di personale amministrativo. Solo che la Gelmini su questo è abbastanza chiara. Per cui il futuro è incerto anche per gli amministrativi, purtroppo.

  23. «Solo sul prepensionamento abbiamo opinioni opposte. Lui lo vede come il fumo negli occhi e io come una delle politiche giuste e sagge che unisi sta portando avanti sempre su base volontaria.» Cal

    Cal, perché devi sempre distorcere le opinioni altrui? Ma ti rendi conto di come ti esprimi? Parli dei professori anziani come di un branco di maiali da macellare; in più reputi che questa sia la soluzione salvifica: cioè che mandato via un professore vecchio, ne prendano uno nuovo al suo posto e questa è una panzana grottesca, perché lo scopo di queste operazioni, non è quello di ripristinare il turn-over (se non in minima parte), ma semplicemente di ridurre drasticamente i corsi di laurea e il personale docente… sicché si abbia alla fine una media di due amministrativi per ogni professore. Siccome la retorica delle “scienze del bue muschiato” ha un po’ rotto i cabbasisi, visto che quelle sono ancora lì, e non si smantellano facendo leva sulla cacciata dei docenti, mentre hanno già chiuso una sessantina di corsi di laurea (e altri sono in procinto di tirare le cuoia), mi domando se mai si realizzerà la profezia di quel contadino che riteneva di poter insegnare all’asino a non mangiare: fuor di metafora, se l’università sopravviverà rinunciando a una parte cospicua e sostanziale del suo “core business”, che è la didattica e la ricerca.

    «Comunque Rabbi su un punto ha pienamente ragione: il prepensionamento senza turnover vi ucciderà.
    L’Università di Siena dovrebbe scrivere nero su bianco:
    1. l’organico che vorrebbe avere nel 2020 (gli vanno bene 700 docenti? 1000? E su quanti studenti?)
    2. definire i settori “strategici” che vuole mantenere
    3. conseguentemente delineare la propria strategia di reclutamento per i prossimi anni.»
    Golene

    Sono assolutamente d’accordo: lo stanno facendo? Aggiungo che dei decreti attuativi relativi alla riforma, ne è stato approntato soltanto uno: se mai verranno varati anche gli altri quarantanove, magari si capirà se ha un senso l’ipotesi della mobilità, nel quadro di una programmazione territoriale, o sono solo chiacchiere che non intaccano i fortilizi baronali.

  24. Rabbi la ratio del prepensionamento è risparmiare. I corsi, come ti ho scritto 72 volte, chiudono comunque perché il prepensionando (posto che sia lui la causa della chiusura) è un pensionando nel giro di pochissimo tempo. E allora di che stiamo parlando?

  25. @ Rabbi: No, non lo stanno facendo. E da quanto capisco ora sono occupati a pagare gli stipendi e a riportare i conti a posto.
    Inoltre nella penuria generale di risorse, quella del prepensionamento, come altre misure che cercano di attuare, appaiono le uniche possibili. Se sia effettivamente cosi (sono le uniche possibili?) non lo so. Se si possa far di meglio, tenendo conto della situazione emergenziale, non lo so.

    Certamente la politica “ad alzo zero” di questo blog, tra cui la continua richiesta di commissariamento (con le regole “nuove” peraltro), non mi sembra che aiuti.

  26. @ giovanni golene: «Mah… mi sembra che anche Sesto Empirico badi alle quisquilie pur di difendere la casta.»

    Ti sembra male.
    Per prima cosa, non ho da difendere né caste né puttane.

    Seconda, quandanche fosse, un minimo di logica vorrebbe che gli argomenti si trattassero nel merito e non si divagasse sugli interessi, veri o presunti, di chi li esprime (Argumentum ad hominem, visto che ti piace tanto il latinorum).

