«Distruggono l’Ateneo per trovare un posto ai loro figli» titolava la Repubblica di Bari il 5 marzo 2005. E nell’articolo si leggeva: «È diventata poco più di un liceo. Negli ultimi cinque anni l’Università di Bari è stata distrutta da una gestione protezionistica e inadatta ad affrontare il mercato dell’alta formazione». Sotto accusa la Facoltà di Economia per lo scandalo della parentopoli barese. Ci fu un grande dibattito anche all’esterno dell’Università, con il Comune di Bari che impose l’adozione di un Codice etico, per continuare a erogare il finanziamento ad alcune ricerche. E così, nel dicembre 2007 fu approvato “Il codice dei comportamenti”, uno dei primi in Italia. Qualche traccia di quel clima è rimasta nell’articolo qui riproposto di Bartolo Anglani (Corriere del Mezzogiorno, 23 dicembre 2005), la cui lettura ci riporta all’università di Siena, dove il Codice etico è stato adottato con quattro anni di ritardo e perché imposto dalla legge Gelmini. Ma un codice etico serve o no? «È una foglia di fico per i mali dell’università» come dice Anglani oppure è «uno strumento per redimere intrallazzatori e nepotisti», come scriveva Lucia Lazzerini, e per rifarsi la verginità? Utile, a questo proposito, la lettura del testo licenziato dalla Commissione sul Codice etico dell’ateneo senese, che, nella versione approvata dagli organi di governo, ha ricevuto corpose integrazioni, a seguito di aspre critiche della comunità accademica ed extra.
Il codice etico non serve. È una foglia di fico per i mali dell’università
Bartolo Anglani. A cosa serve un codice etico? Se rispecchia e amplifica le leggi vigenti, è pleonastico; se va oltre le leggi o le mette in mora, è illegittimo. Tertium non datur. Un codice etico può essere solo individuale, come quando un docente rinuncia a far parte di una commissione perché teme di essere sottoposto a pressioni di colleghi. Altro è quando i contenuti “etici” diventano norme erga omnes. Quale valore costrittivo possono avere per chi non ne riconosce la legittimità? Quando le leggi sono sbagliate, ci si batte perché esse vengano modificate o abrogate, ma bisogna rispettarle finché esse sono in vigore: anche obtorto collo. Così, mi pare, dovrebbe accadere in una società democratico-liberale.
Il polverone sui codici etici, in realtà, è un alibi che permette ai docenti di non prendere posizione sull’opera sistematica di distruzione dell’Università e della scuola pubblica avviata dieci anni fa e portata a buon punto negli ultimi mesi. Tutto il male sembra essersi concentrato sulla “parentopoli” pugliese, che è solo l’epifenomeno di un processo degenerativo di ben altre proporzioni. In realtà, certe cose accadono a Bari perché in Italia esistono le università di serie A e quelle di serie Z, e queste ultime hanno avuto in dono la corda alla quale impiccarsi. E ne fanno uso con larghezza. I guasti più gravi che affliggono l’Università non sono frutto delle manovre di alcuni gruppi di potere (che esistono e lottano insieme a noi) ma dell’insieme normativo che condanna l’istituzione universitaria al declino. Bisognerebbe discutere del fallimento della 3+2; del fatto che le industrie non sanno che fare dei laureati triennali testè sfornati, i quali sono costretti a proseguire gli studi con la laurea specialistica perché la triennale non vale nulla proprio su quel mercato per il quale è stata progettata.
È facile prevedere che l’applicazione di un codice etico, per quanto nobilmente ispirato, darà origine a conflitti e ricorsi infiniti. Chiunque si senta danneggiato nei suoi diritti, così come garantiti dalle leggi vigenti, tenterà di difendersi per tutte le vie possibili. Ad esempio: la legge attuale prescrive che i membri delle commissioni non debbano avere un certo grado di parentela con i candidati. Punto e basta. Una volta accertata l’inesistenza di questa parentela, il concorso è legittimo, piaccia o no. Come reagirà il candidato che potrà anche solo far valere il fumus di essere stato discriminato perché il suo bisnonno lavora nella Facoltà vicina? La legge sui concorsi è stata modificata, ma non risolve i gravi problemi che sono all’origine del codice etico. Così si fabbricano regole per il cortile di casa, quasi fossimo la Repubblica degli Zoccoli di machiavellesca memoria. E poi, tutte queste fortificazioni vengono dopo che i buoi sono scappati, o meglio: dopo che i buoi hanno invaso la stalla. Le università (non solo pugliesi) pullulano di parenti e parenti di parenti. Chi ha avuto ha avuto; ora si scatena la tempesta ma da Natale saremo più buoni. Non esistono rivoluzioni permanenti, e ogni estremismo lascia luogo al suo contrario. Prima c’è l’Ancien Régime, poi il Terrore e alla fine il Termidoro; dopo il Celeste Impero, le Guardie Rosse e poi il capitalismo di Stato; dopo la Prima Repubblica, Mani Pulite e infine Berlusconi. Amen.
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Certo che è una soddisfazione (magrissima) leggere le stesse parole invano scritte in tempi passati a proposito del tanto sbandierato “codice etico”: ma finalmente c’è chi si esprime nella stessa maniera il che conforta un poco… «A cosa serve un codice etico? Se rispecchia e amplifica le leggi vigenti, è pleonastico; se va oltre le leggi o le mette in mora, è illegittimo. Tertium non datur.» Letto, confermato e sottoscritto. Cosimo Loré
Beh è un modo per formalizzare un accordo tra soggetti che si vincolano oltre la legge. Certo la legge prevale ma se uno è gentiluomo l’accordo lo rispetta. In pratica è come un codice deontologico. Si può violare senza violare la legge? Penso di sì… e eppure se lo fai i tuoi pari ti sanzionano…
Che poi in accademia i gentiluomini scarseggino è altra faccenda…
N
Bartolo Anglani. «A cosa serve un codice etico?»
«La morale è semplicemente l’atteggiamento che adottiamo nei confronti di individui che personalmente non ci piacciono.»
O. Wilde
Allora chi chiede che indagati e condannati (anche solo in primo grado) si dimettano dall’istituzione o comunque vengano gentilmente accompagnati alla porta, lo fa solo perché gli sono antipatici?
Se è così, allora mi spiego molte cose!
Secondo me serve e non serve.
Non serve se è inteso come sistema di regole che, da solo, sia in grado di garantire la “giustezza” delle decisioni. Feyerabend l’ha scritto chiaramente a proposito del metodo scientifico quasi cinquant’anni fa e molto prima di lui, in un contesto diverso ma sempre attinente alla ricerca di una verità, Paolo di Tarso: «Mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato.»
Può servire, secondo me, a dare un segno di cambiamento da parte di una comunità accademica largamente screditata da questo punto di vista. Ma questo a patto che questo cambiamento ci sia: se ci si aspetta che il rispetto formale di una serie di regole possa trasformare l’operato di una comunità che continua a essere dominata dall’idea di giustiza di Trasimaco (spero questa volta di non urtare la suscettibilità di nessuno): «la giustizia consiste nell’interesse del più forte», ci si sbaglia di grosso.
Un’idea abbastanza drammatica della situazione la offre una notizia di oggi: secondo una inchiesta del portale internet UniversiNet, 9/10 di oltre 16000 candidati ai test di ingresso ritengono che sia essenziale una raccomandazione e il 48% sono disposti ad offrire prestazioni sessuali per passarli.
Un’altra notizia di ieri da http://www.universita.it/arretramento-ricerca-italiana-studio-articoli-scientifici-2011/:
«Per la prima volta in trent’anni la produzione scientifica italiana ha smesso di crescere e dà segnali di arretramento: lo evidenzia una ricerca condotta da Cinzia Daraio, docente di Economia all’Università di Bologna e Henk Moed, esperto bibliometrico olandese. Diminuiscono esperimenti, scoperte, nuove conoscenze prodotte nelle biblioteche e nei centri di ricerca universitari e numero di articoli scientifici pubblicati.
Dai 52.496 articoli scientifici italiani pubblicati nel mondo nel 2008 si è scesi a poco più di 40mila nel 2009 e il dato è in continua caduta. Dopo le università, quindi, anche la ricerca è allo stremo.
Non solo, ciò che ci schiaccia e che sta trasformando il Belpaese da precursore e divulgatore d’innovazione ad arretrato fanalino di coda è il confronto con gli altri Paesi europei. Siamo ultimi per numero di ricercatori rispetto alla popolazione: sei ogni diecimila abitanti. Metà della Spagna e un terzo della Gran Bretagna. In coda insieme a una Spagna, che ci ha appena raggiunto, anche per investimenti pubblici nella ricerca: sono lo 0,4% del Prodotto interno lordo. E l’investimento dei privati arriva solo allo 0,6 per cento del Pil. Nelle collaborazioni internazionali tra i sei “big europei” siamo penultimi (e pensare che negli anni 80 eravamo al secondo posto…).
Una vera beffa se si pensa che invece i ricercatori italiani restano i primi in Europa per tasso di produttività individuale. E che ci sono file di eccellenti neolaureati disposti a lavorare sodo per far riemergere dal baratro la qualità della ricerca italiana.
Una fase involutiva che ci conduce dunque a inseguire da lontano il treno in corsa degli altri Stati europei e a scontare con sempre maggiori difficoltà la concorrenza agguerrita di paesi emergenti come India, Brasile e Cina. Quest’ultima, per dare un’idea, in quindici anni ha quadruplicato le sue prestazioni, superando l’Italia nel 1999, la Francia tre anni dopo, la Germania nel 2005 e infine il Regno Unito nel 2006.»
Cercando di dimenticare per un attimo quelli drammatici dell’Università di Siena, che comunque in questo quadro si iscrivono, questi sono i problemi e le conseguenze delle politiche passate e presenti ispirate all’idea di Trimarco.
Vedo con piacere che dopo un periodo di incomunicabilità, anche fra Rabbi, Cal e Golene si è aperto uno spiraglio di dialogo sulle idee.
Mi pare che sia emerso un disaccordo di fondo proprio sul modo di affrontare le conseguenze degli errori del passato.
Secondo Cal, si tratta di errori di cui i responsabili sono pentiti e come tali vanno archiviati, guardando in avanti.
Secondo Rabbi, sono pratiche (non sono sicuro che lui userebbe questo termine) che hanno penalizzato una buona parte di programmi e persone valide, e nel guardare il futuro bisogna anche assicurarsi che queste persone e questi programmi siano almeno in parte risarciti o, quantomeno, siano finalmente salvaguardati dalle conseguenze del ridimensionamento, che se effettuato in modo lineare continua a penalizzarli e risulta avvantaggiare proprio coloro che di quelle pratiche si sono avvalsi in passato.
