Ateneo senese: i sindacati sul kolossal dell’inaugurazione dell’anno accademico

Teatro-Rinnovati

Rsu, Cisapuni, Cisl, UilRua, Ugl, Usb PI. Non vogliamo partecipare a un’inutile passerella che non ci rappresenta. Noi non vogliamo passerelle ma organizzazione vera, carriere, dignità. Chiediamo da oltre un anno di dare corso a previsioni contrattuali, come le progressioni economiche orizzontali, ma l’immobilismo dei vertici di quest’Ateneo, rasentano il teatro dell’assurdo. Ancora ci viene detto che ci sono tanti problemi di gestione, difficoltà che non permettono di eseguire determinate procedure nei tempi previsti. Strano… Sempre quelle che riguardano noi del personale tecnico e amministrativo. Poi se stiamo celebrando con una colossale inaugurazione, degna di un film di cinecittà, l’uscita dal tunnel del buco, com’è che si usa ancora la scusa della difficoltà amministrativa? Forse perché non è una scusa, la verità è che siamo messi peggio di prima e quello che andiamo a celebrare è fumo…

Noi non parteciperemo a un’inaugurazione in cui dovremmo andare a dire che va tutto bene, celebrare questa gestione e, con ricchi premi e cotillon, nascondere tutto sotto il tappeto. Usciti dove! Qui va tutto peggio, i soldi mancano più di prima, in contabilità finanziaria chiuderemo l’anno peggio del 2014, cosa va meglio? Siamo senza istituto cassiere da anni e a ogni scadenza è un dramma, i piani di studio non funzionano, abbiamo una tassazione altissima, non abbiamo riconsiderato le fasce di reddito in base al nuovo ISEE, questa è l’attenzione data agli studenti, perché dovrebbero iscriversi? Non promuoviamo la ricerca come si dovrebbe, non riusciamo ad attrarre fondi, ma forse ai docenti tutto questo va bene, non sappiamo, vorremmo dicessero qualcosa. Davvero per i docenti la priorità di questo Ateneo è comprare i tocchi per i nuovi colleghi?? Non abbiamo distribuito il salario accessorio nel modo in cui si doveva per gli infiniti rinvii dell’amministrazione, non abbiamo gestito l’organizzazione del lavoro nel modo in cui si doveva, non abbiamo dato le responsabilità come si doveva…

Non è raccontando che ora è tutto a posto che si fa il bene dell’università, non è vendendo fumo che si fa il bene dell’Ateneo. Ci si dovrebbe rimboccare le maniche, ma su una piattaforma comune a tutta la comunità, invece passa la linea del Rettore che è di facciata. Non ce ne voglia il Magnifico, ha fatto tanto a modo suo, ma non abbastanza, perché una priorità sarebbe stata quella di creare, rafforzare la comunità, il senso di appartenenza. Invece il clima lavorativo è sempre peggio. Dov’è la strategia di medio periodo? Non c’’è perché si pensa già alle elezioni del Rettore e questa inaugurazione è solo ideata per celebrare la fine dell’incarico del Magnifico. “Il re è nudo”. Colui che si sente il grande timoniere in realtà non ha fatto altro che rimestare con un bastoncino in una tinozza d’acqua sudicia. Domandatevi quali sono questi risultati… Elencateli da voi… Tardiva, … troppo tardiva risulta la convocazione di lunedì 26 ottobre di una contrattazione, per cercare di calmare gli animi. Davvero i vertici di quest’Ateneo credono che una convocazione metta l’animo in pace al personale che rappresentiamo? Vogliamo risposte vere, contratti firmati, chiediamo il rispetto del Contratto Nazionale di Lavoro!! A quale titolo dovremmo essere partecipi di una inaugurazione di anno accademico che ci vedrà ancora una volta ai margini di questa comunità, a dover essere lacchè o servi dei vertici, e non poter rivendicare la nostra dignità. Chi vuole essere lacchè si accomodi, noi no! L’inaugurazione avvenga ma non in nostro nome! O meglio, visto che siamo internazionali… e il Magnifico vuole un’inaugurazione in inglese, not in our name!

