Dalle perle di saggezza di Massimo Catalano (le famose “catalanate”) alle “riccabonate”, alcune di seguito riportate:
- «Col Censis primi, con la classifica di Shanghai fuori perché contano i Nobel».
- «Quando aumenta il numero degli atenei e il grosso della partita si gioca sulle pubblicazioni noi veniamo tagliati fuori, ma non perché non siamo bravi, perché ci manca la materia prima, come alcune (ex) facoltà scientifiche».
- «Ci sono i favorevoli e i contrari alle valutazioni, ma la qualità del mondo accademico non è facilmente classificabile, non è un campionato di calcio».
- «La valutazione del Censis ha tenuto conto di quei parametri dove noi possiamo competere e giocarcela alla pari».
«Noi senesi fuori, se contano i Nobel non c’è partita» (da: Corriere Fiorentino, 17 agosto 2013, intervista al rettore Riccaboni)
Gaetano Cervone. L’Università di Siena per il secondo anno consecutivo è fuori dalla «Top 500», la graduatoria redatta dai ricercatori della Shanghai Jiao Tong University che valuta tutti gli Atenei mondiali. Eppure appena due anni fa l’Università di Siena era riuscita a guadagnare un posto al sole, pur classificandosi tra le ultime posizioni: «Nel mondo attuale piacciono molto le graduatorie e ci sono i favorevoli e i contrari a queste valutazioni, ma la qualità del mondo accademico non è facilmente classificabile, non è un campionato di calcio, bisogna dargli il giusto peso» commenta il rettore Angelo Riccaboni.
Però, rettore, sulla home page del vostro sito internet compare la scritta «Il migliore Ateneo d’Italia è Siena», facendo riferimento all’ultima graduatoria redatta dal Censis. Sembra di capire che per voi quella classifica ha un peso maggiore rispetto alle altre…
«Perché non dovremmo dirlo che siamo stati classificati primi? Attorno a me vedo Atenei che alla prima occasione sbandierano primati e c’è sembrato giusto dare il peso che merita alla valutazione del Censis, che ha tenuto conto di quei parametri dove noi possiamo competere e giocarcela alla pari».
Nella classifica dell’Università di Shanghai invece non ci può essere partita?
«Quelle sono graduatorie che tengono conto di fattori che ci penalizzano fortemente, basti pensare che tra gli elementi principali c’è la dimensione degli Atenei e noi, inutile che ce lo ripetiamo, siamo un’Università piccola. Senza tenere conto del peso specifico che ha nel risultato finale la presenza o meno di docenti che anche in passato hanno ottenuto premi Nobel».
Insomma, contro Harvard e Stanford rinunciate anche a scendere in campo?
«Noi ci sentiamo competitivi e lo siamo per davvero, basti pensare che due anni fa nella graduatoria c’eravamo, anche se siamo sempre stati borderline, riuscendo ad entrare per poche posizioni tra i primi cinquecento al mondo. Ma è chiaro che quando aumenta il numero degli atenei e il grosso della partita si gioca sui Nobel e soprattutto sulle pubblicazioni su riviste scientifiche, noi veniamo tagliati fuori, ma non perché non siamo bravi, perché ci manca la materia prima, come alcune (ex) facoltà scientifiche».
Però anche nella categoria delle Scienze sociali tutte le università italiane sono tagliate fuori, atenei toscani compresi.
«Questo è un settore disciplinare dove è ancora più difficile valutare la qualità, ma non possiamo comunque ignorare che c’è un problema che forse può essere affrontato soltanto spingendo verso una maggiore integrazione, perché i centri di grosse dimensioni ottengono punteggi maggiori».
Dunque i ricercatori di Shanghai non le hanno rovinato il Palio?
«Assolutamente no, mi preoccuperei se non fossimo valutati eccellenti in nessuna graduatoria. Per fortuna non è così, fermo restando che la cosa fondamentale resta l’indice di gradimento degli studenti, non la classifica, perché quello del mondo accademico non è un campionato di calcio».