Ora, sono convinto che il pentimento per gli errori commessi sia una cosa buona e da rispettare, quando si verifica. Né mi interessa verificare l’intensità o la sincerità dei pentimenti: ognuno si guardi allo specchio e decida per sé. Ma a livello collettivo gli errori bisogna anche individuarli e porvi rimedio. Se nel passato uno degli errori è stato di far crescere a dismisura dei programmi a scapito di altri magari più meritevoli, non basta dire “non lo faccio più (per ora)”. Bisogna cambiare: identificare un modo per valutare quali e quanti programmi servono, quali cercare di preservare e quali abbandonare. Ma il criterio non può essere di semplice risarcimento: non è detto che tutti i programmi penalizzati fossero buoni, né che tutti quelli avvantaggiati fossero scadenti.
Per cui non mi convice nessuna delle due proposte: quella di Cal/Golene di accentuare il ridimensionamento in modo acritico, tagliando dove si può e non dove si deve, e chi vivrà vedrà. Ma nemmeno quella di Rabbi (con cui sono più in sintonia) per cui non è possibile decidere quanto il bue muschiato sia rilevante e vanno segati i programmi che si sono avvantaggiati delle pratiche passate e salvaguardati tutti i settori che rischiano l’estinzione mettendo a repentaglio i requisiti minimi.
Si decida piuttosto quanti programmi si possono tenere, e si scelga quali. E lo si faccia non sulla base dell’aritmetica dei docenti e dei SSD, ma sulla base del merito: quali e in che misura servono meglio agli scopi istituzionali dell’università, indipendentemente dai vantaggi o svantaggi che hanno avuto in passato.
Sia Cal/Golene (me scuseranno se li accomuno sempre) sia Rabbi si appellano alle leggi che regolano l’università (requisiti minimi, trasferimenti pensionamenti). Ma sulla base di quelle leggi l’Università di Siena è già morta e sepolta da un pezzo. Occorrono regole diverse, e nessuno più di una Università in grave difficoltà dovrebbe essere in grado di identificarle e di proporle ad una classe politica che chiaramente non sa dove e come mettere le mani.
Non mi pare però che niente di tutto questo sia all’ordine del giorno: qualcuno ha visto ad esempio una tabella dei costi e degli introiti dei singoli corsi di laurea? Certo non può essere l’unico criterio, ma anche la qualità bisogna sapere quanto si paga. E anche l’integrazione con le altre Università toscane mi pare prosegua in una opacità pressoché totale che rischia di peggiorare ulteriormente col nuovo statuto. Anche lì l’ideologia di Trimarco andrebbe fermata.
Se tutto questo si verificasse, anche il codice etico potrebbe avere una sua funzione, per segnalare il cambiamento. Altrimenti mi pare essere solo una foglia di fico.
saluti scettici,
Sesto Empirico
[…] vigore: anche obtorto collo. Così, mi pare, dovrebbe accadere in una società democratico-liberale.Il codice etico serve oppure è uno strumento per redimere intrallazzatori e nepotisti?, Giovanni Grasso, in Il Senso della misura, 22 agosto […]
«Secondo Cal, si tratta di errori di cui i responsabili sono pentiti e come tali vanno archiviati, guardando in avanti.» Sesto Empirico
L’opposto è vero diceva il mio prof. di Filosofia…
Io sarei per le pene corporali e per tradurre in carcere anche vecchi docenti ultra 70enni se trovati colpevoli. Sarei per le manette per ex rettori e direttori amministrativi e responsabili del bilancio. E sarei per colpire i loro patrimoni personali fino a capienza.
«Vedo con piacere che dopo un periodo di incomunicabilità, anche fra Rabbi, Cal e Golene si è aperto uno spiraglio di dialogo sulle idee.» Sesto Empirico
Su questo sono dell’idea – poi magari Rabbi mi correggerà – che gran parte dell’incomunicabilità dipende dal fatto che tra noi c’è il diaframma del blog e della tastiera e cose che si potrebbero dire tranquillamente davanti a una birra vengono accentuate nei toni conducendo alla discussione. Poi certo le diversità di opinioni rimangono ma credo che questo sia legittimo.
«Quella di Cal/Golene di accentuare il ridimensionamento in modo acritico, tagliando dove si può e non dove si deve, e chi vivrà vedrà. Ma nemmeno quella di Rabbi (con cui sono più in sintonia) per cui non è possibile decidere quanto il bue muschiato sia rilevante e vanno segati i programmi che si sono avvantaggiati delle pratiche passate e salvaguardati tutti i settori che rischiano l’estinzione mettendo a repentaglio i requisiti minimi.» Sesto Empirico
Credo che la prima ancorchè descritta male sia fattibile mentre la seconda no. Ribadisco che il prepensionamento è volontario per cui io credo che sia un’opzione da incentivare. La seconda non è praticabile perché è impossibile identificare settori avvantaggiati. Se in Storia ci sono 22 strutturati ma che pubblicano come diavolo che gli dici? Tutti a casa? No ovviamente… la responsabilità temo sia più individuale. Per esempio: a quando una regolamentazione interna seria e punitiva per coloro che sono inattivi dal punto di vista scientifico? In altri atenei si impediscono gli incarichi esterni a coloro che a tempo pieno risultano inattivi… perché a Siena che avrebbe tanto bisogno di risparmiare non lo si fa? Cane non morde cane?
«Non mi pare però che niente di tutto questo sia all’ordine del giorno: qualcuno ha visto ad esempio una tabella dei costi e degli introiti dei singoli corsi di laurea?» Sesto Empirico
Più che questo che sarebbe impossibile da paragonare (ovvio che un corso di chimica costa di più di uno di filosofia) andrebbero guardati seriamente i numeri di studenti ed applicate senza sconti le regole che ci sono sulle soglie – ripeto in quella logica che propone Rabbi sulla “regionalizzazione”.
«Dai 52.496 articoli scientifici italiani pubblicati nel mondo nel 2008 si è scesi a poco più di 40mila nel 2009 e il dato è in continua caduta. Dopo le università, quindi, anche la ricerca è allo stremo.»
Questo è colpa del blog che ci distrae….
Crazy!
Disquisire di codice etico per una comunità che si è dimostrata “legibus soluta” in maniera protratta, sfacciata, ostinata è come sperare di redimere un “serial killer” con le prediche: e pensare che è proprio “il senso della misura” il motivo ispiratore di questo giornale accademico elettronico che da qualche tempo pare abbia perso anche il semplice “buon senso”…
Coloro che non hanno voluto prendere atto di quanto emerso dalle indagini giudiziarie, non punendo i colpevoli, non risanando i concorsi, non recuperando il maltolto, non risarcendo le vittime, non cambiando l’andazzo, hanno mostrato palese ostilità verso chi – come il sottoscritto e Giovanni Grasso – le indagini le ha promosse e pubblicizzate!
Finché a Siena la situazione è questa ogni codice etico alla stregua di qualsiasi auspicio o retorico discorso suona solo da indegno insulto verso vittime senza speranza cui dopo il danno si vuole somministrare la beffa…
http://www.mymovies.it/film/2006/crazy/trailer/
«Il polverone sui codici etici, in realtà, è un alibi che permette ai docenti di non prendere posizione sull’opera sistematica di distruzione dell’Università e della scuola pubblica avviata dieci anni fa e portata a buon punto negli ultimi mesi. Tutto il male sembra essersi concentrato sulla “parentopoli” pugliese, che è solo l’epifenomeno di un processo degenerativo di ben altre proporzioni. In realtà, certe cose accadono a Bari perché in Italia esistono le università di serie A e quelle di serie Z, e queste ultime hanno avuto in dono la corda alla quale impiccarsi. E ne fanno uso con larghezza. I guasti più gravi che affliggono l’Università non sono frutto delle manovre di alcuni gruppi di potere (che esistono e lottano insieme a noi) ma dell’insieme normativo che condanna l’istituzione universitaria al declino. Bisognerebbe discutere del fallimento della 3+2; del fatto che le industrie non sanno che fare dei laureati triennali testè sfornati, i quali sono costretti a proseguire gli studi con la laurea specialistica perché la triennale non vale nulla proprio su quel mercato per il quale è stata progettata.» Bartolo Anglani
Ma mi faccia il piacere…
…e ora qui, dove si continua a “pisciare” su codice penale, rispetto umano, buon senso, uno dovrebbe da perfetto imbecille stare e sperare nell’era prossima ventura del “codice etico”!!
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/24/libia-gheddafi-alla-radio-vittoria-o-morte-si-continua-a-combattere/153198/
Notato che i ribaldi prepotenti di turno, ad ogni latitudine, perso il potere, paion ridicoli oltre che ripugnanti?!
@ Cal
22 Agosto: «Penso che ogni Facoltà abbia avuto la sua storia e che gli equilibri di oggi siano il frutto di scelte di allocazione di punti organico di cui magari qualcuno oggi si pente.»
24 agosto: «L’opposto è vero diceva il mio prof. di Filosofia…
Io sarei per le pene corporali e per tradurre in carcere anche vecchi docenti ultra 70enni se trovati colpevoli»….
Non mi pare che le due posizioni siano facilmente conciliabili.
Ma anche a volerle conciliare: cosa cambierebbe se i responsabili venissero impeciati e impiumati, messi alla gogna e poi incarcerati a vita a pane e acqua, i loro beni confiscati e le famiglie vendute come schiavi? Sarebbero risolti i problemi di bilancio e di rilancio? Temo proprio di no. La giustizia segua pure il suo corso (come si usa dire) e sia rigorosa e implacabile. Ma non risolverà i problemi che ci sono.
«Se in Storia ci sono 22 strutturati ma che pubblicano come diavolo che gli dici? Tutti a casa? No ovviamente… la responsabilità temo sia più individuale.»
Se il Siena avesse accumulato 22 attaccanti tutti bravi, che segnano a raffica, frutto di una politica errata di un presidente megalomane, che farebbe, li terrebbe tutti? Li caccerebbe tutti?
No: ne terrebbe tre o quattro, quelli che meglio si adattano ai suoi programmi (per tipo di gioco, età, ingaggio) e manderebbe via gli altri.
Se ci riescono loro a scegliere, non mi sembra così impossibile per degli universitari.
«A quando una regolamentazione interna seria e punitiva per coloro che sono inattivi dal punto di vista scientifico?»
Perché, ci vuole una regolamentazione? Se un docente è stato ingaggiato per fare ricerca e non la fa non ci dovrebbe volere una regolamentazione né un codice etico per tirargli le orecchie. Ma se uno è stato utilizzato a tempo pieno in attività didattiche, non troverei nulla di strano se non pubblica. Dopotutto il FFO è quasi interamente determinato dal numero degli studenti e solo in quota minima dalla ricerca.