18 Risposte

  1. «Non vogliamo partecipare a un’inutile passerella che non ci rappresenta…»
    Come inizio niente male!, giornata piovosa ed uggiosa, il clima è, “freddino” e nulla potrà fermare la pomposa Inaugurazione del 775° anno accademico in Unisi. Le concrete e veritiere ragioni addotte dal personale TA, manifestate e diffuse attraverso i canali istituzionali, non fermeranno la impavesata cerimonia. A dir il vero, la festa è stata, alla sua vigilia, un po’ guastata per quanto era espresso nel comunicato sindacale; una terminologia, che a parere dei vertici di Unisi, era quantomeno irrispettosa (per quanto fatto dall’Amministrazione, in termini di risanamento) ed inopportuna (visto il corposo stuolo di carismatici Professori invitati, e a costo “zero”); queste modalità poco consone e mai riscontrate in comunicati del personale TA, se non in storici e remoti trascorsi, in nessuna Università italiana e poi questi, vengono riportati dalla stampa, e letti da tutti,
    Brr,come direbbe il nostro Presidente del Consiglio, che paura, ma no scherzavo, il brivido era per la “freddina” alba che “non rischiara”, piove governo ladro (sic!).

    Sena da Oxfo

  2. Inaugurazione in inglese? Che vergogna! Ma sono davvero lacché fin dentro nel cervello. Spero che Dante li strafulmini dall’aldilà …

    • … e pensare che i francesi chiamano il computer “ordinateur”, per tutelare orgogliosamente la lingua di Racine e Moliere, di Verlaine e Proust.

      VIGILE – Sì, sono di qua. Perché, m’ha ciapa’ per un tedesco?
      TOTO – Ah, è tedesco? (A Peppino) Te l’avevo detto io che era tedesco…
      PEPPINO- Ah… E allora come si fa?
      TOTO’ – Eh, ci parlo io.
      PEPPINO – (scettico) Perchè, tu parli…
      TOTO’ – Eh: ho avuto un amico prigioniero in Germania. Non m’interrompere, se no perdo il filo. (Al vigile) Dunque, excuse me, bitte schòn… Noio (indica sè e Peppino)…
      VIGILE – Se ghe?
      TOTO’- (a Peppino) Ha capito!
      PEPPINO – (a TotO’) Che ha detto?
      TOTO’ – (a Peppino) Dopo ti spiego. (Al vigile) Noio… volevam… volevàn savoir… l’indiriss…ja..

  3. @Mary et Rabbi Jaqov Jizchaq
    I vostri arguti ed ironici commenti mi hanno iniettato, e direttamente in “vena”, una sana e genuina dose di buon umore (nonostante ancora piove!), e il mio animo non può che giovarsene, grazie; spero che lo stesso buon umore arrivi, e faccia un po’ sorridere, anche al Prof. Giovanni Grasso.
    Ma veniamo al commento delle dichiarazioni del “Rettorino”:
    1 – «Francamente mi sembra che i fatti dimostrino che le cose in ateneo stanno andando bene.»
    Argh, bla bla bla! (vedi Codice Lelmi) o come Totò nella famosissima scena di Totò a colori “ma mi faccia il piacere (onorevole Rettorino)”
    2 – «Accetto critiche e accuse di ogni tipo senza replicare, ma qui si è passato il segno con epiteti eccessivi»
    Bang, ma proprio tu (Cal) che scrivevi, nel 2011 il 23 Dicembre, in “siena dalla piccola oxford all’universita delle truffe” (consiglio a tutti i lettori a rileggere attentamente questo vecchio, ma pure attuale, blog) “E se uno si sta dannando per tenere a galla la barca… farsi occupare da chi in parte ha contribuito a generare le falle… fa girare i cosiddetti.” , ma mi ri-faccia il piacere!

    Sena da Oxfo

    P.S. da “Siena dalla piccola Oxford all’universita delle truffe”:
    Da attenta mia analisi risulta che:
    carat. Verdana; Arial; Helvetica; sans-serif;
    tip. carat. Normale;
    dim. 9,7;
    sono del tipo utilizzati da Cal e Rettorino Unisi
    Ma forse è solo un caso!