    Terza, se qui ci sono dei privilegiati quelli sono i prepensionati, come più volte ha giustamente scritto Cal: si levano dalle guazze, prendono soldi, lavorano poco e quel poco fanno quello che gli pare.
    Chi lo prende in tasca sono quelli che rimangono a lavorare anche per loro e per pagargli la loro pensione. Il tutto per far apparire come un risanamento quello che tu stesso definisci “un giro di posta”.
    Queste non sono quisquilie, ma semplici ragionamenti elementari che richiedono solo poca logica e aritmetica di base.
    E non mi venire a dire che difendo anziani fannulloni perché è falso: ho scritto e riscritto che i fannulloni andrebbero cacciati indipendentemente dall’età.

    saluti scettici,
    Sesto Empirico

  27. Caro Golene,
    pare che a te e a Cal, di tutte le lenzuolate che ho scritto, abbia colpito solo il tema del “prepensionamento”.

  28. @ Cal: «cosa cambia per la didattica, la ricerca, il futuro… tra pensionare uno a 69 o a 70 anni?»

    Se il docente di 69 anni, impegnato in 2 corsi di laurea per 120 ore complessive, andasse in pensione riceverebbe 25 mila euro dimezzando l’attività didattica a 60 ore. E le 60 ore che avanzano? Se ci fosse un altro docente, nello stesso settore scientifico disciplinare o in un settore affine, costui si dovrebbe far carico di quelle ore aggiuntive. E se non ci fosse o si rifiutasse, perché già oberato di lezioni? Questo è il problema! Quando si pensa solo all’aspetto economico del dissesto, senza alcuna programmazione dell’offerta formativa e considerando l’università come una qualsiasi attività commerciale, tipo un ristorante, dove in presenza di un esubero di camerieri si ridistribuisce sul personale restante le stesse mansioni. Perciò, facendo i conti della serva, il prepensionamento di un 69enne fa recuperare anticipatamente un budget con i seguenti costi: 25.000 € al docente ai quali si aggiungeranno gli oneri a carico dell’Università. Si dovrà considerare anche il danno erariale, dettagliatamente descritto da Sesto Empirico, che potrebbe saltar fuori in qualsiasi momento. Da aggiungere, infine, l’anticipazione di un anno dei problemi collegati al pensionamento di quel docente e l’impoverimento dell’offerta formativa diffusamente descritta da Rabbi. Senza considerare il dato essenziale che, comunque, non si raggiungerà il pareggio di bilancio neppure nel 2016 e non si potrà procedere al reclutamento dei docenti necessari.

    E il 69enne che non si prepensiona è forse un masochista? Ci rimette 25 mila euro e lavora il doppio! Non «avverte la pressione morale verso la scelta finanziariamente più sostenibile per unisi»? È, forse, uno stupido? Perché non accetta? In fin dei conti, dovrà comunque andare in pensione l’anno dopo! Cosa ci guadagna a restare? È davvero incomprensibile tale comportamento? Sarebbe interessante conoscere le risposte.

  29. Ma che uno ami insegnare, che abbia allievi meritevoli che vuol seguire fin che può, che sia stimato da loro e qualche volta amato, che possegga un forziere di cognizioni e voglia elargirlo, perché quello è il suo mestiere, la sua passione e il suo dovere; ma questo non viene in mente a nessuno?

  30. Il problema sono le 60 ore in più? In quanti casi accade? Prendiamo l’elenco del prepensionabili e vediamo in quanti casi accade…
    Scommettete che sono pochissimi???

  31. Ringrazio il Prof. Giovanni Grasso e outis, Antonio Carlini, rabbi jaqov jizchaq, Sesto Empirico, il santo, Cesare Mori per aver voluto a ogni costo tenere la posizione con questo post ed i precedenti contributi pubblicati sul senso della misura. CL

  32. @ Cal: «Il problema sono le 60 ore in più? In quanti casi accade? Prendiamo l’elenco del prepensionabili e vediamo in quanti casi accade… Scommettete che sono pochissimi???».