«(ovvio che un corso di chimica costa di più di uno di filosofia) andrebbero guardati seriamente i numeri di studenti ed applicate senza sconti le regole che ci sono sulle soglie»
Ma non è affatto detto. Un programma di eccellenza, per la qualità della sua ricerca e della formazione che è in grado di dare, potrebbe benissimo essere mantenuto anche se poi ricade su un corso con pochi studenti. È, rovesciato, lo stesso discorso che facevo prima per i docenti con tanta didattica e poca ricerca. Impiccarsi alle soglie aritmetiche rinunciando ad usare il giudizio è ottuso. Non tutte le cose hanno lo stesso prezzo, e non è mai il prezzo l’unico criterio di scelta. Però bisogna conoscerlo per scegliere con giudizio.
saluti scettici,
Sesto Empirico
«Se in Storia ci sono 22 strutturati ma che pubblicano come diavolo che gli dici?» Cal
Guarda che pubblicano anche i non strutturati, o i non storici: il fatto che “pubblichino” (cosa e dove?) è ragione sufficiente per prenderne… ventidue!? Ma dico, che discorsi fai? Secondo te alla FIAT recluterebbero magnanimemente mille ingegneri solo perché in giro ci sono ingegneri bravi disoccupati? Hanno reclutato 1200 amministrativi di cui in gran parte ora non sanno cosa farsene perché anche loro “pubblicano”? Il fatto che in altri settori cruciali ne abbiano presi uno o nessuno, vuol dire che non hanno trovato gente che pubblica in quelle discipline? Te ne procuro io due o tre pullmann, di gente con le palle che “pubblica”! Mah, mi pare che tu viva su un altro pianeta ed è difficile seguire i tuoi ragionamenti assai contorti. E poi, guarda, quelli non li manda via nessuno: appunto perché sono tanti! Chi rischia il deretano sono quelli che sono rimasti in pochi, pubblicassero anche l’Enciclopedia Britannica…
«A quando una regolamentazione interna seria e punitiva per coloro che sono inattivi dal punto di vista scientifico?» Cal
A mai, temo: ma non ti accorgi che stiamo andando, da tempo, nella direzione esattamente opposta, ossia verso la “licealizzazione” (magari! Io mi accontenteri di un buon istituto tecnico di quelli di un tempo…)? Guarda, tanto per cominciare basterebbe che si richiedesse (con la necessaria flessibilità) il timbro del cartellino, giusto per far capire a certi personaggi che di lavoro si tratta e non di ozio. Senza dire che se un ordinario percepisce il quintuplo di un ricercatore (che magari insegna pure di più) ciò non è in forza del blasone, ma delle maggiori responsabilità, cui andrebbero associate maggiori sanzioni: pensi che questa istanza verrà accolta?
Corriere del Veneto
Università, sesso per passare i test:
lo farebbero 6 studentesse su 10
…. altro che “pubblicazioni”.
Anche se Cosimo si incazzerà (perché parlo sempre dei fatti miei … ma sono i fatti quelli che contano, non le dissertazioni filosofiche!), vi racconto cosa è successo a me, che nonostante i 32 anni di laurea in Medicina e bla, bla, bla, in questa università, a seguito delle mie denunce sono diventato un paria; isolato, abbandonato, privato dei diritti più elementari, senza una “mansione” definita e del tutto recentemente, sconvenzionato (licenziato in tronco, sarebbe meglio dire!) dall’azienda ospedaliera perché la stessa, a detta del suo direttore, “non ha una collocazione da darmi!!!” (lettera firmata e protocollata …!!!). Premesso che io non ho mai smesso di pubblicare (a mie spese, perché nessuno finanzia le mie ricerche!), l’altro giorno mi arriva, da un’organizzazione scientifica internazionale, un invito a presentare, a Shangai, i miei dati e le mie ricerche sul retinoblastoma, tumore dell’occhio che colpisce i bambini e del quale io sono considerato esperto di livello internazionale, nonostante l’azienda ospedaliera senese, che pure ha un centro di riferimento nazionale per la diagnosi e la cura di questo tumore, mi abbia licenziato in tronco più di un anno fà!!!
Nell’invito, si legge, tra l’altro: «Siamo molto interessati al suo articolo: “The retinoblastoma paradigm revisited”, apparso sulla rivista Medical Science Monitor. Questo articolo include alcuni nuovi concetti che possono impressionare gli esperti del settore… e il congresso al quale la invitiamo …può rappresentare un’ottima opportunità per sottolineare i significativi traguardi raggiunti dalla sua ricerca» … in realtà io non ho un laboratorio (che pure avevo creato nel lontano 1993 e dal quale sono stato “estromesso” in seguito alle mie denunce), non ho nemmeno una mia stanza (“ufficio” sarebbe chieder troppo”) e non ho neanche un computer e/o una stampante, che non siano quelle di casa mia e che normalmente impiego per le “mie ricerche”.
Con tutta probabilità, non sarò in grado di partecipare a questo evento anche se, lo confesso, la mia povera mamma ottantacinquenne, che vive della sua sola pensione, mi ha offerto di pagarmi lei il biglietto aereo e la registrazione al congresso.
Giovanni e Cosimo possono confermare!
Non mi dilungo oltre; mi limito solo a chiedervi: che ve ne pare? Io credo che su queste cose si debba riflettere e non ragionare in astratto.
Per Cal e Sesto, poi, che parlano di pubblicazioni, una domanda: “non credete che anche nel campo delle pubblicazioni scientifiche ci siano mafia e lobbismo che impediscono alle verità scientifiche di emergere, dal momento che, almeno in medicina, le riviste “scientifiche” esistono solo per rafforzare (se mai ve ne fosse bisogno!) lo strapotere delle multinazionali del farmaco (che hanno a libro paga tutti i maggiori editori del settore? Volete qualche dato sull’AIDS? Ci sto scrivendo un libro e le “pubblicazioni” sull’AIDS, credetemi, farebbero rabbrividire anche i più scettici come Sesto o i “puri di spirito” come Cal!
Allora, sinteticamente, per Cal, Sesto e tutti quelli che credono nel valore delle “pubblicazioni”; andate su Google, digitate PubMed e entrate, così, nella US National Library of Medicine; nell’apposito spazio, digitate “AIDS Vaccine”; ad oggi, trovate 9225 “pubblicazioni” … uno dice: “sì, è tanta roba; forse troppa, ma è servita per creare un vaccino!” … domandina semplice semplice: “esiste, ad oggi, un vaccino contro l’AIDS?” … risposta semplice semplice: “No!!!”
Qualcuno mi dica, allora a cosa sono servite 9225 pubblicazioni se non a far fare carriera a quei popò di paraculi che le hanno scritte!!!
Il problema è solo e sempre “morale” checché ne dica Oscar Wilde …
… meditate, gente, meditate, diceva il buon Arbore!
…confermo, precisando che una vicenda accademica come quella di Domenico Mastrangelo riguarda tutti coinvolgendo a vario titolo passato e presente del nostro ateneo. Aggiungo che di fronte a quanto lui denuncia con giusta indignazione i “codici etici”, comunque li si rigiri, sono “pannicelli caldi” per situazioni gestibili ormai solo “manu militari”!!!
E se si guarda a chi governa e legifera si capisce quanto disperata sia la realtà accademica italiana:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/24/manovra-il-governo-diserta-la-commissione-affari-costituzionali-del-senato/153214/
«Io preferisco tenere 22 che pubblicano alla grande piuttosto che qualcuno che è inattivo.» Cal
Ma quanto sei sfacciatamente ipocrita!!!!! Te le suoni e te le canti; parli da solo e ti dai ragione. In definitiva sei il più gonzo tra i difensori ad oltranza della “casta”: che cosa vuol dire “preferisco tenere”? Ti ha obbligato il dottore a scialacquare milioni per reclutare personale del tutto inutile?
P.S. Dunque Cal, tu hai assunto 22 storici contemporaneisti “perché pubblicano” (by the way, ma chi te lo ha detto? Hai le prove?): invece il prof. Grasso o il prof. Lorè, sono soli perché … non pubblicano? Geometri differenziali o meccanici quantistici, biologi e farmacisti, è universalmente noto, pubblicano poco e per questo …non sono stati assunti? Preferisci “tenere” ciò che hai furtivamente preso, cioè chi hai reclutato senza necessità? Spiegaci questo concetto, perché è veramente esilarante. Sia chiaro che non ho una particolare avversione verso i 22 in questione o per il loro settore disciplinare (giacché non sono l’unico caso), ma vale in generale: molti settori d’eccellenza sono stati assassinati, molti valenti ricercatori sono stati fatti fuori o lasciati marcire in un interminabile precariato per buttare via quattrini in imprese inutili attraverso squallide pratiche nepotische: ma a te, chi ha detto che i raccomandati “pubblicano” di più dei non raccomandati? Chi ti autorizza ad offendere chi non sia aduso a pratiche di leccaculismo?
Comunicato FLC-CGIL:
«Abbiamo appreso che l’amministrazione ha cominciato una ricognizione delle
competenze a partire dai colleghi di livello B, chiedendo ai responsabili delle
strutture presso cui lavorano di riempire una scheda descrittiva delle
mansioni loro assegnate.
Auspichiamo che i colleghi oggetto della “valutazione” possano prendere
visione di tali schede e vistarle prima dell’invio all’amministrazione.
Crediamo che questo sia l’inizio di un processo che porti in breve tempo
a disporre di un bilancio delle competenze di ogni categoria, da sempre
ritenuto indispensabile per poter intraprendere qualsiasi processo
riorganizzativo, che risponda a logiche progettuali piuttosto che emergenziali.
Chiediamo di essere prontamente informati sui criteri alla base di eventuali
processi di mobilità interna.
Riteniamo che la professionalità di ognuno di noi, acquisita nel tempo
attraverso la formazione o l’esperienza nei luoghi di lavoro sia un valore
irrinunciabile e da tenere in massima considerazione.
La Flc-Cgil»
Mi sembra la direzione giusta. Cercare di evidenziare le competenze presenti e quelle mancanti. E quindi ridistribuirle.
Per i tecnici amministrativi questo è possibile (mobilità).
Per i docenti?
Probabilmente l’unica soluzione fattibile è la ridistribuzione tra i vari atenei.
Ad esempio, se i 22 storici sono effettivamente bravi, potrebbero ricoprire le vacanze a Firenze e Pisa.
Ammetto che avere 22 storici, seppur bravi, in un singolo ateneo non ha molto senso; a meno che non costituiscano una scuola forte e riconosciuta.
Conoscendo Siena, tuttavia, temo che il motivo che ha portato i vari settori ad avere il numero di docenti che hanno non sia stato dettato da logiche disciplinari.
«P.S. Dunque Cal, tu hai assunto 22 storici contemporaneisti “perché pubblicano” (by the way, ma chi te lo ha detto? Hai le prove?): invece il prof. Grasso o il prof. Lorè, sono soli perché… non pubblicano?» Rabbi
Come al solito Rabbi non ha capito molto del discorso di Cal, criticabile o apprezzabile che sia.
Il discorso di Cal, puramente ipotetico, dice: bene, abbiamo 22 storici (correggo così il 12 che ho dato prima). *Se* questi storici sono competenti ed efficienti, e pubblicano tanto, e *quindi* permettono al loro Dipartimento e all’Ateneo di avere un ranking e una valutazione elevata, che a sua volta potrebbe permettere di avere maggiori fondi, da MIUR (valutazione? ANVUR?) o dall’esterno (PRIN, fondi europei), o magari più studenti, allora conviene tenerseli.