  4. Stamani, vigilia weekend di ogni santi, con “santa pazienza” ma con giusta ironia traggo dal sopito tema Unisi questa:

    Telefonata di Angelo Riccaboni a Marco Tomasi del 5 novembre 2010

    Tomasi: Sì, pronto?
    Ricccaboni: Buongiorno, sono Riccaboni.
    Tomasi: Buongiorno, buongiorno.
    Ricccaboni: Buongiorno. Senta, si parte. Stamattina convoco il Consiglio di Amministrazione per lunedì o martedì in maniera tale che mi faccio dare il parere, si chiama la Fabbro, convoco il Senato, i Direttori di Dipartimento e poi, insomma, spero di… se è il caso, sono molto lieto di venire a Roma e fare quando volete, insomma…
    Tomasi: Sì, sì, bisogna farlo. Quindi lì, cosa si dice a Siena?
    Ricccaboni: A Siena c’è un grande sollievo perché questa situazione d’incertezza aveva messo tutti in grande difficoltà perché… è chiaro che c’era… assenza del Direttore Amministrativo, assenza di rettore. La situazione era veramente allo sbando. Tra l’altro, per fortuna c’è stata anche un’unione delle Istituzioni tutte. C’è stato insomma… senza fare troppa gazzarra, ha visto, non è che… però c’è stato una… insomma, questo è importante. Anche perché abbiamo fatto anche questo discorso. Ora bisogna lavorare tutti insieme veramente: Comune, Provincia, Regione ma anche Governo. Qui è stato un po’ trascurato, per esempio, il Governo! Io invece non devo guardare in faccia nessuno. Cioè… a me l’importante è che coinvolga tutti quelli che ci possano dare una mano. Il Governo in primis. Questo è chiaro. Se poi riusciamo a far diventare Siena modello per qualche cosa noi siamo disponibilissimi.
    Tomasi: Ha sentito la Ines Fabbro?
    Ricccaboni: Sì, ieri sera… a cena… ci siamo scambiati un po’ di sms, gli ho detto di preparare la caffettiera che si parte e mi è sembrata… insomma occupata come sempre insomma.
    Tomasi: Sì, sì, beh una brava persona.
    Ricccaboni: No, ottima, no, no, ma infatti questa è stata una cosa veramente ottima, aver avuto lei nella, nella selezione perché altrimenti era veramente un problema, ma… ritornando indietro c’ha ragione, io le do ragione che è un rischio fare queste… fare queste cose qua.
    Tomasi: No, no, non si possono fare, non si possono fare, no.
    Ricccaboni: Se uno è sfortunato… poi è difficile dire no, eh?!
    Tomasi: È troppo, troppo… in questa… è una falsa… è una falsa democrazia.
    Ricccaboni: Sì, sì, sì demagogia, demagogia.
    Tomasi: Sì, sì è demagogia, questa è demagogia, perché poi dopo, va beh insomma… lei ha visto il parterre dei candidati; metta che non avesse trovato la persona giusta! Mi dica, che cosa avrebbe fatto?
    Ricccaboni: Poi no, è difficile dirlo, no.
    Tomasi: Con il rischio di, addirittura, di avere dei ricorsi…
    Ricccaboni: Eh certo!
    Tomasi: Qualcuno che… che… magari avesse… cioè una cosa fuori dal mondo!
    Ricccaboni: Sì, sì, sono d’accordo, sono d’accordo. Infatti se capita anche io darò questo suggerimento proprio di… di evitare questo tipo di cose… ormai…
    Tomasi: No, no non paga perché a questi… a questi concorsi partecipano… quelli che sono scontenti di dove sono, capisce?
    Ricccaboni: È certo, no, no.
    Tomasi: Eh, tu non è che vai a comprare il meglio. Lì trovi quello che si offre su mercato! E uno che è bravo, non verrà mai a mettersi in concorso, in lista con… con… La Ines è stata una fortuna… di quelle che capitano una volta… proprio perché era in pensione, era fuori dal giro, perché abbiamo insistito! Ma se no, anche su piano dell’orgoglio, mettersi a fare un concorso… a 60 anni… dopo che una ha retto un… beh ha capito!
    Ricccaboni: No, ma poi tra l’altro… uno bravo non si mette certo di punta con il suo Rettore, perché comunica al suo Rettore che non sta bene dove è! Questo non è positivo, quindi…
    Tomasi: Niente! Per… Per… anche se uno non viene! No, no. È un errore strategico gravissimo. Io l’ho detto, l’avevo detto a Tesi… l’avevo detto a… a chi posso lo dico, perché l’ho provato, l’ho visto. Io ero in commissione a Bologna. I 5 che abbiamo scelto, il Rettore non li ha neanche voluti prendere in considerazione. Abbiamo creato… 5 sfigati in giro per l’Italia! E quindi… e quindi… tanto… le dico per esempio già 2 di quelli che erano fra i 5 di Bologna se ne stanno andando. Cioè… sono messaggi che poi dopo… una volta lanciati… sono pericolosi. No, quindi… è proprio una partita a perdere, insomma. La legge consente una scelta, uno fa una valutazione… mica che non debba fare una valutazione, che non debba sentire più persone… Però la scelta se la fa lui!
    Ricccaboni: Sì, sì ma quel finto… quel finto… quella finta democrazia, quel finto rispetto delle regole poi diventa masochismo.
    Tomasi: Esatto.
    Ricccaboni: Comunque, insomma, tanto a noi è andata bene, quindi andiamo avanti così.