    È proprio un modo eccentrico di ragionare. A questo punto, è doveroso dar ragione a Rabbi, Sesto Empirico, Outis, Loré, Cesare Mori… Io non so quanti siano i colleghi che hanno scelto di prepensionarsi; si parla di 60 docenti. In ogni caso, tutti, nessuno escluso, svolgono solo 60 ore di didattica, scaricando sui fessi che restano le ore di lezioni eccedenti le 60. Tutti, salvo 2 (al massimo 3) hanno intascato i 25 mila euro del contratto. È corretto scaricare su chi resta le 60 ore di lezioni del collega prepensionato? Mi sembra che si parli d’etica fuori luogo, scambiando il furbo (eticamente esemplare per Cal) con la persona corretta (eticamente abietta per Cal) che resta, rinunciando a 25 mila euro e caricandosi delle ore di didattica del collega furbo. Mi sembra giunto il momento di fare i nomi dei colleghi che sono andati (o stanno per andare) in prepensione e vediamo se sono pochissimi quelli che hanno rinunciato alle 60 ore, come scommette Cal. Resta il fatto, su cui si sorvola sempre, che neppure se andassero in quiescenza tutti coloro che ne hanno i requisiti si raggiungerà l’equilibrio di bilancio nel 2016. E comunque, se anche fosse uno solo il collega che svolge le 60 ore eccedenti mi sembra che l’etica, la logica, la correttezza, l’opportunità non potranno essere stravolte.

  33. Sicchè l’etica ad unisi si riduce a 60 ore di didattica in più…

    Cioè l’anziano 69enne non se ne va prima per non far gravare sui “giovani” altre 60 ore…???? e questo sarebbe etico sennò il povero giovane crepa con 60 ore di didattica in più… ci sono Facoltà dove si va in sabbatico perché non ci sono abbastanza ore…

    Ma ci credete davvero a quello che dite?

    Facciamo un sondaggio… sentiamo quanti giovani sono disposti a barattare il prepensionamento del proprio superiore gerarchico con 60 ore di lezione in più… temo che avresti un plebiscito…

    Eppoi il problema non era che andando via il prepensionando si chiudeva il SSD? Adesso il problema è diventato che qualcuno deve fare 60 ore in più?

    Suvvia dite le cose come stanno… tutti vogliono restare fino all’ultimo secondo disponibile pensando di essere insostituibili e utili…

    Va bene – la legge lo consente e lo potrete fare – ma non prendeteci per il posteriore dicendo che ciò è più etico e che lo fate per i giovani perché non siamo scesi dai monti con la piena…

    Anche l’argomento che pur prepensionando non si raggiunge il pareggio nel 2016 è spurio… che mi significa?… non basta certo ma aiuta… la logica binaria o ci si fa o non si fa è folle in ambito gestionale…

    Proprio vero il detto popolare che quando si invecchia si diventa egoisti…

  34. «Ringrazio il Prof. Giovanni Grasso e outis, Antonio Carlini, rabbi jaqov jizchaq, Sesto Empirico, il santo, Cesare Mori per aver voluto a ogni costo tenere la posizione con questo post ed i precedenti contributi pubblicati sul senso della misura.» CL

    Tipico esempio di autoreferenzialità della casta, “buona” o “cattiva” che sia.

    Tollerando i vizi dell’amico, rendi palesi i tuoi (a chi non piace troppo latinorum).

  35. @ Antonio Carlini: «Mi sembra che si parli d’etica fuori luogo, scambiando il furbo (eticamente esemplare per Cal) con la persona corretta (eticamente abietta per Cal)»

    Ma che c’entra? Mi sembra una vena giustizialista (non estranea a questo blog) quella di voler ricondurre tutto a colpe e furbizie dei singoli: c’è un regolamento di ateneo che offre delle opportunità. Chi le trova convenienti legittimamente le usa, chi non ne è convinto no. State sicuri che se qualcuno è nelle condizioni che dice Rabbi (tipo un ultimo moicano di una disciplina che rischia di estinguersi, e che ha qualche speranza di portare avanti un allievo, se resiste) difficilmente se ne andrà. Se invece non ha allievi da sostenere o comunque non ha speranza di poterlo fare, approfitterà dell’offerta. Non vedo esemplarità o abiezioni etiche in tutto questo, solo situazioni diverse e scelte legittime.
    La questione invece è se il regolamento di ateneo serve davvero al risanamento e se risponde, quello, a criteri etici nei confronti dei pagatori di tasse.