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Un compendio tale di scempiaggini in un’intervista di quattro domande come quella riportata è veramente difficile da reperire altrove. È evidente che il Criccaboni non ha la minima idea di cosa si stia parlando e – in particolare – non sa cosa voglia dire fact checking. Nella vicina Università di Pisa, che è più grande di Siena, non c’è dubbio, ma neanche enorme come le britanniche Oxford e Cambridge o come le statunitensi Princeton e Harvard, non è stato mai presente un premio Nobel o una Medaglia Fields. Tuttavia galleggia fra la posizione 101 e la 150. Probabilmente quando ci sono i mondiali (ai quali peraltro non partecipa la Piallaghese) non danno a mensa gli hamburger e le patatine e quando c’è il tiro alla fune alla chiesa della Spina non aprono il cortile in Via Curtatone e Montanara. Sarà per questo che non sono competitivi per il Censis, mentre Siena per il Censis eccelle. Forse la presenza nella classifica di Shanghai sarà dovuta al fatto che non hanno mai avuto il Cresco, né il Polo aretino, grossetano, follonichese, colligiano, sangiovannese? E forse non hanno avuto anatomopatologi circondati da una cricca di dissestatori? O forse non hanno avuto un’area comunicazione di 54 persone più il dirigente Boldrini? E le aragoste non le mangiano, attenendosi ad una rigorosa dieta di cazzi di re e ghiozzi di buca? Boh… Una ragione ci sarà di sicuro, ma dubito fortemente che si possa attribuire alle alate metafore calcistiche di questo incompetente che si esprime in un dialetto tra l’urdu e il mongolo buriato. E, a sproposito, ma il miglior direttore amministrativo della galassia denominata Via Lattea e anche della prospiciente galassia di Andromeda non ha niente da dire? C’è una parola sola per definire questi personaggi: buffoni.
«Col Censis primi, con la classifica di Shanghai fuori perché contano i Nobel» Riccaboni
…ho capito, ma il CENSIS se ne sbatte dei livelli qualitativi della didattica e della ricerca: o che è diventato un reato sfornare premi Nobel e Fields medals? Göttingen, che è una picola università, ne ha sfornati 45. Però lì scienza e cultura si chiamavano Minkowski, Klein, Hilbert, Husserl, Born e gli studenti Gauss, Heisenberg o Schopenhauer. Certo il genio se uno non ce l’ha, non se lo può dare, ma il genio è prodotto di un contesto e quello di produrre risultati di alto livello dovrebbe essere comunque l’ideale-limite a cui tendere: sennò perché mai l’ANVUR ci frantuma i cabbasisi con il VQR? Purtroppo qui rientrano in ballo le considerazioni intorno all’organizzazione della didattica e della ricerca di cui ai miei precedenti post, perché procedendo “ad canis cazzium” (per citare il latinorum di Formigoni) all’inseguimento di progetti di bassissimo profilo culturale è ben difficile che si vinca qualche cosa di più significativo della coppa del nonno o di quella del CENSIS. I dati dell’ANVUR parevano abbastanza realistici e tutto sommato buoni, ponendo Siena al sedicesimo posto in Italia per la ricerca: ma si riferivano a prima della crisi e dello smantellamento di mezzo ateneo.
«La cosa fondamentale resta l’indice di gradimento degli studenti, non la classifica, perché quello del mondo accademico non è un campionato di calcio» Riccaboni
Ma che vuol dire? L’indice di gradimento di quali studenti, quelli che aspirano a conseguire un titolo robusto o quelli che pretendono il diciotto politico? A quale pubblico studentesco si rivolge l’università di Siena? E quando blaterano di “ricerca”, a cosa pensano allora? Il gradimento degli studenti, poi, è attestato dalla perdita secca del 25% delle iscrizioni dal 2008 e da un sonoro -17% solo quest’anno (peggior dato toscano). Del resto dal 2008 i corsi sono stati dimezzati e i dottorati falcidiati. Problemino per l’estate: se con gli attuali 802 docenti si sono fatti una trentina di cicli completi 3+2, quanti se ne faranno nel 2020 quando i docenti saranno meno di 600, atteso che non si può fare la semplice divisione 600:20=30, come attestano del resto i dati attuali, giacché i 20 docenti richiesti dalla legge per ciascun ciclo debbono essere esattamente assortiti per settore e rango, e non semplicemente quelli che rimangono dopo la fuoriuscita in modo del tutto aleatorio del 50% del corpo docente?