    Oops!..
    “Oh perbacco non l’hanno fatto commendatore?” diceva il Principe Antonio de Curtis in Guardie e ladri ed aggiungerebbe “ma siamo uomini o caporali”.

    Sena da Oxfo

  5. Il personale TA ha molte ragioni dalla sua parte che certamente non discuto e anzi comprendo e sono solidale; ma personalmente vedo nell’azione dei sindacati un limite e almeno per quanto riguarda il presente avrei una sola critica da fare. Per il passato, by the way, mi pare surreale che non si fossero accorti dei 300 milioni di buco, o che all’indomani della “scoperta” invitassero a ridurre il personale docente (un comunicato riportato illo tempore anche in questo blog, già oggetto degli innocui strali del sottoscritto), genialmente invitando a segare il ramo dove essi stessi sedevano, visto che già si profilava all’orizzonte, ineluttabile e catastrofica, l’uscita di ruolo di 500 docenti su 1000 a turn over fermo (sicché nel 2020 avremo la situazione assurda di due TA per ogni docente, caso unico in Italia, con molti meno studenti e meno della metà dei corsi di studio rispetto al 2007).

    Al popolino si dà da mangiare pane e retorica. L’uomo della strada (Dio voglia che lo metta sotto un tram) di tutto questo, cioè dello stritolamento determinato dai meccanismi dei requisiti minimi di docenza, delle innumerevoli pretese di una sempre più surreale burocrazia ministeriale, difficilmente soddisfacibili in presenza della attuale desertificazione; della frattura, lo iato generazionale determinato dal blocco decennale del turn over, nulla sa, e pensa che smantellare un’istituzione scientifica sia come chiudere un ufficio delle poste, ripetendo la litania che “e so’ troppi e un fanno una sega”, magari abbacinato da qualche grafico malcompreso o dal discorso di qualche sentenzioso tribuno che inveisce, senza troppo distinguere, contro “la casta” degli universitari (che tanto, oramai, anche i vigili urbani che si aggirano poco urbanamente in mutande costituiscono una “casta”). Tutto ciò ammonta ad un liberatorio e fascistissimo me ne frego.

    La sollecitazione che pertanto rivolgerei per il presente ai sindacati e alla politica (ma anche alla stampa locale) è di puntare finalmente i riflettori sui problemi intorno ai quali ho umilmente cercato di richiamare l’attenzione nei miei precedenti messaggi, che coinvolgono il destino stesso dell’ateneo, riguardo al quale lo scettico raziocinante è autorizzato a sospettare che il continuo ciclostilare comunicati invariabilmente all’insegna dell’ottimismo, serva principalmente a dissimulare la consapevolezza che forse, al contrario, tutto rose e fiori non è.

    Si ponga cioè l’attenzione sulle strutture, in relazione all’attuazione delle recenti riforme e ai processi di sempre maggiore integrazione regionale, visto che anche nell’industria, difficilmente le maestranze possono trarre profitto dal costante smantellamento degli stabilimenti e delle catene di montaggio. Voglio dire che oramai la battaglia non è più sul terreno meramente sindacale, nella finzione che le parti contrapposte siano lì, immobili e sempre uguali a sé stesse, ma politico e a me francamente dà uggia che la drammaticità del processo di trasformazione in corso venga ora celata dietro un inane ottimismo, ora dietro le carte bollate.