    La mia opinione è che non lo sia, secondo Cal invece lo sarebbe perché ci sarebbe l’accordo con l’erario. Ma a parte che di questo accordo non vi è notizia, se anche vi fosse non vedo come i contribuenti dovrebbero essere rassicurati dal sapere che due istituzioni si sono accordate ai loro danni (lui non l’ha detto, ma norme sui prepensionamenti nella publica amministrazione in realtà sono contenute anche nella legge Brunetta, il che da una parte conforta il suo punto di vista che in linea di principio questo tipo di misure è considerato accettabile da parte del governo, dall’altro non diminuisce certo i dubbi sulla loro eticità e lungimiranza).
    I prepensionamenti si dovrebbero quindi andare ad aggiungere a mio avviso a quelle misure (dismissioni immobiliari, prestiti, licenziamento) che il ministero o le norme o i contratti vigenti non consentono o a quelle, come lo scorporo delle sedi distaccate in una specie di università provinciali (se mi si passa l’ossimoro) proposto dal Prof. Grasso, di cui non si vede la realizzabilità pratica e normativa. Il che ci riporta alla domanda che giustamente ha posto Cal qualche tempo fa: ma secondo il ministero, quali sono le misure legittime ed efficaci per rientrare dal disavanzo? Quali le condizioni che è disposto a considerare? Credo che sia questo il piano di discussione su cui l’università dovrebbe avanzare delle proposte.

    saluti scettici,
    Sesto Empirico

  36. Se un uomo parla come un deficiente, scrive come un deficiente, si comporta come un deficiente, non lasciatevi ingannare: è un deficiente (G. Marx).

  37. «Tipico esempio di autoreferenzialità della casta, “buona” o “cattiva” che sia.» Golene

    Mah… frasi fatte comprate dal cinese a poco prezzo. Tu e Cal vi inventate questa sciocca pantomima in cui chi dissente da voi viene dipinto come un vecchio bacucco avido di difendere “la robba”, anche se magari al contrario è uno relativamente giovane, preoccupato perché vede scomparire attorno a sé le condizioni imprescindibili del proprio operare e vanificare quel po’ che ha costruito nel corso degli anni; o semplicemente un cittadino indignato che osserva attonito dilapidare quel pubblico bene, quell’ “economia” che non si ricrea d’amblé per decreto: il sapere scientifico. Ma a quale “casta” d’Egitto alludete tu e Cal? Capite che nel qualificare come “casta” chiunque lavori all’università vi è un fondo piuttosto evidente di ipocrisia. Al contrario di quello che dite, la vostra esortazione a “far fuori tutti” è diventata infatti oggi l’ipocrita grido di battaglia di chi ama nascondersi, vuol solo intorbidire le acque e sollevare cortine fumogene. È troppo chiedere cosa diavolo ci azzecchino codesti slogan con quello che nei miei post ho modestissimamente cercato di evidenziare (nella cui cornice si inscrive anche -e non solo- il problema dei prepensionamenti) e cioè l’ angosciante stillicidio con cui pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno se ne vanno al macero comparti interi dell’ateneo, dalla polverizzazione del quale, secondo le sgangherate teorie del futurologo Cal, nasceranno chissà quali aperture per “i giovani”, in una cornice bucolica che vedrà finalmente il trionfo della meritrocrazia e dell’eccellenza (“aretè”, come dicono quelli colti)?
    Siena ha circa 16900 studenti, solamente la metà dei quali iscritti a facoltà “forti”, che forse (dico forse) non sono toccate da alcuni problemi che ho cercato di evidenziare, per la mole del corpo docente. Le altre invece si, ma non credo che ci si possa limitare a commentare “affari loro”, visto che la vituperata “offerta didattica”, così invisa a Cal, si riduce drammaticamente, diviene opaca e di basso profilo e di conseguenza ci accingiamo mestamente a perdere qualche altro migliaio di studenti nei prossimi anni, dopo le migliaia già persi rispetto all’epoca aurea; di questo passo, mi pare oramai un destino ineluttabile quello di tendere pericolosamente alla dimensione di un micro-ateneo, di quelli destinati ad essere soppressi o severamente penalizzati: credete che questo non sia motivo di riflessione per tutti?
    Credete che dopo aver smarrito competenze e tradizioni, un bel dì vedremo la rinascita “ex nihilo” dell’università, più bella e forte che pria, e allora si stenderanno tappeti rossi ad aitanti fanciulli e pulzelle che già s’avanzano all’orizzonte ecc. ecc. (inquadrature rigorosamente dal basso, o angolate, come in un film di Eisenstein o di Leni Riefensthal)? Bella cazzata, che neanche si parlasse di una squadra di calcio di terza categoria… Ma nulla sfugge alla brama di svelare “la veritààààààààà”, ossia il complotto dei vecchioni protervi che non vogliono andarsene: eppure un primo tributo alla verità sarebbe proprio quello di cambiare linguaggio e cominciare a dire con crudo realismo che la fuoriuscita degli anziani, di per sé, non prelude affatto al loro rimpiazzamento con giovani, ma solo allo smantellamento di pezzi sempre più consistenti dell’università, così come il gettare a mare la zavorra è un’operazione che in genere non serve, né prelude all’imbarco di altra zavorra.
    Un cambio di linguaggio è richiesto dal senso di decenza: oramai si dichiara preventivamente d’ufficio “inutile” ciò che per varie ragioni non si ha la forza di conservare, e talvolta, anche peggio, si dichiara “utile” tutto ciò che non c’è versi di chiudere, nonostante la imbarazzante implausibilità. Non è ben chiaro quali merci i teorici del nichilismo (o di quella filosofia che meglio alligna nel Belpaese, ossia il menefreghismo) esporranno al mercato della deprecata (da Cal) e sempre più miserevole “offerta didattica”. Verità imporrebbe che si guardasse in faccia la realtà, riconoscendo che questa fase di triste declino dell’università italiana, per ragioni perfettamente bipartisan, contrariamente a quanto annunciato, vede il definitivo trionfo delle “scienze del bue muschiato” e similia, ossia della vaghezza, rispetto al rigore scientifico, del disprezzo per la competenza e l’elogio de superficialità.