Magari è un discorso da aziendalista (RicCALboni?) ed è evidente che il discorso di per sé non sta in piedi, purtroppo, perché:
– non sappiamo se questi 22 siano effettivamente efficienti e competenti (ma questo si potrebbe verificare)
– non esiste una valutazione ex-post che permetta di rimodulare i finanziamenti.
La questione che poi i 22 siano stati assunti con regole poco trasparenti e nepotistiche, e che questo abbia inciso sulle carriere di Lorè e Grasso, che dire.
Come espresso altre volte l’ateneo si dovrebbe dotare di una politica-strategia di rilancio che definisca quali settori far andare avanti e quali far morire o integrare con altri atenei.
È questo, per me, il vero nodo.
Se questo non viene fatto per privilegiare le solite pratiche nepotistiche e di potere, o per una incapacità del management attuale, o perché non c’è trippa per gatti… per ora, mi importa poco. Ma è di questo che voglio parlare, e questo l’obiettivo (spererei di tutti) da perseguire.
Quando nel tentativo di raggiungere questo obiettivo, ci scontreremo con le logiche di potere o la mancanza di fondi, cercheremo di affrontarle all’uopo, magari denunciando queste pratiche, magari chiedendo prestiti all’MPS per far cassa, magari mandando la gente in pensione.
Voglio un’Università che sceglie, decide e persegue quanto si propone di fare.
Riguardo alla possibilità di mobilità dei docenti, esiste già una bozza di regolamento legato all’art. 6 della legge 240/2010, che definisce la possibilità di convenzioni per far svolgere (volontariamente e se il docente non è indispensabile per le esigenze didattiche dell’ateneo di appartenenza) attività didattiche in altri atenei, ripartendo gli oneri.
Vedi Sesto? Senza insulti non è Rabbi…
Allora nessuno ha obbligato ad assumerli ma questi 22 ci sono adesso oppure no? Li posso mandare via in qualche modo? No! (il gerontofilo Rabbi non manderebbe via neanche un 69enne inattivo… perché non è elegante… e adesso ce l’ha con questi – vai a sapere perché)
Se li ho, meglio che pubblichino o no? O pubblicare non serve? Preferisco tenere chi pubblica che chi non pubblica.
Dalle tue parole emerge un desiderio di vendetta che si esprime nel tentativo di riequilibrare la composizione del corpo docente avvantaggiando settori che nel tempo sono stati svantaggiati inducendo che la ragione del disequilibrio è un non meglio precisato e dimostrato magna magna.
«Riteniamo che la professionalità di ognuno di noi, acquisita nel tempo
attraverso la formazione o l’esperienza nei luoghi di lavoro sia un valore
irrinunciabile e da tenere in massima considerazione. La Flc-Cgil»
Parole, parole parole …. (Mina)
«Come al solito Rabbi non ha capito molto del discorso di Cal, criticabile o apprezzabile che sia. Il discorso di Cal, puramente ipotetico, dice: bene, abbiamo 22 storici. *Se* questi storici sono competenti ed efficienti, e pubblicano tanto, e *quindi* permettono al loro Dipartimento e all’Ateneo di avere un ranking e una valutazione elevata, che a sua volta potrebbe permettere di avere maggiori fondi, da MIUR (valutazione? ANVUR?) o dall’esterno (PRIN, fondi europei), o magari più studenti, allora conviene tenerseli.» Golene
…. se la conclusione (che ce li teniamo) è inevitabile, è un esercizio futile e non richiesto quello di premettere delle ipotesi. Ad esempio avresti potuto affermare con eguale fondatezza: “benché siano un branco di perdigiorno, dobbiamo tenerceli”. Oppure dobbiamo intendere la tua come una frase controfattuale, tipo: “se pubblicassero… dovremmo…”, o “se mia nonna avesse le ruote, sarebbe un carretto”, “se Parigi avesse lu mére, sarebbe una piccola Bére”, “se il naso di Cleopatra ecc. …”? Non mi sembrava che ci stessimo intrattenendo sulla storia controfattuale, o che qualcuno avesse fatto insinuazioni sul valore scientifico di questi professori; ma come al solito tu e Cal svolgete in questo forum l’opera di mestatori, precipitandovi a spargere cortine fumogene non appena si sfiori “la casta”: che razza di discorso “ipotetico” sarebbe, considerato che la prospettiva di trasferire qualcuno non esiste? Per inciso, è bene sottolineare che per alcuni che sono attaccati col bostik alla poltrona, sarebbero viceversa in molti a desiderare di andarsene da questa sede, dove oramai codesti discorsi sono moneta corrente. Tantomeno il sottoscritto ha caldeggiato un’ipotesi punitiva nei confronti di chicchessia: vittimismo? Martirio preventivo? Lacrime di coccodrillo? Cosa vuol dire “conviene tenerseli”? Hai per caso un’altra possibilità? Dobbiamo a tuo avviso considerare questa una giustificazione a posteriori del fatto che te li sei presi? E se “conviene tenerseli” perché ti risulta che pubblichino, non ti viene il sospetto che anche altri “pubblicassero”, pur essendo stati massacrati senza che nessuno sottolineasse la poca … convenienza della loro decimazione? E ciò basta a giustificare i vistosi squilibri nella distribuzione della docenza in questo ateneo, premessa, come mi pare trapeli dalle baldanza dei discorsi tuoi e di Cal, per procrastinarli?
«Rabbi non manderebbe via neanche un 69enne inattivo…» Cal
Ma finiscila con codeste cretinate da bambino problematico! Pensi che questo forum sia letto solo da ritardati mentali? Cerca di giustificare tu le tue “teorie” per cui un sessantacinquenne, anche se è perfettamente attivo, unico nel suo settore disciplinare, non rimpiazzabile e indispensabile agli equilibri del suo corso di laurea o dipartimento, risulta essere ai tuoi occhi solo un vecchio bavoso da trucidare quanto prima, mentre consideri intoccabili ventidue professori dello stesso settore disciplinare (a te evidentemente caro…), anche se non sai che età hanno, se sono o no attivi, ed evidentemente, essendo così tanti, non risultano tutti quanti indispensabili ad alcunché. Abbi il coraggio di discutere le tesi dei tuoi interlocutori invece di farne la caricatura ad uso delle comari. Quanto tu sia fuori dal mondo ed estraneo all’universo della ricerca e dell’università lo rivelano le tue ultime affermazioni: il mondo universitario per te si divide in “storici contemporanei” che ci garantisci tu, pubblicano a iosa e dunque vanno reclutati a più non posso (per farci il buristo), e il resto del mondo: chimici, fisici, ingegneri, matematici, …insomma, le famose scienze “avanzate” (quelle che a Siena – la “piccola Oxford”, sob!-, 😦 ) sono reputate inutili, che naturalmente non pubblicano per definizione. E poi, come si sa, sono tutti sessantanovenni.
«Vedi Sesto? Senza insulti non è Rabbi…» Cal
“Oh povera stella” (come dice Littorio Feltri di Gheddafi): ma non è che puoi considerare un insulto tutto ciò che s’oppone ai tuoi piacevoli progressi: il mondo esterno esiste!
Ma chi ha mai detto che un 65enne è per forza un vecchio bavoso? Io non l’ho mai detto neanche nelle versioni estremizzate dei miei discorsi. Ho sempre detto che il prepensionamento è una politica saggia cui volontariamente si dovrebbe aderire. Certo che se su un 65enne si regge un corso sarà bene che resti però chiediamoci perchè quella Facoltà non ha mai pensato al ricambio. Tutti brutti e cattivi? Tutti disonensti e malvagi?
Eppoi vorrei i nomi di questi 65enni o almeno il numero… saranno eccezioni… (peraltro i prepensionamenti stanno andando bene mi si dice… quindi ha ragione Cal e le chiacchiere di Rabbi stanno a zero…)
Tu non leggi Rabbi con la dovuta attenzione. Probabilmente perché ami troppo il suono delle tue di parole. Tipico di alcuni scadenti docenti. Tu saresti da prepensionare. A prescindere dall’età anagrafica. A volte ti comporti come quegli anziani ormai un po’ dementi che insultano la badante senza ragione. Francamente mi hai stancato. Sei ossessionato da me (e in minor parte da Giovanni Golene). Mi dispiace molto. Di solito questo effetto lo faccio alle donne. Riesci a scrivere un post senza insultarmi né menzionarmi? Ma come facevi prima che io entrassi nel blog e nella tua vita? Con chi te la prendevi? Con gli studenti? Coi vicini di casa?
Ignoro le divergenze di Rabbi, (è lui che alza cortine fumogene…) e ribadisco e chiedo quanto già scritto.
L’ateneo si dovrebbe dotare di una politica-strategia di rilancio che definisca quali settori far andare avanti e quali far morire o integrare con altri atenei.
È questo, per me, il vero nodo e l’obiettivo (spererei di tutti) da perseguire.
Quando nel tentativo di raggiungere questo obiettivo, ci scontreremo con le logiche di potere o la mancanza di fondi, cercheremo di affrontarle all’uopo, magari denunciando queste pratiche, magari chiedendo prestiti all’MPS per far cassa, magari mandando la gente in pensione.
Nel futuro i docenti potrebbero non essere incollati alla cattedra con il bostik. Certo non si possono licenziare ma come scritto, ci potrebbe essere la possibilità di mobilità dei docenti, in base alla bozza di regolamento legato all’art. 6 della legge 240/2010, che definisce la possibilità di convenzioni per far svolgere (volontariamente e se il docente non è indispensabile per le esigenze didattiche dell’ateneo di appartenenza) attività didattiche in altri atenei, ripartendo gli oneri.
Sulla questione che un 65enne, attivo e non rimpiazzabile possa (non debba, anche se, personalmente mi piacerebbe dal MIUR una legge per cui debba, a Siena come in tutta Italia) andare in pensione, Rabbi fa il finto tonto pensando che questa soluzione sia irrimediabile e controproducente.
Infatti, come esiste in ogni altra parte del globo, per chi è in pensione, per esigenze dell’ateneo (esigenze reali e quindi verificabili, per esempio per fondi da lui-lei stesso procacciati, o per l’indispensabilità citata) è previsto che questo possa essere assunto nuovamente, ad es. con contratti annuali. Nessuna perdita di competenze e conoscenze.
C’è sì, uno (s)vantaggio: il neopensionato, naturalmente, non potrà sedere in commissioni di concorso, in posizioni accademiche, insomma perderà il potere contrattuale che la casta e i suoi baroni usano per continuare ad affermare il loro nepotismo e potere con scelte non trasparenti.
Che poi a questo neo-pensionato non possa corrispondere un neo-assunto, è vero, è un problema, e grosso (come appare anche dallo squilibrio tra popolazione e ricercatori). Ma come già detto altre volte, è sicuramente il male minore.