    Siamo tutti inebriati (e ricattati?) da questo profluvio di valutazioni, ANVUR, SUA, VQR ecc. ecc. da dimenticare quasi che non siamo a “Ossforde” e che qui non entra un giovane da dieci anni circa (se ne entrerà qualcuno nei prossimi anni, sarà un ristrettissimo gruppo di miracolati che non modificherà la sostanza). Dall’operazione di chiusura delle facoltà, alla cancellazione di metà dei corsi di studio, alla scomparsa, già avvenuta od imminente di aree cruciali della cultura e delle scienze di base, sul destino di chi opera in queste aree (TA compresi) e sul nuovo assetto che scaturirà a seguito di queste trasformazioni, non si sente volare una mosca. Dal che deduco che vi è un ampio consenso e tante lacrime di coccodrillo. È c’è sicuramente chi amerebbe comminare mille frustate islamiche a chi solleva dei dubbi.

  6. Rabbi, è la situazione qui da me. Già pregelminica (nel senso che molti docenti non si sono curati affatto di tirar dentro qualche giovane quando un po’ si poteva) è ora drammatica.
    Chiudiamo, fra poco, dei buoni corsi con meno iscritti per tener su carrozzoni digitalmediatici che attirano studenti di basso cabotaggio (bisogna pur dirlo!). Molti se ne fregano, fanno lezioni di livello sempre più nazionalpopolare; non importa se sono di destra o di sinistra. Tutti complici de jure et de facto. Chi tiene duro è additato a silente disprezzo, accusato di non adeguarsi ai tempi e ritenuto pure un po’ stranello. Regna il verbo tecnoburocratico, le frustate sadomaso dei nuovi poterini informatici che odiano la carta. Due biblioteche lasciate marcire perché tanto il libro non è più bene inventariabile …
    Un crollo su tutto: sapere, etica, qualità dello studio. Che fare???

  7. @ Mary
    …la situazione qui da me
    Lo sanno oramai anche i sassi.. che “la nostra situazione” ( imprinted in Italy) si avvicina sempre più pericolosamente verso il “precipizio”; scivolerà disordinatamente sul fondo del burrone, come sassi e macigni, sabbie e suoli, limi ed argille, in gigantesca frana. E tutti esterneranno: oooh!, che tragedia.

    La nostra situazione è qualche cosa di diverso
    non è per niente “ricerca” e non è forse neanche “didattica”
    ci limitiamo a vivere dentro nello stesso “carrozzone”
    un po’ per abitudine o forse un po’ anche per dispetto
    non è un segreto dai lo sanno tutti
    e tu (noi) sei buffa quando cerchi di evidenziarlo alla gente.
    (tratta e modificata da …Ma cosa vuoi che sia una canzone… di V. Rossi, 1978)

    Sena da Oxfo

    • @Mary

      Scompaiono tutte le scienze di base, insostenibili, dicono, in tre atenei e dunque si fa fuori Siena. Si va verso una dimensione (dicono alcuni) “applicativa ” , modello forse “Fachhochschule” germanica. Oppure-dicono altri- si va verso la “teaching university” americana, ma qui non c’è nemmeno il quadro legislativo che consenta di operare simili distinzioni. E cosa sarebbe il fritto misto di “researching university” nelle poche aree sopravvissute in salute, e “teaching university” nelle altre?

      Occorre prendere atto che la sempre più decisa separazione fra “teaching universities” e “researching universities”, vuol semplicemente dire “grosse università del nord”, una per regione, e piccole università di provincia, ridotte al rango di sedi distaccate (lo slogan “piccolo è bello”-la chimera del piccolo ateneo ultraspecializzato in qualche cosa- non mi pare riscontri grande considerazione). Qualunque sia la decisione al riguardo, però, non si può improvvisare alla giornata, né si può tirare il sasso in piccionaia per poi nascondere la mano, senza di assumersi le proprie responsabilità di fronte ad una scelta del genere, davanti agli studenti, alla città, ai dipendenti (docenti e non docenti).

      Un chiarimento è dovuto alle persone che in questo ateneo studiano e lavorano, per l’onore stesso dell’istituzione. Ed appare vieppiù irrinviabile, così come una chiara decisione riguardo alla sorte di chi opera in quelle aree (in pratica tutte le scienze “pure” di base) che si è deciso di lasciar morire in una sorta di oblio. Nella gran confusione el disfacimento delle facoltà, oramai non si sa, o si fa finta di non sapere neppure chi fa che cosa, e questo, per così dire, favorisce il distendersi di una coltre di oblio (chi ha avuto, ha avuto).