    «Tutti via. Prepensionamoli tutti. E ricominciamo da zero.
    Corruption optima pessima. Una volta corrotti va buttato al macero, anche se una volta era tra i migliori. D’altronde nel 1980 sono entrati cosi; perché non ora?»
    Golene

    La tua passione per le generalizzazioni è detestabile. Buona parte dei “giovani” sin qui sopravvissuti, contrariamente a quello che andate affermando tu e Cal, con la scomparsa delle strutture dove lavorano, o verranno cacciati (se non sono strutturati), o verranno “neutralizzati” (se sono strutturati) isolandoli all’interno di corsi di laurea e dipartimenti assemblati in modo gaddianamente cinobalainco, come del resto impone la formidabile riforma, che temo sia destinata ad essere ricordata, più che come un non-finito michelangiolesco o una schubertiana “incompiuta”, come un cantiere della Salerno-Reggio Calabria. Quelli che sono entrati DOPO i formidabili primi anni ’80 senza troppe raccomandazioni, comunque, non hanno conosciuto l’ “ope legis”, bensì il nomadismo e quella formidabile innovazione inaugurata proprio a Siena che è il precariato ultradecennale con contratti del menga. Mi pare che nella tua teoria “fuori i caldi, dentro i diacci”, ti sfugga un po’ il “quadro della situazione”: a fine mese spariranno per sempre le facoltà e il loro posto verrà preso da “pseudo-dipartimenti”; è dunque una fase decisiva per capire se in futuro vi sarà posto per qualche “giovane” e dove, quali settori sopravviveranno e quali soccomberanno. Si partì con l’idea di fondere cose simili, ma ci si rese conto che quaranta persone accomunate da qualche sorta di similitudine, raramente se ne trovano. Sicché oggi accade non di rado che pensare di decidere la propria afferenza accampando la ragione di una sia pur remota “affinità” disciplinare, è considerato addirittura peccato di presunzione. Non riesco francamente a capire se nelle condizioni in cui ci troviamo e senza un respiro “federale”, il disfacimento e rifacimento locale dei dipartimenti serva veramente a qualcosa, o ammonti semplicemente al partenopeo “facite ammuina”:

    «All’ordine Facite Ammuina:
    tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa
    e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora:
    chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra
    e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta:
    tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa
    e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio
    passann’ tutti p’o stesso pertuso:
    chi nun tene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à”.»