Quindi, se davvero volete fare un servizio all’Università, piuttosto datevi da fare per cercare di ristabilire un equilibrio di bilancio, e un aumento di fondi che permettano di far ripartire il reclutamento. A livello locale e nazionale (e ahimè non basta mandare a casa l’attuale governo…)
L’ateneo si dovrebbe dotare di una politica-strategia di rilancio che definisca quali settori far andare avanti e quali far morire o integrare con altri atenei.» Golene
Ecco il punto dolente. Per decidere ci vogliono criteri. Uno è quello della numerosità degli studenti. Pochi studenti = corso da chiudere = alcuni settori disciplinari da abbandonare
Un altro è quello della numerosità dei docenti. È più saggio organizzare i corsi sulla base della numerosità dei docenti disponibili o sui desiderata degli studenti?
«Certo che se su un 65enne si regge un corso sarà bene che resti però chiediamoci perché quella facoltà non ha mai pensato al ricambio.» Golene
Azzardo un’ipotesi: forse perché era troppo impegnata a reclutare legioni di docenti nello stesso SSD per un numero risibile di studenti? Potrei capire se vi fosse stata una gran ricerca in quel campo, ma è inutile ricordare come al contrario diversi comparti piuttosto vivaci per quanto riguarda la ricerca siano stati cancellati senza un battito di ciglia, mentre alcune imprese cinobalaniche create solo per la pompa di qualche satrapetto stiano ancora lì, come un metaforico gesto dell’ombrello rivolto all’intera comunità scientifica.
Ma por favor… cos’è “la facoltà”? Io vedo solo gruppi di pressione e lobbies. Altrimenti dovrei chiederti cosa faceva “l’ateneo” quando si produceva un buco di 250 milioni. E perché devono pagare questi “errori di reclutamento” (Cal) le generazioni future o quelli che al momento dei torbidi stazionavano a duemila chilometri da Siena, avendo campato per anni a pane e cicoria?
«Il neopensionato, naturalmente, non potrà sedere in commissioni di concorso, in posizioni accademiche, insomma perderà il potere contrattuale che la casta e i suoi baroni usano per continuare ad affermare il loro nepotismo e potere con scelte non trasparenti.» Golene
Ah, ecco: e non c’è nient’altro? Se ne evince che i nostri amici prof. Grasso e prof. Loré non tolgono il disturbo perché sono avidamente attaccati al potere: sarebbe utile il parere degli interessati. I tuoi eufemismi sono veramente esilaranti: a Genova quando uno muore si dice che “si leva dalle spese”; così tu dici che quando una cattedra chiude, il professore “perde il suo potere contrattuale”. Ed evidentemente per te non accade altro.
«Tu saresti da prepensionare.» Golene
Magari! A noi la pensione non la daranno mai. Emerge chiaramente il disegno di Golene & Cal: sono da prepensionare tutti e soli quelli che s’oppongono i loro piacevoli progressi…
Cari Golene & Cal, la vostra strategia retorica è chiara: anziché discutere, portate il discorso il più lontano possibile da un piano che per voi è evidentemente troppo inclinato. Rifriggete slogan come quello per cui “i professori dovrebbero andare in pensione prima in modo da lasciare il posto ai giovani”, sapendo che questo non è il caso quando parliamo di Siena; ignorate sistematicamente che la situazione generale non è quella in cui vi siano professori a iosa per ogni SSD e considerate le leggi dello stato in ordine ai requisiti numerici, alla stregua di consigli per gli acquisti. Ma è tutta una sceneggiata: sapete bene a chi nuocere. In definitiva si possono leggere le vostre prese di posizione come un protervo incitamento a proseguire come prima, peggio di prima, dissimulato con un lessico “grillesco”. Tradotte in italiano passabile le vostre tesi potrebbero essere così riassunte: “noi non possiamo fare a meno di mangiare, perché abbiamo sempre mangiato a quattro palmenti e il nostro organismo si è abituato così. Al contrario voi, che siete abituati all’astinenza da cibo, continuando potreste apprezzare sempre di più i benefici spirituali del digiuno, avvicinandovi a Dio”.
Scusa Rabbi, ma sinceramente, continui a non capire a leggere le cose scritte a tuo modo e, soprattutto, non contribuisci, anzi danneggi, qualunque possibilità di progredire nella discussione. (oltre a confondere me con Cal nelle citazioni…)
Per es.: Mai detto: “i professori dovrebbero andare in pensione prima in modo da lasciare il posto ai giovani”
Non lo penso, perché, come detto, non è così. Non è questa la motivazione. Sarebbe solo un piacevole corollario, se fosse possibile. Anche perché la sostituzione prepensionato-reclutato sarebbe solo temporanea.
Evinci male pensando che la mia frase (“il neopensionato, naturalmente, non potrà sedere in commissioni di concorso, in posizioni accademiche, insomma perderà il potere contrattuale che la casta e i suoi baroni usano per continuare ad affermare il loro nepotismo e potere con scelte non trasparenti.”) implichi necessariamente che la gente non si pre-pensiona per mantenere il loro potere. Anche questo sarebbe una positiva ricaduta del prepensionamento che porterebbe molti che sono stati partecipi, compartecipi ma anche semplici spettatori indifferenti dello sfacelo dell’ateneo, a non avere più le mani in pasta.
Come vedi quanto esprimo ha come fine quanto di più lontano dal «protervo incitamento a proseguire come prima, peggio di prima, dissimulato con un lessico “grillesco”».
Puoi non condividere il metodo e abbarbicarti nelle tue posizioni. Cavoli tuoi.
Ma davvero la tua protervia, tracotanza di pregiudizi e insulti, incapacità di ascolto e di lettura delle opinioni altrui, per quanto diverse, hanno stufato.
Soprattutto ha stufato il fatto che in questo modo non si va da nessuna parte, e non si prosegue nella discussione.
Evidenzio ancora come Rabbi usi criticare piccole parti dei nostri discorsi, senza appunto coglierne gli aspetti chiave. È un tipico comportamento da politico, come spesso si vede nei talk-show nostrani: criticare una quisquilia per evitare le domande e questioni nodali.
Bonae fidei non congruit de apicibus iuris disputare.
Fa quindi veramente specie constatare, sul piano linguistico, come i Rabbi e altri (“dai nostri uffici” per es.) continuino ad adoprare deliberatamente il registro sarcastico, che – nessuno lo ignora – è un registro essenzialmente terroristico (oltre che perfettamente inutile al dibattito).
Fa specie perché costoro dovrebbero dare, per età e per autorità che gelosamente rivendicano, esempio di saggezza e temperanza e saldezza di nervi: invece dapprima provocano con obliqua, sprezzante affettazione, poi inseguono i provocatori provocati, dolendosi delle macerie.
Tocca così ad altri e inaspettati dare dimostrazione di comprensione e concentrazione e concretezza, mentre loro offrono una deprimente prova di immaturità fuori tempo massimo, che la dice tutta, e tutta in una volta, sull’Università italiana e sulla società di cui essa costituisce microcosmo esemplare e sulle ragioni anche morali che imporrebbero il ricambio.
Cari Golene & Cal,
la vostra retorica è insostenibile: dapprima bloccate questo forum per un mese a discutere di un’ipotesi scema: quella per cui i problemi dell’ateneo si risolvono mandando via più professori possibile, attribuendo al sottoscritto la tesi (che non ho mai sostenuto) che i prepensionamenti siano sempre ed in ogni caso nocivi. A chi semplicemente vi invita a frenare la vostra eccitazione alla vista del sangue, sulla base della considerazione degli squilibri presenti nella distribuzione del corpo docente e del rischio, con l’uscita di ruolo di una marea di professori nei prossimi anni, di perdere preziosi comparti di base ed eccellenze, voi rispondete regolarmente con insinuazioni volgari quanto sciocche. Quando poi però il prof. Grasso scopre che sono stati assunti nientepopodimeno che ventidue professori in un unico SSD, certamente non fra i più affollati, voi vi limitate a fare spallucce: “e che vòi che sia? Basta pubblichino!”, il che rende i vostri discorsi paurosamente incoerenti.
Caro Rabbi,
l’unico che ha plurime volte rimestato nel solito argomento purtroppo sei tu ed il fatto che non te ne renda conto è ancora più grave. La posizione mia e di Giovanni Golene a questo punto l’hanno capita anche i muri.
Ne è dimostrazione il fatto che questo topic è sul codice etico e comunque hai fatto in modo di tirare di nuovo dentro la faccenda dei prepensionamenti che non c’azzecca nulla.
La differenza tra noi però è evidente. Nessuno di noi ha mai insultato con la frequenza e la violenza che tu adoperi. Rileggi te stesso e vedrai quante volte hai usato parole sprezzanti, giudizi sommari, battutine inutili su di me e sugli altri. Tutto ciò non serve al dibattito e non lo sposta di un millimetro. Anzi, dà l’impressione a chi legge (ed al sottoscritto in primis) di avere a che fare con una persona poco atta alla discussione e altrettanto poco equilibrata.
Quando in un dibattito qualcuno non ci sente, si finisce con andare sopra le righe e danneggiare tutti, anche perché volano offese e insulti, palesi o mascherati. Ormai, l’argomento “prepensionamento” è stato sviscerato in tutti i modi e, nonostante le rigide posizioni evidenziatesi nella discussione, è chiaramente emerso un punto fermo che lo rende unico nel suo genere. Gli incentivi ai professori, a Siena, sono da cinque a nove volte superiori a quelli concessi negli altri atenei del Paese. E questo, per l’università più indebitata d’Italia, non è accettabile. Questo blog ha evidenziato numerosi argomenti scandalosi, qualcuno da Procura della Repubblica, tutti, però, avvolti stranamente dal silenzio più assordante dei commentatori. Eppure, questi misfatti hanno provocato un danno all’immagine e alle casse dell’Università di Siena notevolmente maggiore. È un modo per distogliere l’attenzione dagli argomenti più gravi e compromettenti per i soliti noti, come scrive qualcuno? Bah! Che dire? Fate voi! Continuate pure a parlare di “prepensionamento”! L’importante è evitare gli insulti e le offese.
Concordo con Giovanni! In tutto e per tutto. Ho riportato vicende personali emblematiche dello stato di sfacelo istituzionale e morale che stiamo vivendo e che dovrebbero far rabbrividire ed è stato come non dire nulla!!! Per questo io credo che la situazione dell’ateneo senese (ma anche quella della cosiddetta “azienda” ospedaliera) sia disperata e non emendabile.
Prof. Grasso per ottenere tanti prepensionamenti ci vogliono alti incentivi.
Esattamente come per far comprare i nostri btp ci vogliono rendimenti più elevati di quelli tedeschi. Unisi ha un alto spread. Nulla da scandalizzarsi.
…Giovanni, non c’e peggior sordo di chi non vuol sentire! Come se tu avessi posto l’accento sui pensionamenti e non sui fatti scandalosi da Procura della Repubblica! Consoliamoci, comunque, per lo “spread” di unisi, nella speranza che sia un fatto positivo!