      Anche qui, sarà giusto? Ingiusto? Non so: 1,2,X. Nonostante i massicci pensionamenti, stiamo parlando di parecchia gente, che in condizione di smantellamento costante deve nondimeno ottemperare agli obblighi dell’ANVUR e soddisfare le richieste del ministero.

  8. @ Rabbi Jaqov Jizchaq: «…ma personalmente vedo nell’azione dei sindacati un limite e almeno per quanto riguarda il presente… mi pare surreale che non si fossero accorti dei 300 milioni di buco.»

    Allora, il cielo di stamani si presenta con una mezza luna velata da nuvole. Ma comunque risplendente, cioè, per associazione transitiva, come il tuo pensiero.
    E mi spiego meglio, già in passato (in mio post su questo blog) ho cercato di evidenziare che “i sindacati” non sono organi preposti al controllo dei conti, ma semplicemente sottoscrivono accordi con la parte pubblica (Rettore, Direttore Generale, ecc.) la quota parte di danaro da distribuire al personale TA, secondo il CCNL (Contratto Collettivo Nazionale Del Lavoro). Gli organi di contollo dei conti, invece, sono il Collegio dei Revisori dei Conti (per la parte di leggi, regolamenti, ecc.) e se presenti, il consiglio di sorveglianza (supervisory board) e il consiglio di gestione (management board), tutti facenti parte del consiglio di amministrazione (“board of directors”). Ma che ci “azzeccano” (direbbe il buon e genuino Dottor Antonio Di Pietro) i sindacati?

    Sena da Oxfo

    • @Sena da Oxfo

      … si, “se bastasse una bella citazione” (in tribunale), saremmo tutti più felici.
      Invece di denunciare questo o quel blogger (in una situazione in cui non si sa neppure se qualcuno mai pagherà il disastro finanziario dell’università di Siena) sarebbe bene che le competenti autorità facessero uno sforzo per farci capire quali sono le reali prospettive di questo ateneo, in un contesto nazionale dove si parla di sopravvivenza a livello di competizione internazionale, di al più una dozzina di grandi atenei e di riduzione degli altri, di fatto a sedi distaccate. Si è parlato di scrivere nel diploma di laurea il “ranking” dell’ateneo di provenienza, sicché con un diploma conseguito in un ateneo di serie B potrai farci, non dico che cosa. È giusto? Ingiusto? Non so: 1,2,X, ma è QUESTO all’ordine del giorno, e QUESTO pare costituire un destino ineluttabile.

      L’opinione pubblica è indifferente. Il dibattito pubblico è arretrato di almeno dieci o venti anni. Ciò che vi è di assolutamente surreale è che sui giornali si continui a parlare di cose come le “facoltà” (che non esitono più dall’era della legge Gelmini), in un teatrino immaginario popolato di fantasmi di realtà estinte, come se tutto fosse rimasto uguale a vent’anni or sono; mentre di uguale, in questo ateneo completamente trasfigurato, non ci è rimasto proprio niente: a Siena, poi, va via metà del corpo docente, hanno chiuso metà dei corsi di studio, non si fa reclutamento da quasi due lustri e non si sa che fine farà ciò che vi è rimasto, nel quadro di una sempre maggiore integrazione a livello regionale, all’ombra del “dominus” pisano.

      Ma se uno dice “piove”, quando piove, è un menogramo oppure uno che dice la verità? L’immagine di una incessante frenesia burocratico-amministrativa (una vi di mezzo tra la “mobilitazione totale di Ernst Junger e il il “facimme ammuina” partenopeo) spesso serve solo a celare l’irresolutezza di fondo: se viceversa quando piove uno predica che c’è il sole – si pensi alla notizia falsa di una settantina di NUOVI professori, quando si tratta solo di avanzamenti di carriera- non suscita alcun sospetto? Io dico quello che vedo, negare la realtà non è utile, né onesto.

  9. Sono (siamo) amareggiati sempre più. Alcuni di noi personalmente non cedono agli idola fori del momento, ma questo momento è una notte lunghissima di cui non si vede la fine. Quando un paese di buone tradizioni scientifico-culturali si dimezza con una politica perseguita consapevolmente, con un manipolo di sciacalli che misurano le pubblicazioni con indici commerciali, con eliminazione del posto RTI, un modo dignitoso e sicuro per i giovani di entrare in ruolo e lavorare con la vita davanti, ci resta certo la dignità di non adeguarci, ma in certi momenti è davvero troppo poco.