    Grandi manovre per dare l’impressione di cambiare qualcosa: in realtà, temo, preludio ad anni di instabilità e centrifuga che, se non sposta le particelle accademicamente parlando più pesanti, spazza via il pulviscolo costituito, appunto, da “i giovani”, che secondo certe teorie riceverebbero al contrario gran beneficio da tutto ciò.

  38. Per me casta sono coloro che a 69 anni finiti senza pubblicare dall’85 ritengono di rimanere fino all’ultimo secondo utile perchè la loro scienza è indispensabile. E sono coloro che in molti casi sono compartecipi dello sfascio di unisi.
    Strano che tu li difenda o Rabbi.
    Forse alcuni giovani non hanno la paura che hai tu di affrontare l’incertezza senza le spalle coperte dall’ordinario anziano di turno. Forse qualcuno di noi è confidente nelle proprie capacità invece che nella copertura del “maestro”.
    Se nel corso degli anni hai costruito non devi preoccuparti. Nessuno ti porterà via nulla.

  39. «Forse alcuni giovani non hanno la paura che hai tu di affrontare l’incertezza senza le spalle coperte dall’ordinario anziano di turno. Forse qualcuno di noi è confidente nelle proprie capacità invece che nella copertura del “maestro”.» Cal

    Quello che con tanta veemenza spargi è solo fumo negli occhi, cortine fumogene per i bischeri e tu stai semplicemente tentando di far deragliare il discorso fuori dai corretti binari di una visione lucida della realtà, lontano dai problemi veri e dalla verità delle cose. Evita per favore di distorcere quello che scrivo e fammi il favore di commentare quello che dico, non le cretinate che ti inventi, altrimenti sarà chiaro a tutti che la tua, in questo forum, è solo un’azione provocatoria di disturbo. Al netto degli insulti gratuiti che diffondi urbi et orbi con generosità, apostrofando persone di cui non conosci né vita, né valore scientifico (e con ciò peraltro sollevando seri dubbi sull’intelligenza di quel genio che millanti di essere), sei di nuovo riuscito a non dire assolutamente niente e a glissare a forza di unta demagogia, luoghi comuni un tanto al chilo e sciatto conformismo travestito da irruenza rivoluzionaria su tutti i punti rilevanti che ti ho sottoposto. Mi pare che queste parole di Vitaliano Brancati dipingano perfettamente il tuo ritratto:

    “La nostra società è quasi sempre conformista, ma in modo particolare quando s’atteggia a rivoluzionaria. Da trent’anni a questa parte, le rivoluzioni italiane consistono in un colpo di mano per mettere sul trono un tirannico Luogo Comune”.

  40. Mi sa che ti ho punto sul vivo… ordinario pensionato = allievo orfano?

    Io non millanto nulla… altri si autodefiniscono maestri. Non certo io. Il problema di chi si definisce maestro è che poi deve costantemente dimostrare di esserlo. E sovente non ci riesce.

    Il punto della discordia è solo questo…
    Rispondi alla mia domanda.
    «cosa cambia per la didattica, la ricerca, il futuro… tra pensionare uno a 69 o a 70 anni?»

    Su tutto il resto, inclusa una visione critica degli effetti delle riforma siamo d’accordo.

  41. …lasciando perdere le stupidaggini, le insinuazioni personali cretine che il non più sopportabile Cal dispensa a piene mani sul conto di chi non conosce nemmeno, qualcuno di voi può fornire una mappa dei nuovi, per adesso ipotetici dipartimenti in cui si articolerà l’ateneo, dopo la soppressione delle facoltà?

  42. Io chiedo non insinuo…

    Alla domanda non v’è risposta… come volevasi dimostrare

  43. «cosa cambia per la didattica, la ricerca, il futuro… tra pensionare uno a 69 o a 70 anni?» Cal

    Chi è quest’ “uno”, un amico tuo? Oppure un soggetto che ti sta particolarmente antipatico? Vedo che arretri rispetto all’iniziale baldanza: dopo che hai inveito contro mezzo mondo, adesso ci somministri in questa forma il Bignami del tuo pensiero? Alle domande sciocche, illustre Cal, non vi è risposta, ma è dovuto solo un pietoso silenzio.

