Alla ricerca della piramide perduta

L’ascesa del «Faraone» nell’Ateneo della ‘grandeur’ (Piero Tosi: il patologo che studiava da ministro) (Da: La Nazione Siena, 19 febbraio 2012)

Tommaso Strambi. «Va bene per martedì alle 18.30. Ma non incontriamoci al Rettorato. È  meglio vederci al solito posto …». Sono le 14 e 17 minuti del 10 novembre 2010. Fissato l’appuntamento, il professor Piero Tosi saluta Angelo Riccaboni, il giovane ‘delfino’ che, proprio in quei primi giorni di novembre si è insediato in Banchi di Sotto, dopo una lunga attesa dovuta alle incertezze dell’allora ministro dell’Università, Maria Stella Gelmini, a firmare il decreto di nomina a Rettore vista l’esistenza di un’inchiesta della magistratura sulla regolarità delle elezioni che nel luglio precedente avevano visto Riccaboni superare per un pugno di voti (16) il ‘magnifico’ uscente, Silvano Focardi. Perché non parlare in Rettorato? Chissà? «Meglio vedersi al solito posto», osservano. Lasciando, intendere, che è una prassi consolidata. «Malelingue», ribatteranno. Forse, non essendo esperti di cultura africana, non conoscono il vecchio proverbio secondo il quale se devi nascondere un albero quale posto migliore della foresta. Ma tant’è. Così andiamo avanti «con il solito». In fondo lo diceva anche la pubblicità: «Mario, il solito!». Altro giro, altra corsa. È il professar Tosi a chiedere a Riccaboni un appuntamento. Ci sono tante cose da affrontare. E lui lo sa bene. Per dodici anni – prima dell’appassionato contradaiolo della Chiocciola Focardi – ha guidato l’antico Studium senese. Non per nulla è stato un ‘grande elettore’ di Riccaboni, il giovane economista che lui stesso nel 1997 aveva chiamato a presiedere il Nucleo di valutazione dell’Ateneo (incarico che ricoprirà sino al 2004) e, poi, ad aiutarlo a fondare il Cresco. Non solo. Nel 2005 sarà sempre Tosi a sostenerlo nella corsa alla presidenza della Facoltà di Economia e, poi, ancora ad affidargli l’incarico di prorettore per la sede distaccata di Arezzo. Questione di cooptazione. L’Università italiana funziona così. Da sempre. Bisogna mettersi in coda e confidare nella benevolenza del ‘barone’. Ma tra Tosi e Riccaboni non c’è il solito rapporto da docente e discepolo. Il primo, infatti, è un eminente patologo con 300 pubblicazioni scientifiche e testi di Anatomia e Istologia Patologica nel curriculum, il secondo è un economista. Cosa accomuna, dunque, il medico e il professore di economia aziendale? La gestione dell’Accademia. Sapere e potere che, sovente nelle aule universitarie, si confondono in un connubio indissolubile. E Tosi lo sa bene. Ha sempre accompagnato all’intensa attività scientifica quella di gestione della res universitaria. Tanto che nel 1981 diventa prorettore. Il primo passo della carriera ‘nelle stanze dei bottoni. Quel cammino che negli anni Novanta lo porterà a diventare a sua volta Rettore. Molti ex presidi e docenti ricordano ancora quando, nel corso di una seduta del Senato Accademico, l’allora ‘Magnifico’ Luigi Berlinguer, in procinto di diventare ministro della Pubblica Istruzione, mettendogli le mani sulle spalle lo indicò come suo successore. E nel 1994, in effetti Tosi, con qualche mese di anticipo rispetto ai tempi programmati, divenne Rettore. L’inizio di un nuovo ‘Regno’, ma nel segno della continuità. Beninteso.