«Il grosso della partita si gioca sui Nobel e soprattutto sulle pubblicazioni su riviste scientifiche, noi veniamo tagliati fuori, ma non perché non siamo bravi…» Riccaboni
«La metodologia – di Shanghai – privilegia le pubblicazioni scientifiche, ma penalizza l’attività delle facoltà umanistiche» (http://www.corriere.it/cronache/13_agosto_18/atenei-classifiche-instabili-berberi_a0c36a5c-07f2-11e3-94cf-bf30b20ea299.shtml)
Io non ci capisco più niente: una settimana fa scrivevano che l’università di Siena deve sostenere l’impresa, millantavano un primato nella ricerca scientifica; ora dicono che il suo punto di forza sono le scienze sociali.
Di grazia, poi, a quali “scienze sociali” sta pensando il Magnifico? Immagino che in questa vaga definizione includa, del tutto impropriamente, tutto il comparto umanistico (considerando “scienza sociale” anche la filologica classica, la linguistica trasformazionale oppure la filosofia della fisica): dopo aver sostanzialmente distrutto la ex Facoltà di Lettere e Filosofia senese, inseguito progetti folli, parto di menti bacate, di improbabile decentramento presso la sede di Arezzo, a quali “scienze sociali” sta pensando il Rettore? Non certo l’Economia, perché lì esiste il Nobel e dunque il suo ragionamento non avrebbe più senso. Allora quali? Le scienze della comunicazione? Di certo lì il Nobel non c’è :-). Le scienze politiche? Per rilanciare l’impresa economica! L’«università funzionale all’impresa» di cui parla con tanta enfasi il Valentini la si fa con la sociologia della comunicazione e la comunicazione d’impresa, anziché con i brevetti, cioè con l’ingegneria, la biologia ecc.? Allora è meglio se all’impresa gli dai … la poesia: in fondo diceva Simone Weil che gli operai hanno bisogno di poesia, quanto di pane. Peccato che hai ammazzato anche quella.
«Bonaccorsi (ANVUR) cita poi uno studio europeo che ha sottoposto tutte le classifiche internazionali delle università ad alcune «prove di robustezza» per verificarne la validità. «Soltanto le prime cinquanta posizioni sono risultate attendibili».»(http://www.corriere.it/cronache/13_agosto_18/atenei-classifiche-instabili-berberi_a0c36a5c-07f2-11e3-94cf-bf30b20ea299.shtml)
Peggio mi sento.
P.S. – «Ci sono i favorevoli e i contrari alle valutazioni, ma la qualità del mondo accademico non è facilmente classificabile, non è un campionato di calcio» Riccaboni
Nondum matura est! Fino alla settimana scorsa le valutazioni venivano brandite come le tavole di Mosè. Inoltre, purtroppo o meno male, la vita e la morte della gente è (accademicamente parlando) oramai legata alle valutazioni della Qualità della Ricerca (VQR) da parte dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca. Mettiamo che uno sia “contrario alle valutazioni”: cosa può fare, se non attaccarsi al tram?
[…] Con le “riccabonate” altro primato nell’università di Siena […]
Però anche nella categoria delle Scienze sociali tutte le università italiane sono tagliate fuori, atenei toscani compresi.
«Questo è un settore disciplinare dove è ancora più difficile valutare la qualità, ma non possiamo comunque ignorare che c’è un problema che forse può essere affrontato soltanto spingendo verso una maggiore integrazione, perché i centri di grosse dimensioni ottengono punteggi maggiori». Corriere
1. Verso una “maggiore integrazione” regionale della didattica e della ricerca (leggasi federazione, corsi interateneo), mi sa che ci dobbiamo andare velocemente per forza o per amore, in quei settori che non hanno più le gambe per stare in piedi da soli, qui e tra un po’ anche altrove: anzi, direi nel giro di un paio di anni, semplicemente perché Siena in meno di un lustro non avrà più i numeri di docenti per reggere da sola nemmeno l’attuale, già dimezzata, offerta didattica in moltissimi settori (vedi precedenti messaggi): ma allora cosa aspettano, che sia già crollato tutto?