  44. @ Rabbi.
    Ti rispondo solo per la situazione di Medicina. Attualmente ci sono 13 Dipartimenti. Dopo la riorganizzazione si ridurranno a 5, dei quali ti fornisco il nome provvisorio:
    1) Dipartimento di Biotecnologie
    2) Dipartimento di Chirurgia
    3) Dipartimento di Medicina
    4) Dipartimento di Medicina molecolare e dello sviluppo
    5) Dipartimento di Neuroscienze

  45. Il silenzio di chi sa che la risposta può essere una sola… sa di avere torto ma è troppo arrogante e pavido per rispondere…

    Uno è uno qualunque dei prepensionabili di 69 anni…

    Rispondi non aver timore… il silenzio è dei vigliacchi…

  46. Cal scrive: 12 luglio 2011 alle 08:00 «Il silenzio di chi sa che la risposta può essere una sola… sa di avere torto ma è troppo arrogante e pavido per rispondere…
    Uno è uno qualunque dei prepensionabili di 69 anni…
    Rispondi non aver timore…il silenzio è dei vigliacchi…»

    «Forse alcuni giovani non hanno la paura che hai tu di affrontare l’incertezza senza le spalle coperte dall’ordinario anziano di turno»

    Cal, mi sa che ieri sera hai alzato abbastanza il gomito, eh? E poi scusa, ma ci conosciamo? Non credo. Pertanto “arrogante”, “pavido”, “vigliacco”, “orfano di un ordinario”… ed altre simili crasse imbecillità da cerebroleso, rivolgile, come si suol dire in francese, a sòreta. Sarebbe l’ora che tu la finissi di riempire questo forum di stupidaggini e di insulti dispensati a casaccio urbi et orbi: lo capisci che ti qualifichi da te come minorato mentale, riassumendo quello che ho scritto con la “teoria” secondo cui non voglio mandare in pensione gli ordinari di 69 anni e “affrontare l’incertezza senza spalle coperte”?

  47. Quello che tu stai dicendo da 1500 coltissime pagine è che prepensionare non è una politica corretta… perché si impoverisce unisi. Sbaglio?

    Io nelle mie più modeste pagine ti sto dicendo che non cambia nulla tra prepensionare a 69 o pensionare a 70. E quindi poiché prepensionare allevia la pressione sul bilancio é una politica giusta…

    Siccome sostieni una posizione ma non la motivi né rispondi alla mia domanda… ho azzardato delle ipotesi:

    1) sei uno dei prepensionabili e quindi non vuoi perdere la cattedra
    2) sei un giovane che senza le spalle coperte dal proprio ordinario sarebbe finito…

    Può darsi che mi sbaglio. Ma allora rispondi per favore… Peraltro se leggi bene la mia ultima io ho scritto uno che… non tu rabbi… come dite voi colti? Excusatio non petita…