Anche Piero Tosi, come il suo predecessore, sa miscelare doti da ammaliatore e tessitore di relazioni, ma con un’inclinazione, ancora più spiccata, alla grandeur. E, a spalleggiarlo, Tosi trova Maurizio Boldrini. Che teorizza e mette a punto la più grande area comunicazione mai vista all’interno di un Ateneo. A dire il vero Boldrini ci aveva provato anche nella gestione Berlinguer, ma si era dovuto scontrare con l’inflessibilità ed il rigore della ‘comandante’ Jolanda Cei Semplici. Tra lei e il comunicatore non c’era un gran feeling. Anzi. Nel segreto delle stanze lei lo aveva ribattezzato il ‘giornalaio’. Così, nel momento in cui la Semplici lasciò gli uffici di Banchi di Sotto, Boldrini poté finalmente mettere a punto il suo piano. Intanto, sull’altro versante, Tosi moltiplicava corsi di studio e cattedre. Un vero e proprio maestro in questo. Il capolavoro lo compie il 19 aprile del 2002. Quel giorno sottoscrive con l’Azienda ospedaliero-universitaria senese un accordo per «lo sviluppo delle attività di ricerca e docenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia per settori di interesse per le funzioni assistenziali della Facoltà stessa». Inutile dire che a controfirmare l’accordo fu Jolanda Cei Semplici nella sua veste, questa volta, di direttore generale delle Scotte. Alè! Inizialmente i soldi venivano presi da fondi erogati dalla Regione Toscana ma, da preveggente, Tosi si preoccupava di non far mancare cattedre a coloro che le avrebbero così ricevute. Per questo l’articolo 4 dell’accordo evidenzia «al momento dell’eventuale interruzione concordata del finanziamento per la retribuzione della docenza reclutata, l’Università se ne farà carico, con propri fondi di bilancio comunque acquisiti». In fondo «un posto fisso» non si nega a nessuno. Anche pochi mesi prima, alla fine di dicembre 2001 ci fu un’infornata di assunzioni. E questo, nonostante, il direttore amministrativo dell’epoca, Loriano Bigi, avesse firmato una relazione in cui si metteva in guardia dall’eccessivo drenaggio di risorse per il personale. Mentre nel dicembre del 2005, allorquando si diffuse la notizia che la Finanziaria 2006 avrebbe stabilito il famoso rapporto del 90% tra spese e personale, in soli quattro giorni (dal 16 al 20 dicembre) vennero ‘sgonfiate’ tutte le graduatorie ancora in essere. Un vero peccato lasciare qualcuno a casa. Via, così, all’assorbimento di tutti i ruoli banditi in precedenza. Avanti un altro! E, se i soldi non ci sono, si troveranno. I bilanci, del resto, si aggiustano. All’epoca non si sapeva, ma l’inchiesta aperta dalla Procura di Siena qualche anno dopo (nel 2008) lo ha dimostrato. E sebbene Tosi osservi «che io sono arrivato a fare il rettore da patologo e il mio successore da ecologista: cosa volete che ne sappiamo di conti», dai riscontri degli uomini della Guardia di Finanza incaricati dai magistrati della Procura, alla fine della fiera, dalle casse dell’Ateneo mancano, almeno, 200 milioni. E, comunque, qualche ‘ritocco’ si può sempre fare. Così tra i faldoni della Procura c’è anche un appunto manoscritto, datato 11 febbraio 2003, che ha spinto i magistrati ad ordinare una perizia calligrafica. Secondo l’ex direttore amministrativo Interi, infatti, alcune correzioni a penna erano state fatte da Tosi «desideroso di ricucire lo scollamento tra entrate ed uscite, pari a circa 18 milioni di euro». Una ricostruzione che la consulente nominata dai pm, Rosaria Calvuana, ha confermato: «le manoscritture di colore nero presenti nell’appunto datato 11 febbraio 2003 appartengano alla mano del professor Piero Tosi». Vedremo. Se e quando sarà celebrato un processo. Tra le inchieste e le sentenze, infatti, ci sono sempre i dibattimenti in aula.

E, anche questo, l’ex rettore Tosi lo sa bene. Il 27 aprile del 2010 è stato assolto per una serie di accuse (dalla truffa all’abuso d’ufficio, dalla tentata concussione alla falsità materiale) in cui era incappato con altri docenti ed ex direttori generali dell’università e dell’azienda ospedaliera-universitaria. Anche se, per due concorsi (medicina legale e chirurgia plastica), deliberati a maggioranza dall’università, ma «non in modo regolare» secondo le accuse in quello stesso processo, Tosi è stato condannato (con il riconoscimento delle attenuanti generiche e la sospensione della pena) a nove mesi. In fondo, il potere ha sempre un costo. E al ‘faraone’ Tosi il potere piace. Ne è affascinato. E Siena per lui è piccola. Perché non puntare in alto? L’occasione la fornisce la Crui. Per Tosi è un gioco da ragazzi conquistarne la guida non appena un altro rettore toscano, il matematico Luciano Modica, lascia Palazzo alla Giornata (la sede del rettorato di Pisa) per candidarsi alle elezioni suppletive al Senato. La Crui è un trampolino di lancio importante per chi aspira ad un ruolo da ministro. Tosi lo ha imparato da Berlinguer. E così ci si butta anima e corpo. Tanto che nel novembre del 2004 porta in Senato Accademico una modifica allo Statuto in modo da «far coincidere il termine del proprio mandato quale presidente della Crui con quello di Rettore». Nessuna forzatura, beninteso. Tosi, si legge nella delibera, «comunica di aver ricevuto, da parte di presidi e rappresentanti di area in Senato, una sollecitazione». Ci mancherebbe che qualcuno pensasse ad un Ateneo ad «uso e consumo». Roba da regimi. Qui, siamo in democrazia. Così la delibera passa con il voto di tutti i presenti, compreso quello di Tosi. La cosa non passa inosservata e il professor Giovanni Grasso presenta ricorso al Tar. Ma i giudici amministrativi, senza entrare nel merito, ‘bocciano’ il ricorso «perché il ricorrente avrebbe dovuto procedere solo dopo la delibera ad hoc del Senato accademico». Ed, in effetti, era quello che aveva fatto il professor Grasso. In realtà, quello che mancò fu l’atto amministrativo di recepimento di quella delibera approvata il 15 novembre 2004. Quisquilie. Dopo la pronuncia del Tar la cosa non andò avanti e Tosi rimase alla guida di Banchi di Sotto e della Crui. Come sollecitato dai colleghi e come previsto. Purtroppo, il 26 febbraio 2006, il sogno si infranse davanti agli uomini della polizia giudiziaria che gli notificarono un’ordinanza di interdizione. Un tramonto improvviso, solo in parte risarcito (come abbiamo visto) dalla sentenza dell’aprile 2010. E pensare che in quella primavera del 2006 l’Ulivo vinse davvero le elezioni. Il «barone rosso» avrebbe potuto ben figurare nella compagine governativa alla guida del dicastero della Sanità o di quello dell’Università e della Ricerca Scientifica. Che peccato! E, invece, lasciata la cattedra, è fra color che aspettano che il gup decida sulle 18 richieste di rinvio a giudizio formulate dalla Procura in merito all’inchiesta sul dissesto dell’Ateneo. «Sono tranquillo – dice -. Ho fiducia nella magistratura, ho la coscienza a posto e sono sicuro di dimostrare di aver sempre agito in buona fede. A breve, comunque, mi farò sentire, è venuto il tempo di parlare e raccontare come stanno veramente le cose. Non solo leggere quanto viene scritto da altri». Perché no? È una questione di trasparenza e chiarezza. Sempre. E non solo «al solito posto».