    • Davanti ai fenomeni che ho cercato di descrivere e che mi pare siano sotto gli occhi di chi vuol vedere, molti, preso atto dell’impotenza davanti alla situazione, intonano languidamente:

      Que sera, sera
      Whatever will be, will be
      The future’s not ours to see
      Que sera, sera
      What will be, will be

      (con un basso ostinato che contrappunta: “tiriamo a campà, tiriamo a campà…”).
      Ma il fatalismo è un lusso che non tutti possono permettersi.

  10. @ Rabbi Jaqov Jizchaq,
    …L’opinione pubblica è indifferente. Il dibattito pubblico è arretrato di almeno dieci o venti anni. Ciò che vi è di assolutamente surreale è che sui giornali si continui a parlare di cose come le “facoltà” (che non esitono più dall’era della legge Gelmini), in un teatrino immaginario popolato di fantasmi di realtà estinte, come se tutto fosse rimasto uguale a vent’anni or sono; mentre di uguale, in questo ateneo completamente trasfigurato, non ci è rimasto proprio niente: a Siena…

    L’alba stamani stenta a rischiarare, corpose nubi limitano l’esplosione di lux.
    Rabbi (Bang!) hai centrato il bersaglio. E ti rispondo, con sperticata audacia, come fece E.A. Poe, nel “1848” a New York, con “Eureka: A Prose Poem” (Sic!), lanciando la seguente:

    Ci sono tanti colleghi
    di cui ci siamo privati
    perché questa Università
    li vuole Esodati.
    Però son fianco a fianco
    ad altri ricercatori
    che passano la vita
    dentro i laboratori.
    Si stanno organizzando
    per far della ricerca
    una base di lotta
    contro i Baroni.
    Per questo hanno bisogno
    anche del nostro scudo:
    se noi lottiamo di fuori,
    per loro sarà un aiuto…
    (tratta e modificata da “Dannati della terra”,1969)

    Sena da Oxfo

    • @Sena da Oxfo
      tanto per restare nella rima baciata, come il versificatore automatico di Primo Levi, leggo nel sito ROARS:

      “Diritto allo studio calpestato,
      FFO severamente ridimensionato,
      turn-over strangolato,
      finanziamento per la ricerca di base azzerato,
      premialità che sancisce l’irrilevanza del lavoro didattico,
      scatti bloccati:
      che senso ha sottoporsi ad una nuova valutazione della ricerca, condotta con metodologie parascientifiche, che verrà usata per ripartire risorse esigue senza attribuire premi degni di questo nome, ma solo punizioni destinate ad accelerare il collasso dei più deboli, atenei del sud in testa? ”

      @Mary

      “Not everything that counts can be counted, and not everything that can be counted counts” (Albert Einstein)

  11. Beh, sono d’accordo. Anzi, le cose che non possono essere contate sono spesso quelle che contano. Se impiego otto ore a preparare una lezione e discuto con uno studente per un’ora a correggere la sua tesi non faccio girare il PIL, ma penso di svolgere bene il mio compito. Se ho 250 studenti, faccio lezione e scappo appena posso dall’aula rimbombante passo invece per virtuosa perché ho ottimizzato il rapporto numerico studenti-docenti. Con quali risultati?

  12. […] più problematici che altrove (e sulla problematicità di questi indicatori in quanto tali, si è soffermata Mary), ma non e vero per altri, dove valgono gli stessi standard di rigore che per le scienze. In ogni […]

  13. P.S. Stamattina all’alba, sempre a “Prima Pagina”, hanno dato conto di una indagine OCSE secondo la quale l’Italia è ultima o penultima in tutte le graduatorie inerenti la capacità di comprensione di un testo nella propria lingua e le abilità di calcolo. I risvolti politici di questo fatto (gli italiani capiscono solo messaggi ipersemplificati, cioè puramente demagogici) sono evidenti, ma in ciò, ovvero nella equi-ignoranza, si realizza l’unico singolare abbraccio fra cultura “umanistica” e “scientifica”.

Scrivi una risposta a Mary Cancella risposta