2. Che sia difficile valutare la qualità nei settori umanistici mi pare una scusa per giustificre l’insipienza di chi si riempie volentieri la bocca de “la ricerca”, avendo scarsissima cognizione di cosa significhi farla: per molti settori disciplinari “umanistici” esistono le riviste internazionalmente riconosciute, peer review ecc. ecc. … come per la Fisica e la Matematica. Che poi l’ANVUR abbia inserito fra le riviste scientifiche di fascia A popò di pubblicazioni come Etruria oggi , Fare Futuro Web Magazine , la Rivista del clero italiano , il Mattino di Padova , Yacht Capital , Il settimanale diocesano, La vita cattolica di Udine , Barche , Nautica ecc. (cf. http://www.corriere.it/cronache/12_ottobre_17/professore-riviste-scientifiche-suinicoultura_9287023c-181f-11e2-a20d-0e1ab53dafde.shtml) omettendo clamorosamente diverse riviste scientifiche internazionali di indiscusso valore, è un altro paio di maniche (ho letto su ROARS di pesanti sviluppi giudiziari).
3. Premesso che non si capisce bene cosa intendano per “scienze sociali”, da quando in qua le scienze sociali sono poi un “settore disciplinare”? Casomai un INSIEME, abbastanza grosso, di settori disciplinari: colgo l’occasione per stigmatizzare ancora una volta l’abitudine che si sta diffondendo, assecondata da una burocrazia composta da asini ignoranterrimi, di confondere il tutto col tutto, quasi che le discipline non possedessero un loro specifico contenuto, che i SSD fossero solo numeri da giocare al Lotto o che uno potesse indifferentemente insegnare l’Algebra e l’Ornitologia. Questo è uno dei sintomi più evidenti della decadenza. Ecco comunque, a scanso di equivoci, la lista ministeriale dei SSD (settori disciplinari) http://tesi.cab.unipd.it/view/subjects/subjects.html; alla luce di essi, probabilmente il Magnifico intende i numerosi SSD facenti parte delle aree 11,12,13,14, anche se questo peraltro sarebbe a sua volta assai improprio.
… e che dire di quest’altra bufala:
“L’area lettarario umanistica, presente anche ad Arezzo, è la seconda in assoluto dopo Bologna”
http://www.lanazione.it/arezzo/cronaca/2013/07/18/921733-classifica_censis.shtml
Basta, non se ne può più di queste adolescenziali fantasie autoerotiche, di questo incessante onanistico autocompiacimento. Come disse l’indimenticabile Don Valdemaro a Mario Cioni: “e si consumaaaaa!”
Andate per piacere a vedere cosa c’è rimasto a Siena dei corsi di laurea nell’area cosiddetta “letterario-umanistica” (altra espressione tratta dall’ostrogoto): a parte gli scampoli dei vecchi ordinamenti a fine ciclo in corso di chiusura, tra Siena ed Arezzo risultano in questo momento attivate sette lauree magistrali (cioè “specialistiche”), ma alcune dalle denominazioni e dai contenuti così vaghi, da non capire quali siano i tratti propriamente specialistici.
Senza negare la presenza di eccellenze individuali in alcuni settori, più o meno tutte paiono assai male in ponto- vedere le iscrizioni nel sito del MIUR http://anagrafe.miur.it/php5/home.php – con un trend in pesante ribasso. Gli iscritti al primo anno, nel complesso delle magistrali umanistiche, a Siena nel 2008 erano 333 e nel 2012-13 erano calati a 170. Ad Arezzo erano 117 e fra tutti e tre i corsi di laurea magistrale ivi presenti sono diventati 55; stiamo dunque parlando di una o nei casi di maggiore successo due dozzine di iscritti per corso (Siena 170:7=24,3 e Arezzo 55:3=18), il che non giustifica certo il raddoppio in due sedi.
