Dopo il sindaco di Siena, il presidente della provincia e la Cgil, il nuovo Statuto dell’Università bocciato anche dalle donne

Il nuovo Statuto dell’Università di Siena nasce non all’insegna del “maschilismo” (fosse solo questo!) ma all’insegna dell’indeterminatezza, della genericità e dell’insipienza. «Faremo valere le nostre ragioni in tutte le sedi e in tutte le forme che riterremo opportune ed efficaci», si legge nel documento che segue. La presenza, tra le firmatarie, di quattro consigliere di amministrazione (Marcella Cintorino, Enrica Bianchi, Mirella Strambi, Maria Frosini), che si aggiungono ad altre quattro donne del CdA (Floriana Rosati, Moira Centini, Francesca Giuli e Ines Fabbro), induce a pensare che lo Statuto – che esclude le donne dai luoghi di responsabilità, relegandole a «mortificanti posizioni di basso profilo» – subirà una sonora bocciatura in sede d’approvazione da parte del CdA. “Se non ora quando?” Comunque, se ne riparlerà dopo il Consiglio di Amministrazione.

Anna Coluccia, Serenella Civitelli, Marcella Cintorino, Enrica Bianchi, Mirella Strambi, Maria Frosini, Michela, Pereira, Monica Bianchi, Marina Ziche, Samantha Tufariello, Lucia Maffei, Elisa Giomi, Elena Gaggelli. L’orientamento espresso dall’attuale governance universitaria, col mancato riconoscimento di posti riservati per le donne nel futuro Consiglio d’Amministrazione, è coerente rispetto all’episodio, esso pure gravissimo, dell’assenza di rappresentanti femminili nella Commissione incaricata di redigere il nuovo Statuto. In passato abbiamo tutte combattuto, sia pure con modalità e da posizioni differenti, per l’affermazione dei diritti delle donne nella società e nell’università italiane. Mai avremmo immaginato, allora, che il futuro ci avrebbe riservato momenti come quello attuale. Sognavamo, e progettavamo, una società e un’università più a misura di donna. Sapevamo di lottare non solo per noi, ma anche per le generazioni future, per le giovani (e i giovani) di oggi. Ebbene, siamo incredule di fronte a ciò che il presente ci mette dinanzi agli occhi, e lo sgomento e l’amarezza aumentano perché i diritti delle donne sono disconosciuti e negati proprio a Siena, nella nostra Università. Altrove peraltro – non solo nelle più avanzate nazioni occidentali, ma anche nella nostra Italia, solitamente così poco sensibile a recepire le istanze delle donne – il clima sembra essere cambiato, o sul punto di cambiare: la politica e la legislazione si adeguano sempre di più a ciò che sembra diventata una sensibilità diffusa e condivisa. Si avvia a diventare ovunque pacifico, ormai, che le donne debbano poter contare davvero, e che quindi abbiano diritto a essere adeguatamente rappresentate in tutti i settori della società.

La nostra Università sembra ignorarlo, e questa è per noi motivo di grande sconcerto, e anche di rabbia. Dispiace e amareggia che, in un momento così difficile, si dimostri così poca sensibilità alle più che legittime, elementari aspettative della componente femminile della comunità accademica. Queste aspettative vanno oltre l’ormai vieta (e non priva di ambiguità) formula delle “pari opportunità”, e non si rispecchiano nelle mere (anche se indubbiamente necessarie) attestazioni di principio, del tipo di quelle contenute nella bozza di Statuto universitario circolante in questi giorni. Resta il difetto di origine – lo ripetiamo: gravissimo – che redigere uno Statuto senza coinvolgere direttamente le donne significa negare, al di là delle dichiarazioni di facciata, il loro contributo decisivo alla vita universitaria, la loro molteplice esperienza e competenza, a ogni livello. Allo stesso modo, negare la necessità delle cosiddette “quote rosa” negli organismi rappresentativi e decisionali dell’Ateneo significa perpetuare di fatto, e consapevolmente, l’esclusione delle donne dai luoghi di responsabilità, quindi discriminarle. Denunciamo l’attuale emarginazione delle donne nell’Università di Siena come squalificante per il nostro Ateneo. Respingiamo con forza il vero e proprio annullamento della presenza femminile nel progetto, ancora in itinere, di nuova governance dell’Ateneo. Invitiamo ciascuna donna dell’Università di Siena a far sentire la propria voce. Vogliamo contare davvero, com’è giusto. Subito. Non ci accontentiamo di riconoscimenti generici e di principio, e non ci vogliamo rassegnare a mortificanti posizioni di basso profilo, di seconda fila. Faremo valere le nostre ragioni in tutte le sedi e in tutte le forme che riterremo opportune ed efficaci. Lo dobbiamo a noi stesse, alle nuove generazioni di donne e di uomini, alla nostra Università. Che ha nel suo sigillo l’immagine di una donna.