6 Risposte

  1. Non essendo un esperto in materia, mi chiedo: come fa uno che è stato nominato prorettore nel 1981, successivamente preside della facoltà di Medicina e Chirurgia, poi rettore per 12 anni, studiando, nel frattempo, da ministro, a firmare oltre 300 pubblicazioni scientifiche? C’è qualcosa che non quadra. Che cosa vuol dire firmare una pubblicazione scientifica? C’è qualcuno che me lo può spiegare?

  2. Se vuoi te lo spiego… ma non qui… facciamo al solito posto?

  3. Trenta e lode a Simonetta! Però, proviamo a spiegarlo al “cittadino qualunque”. Evidentemente, Tosi apparteneva a quel gruppo di docenti che pretendeva che tutte le pubblicazioni che uscivano dal suo Dipartimento avessero tra gli autori il nome del caposcuola.

  4. Premesso che se Simonetta e il Cittadino qualunque si incontrano voglio esserci anch’io (credo di poter portare un utile contributo), ecco alcuni stralci di un articolo, per altro scritto da un italiano sull’argomento (http://www.nature.com/embor/journal/v5/n5/full/7400161.html): “afferma Iain Mattaj, direttore scientifico dello European Molecular Biology Laboratory (EMBL) e direttore esecutivo dell’EMBO Journal:
    – penso che una delle cose più sbagliate, nel sistema di firma delle pubblicazioni scientifiche sia rappresentata dall’uso di firmare una pubblicazione scientifica alla quale non è stato dato alcun contributo (la cosiddetta firma onoraria);
    – Il credito di autore deve essere basato sui seguenti parametri: 1. sostanziale contributo all’idea, al disegno, all’acquisizione e all’elaborazione dei dati; 2. scrittura dell’articolo o revisione nelle parti concernenti il contenuto intellettuale dell’articolo; 3. approvazione della versione finale.
    Secondo l’International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE) (http://www.icmje.org), se un soggetto non soddisfa questi requisiti o ad esso non possono essere attribuiti ruoli, il suo nome non dovrebbe comparire tra gli autori della pubblicazione scientifica.
    Secondo lo US National Institutes of Health (NIH):
    – se uno scienziato conduce una ricerca su un’isola remota e un pescatore gli concede accesso alla sua proprietà per la raccolta di materiale biologico, il pescatore avrà dato un contributo sostanziale alla ricerca, ma questo non gli garantisce necessariamente la firma della pubblicazione; e inoltre:
    – similmente, se uno fornisce un bancone o un microscopio o dona parte dei suoi fluidi per la realizzazione della ricerca, neanche questo gli garantisce la firma sulla pubblicazione scientifica.
    Per concludere:
    – la comunità scientifica è orgogliosa del fatto che il suo lavoro sia basato su ethos e meritocrazia, imparzialità ed onestà… per altro non ci sono sanzioni o forme di punizione, per gli autori fraudolenti, se non il licenziamento (!) e l’esclusione dai finanziamenti (!!)…
    Ci sarebbe ancora molto da dire, ma non voglio dilungarmi oltre; se la discussione avrà un seguito, sarò ben lieto di aggiungere dati.

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  6. […] italiana. Il gruppo di potere (guidato dal “grande vecchio” Luigi Berlinguer e da Piero Tosi), che in questa competizione elettorale schiera addirittura due candidati (i “Berlinguer […]

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