Non è un fatto positivo.
Comunque il tema del prepensionamento è interessante per molti, ed ossessionante per alcuni. Ma è stato giustamente trattato perché ancora ci sono alcuni “scesi dai monti con la piena” che del tutto hanno capito che a Siena si rottamano i poveri vecchi…
Caro Cal, non mi commuovi: dopo esserti per settimane divertito a parodiare e distorcere i messaggi altrui, il mostrarti offeso sa un po’ di sceneggiata. Tu puoi continuare a considerare “offensivo” tutto ciò che è d’inciampo ai tuoi piacevoli progressi, ma non dimentico che hai fatto il tuo esordio in questo forum parlando della comunità scientifica intera come di un branco di maiali da macellare; se mettiamo indietro la macchina del tempo, ci rendiamo conto di come è cominciata la polemica: nei miei primi messaggi, tutto sommato l’argomento dei prepensionamenti non era in primo piano e in ogni caso era subordinato al problema centrale di cosa sopravvive e cosa viene soppresso, qual è il disegno “strategico” (se ve n’è uno) per il rilancio dell’ateneo e su quali eccellenze poggia. Tu, provocatoriamente, hai sintetizzato (o meglio distorto: disinformazia stile OVRA o STASI) il tutto attribuendomi persino la volontà di impedire colpevolmente la cacciata di “vecchioni” sessantanovenni (senectus ipsa est morbus) assenteisti ecc. ecc. per un non meglio precisato interesse personale. Circa i prepensionamenti, ho avanzato il dubbio che non si tratti di una misura salvifica e soprattutto che non preluda affatto all’immissione di “giovani”; i dati riguardo ai costi dell’operazione riportati da altri forumisti, la palese inconcludenza delle tue deduzioni secondo cui mandando via più gente possibile si apriranno le porte ai “giovani” (deduzioni che semplicemente ignorano il dato di fatto della impossibilità di “aprire le porte” di una casa rasa al suolo), consigliano un uso cauto di questa misura e dovrebbero indurre chiunque sia dotato di buon senso a riflettere sul fatto che non è possibile perseguire l’eccellenza semplicemente affidandosi alla roulette russa dell’anagrafe. In ogni caso questo tuo mantra dei “vecchioni” è servito a distrarre il dibattito da altri e forse più fondamentali problemi: cortina fumogena atta a distogliere l’attenzione da questa delicatissima fase che vede la scomparsa delle Facoltà e verosimilmente il più grosso terremoto degli ultimi decenni: sai parlare anche di altro, o ritieni che si debba continuare a fracassarci gli zebedei sul tema dei prepensionamenti fino al 2023? La protervia con cui ti rifiuti di prendere in considerazione i richiami di altri forumisti alla realtà di fatto che non tutti dispongono di legioni di professori da immolare, la disarmante nonchalance viceversa con cui accogli notizie come quella che – senza che ciò abbia prodotto particolari eccellenze nella ricerca – certi SSD sono stati gonfiati a dismisura con decine di professori; il rifiuto in definitiva di riconoscere come i palesi squilibri nella distribuzione della docenza, moltiplicati dalle naturali uscite di ruolo per raggiungimento del limite di età e il blocco del turn over creino seri già di per sé problemi nell’assetto dell’ateneo, sono atteggiamenti che non possono non essere stigmatizzati. Tutte queste ragioni che ho elencato consiglierebbero meno strafottenza da parte tua, e semmai di scendere a più miti consigli, rispetto all’acrimonia da “giustiziere della notte” assetato di vendetta. Se per questo ti sei “offeso”, sono affari tuoi: ti sei mai chiesto quante persone hai offeso con le tue sortite? Impara a rispettare le opinioni altrui e a non distorcerle.
No Rabbi io considero offensivo che mi si dica che sono un cretino, un bambino problematico ecc. ecc…
Nessuno ha mai detto la faccenda dei maiali da macellare. Ti farebbe comodo a supporto delle tue idee ma non è così. Non è nel mio stile dire e pensare certe cose.
Sui prepensionamenti ho detto la mia, non ho voglia di ripeterla. Non hai risolto il problema matematico che ti ho posto e quindi non hai capito la convenienza contabile a prepensionare che è uno dei criteri con cui si ragiona in questi casi. Il principale se il rischio è il default.
Mi sono stancato di ripetere sempre le stesse cose. Rimani delle tue idee (intanto però i prepensionamenti crescono di numero a dimostrazione che forse tanto torto non ce l’ho)…
P.S. Io non ho offeso nessuno. Se me la prendo con i 65enni nullafacenti e qualcuno si offende è un problema di coda di paglia evidentemente. Idem quando Giovanni Golene fa rilevare la questione del “potere” perduto… a qualcuno rode il didietro che lo si faccia notare ma è così.
P.S.2. Basta con sti prepensionamenti. Non hai altro nella vita?
@ Cal: «Comunque il tema del prepensionamento è interessante per molti, ed ossessionante per alcuni.»
– ma non si parlava di “Codice Etico”?
@ Cal: «Basta con sti prepensionamenti. Non hai altro nella vita?»
– Appunto!
«Basta con sti prepensionamenti. Non hai altro nella vita?» Cal
Alla faccia del bicarbonato! È quasi un mese che pretendi di inchiodare il forum a questa sterile discussione, che pare interessi solo a te. O sei matto da ricovero d’urgenza, o sei un provocatore.
«Come espresso altre volte l’ateneo si dovrebbe dotare di una politica-strategia di rilancio che definisca quali settori far andare avanti e quali far morire o integrare con altri atenei.
È questo, per me, il vero nodo. (…) Voglio un’Università che sceglie, decide e persegue quanto si propone di fare.» Giovanni Golene
Sante parole. Non potrei essere più d’accordo
«Ecco il punto dolente. Per decidere ci vogliono criteri. Uno è quello della numerosità degli studenti. Pochi studenti = corso da chiudere = alcuni settori disciplinari da abbandonare» Cal
È più di un millennio che noi scettici cerchiamo di spiegare che non esiste un “criterio” per scegliere. Ne esistono molti e le scelte vanno fatte con giudizio, non con un “criterio” aritmetico, necessariamente ottuso.
«Abbiamo appreso che l’amministrazione ha cominciato una ricognizione delle competenze a partire dai colleghi di livello B, chiedendo ai responsabili delle
strutture presso cui lavorano di riempire una scheda descrittiva delle mansioni loro assegnate.» La Flc-Cgil»
«Mi sembra la direzione giusta. Cercare di evidenziare le competenze presenti e quelle mancanti. E quindi ridistribuirle.» Cal
Io sarei molto meno entusiasta: prima di tutto perché confessa che finora si sia andati avanti alla cieca. Secondariamente perché mi pare più un modo di tenere impegnato qualche burocrate che non per identificare davvero le competenze. Per tornare all’esempio che ho già fatto: quale squadra di calcio per identificare i ruoli e le competenze dei suoi giocatori ha mai usato un questionario del genere?
Ma come dicevo la discussione, fra alti e bassi, e con più assonanze fra le varie parti di quanto non sembri, ha messo in evidenza il punto focale di disaccordo: come fare i conti con il passato.
Gli errori di cui molti si sarebbero pentiti (Cal): io non vedo in giro grossi segni di pentimento (poco male) ma nemmeno un pubblico riconoscimento di quali siano stati gli errori e di come vi si può porre rimedio. Si può ripartire da qui? Non fa parte della programmazione richiesta da Giovanni Golene e del il disegno “strategico” chiesto da Rabbi?
Un’ultima notazione riguardo ai nicknames: come ho già scritto altre volte, li considero un’ottima opportunità per entare nel merito di cosa si legge, indipendentemente da chi e perché lo ha fatto.
Ma devo dire che lo scambio di posts a base di “lei non sa chi sono io” scambiati fra nomi fasulli li ho trovati assolutamente esilaranti.
saluti scettici,
Sesto Empirico
«Ecco il punto dolente. Per decidere ci vogliono criteri. Uno è quello della numerosità degli studenti. Pochi studenti = corso da chiudere = alcuni settori disciplinari da abbandonare» Cal
Non ci senti proprio da quell’orecchio, eh?
Quanti corsi sono stati chiusi per mancanza di studenti? Quanti dei famigerati corsi sul “bue muschiato” sono stati cancellati? Mi pareva di aver sottolineato, in questa lunga polemica, che con l’uscita di ruolo di un sacco di professori, molti corsi chiudono per mancanza di docenti, non di studenti: la legge ne richiede 20 per un ciclo 3+2 e 35 per aprire un dipartimento, numeri che oggi a Siena non sono molti a poter soddisfare. Allora sarebbe simpatico capire, una volta chiuso un corso di laurea per mancanza magari di due docenti, cosa si intende fare dei diciotto docenti residui, visto che ad oggi non è possibile trasferirli: ad oggi la soluzione è “accorpare” e riciclare, e a forza di accorpare il culo con le quarant’ore, alla fine spacceremo lauree per dantisti dentisti. Mi chiedo altresì se questo sia un “criterio selettivo” accettabile per far fuori settori scientifici e persone.
Sesto Empirico scrive:
27 agosto 2011 alle 04:34
«Come espresso altre volte l’ateneo si dovrebbe dotare di una politica-strategia di rilancio che definisca quali settori far andare avanti e quali far morire o integrare con altri atenei.
È questo, per me, il vero nodo.»
… è il vero nodo. Al quale rischiamo di impiccarci. Concordo con ciò che è implicito nel tuo ragionamento, ossia che Siena non esce da sé da questo pantano: quello che dici presupporrebbe di andare oltre i confini della famigerata “autonomia” universitaria per cui ogni ateneo è una bottega a sé. Ho fatto l’esempio – benché in modo approssimativo – del Land tedesco, riguardo alla gestione della programmazione a livello regionale. Ma dubito che un discorso del genere, che come si suol dire abbisognerebbe di “ben altre” riforme, non lo si possa fare con un quadro legislativo ancora incerto come quello attuale, in cui personalmente non ravviso nemmeno la volontà reale di tradurre in pratica certe “declaratorie” della riforma. Per adesso sarebbe utile almeno non prenderci per i gabbasisi dicendo in modo autoconsolatorio che stiamo chiudendo per l’appunto le “cose inutili” o i corsi con “pochi studenti” (posto che comunque questo non può costituire una giustificazione per sopprimere tout court le scienze “avanzate”, come si dice ora con sarcasmo, immolandole sull’altare di altre imprese effimere, eterodirette, di scarso valore scientifico ed estremamente dispendiose come è avvenuto negli anni dello scialo). Certo è che se l’offerta didattica continuerà di anno in anno a peggiorare diventando sempre più vaga e meno specializzante, non basterà compensare i vuoti lasciati da insegnamenti e corsi di laurea soppressi con la retorica, perché affluiscano giovani da tutt’Italia, desiderosi di farsi prendere per il didietro e quella della mancanza di studenti costituirà una profezia autoavverantesi.