Vedremo come evolve la situazione quest’anno, ma stiamo parlando di microfisica: protoni, elettroni, bosoni…. insomma, il “trend” mi pare chiaro e con l’ulteriore impoverimento di insegnamenti dovuto alla fuoriuscita a cacchio di ulteriori duecento docenti, oltre ai quasi trecento già andati via, dubito che si inverta.
Sui progetti di cui si ventila nei corridoi, di trasferimento nella sede distaccata di interi comparti, è meglio tacere, ma informare con una certa urgenza il servizio psichiatrico della ASL
A Firenze, per esempio, e per non andare troppo lontano, tutt’ora vi sono 15 lauree magistrali dalle denominazioni e i contenuti abbastanza chiari. A Pisa sono 14, in aree ben delineate, idem con patatine. A Padova invece di lauree magistrali “umanistiche” ve ne sono ben 22 (più 8 corsi di laurea nell’area di Psicologia; tre corsi di laurea sono interateneo, che qui pare una bestemmia, per quanto sia invece l’art. 3 della riforma Gelmini finalizzato alla valorizzazione delle sinergie). Tacerò sui ben 32 de “La Sapienza”. La cosa sensata da chiedersi è semmai per quanto tempo ancora alcuni di questi atenei saranno in grado di reggere l’attuale offerta didattica, ma stando al presente, non c’è partita.
Si aggiunga il fatto che da noi alcuni corsi sono presenti in entrambe le sedi: qui, l’uno è zoppo e laggiù, l’altro è sguercio, ma la preoccupazione dominante delle Loro Maestà è quella di garantire la sopravvivenza di duplicazioni di corsi di studio, per ragioni, diciamo così, imponderabili, quando non vi è più il materiale umano (studenti, docenti) nemmeno per sostenerne uno decente in un’unica sede. Insomma, battaglie di retroguardia che stanno affossando il comparto “umanistico”, altro che primeggiare nel mondo!
Mantenere in piedi copie identiche, ancorché cianotiche e agonizzanti, nelle due sedi, mi pare segno di insensata protervia: alle persone dotate di un minimo di senno ed autonomia di pensiero, oltre che ai docenti che posseggano ancora un barlume di dignità personale e scientifica, appare oramai ineludibile la soluzione alla quale con incomprensibile timidezza (giacché è semplicemente la lettera della legge di riforma) allude il Magnifico.
Ogni persona moderatamente dotata di senno vede infatti che l’unica strada è sopprimere i doppioni e concentrare le forze nelle sedi principali e successivamente guardare ad una dimensione territoriale più ampia, dando vita semmai a corsi interateneo, per chi non abbia più la benzina per fare da solo nemmeno mettendo assieme le forze disperse nelle varie sedi distaccate, secondo il dettato dei mussiano-gelminiani “requisiti minimi” e della recente riforma, approvata di fatto in maniera bipartisan da tutte le componenti politiche.
[…] Altro che bomba, la notizia del 1° posto nella classifica Censis. Si trattava di una bombetta puzzolente che tanta ilarità ha destato in tutti gli atenei e che è stata clamorosamente smentita con la […]
Università, in Toscana oltre 7mila studenti alle prese con gli esami di ammissione:
“Domande in calo rispetto all’anno scorso: a Firenze 3.065 domande su 918 posti a bando (-12,4%); a Pisa 2.807 domande su 577 posti (-8,4%); a Siena 1.213 domande su 415 posti (-23,1%)”.
“Questa notevole differenza a sfavore di Siena, che verrebbe giustificata a livello locale dalla peggiore posizione geografica, riguarda anche il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia su cui il calo delle domande è del -19,8% fra le 1.346 dello scorso anno e le attuali 1.080, con un dato nazionale del -6%. Al contrario le domande crescono nelle altre due Università per il 7,2% a Pisa e il 4,5%.
http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2013/09/02/943946-universita-esami-ammissione.shtml
Forse chi ha presentato le domande per gli esami di ammissione non ha letto le classifiche di Repubblica e Censis. Anche a questo giro Siena è la peggiore sia per il dato nazionale che rispetto alle due altre università toscane….