Aleggia sullo sfondo il programma malcelato di riduzione di Siena ad ancella, produttrice di lauree triennali per gli altri due atenei toscani
Rabbi Jaqov Jizchaq. Scrive il candidato rettore Frati: «Negli ultimi anni, la contrazione del personale docente e l’introduzione di vincoli stringenti ai requisiti minimi per l’attivazione dei Corsi di Studio hanno indotto in tutto il sistema universitario nazionale una riduzione del numero di Corsi di Studio.»
Sì, è un problema nazionale: «Rispetto al suo momento di massima espansione, tra il 2004 e il 2008, nel 2014-15 sono diminuiti di un quinto gli immatricolati (-20,4%), i docenti (-17%), il personale tecnico amministrativo (-18%) e i corsi di studio (-18%). In calo del 22,5% anche il fondo di finanziamento ordinario (in Germania è cresciuto del 23%) e sono ancora pochi i laureati: ha ottenuto il titolo il 23,9% dei giovani, la quota più bassa della classifica Ue.»
Ma qui siamo andati ben oltre, se è vero che abbiamo chiuso decine di corsi di laurea (grosso modo la metà delle triennali e la metà delle magistrali), stiamo cancellando aree scientifiche di base e abbiamo decimato i dottorati. Siena si avvia a perdere circa il 40% dei docenti, che passeranno da 1064 a 600 circa un po’ a casaccio, cioè aspettando che vadano in pensione, e non sulla base di un oculato, ancorché doloroso taglio (giacché com’è noto, anche per tagliare le teste ci vuole un boia provetto). Questo è ben più del 17% nazionale. Soggiungo che, stanti le vigenti norme, gli atenei “virtuosi” potranno gradualmente riprendere un turn-over a ritmo normale, mentre qui resteremo ancora a lungo al palo, centellinando i posti.
Agli occhi del popolino questo dimagrimento è stato giustificato da certi media con una certa rozzezza, vellicando la ben nota avversione dell’uomo della strada (non ancora travolto da un tram) per il culturame, e da quelli che sciorinano numeri, dimentichi degli enormi squilibri, ricorrendo alla demenziale e trilussiana statistica sul rapporto docenti/studenti, per la quale se in una certa area vanno tutti in pensione e in un’altra ci sono venti professori (frutto di antiche mangiatoie), “la statistica” deduce che entrambe hanno dieci professori. Senza dire che la perdita di quasi 6000 studenti ha contribuito non poco a questa “statistica”, innescando un circolo vizioso autodistruttivo. Aggiungo che in certi casi la decimazione è stata attuata con una certa irresponsabile concupiscenza, strafottendosene sia del valore delle cose, sia delle persone sulle quali si passava sopra col rullo compressore.
Aggiunge Frati: «Il rinnovamento della nostra offerta formativa può essere uno strumento formidabile di rilancio per l’Ateneo.»
Sì, ma come, se i problemi sono quelli sopra detti? Come fai a rinnovare l’offerta con sempre meno docenti? L’iperrealismo con il quale è stata attuata la riforma ha fatto sì, poi, che ci si adoperasse con zelante alacrità per distruggere le vecchie “facoltà”, edificando al loro posto edifici pericolanti come la famosa “casa di Swift”, così perfettamente equilibrata da non sopportare che un passero vi si posasse. A meno che per “rinnovamento” non si intenda semplicemente il fare di necessità virtù (non può quel che vuole/vorrà quel che può), come la massaia che debba preparare la zuppa, trovando però nel frigorifero desolatamente vuoto solo qualche cipolla e un po’ di sedano avvizzito. Spero che non si continui a spacciare per rinnovamento il continuo accorpare e cambiare denominazione dei corsi man mano che diventano insostenibili a causa dello svuotamento delle cattedre.
Aleggia dunque sullo sfondo il programma malcelato di riduzione di Siena ad ancella, produttrice di lauree triennali ed altri servigi per gli altri due atenei toscani, del quale parla espressamente Repubblica (e parlano soprattutto i fatti!).
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