Gradirei che il prossimo mesetto, finita la polemica (spero) sui prepensionamenti e acclarato che non tutti i settori disciplinari possono vantare ventidue professori di ruolo, fosse dedicato ad una riflessione su questi temi.
«Gradirei che il prossimo mesetto, finita la polemica (spero) sui prepensionamenti e acclarato che non tutti i settori disciplinari possono vantare ventidue professori di ruolo, fosse dedicato ad una riflessione su questi temi.» Rabbi
– Magari!
ALLE ORIGINI DEL DISASTRO (ANCHE ACCADEMICO)
Nell’anniversario dell’intervista di Berlinguer sulla questione morale, secondo una sentenza, uno dei principali dirigenti del partito, Filippo Penati, “si é comportato da delinquente” in una vicenda di corruzione che lo vede protagonista di gravi indizi di colpevolezza. In un paese normale un dirigente che si trova in questa condizione e si proclama innocente rinuncia alla prescrizione, e i suoi compagni di partito gli chiedono di fare questo o lo isolano come un lebbroso. In questa Italia di inizio secolo, invece, tutti fanno finta di nulla, e il segretario di quel partito tuona contro “le macchine del fango” dicendo “Abbiamo capito bene“. Pure noi, abbiamo capito. Il dramma della sinistra é questo. Luca Telese
DELINQUENTI MA ANCHE DEFICIENTI (I NOSTRI GOVERNANTI)
“Sono da gennaio – racconta il ricercatore italiano Enrico Rejc – che aspetto un segnale, ma ancora niente. Questo è uno dei primi effetti concreti della riforma Gelmini. Un provvedimento ipocrita che, alzando le soglie minime per gli assegni di ricerca e la loro durata minima, senza affiancare dei finanziamenti adeguati, ha di fatto reso quasi impossibile per le università, già in crisi, di far lavorare un ricercatore, anche per brevi periodi”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/12/in-america-fa-camminare-i-paraplegici-ma-in-italia-e-disoccupato/117712/
http://www.christopherreeve.org/site/c.ddJFKRNoFiG/notavailable.asp?
http://www.thelancet.com/
«Allora sarebbe simpatico capire, una volta chiuso un corso di laurea per mancanza magari di due docenti, cosa si intende fare dei diciotto docenti residui, visto che ad oggi non è possibile trasferirli: ad oggi la soluzione è “accorpare” e riciclare, e a forza di accorpare il culo con le quarant’ore, alla fine spacceremo lauree per dantisti dentisti. Mi chiedo altresì se questo sia un “criterio selettivo” accettabile per far fuori settori scientifici e persone.» Rabbi
Eh ma l’alternativa quale sarebbe? Perché io concordo con te ma se non ci arrivi al minimo che devi fare? Violi la legge e non chiudi oppure chiudi e hai 18 docenti a spasso? Bel dilemma…
Vista la sordità di alcuni (anzi, a questo punto si può parlare di indifferenza, perché anche se “sordi”, quello che vogliono leggere lo leggono e come … e lo commentano!) alle questioni morali, che sono il tema centrale di questo “post”, chiedo a Giovanni che intervenga per ricordare che qui è in discussione il “Codice Etico” e chi vuol parlare d’altro, lo faccia pure, ma in altro luogo … altrimenti il mio prossimo intervento verterà sulla campagna acquisti del Milan e lo “sciopero” dei calciatori! (ho in programma una ventina di pagine!) … Censurare no, ma richiamare i partecipanti all’ordine, rispetto ai temi trattati, quello credo che rientri nell’ambito delle funzioni riconosciute al titolare del blog.
Caro Cosimo,
vedo che per l’ennesima volta tentano di “passare in cavalleria” anche il tuo ultimo intervento sulla questione morale … con grande disinvoltura, per giunta! Io mi sarei rotto le balle di questo comportamento e così, visto che su faccende tanto importanti si glissa, riproporrò il mio post tutte le volte che vedo c la gente “pisciar di fuori”.
Ecco:
Anche se Cosimo si incazzerà (perché parlo sempre dei fatti miei … ma sono i fatti quelli che contano, non le dissertazioni filosofiche!), vi racconto cosa è successo a me, che nonostante i 32 anni di laurea in Medicina e bla, bla, bla, in questa università, a seguito delle mie denunce sono diventato un paria; isolato, abbandonato, privato dei diritti più elementari, senza una “mansione” definita e del tutto recentemente, sconvenzionato (licenziato in tronco, sarebbe meglio dire!) dall’azienda ospedaliera perché la stessa, a detta del suo direttore, “non ha una collocazione da darmi!!!” (lettera firmata e protocollata …!!!). Premesso che io non ho mai smesso di pubblicare (a mie spese, perché nessuno finanzia le mie ricerche!), l’altro giorno mi arriva, da un’organizzazione scientifica internazionale, un invito a presentare, a Shangai, i miei dati e le mie ricerche sul retinoblastoma, tumore dell’occhio che colpisce i bambini e del quale io sono considerato esperto di livello internazionale, nonostante l’azienda ospedaliera senese, che pure ha un centro di riferimento nazionale per la diagnosi e la cura di questo tumore, mi abbia licenziato in tronco più di un anno fà!!!
Nell’invito, si legge, tra l’altro: «Siamo molto interessati al suo articolo: “The retinoblastoma paradigm revisited”, apparso sulla rivista Medical Science Monitor. Questo articolo include alcuni nuovi concetti che possono impressionare gli esperti del settore… e il congresso al quale la invitiamo …può rappresentare un’ottima opportunità per sottolineare i significativi traguardi raggiunti dalla sua ricerca» … in realtà io non ho un laboratorio (che pure avevo creato nel lontano 1993 e dal quale sono stato “estromesso” in seguito alle mie denunce), non ho nemmeno una mia stanza (“ufficio” sarebbe chieder troppo”) e non ho neanche un computer e/o una stampante, che non siano quelle di casa mia e che normalmente impiego per le “mie ricerche”.
Con tutta probabilità, non sarò in grado di partecipare a questo evento anche se, lo confesso, la mia povera mamma ottantacinquenne, che vive della sua sola pensione, mi ha offerto di pagarmi lei il biglietto aereo e la registrazione al congresso.
Giovanni e Cosimo possono confermare!
Non mi dilungo oltre; mi limito solo a chiedervi: che ve ne pare? Io credo che su queste cose si debba riflettere e non ragionare in astratto.
Per Cal e Sesto, poi, che parlano di pubblicazioni, una domanda: “non credete che anche nel campo delle pubblicazioni scientifiche ci siano mafia e lobbismo che impediscono alle verità scientifiche di emergere, dal momento che, almeno in medicina, le riviste “scientifiche” esistono solo per rafforzare (se mai ve ne fosse bisogno!) lo strapotere delle multinazionali del farmaco (che hanno a libro paga tutti i maggiori editori del settore? Volete qualche dato sull’AIDS? Ci sto scrivendo un libro e le “pubblicazioni” sull’AIDS, credetemi, farebbero rabbrividire anche i più scettici come Sesto o i “puri di spirito” come Cal!
Allora, sinteticamente, per Cal, Sesto e tutti quelli che credono nel valore delle “pubblicazioni”; andate su Google, digitate PubMed e entrate, così, nella US National Library of Medicine; nell’apposito spazio, digitate “AIDS Vaccine”; ad oggi, trovate 9225 “pubblicazioni” … uno dice: “sì, è tanta roba; forse troppa, ma è servita per creare un vaccino!” … domandina semplice semplice: “esiste, ad oggi, un vaccino contro l’AIDS?” … risposta semplice semplice: “No!!!”
Qualcuno mi dica, allora a cosa sono servite 9225 pubblicazioni se non a far fare carriera a quei popò di paraculi che le hanno scritte!!!
Il problema è solo e sempre “morale” checché ne dica Oscar Wilde …
… “meditate, gente, meditate!”, diceva il buon Arbore!
@rabbi jaqov jizchaq “Concordo con ciò che è implicito nel tuo ragionamento, ossia che Siena non esce da sé da questo pantano:”
In realtà concordi con Giovanni Golene, perchè quella era una citazione da un suo messaggio cui ne seguiva un’altra tua di identico tenore. Servivano a notare che, oltre a motivi di disaccordo, sono emerse in questa discussione anche delle assonanze.
” quello che dici presupporrebbe di andare oltre i confini della famigerata “autonomia” universitaria per cui ogni ateneo è una bottega a sé. Ho fatto l’esempio – benché in modo approssimativo – del Land tedesco, riguardo alla gestione della programmazione a livello regionale. Ma dubito che un discorso del genere, che come si suol dire abbisognerebbe di “ben altre” riforme, non lo si possa fare con un quadro legislativo ancora incerto come quello attuale, in cui personalmente non ravviso nemmeno la volontà reale di tradurre in pratica certe “declaratorie” della riforma.”
Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente.
O meglio sarebbe eccellente, perché di quanto auspichiamo non si vede gran ché, anche se ho il sospetto che il processo sia partito, in un modo tuttaltro che trasparente. In una situazione di incertezza, chi ha un disegno strategico e organizzazione ha buone possibilità di realizzarlo. Uno che mi sembra abbastanza chiaro è a livello regionale: potenziare l’università di Firenze e renderne le altre dei satelliti.
Localmente ci sarebbe stata una notevole opportunità nella riorganizzazione dei dipartimenti: il motivo principale di questa riorganizzazione avrebbe dovuto essere il fatto che la legge Gelmini attribuisce a quelli la gestione diretta dei corsi di laurea. Quindi poteva essere l’opportunità per ridisegnare i corsi di laurea e insieme i dipartimenti, costruendoli proprio attorno ai corsi che intendessero sostenere. E visto che lo stesso processo interessava tutte le università, poteva anche essere il momento per armonizzarlo assieme alle altre università toscane.
Non mi pare che sia avvenuto.
“Per adesso sarebbe utile almeno non prenderci per i gabbasisi dicendo in modo autoconsolatorio che stiamo chiudendo per l’appunto le “cose inutili” o i corsi con “pochi studenti” (posto che comunque questo non può costituire una giustificazione per sopprimere tout court le scienze “avanzate”, come si dice ora con sarcasmo, immolandole sull’altare di altre imprese effimere, eterodirette, di scarso valore scientifico ed estremamente dispendiose come è avvenuto negli anni dello scialo). ”
Qui mi pare che tocchi due punti importanti.
Il primo è come pianificare i corsi: numero di studenti (che vuol dire soldi che entrano), disponibilità di docenti (non solo il loro numero e il suo diminuire nel tempo per i pensionamenti, ma anche il loro livello) e importanza strategica-culturale sono tre aspetti che andrebbero valutati nel loro insieme con giudizio e non con ottusi sistemi aritmetici.
Un dipartimento con un programma di ricerca di eccellenza e docenti in numero sufficiente potrebbe sostenere anche un corso di laurea di buona qualità per pochi studenti. Molto meglio che annacquare il corso per cercare accalappiarne di più o sacrificare docenti validi e studenti in corsi fasulli.