  48. Grazie al prof. Giovanni Grasso per i dati forniti; vedo che a Medicina i dipartimenti sono stati dimezzati: non sono in grado di valutare, ma forse in certi casi, ove siano stati in passato moltiplicati senza una giustificazione plausibile, è anche un bene (non so se questo sia il caso di Medicina, né su quali basi siano stati riorganizzati). Fatto sta che ancora una volta si conferma come in diverse situazioni occorrano metri diversi. In casi differenti da quello summenzionato, non credo che i nuovi dipartimenti costituiranno solo una diversa e più razionale partizione delle vecchie Facoltà, bensì qualcosa di sostanzialmente estraneo a quello che erano in origine le strutture dipartimentali: talvolta addirittura di maggiormente omogeneo e pertinente, ma più frequentemente, temo, di grossolanamente eterogeneo. Adesso si occuperanno anche, o forse principalmente, di didattica, sebbene – stando almeno a quello che odo e vedo – anche in questo caso il nesso appaia talvolta alquanto sfuggente. Dunque alla fine non si capirà bene se sono stati assemblati in vista della ricerca, della didattica o di nessuna delle due cose. Credo che la tensione fra didattica e ricerca, da un lato (i corsi di laurea sono stati riformati senza avere ancora chiaro quali strutture avrebbero sostituito le Facoltà nella gestione della didattica), e tra ricerca in settori molto diversi o tra gente che non si capisce affatto, finirà per pesare oltremodo in contesti in cui la sbandierata “affinità disciplinare” (goethiana alchemica attrazione che spesso del resto non si sa nemmeno cosa voglia dire) va un po’ a farsi benedire. Vi è una contraddizione insanabile tra lo dissoluzione delle identità, con il generale annacquamento dei settori, e in parallelo l’irrigidimento delle norme sulla valutazione della ricerca (vedi “Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) da parte dell’ANVUR”), che presupporrebbero in verità il contrario esatto, se stiamo parlando di ricerca vera e non metaforica, e di ricerca scientifica e non, con tutto il rispetto, di “seminari” da bar con gli amici (senza dire che il cafè de Flor o les Deux Magots furono crocevia della cultura internazionale sicuramente più di quanto lo sia il bar della Costarella): strumenti, gruppi di ricerca compatti e altamente specializzati, programmi di ricerca chiari e di respiro internazionale. Per questo torno ad invocare una soluzione di tipo “federale”, giacché è meglio polarizzare nelle tre università le specializzazioni e le competenze, onde rafforzarle e renderle maggiormente visibili anche al potenziale pubblico degli studenti, piuttosto che annacquarle allo spasimo, dequalificare oltremodo l’offerta didattica e abbrutire la ricerca, fino a rendere entrambe del tutto inutili e punto attraenti. Mi pare che queste due tendenze, una all’ordine e l’altra all’entropia, costituiscano la principale contraddizione del sistema universitario italiano oggi.

    «1) sei uno dei prepensionabili e quindi non vuoi perdere la cattedra
    2) sei un giovane che senza le spalle coperte dal proprio ordinario sarebbe finito…»
    Cal

    …bravo Cal, tu sì, che sei uno furbo e “tertium non datur”, naturalmente. Insomma secondo te all’università lavorano solo biechi profittatori: ma allora perché, sulla base di quale attrazione, un siffatto gentiluomo quale ti vanti (l’unico gentiluomo al mondo, s’intende) insiste nel volersi mischiare a questa combriccola di lestofanti? Forse per redimerla? È evidente che la tua “Weltanschauung” (come dicono quelli colti) prevede che alla base di ogni presa di posizione vi sia un meschino tornaconto personale. Purtroppo per me – e mi spiace di deluderti – non ebbi un venerabile didietro da leccare, come a tuo dire si confà al giovin signore che aspiri a “far carriera all’università”, piuttosto che alle poste o in ferrovia, ed è forse per questo che mi pare sorprendente il modo in cui ti esprimi. Il tuo è un tono che rivela scarsissima cognizione della realtà, o forse semplicemente hai le spalle ben coperte, ma è comunuqe interessante il punto 2) del tuo vaniloquio: così parafrasi scioccamente le mie parole, quando puntualizzo che la fuoriuscita di una gran massa di docenti anziani non prelude affatto al loro rimpiazzamento con docenti giovani, ma semplicemente alla drammatica soppressione di settori disciplinari, insegnamenti, corsi di laurea, dipartimenti, sulla base di criteri in fin dei conti abbastanza aleatori e gaddianamente cinobalanici? Non devi continuare a ragionare come se tutti fossero gli “storici contemporaneisti”, che qualcuno ha qui ricordato a Siena essere più dei piccioni di piazza del Campo (per cui, uno più o uno meno, è uguale), né continuare a ragionare un tanto al chilo, prescindendo dalla specificità delle competenze scientifiche “strictu sensu” e dal danno provocato dalla loro scomparsa. Tali strutture di cui si prefigura la chiusura, non esistendo più, neanche avranno bisogno di reclutare e dunque devi spiegarmi in cosa consisterebbe il vantaggio per i giovani, se dopo aver avuto preclusa la via per ragioni di fatto (blocco del turn over), la avranno preclusa anche di diritto (scomparsa dei loro settori disciplinari).

    «Può darsi che mi sbaglio.» Cal

    …. senz’altro. E comunque, “io speriamo che me la cavo”.

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