5 Risposte

  1. Come gruppo assegnisti e ricercatori tempo determinato, abbiamo cercato di dare un segnale anche in questo senso: il nostro interlocutore con la commissione statuto è donna come anche il nostro rappresentante nella commissione etica. Questo non vuol dire che vogliamo far prevalere la scelta di genere su quella di competenze e capacità, ma che nell’ambito delle possibilità della componente non strutturata di Siena, riusciamo sicuramente a realizzare anche scelte di genere.
    http://arsiena.wordpress.com/2011/03/31/rappresentanti-interlocutori-e-portavoce/

    Questa è una risposta anche a chi si ritiene ‘insostituibile’ a coloro che pensano che magari senza di loro, si fanno solo scelte nefaste (“Ah! Questi assegnisti! Chi sono, che vogliono! Non rompano troppo le scatole a noi che sappiamo cosa fare…”) o non si tengono più i corsi, o tutto va a rotoli. Come se finora tutte le scelte fossero equilibrate e giuste.

    È questo uno specchio, in scala, di un male tutto italiano, nell'”incardinamento” del potere.

  2. «Questa una risposta anche a chi si ritiene ‘insostituibile’ a coloro che pensano che magari senza di loro, si fanno solo scelte nefaste […] o non si tengono più i corsi, o tutto va a rotoli.» Antonio

    Se parliamo delle ristrutturazioni e delle cancellazioni in atto di dipartimenti o corsi di laurea, ebbene, ai fini del soddisfacimento dei cosiddetti “requisiti minimi” e della cabala mussiano-gelminiana alla base dei corsi per l’a.a. 2011-12 e che dovrebbe metter capo a fine mese alla fondazione dei nuovi dipartimenti (in sostituzione delle attuali facoltà), il personale non strutturato semplicemente non può essere conteggiato, e mai slogan più cretino fu coniato, di quello che vanno diffondendo certi demagoghi un tanto all’ora (non di rado provenienti da quella stessa “cricca” che porta la responsabilità del disastro), secondo cui mandando via più gente possibile tra i docenti strutturati, cioè a dire chiudendo più corsi di laurea, insegnamenti e dipartimenti possibile (naturalmente quelli altrui, “mors tua vita mea”), si apriranno chissà quali radiose prospettive per i precari: non solo infatti lo scopo è la diminuzione drastica del personale docente e non il suo rimpiazzamento, ma poi si apriranno dove? Su Marte? Ciò che sopravviverà o verrà soppresso, non dipende purtroppo dalla presenza o meno degli assegnisti o altri precari, ma al contrario, la possibilità che essi abbiano una “chance” per il futuro (e non solo loro!), dipende dalla sopravvivenza delle rispettive strutture scientifiche e didattiche. La fase attuale è questa, e solo al termine capirai se tu (come altri) hai una chance o sei definitivamente fottuto:

    1) varo dei nuovi corsi di laurea (o quello che ne rimane) ri-ri-riaccorpati e rifrullati per l’a.a. 2011-12, sperando in un clamoroso, quanto improbabile, “successo di mercato” di consimili rifritture. Se fallirano, verranno chiusi, e vai col liscio…

    2) chiusura delle facoltà e rifacimento dei dipartimenti “allargati”: occasione per regolamenti di conti, meccanismi di “conventio ad excludendum”, matrimoni morganatici o sposalizi d’affari, nonché consumazione di divorzi annunciati (tutto, fuorché ricerca delle “affinità elettive”), non so se questo frenetico agitarsi di particelle in una dimensione claustrofobica potrà metter capo a “strutture d’eccellenza”.

    Sotto il peso dell’urgenza, a me pare che con troppa disinvoltura si soprassieda alla gravità della cancellazione di pezzi della storia di questo ateneo. Sulle ali della demagogia, non ci si fa scrupolo a domandare di azzerarne altri, inventandosi la frottola che poi tutto risorgerà più bello che pria, ma torno a ripetere che a mio avviso, dal grigiore delle ceneri non sorgerà un bel niente. Trovo avvilente il ragionare a spanne e il livello di trivialità del dibattito.

  3. Caro Rabbi, non voglio assolutamente entrare in polemica, ma solo chiarire il senso della frase che hai citato, con la quale intendo stigmatizzare la retorica di molti ‘saggi’, esperti anziani, ordinari e vari che tendono a rivolgersi a noi come a bambini ingenuotti da tenere sotto la propria ala protettrice, da rimbrottare quando vengono fatte affermazioni che vengono ritenute inapplicabili solo perché non rientrano negli schemi del sistema vigente.

    Altra cosa sono le regole, i numeri i conteggi e la cabala usata (“buona” o “cattiva” che sia) per costruire corsi di laurea dipartimenti etc. Purtroppo sono numeri di cui bisogna tenere conto, perché imposti dalla legge (che può essere avversata, combattuta, cambiata).
    Proprio in questo senso come ricercatori non strutturati cerchiamo di dare invece un segnale di rottura da una parte ma anche di maturità rispettando comunque le istituzioni con cui cerchiamo di dialogare.

    Le nostre posizioni si possono leggere i documenti prodotti ultimamente http://arsiena.wordpress.com/
    Inoltre abbiamo espresso al rettore la necessità di scelte strategiche, con decisioni chiare sul futuro, individuando gli indirizzi su cui investire e quelli su cui adiabaticamente morire. E queste scelte – trasparenti – devono essere fatte, apparentemente anche contro il nostro stesso interesse, indipendentemente dal numero di precari che una certa linea di ricerca/dipartimento ha prodotto, come invece vorrebbe una pura logica sindacalista. Quindi una chiarezze di scelte che permettano ad ognuno di noi quali chance in un futuro, quantificabile temporalmente, di poter proseguire la propria attività professionale a Siena.

  4. «Caro Rabbi, non voglio assolutamente entrare in polemica, ma solo chiarire il senso della frase che hai citato, con la quale intendo stigmatizzare la retorica di molti ‘saggi’, esperti anziani, ordinari e vari che tendono a rivolgersi a noi come a bambini ingenuotti da tenere sotto la propria ala protettrice, da rimbrottare quando vengono fatte affermazioni che vengono ritenute inapplicabili solo perché non rientrano negli schemi del sistema vigente.» Antonio

    Caro Antonio, non ti preoccuprare, so bene di cosa parli: del resto nel sistema paternalistico dell’università italiana un quarantenne è considerato poco più che un ragazzo, cosa che fa inorridire chiunque abbia fatto i suoi canonici “tre anni di militare a Cuneo”, e comunque quello che dici non succede solo con gli assegnisti. Registro infatti anch’io in questa fase una certa mancanza (diciamo così) di fair play: certe sospette “amnesie” e una preoccupante inclinazione a dissolvere identità ed esperienze, in nome di un pragmatismo spicciolo o per via di una recrudescenza di tracotanza “baronale” fuori tempo massimo. Ma ritengo che la partita in questa bizzarra congiuntura si giochi sui punti 1 e 2 di cui sopra. Un saluto, RJJ.

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