D’altra parte, corsi di laurea che non siano sorretti da un numero di docenti sufficiente o da programmi di ricerca di qualità andrebbero gradualmente smantellati, e i docenti “che avanzano” indirizzati verso altri campi (nell’ambito del loro settore, ovviamente) utili in altri corsi o invitati a spostarsi nelle sedi dove possono dare un contributo e magari lavorare meglio.
E anche i corsi con più studenti e abbastanza docenti potrebbero essere eventualmente riformulati per utilizzare al meglio i docenti che ci sono e quello che sanno fare.
Questo però presuppone che si abbandoni l’etica di Polemarco con cui si stanno formando i dipartimenti per una in cui si entri nel merito delle questioni dal punto di vista dell’utilità ai fini del raggiungimento degli scopi dell’università, indipendentemente dagli amici e dai nemici o dalle simpatie e antipatie.
E qui veniamo al secondo punto che hai toccato: “come è avvenuto negli anni dello scialo”. Già, come è avvenuto? Perché se non si chiarisce questo punto e non si identificano pacatamente i meccanismi che non hanno funzionato e le idee che muovevano un progetto che è fallito, e non si sostituiscono con meccanismi, idee e pratiche diverse che tengano conto degli errori del passato, difficilmente si potrà cambiare alcunché. Nessun risanamento è possibile se non si parte dalle idee. Mi pare che i fenomeni che tu denunci (la chiusura di corsi dettata dalle contingenze e non dal merito) lo dimostrino.
Ma questo processo mi pare anche più indietro del primo: se c’è un qualche rapporto fra il modo come sono state disegnate le modifiche allo statuto e una analisi del tipo di cui ho appena accennato, a me sfugge del tutto.
Spero con questo di non avere irritato ulteriormente Domenico Mastrangelo: a me sembrano punti in cui l’etica c’entra molto.
saluti scettici,
Sesto Empirico
@ Sesto: «Nessun risanamento è possibile se non si parte dalle idee»
E qui che sta l’errore, caro Sesto. Di idee, in questo Paese, ne abbiamo troppe e le abbiamo tutti … e, quel che è peggio, ognuno ha la sua. Siamo il Paese dei settanta milioni di commissari tecnici della nazionale … ognuno ha la sua formazione vincente.
Personalmente, credo che non ci siano mille modi diversi di formare una squadra di calcio o mille modi diversi di governare un paese o mille modi diversi di amministrare un ateneo; ce ne sono, al massimo, due o tre. Il problema vero è che qui da noi nessun modo funziona, perché manca il requisito fondamentale per amministrare: l’onestà! Qui da noi, chi amministra lo fa o per sé e la propria famiglia o per il proprio gruppo politico o di potere. Quindi, ci puoi mettere le idee più brillanti del mondo, ma con questo sistema, tutte le idee sono destinate al fallimento.
Io non sono “irritato”, sono “sconcertato” dall’indifferenza che suscitano i temi della morale anche se questa indifferenza spiega benissimo perché Paese e istituzioni stanno andando in malora.
Vi siete arrovellati per un po’ e con lunghe e dotte disquisizioni sulle soluzioni; io non mi intendo di amministrazione perché faccio un altro mestiere, ma quando vedo che vengono tranquillamente tollerate situazioni come la mia, faccio un semplicissimo “2 + 2” e tiro le somme … non c’è alcun bisogno di lambiccarsi il cervello in cerca di soluzioni adeguate, perché manca il requisito fondamentale ossia il riconoscimento che la “cosa pubblica” funziona solo e soltanto se gli interessi personali, di partito o di gruppo di potere vengono messi da parte.
Se l’università fosse tua, ti preoccuperesti di averci dentro ed incentivare gente qualificata che ti fa fare soldi e promuove la tua immagine o faresti andare avanti i brocchi emarginando i migliori?
Per questo io insisto: se un’istituzione (sia essa ateneo o “azienda ospedaliera”) può permettersi non già di rinunciare (che potrebbe essere scelta consapevolmente suicida), ma di emarginare con rigore quasi scientifico, i migliori, ci deve essere qualcosa di profondamente marcio, che va ben oltre e ben al di là del semplice assetto organizzativo e/o amministrativo!
Fai questa semplice ipotesi (mettiamola così!): tu amministri lo stato e ti accorgi che la Mafia o qualsiasi altra organizzazione criminale è dentro il tuo Stato: che fai, ti arrovelli tra mille idee e mille modelli amministrativi diversi per riformare il tuo Stato o ti metti di “buzzo buono” a cercare di isolare ed eliminare i criminali?
“Nessun risanamento è possibile se non si parte dalla morale!”, l’ho detto mille volte, ma non è mai abbastanza! … e questo mi pare decisamente in tema!
Encomiabile l’elaborato di Nico, cui segnalo un link a riprova del fatto che se Siena è come l’Italia non dipende dal caso ma dal fatto che siamo il crocevia, purtroppo, dei soliti noti, che fanno il loro porco comodo!
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/28/il-caso-bersani/153988/
Scrive Luca Telese sul caso Penati che scuote il Pd:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/28/il-caso-bersani/153988/
«Caro Pierluigi Bersani, faremo anche a te tutte le domande che ti vanno fatte. E ti chiederemo cento volte conto di quel “Non lo so, non so giudicare“, quando ti domandano delle furbizie difensive di Penati. Tu non sei Caterina Caselli. Tu puoi pure essere stupito e addolorato di quello che salta fuori da una inchiesta e offenderti per una domanda. Quando saltano fuori inchieste e tangenti sul suo ex braccio destro, un leader deve prendere posizione. Una qualsiasi, ma la deve prendere. E, se posso permettermi, l’unica cosa che non può fare, é mettersi nelle mani di una commissione di garanzia diretta (!) da Luigi Berlinguer (!). Sei uno che vuole governare l’Italia, mica l’Unione sovietica.»
Domandina semplice semplice a Luca Telese e ai commentatori di questo blog: «E se Luigi Bersani avesse fatto dirigere la commissione di garanzia ad Aldo Berlinguer (figlio di Luigi) avrebbe fatto meglio o peggio?» A questo proposito si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
http://shamael.noblogs.org/?p=3039
http://shamael.noblogs.org/?p=3013
…ah, volevo direeee… che questa società (anche accademica) dove bisogna stare attentissimi a non mancare di rispetto ai truffatori e rapinatori di alto livello e loro gregari della amministrazione pubblica (anche atenei) che truccano e fregano ai concorsi e nei bilanci e hanno la faccia identica alle chiappe… tanto c’è la prescrizione e anche l’avvocatone che risolve la situazione… e chi ha avuto e fregato il cacio se lo tiene… un ambito ove basta curare toni (bassi) e termini (educati) mentre le vittime si sta a disquisire se sono più queralibili o pensionabili… mmmh… ho perso il filo! ah… dicevo… una simile schifosa società non la si cambia sul filo di una dotta scrittura! Pensate se provavano a sgombrare il rais di turno a suon di carte da bollo e chiacchiere sui blog!!
Vuol dir che qui ai più sta bene ‘sta munnezza!!!
È noto l’apologo dei fichi di Catone, com’è noto che terminasse ogni suo intervento in Senato, qualunque fosse l’argomento, con la frase: “Carthago delenda est”.
A rammemorare e rafforzare l’attenzione dovuta nei confronti della bradipica magistratura senese, propongo a tutti coloro che postano un intervento su questo blog, qualunque sia l’argomento, di terminare con la frase: “Cari magistrati, siamo stufi dei vostri traccheggi!”.
@ Cosimo: «una simile schifosa società non la si cambia sul filo di una dotta scrittura! Pensate se provavano a sgombrare il rais di turno a suon di carte da bollo e chiacchiere sui blog!!»
Tutto vero! Ma anche i processi più cruenti di liberazione passano per una presa di coscienza che scritti (non necessariamente dotti) possono quanto meno agevolare. La reazione di assoluta indifferenza ai fatti gravissimi che ho riportato, ci dice bene quanto le coscienze siano ormai assopite… e la situazione, di conseguenza, disperata e insanabile.
…ma difatti, Nico, se scrivere non servisse a nulla non sarei quello che su questo blog a ben guardare è tra quelli che hanno scritto di più! Aggiungo inoltre a mia scusante che non trovo i seguaci per fare la rivoluzione, per cui non mi resta che battere la tastiera sempre più stufo!
@ Domenico Mastrangelo: «Nessun risanamento è possibile se non si parte dalla morale!»
Non mi pare di aver scritto nulla di diverso. Perché secondo te possono esistere idee di comportamento a prescindere dalla morale? E la morale non è essa stessa un’idea?
«la ragione è, e non può non essere, schiava delle passioni» (David Hume, Trattato sulla natura umana, 1739–1740, II.3.3)
«Di idee, in questo Paese, ne abbiamo troppe e le abbiamo tutti … e, quel che è peggio, ognuno ha la sua.»
Questo può valere anche per la morale: comunità, culture, individui diversi possono avere (e hanno) in molti campi idee morali (cos’è bene e cos’è male) diverse: prendi ad esempio la morale sessuale, o perfino in alcuni casi l’omicidio (ad esempio la pena di morte o la faida, abolita come istituto giuridico in Europa alla fine del ‘400 ma ancora considerata morale in diverse comunità del mediterraneo e del medio oriente). Il punto quindi è accordarsi su principi etici che sono necessariamente comuni e in relazione agli scopi comuni che ci si prefiggono e come si intende perseguirli. Le tre cose (etica, scopi, percorso comune) non sono separabili.
Incidentalmente, che ci sia una varietà di idee fra cui scegliere la considererei una ricchezza, non una jattura: è un po’ come per la biodiversità. Il punto è, appunto, esaminarle e scegliere.
Ma, per tornare al tema, quelli etici sono principi ispiratori del comportamento, non si risolvono in una serie di regolette di comportamento più o meno dettagliate, che al massimo possono evidenziare alcuni casi in cui possono venire violati. Condividere una serie di divieti può essere utile, ma non significa condividere dei principi etici o morali.
Sesto Empirico,
scettico
Non credo che la morale sia un’idea; non nel senso, almeno, che ognuno debba o possa avere la propria. Tutti gli insegnamenti morali (religiosi e spirituali) di tutti i tempi, quando si è cercato di riassumerli in poche parole, hanno sempre ricondotto allo stesso, medesimo ed unico principio: “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!” … non c’è molto né da pensare né da ragionare! L’etica “oggettiva” (se così si può dire) si riconduce a questo unico ed essenziale principio!
Si può, al contrario, discutere se esistano fatti, circostanze, comportamenti che possano essere giudicati oggettivamente buoni o cattivi, dal punto di vista morale. Ma anche in questo caso gli insegnamenti morali (religiosi, spirituali), vengono in nostro soccorso: “anche ciò che sembra moralmente condannabile, come il mentire o lo stesso dare la morte, può essere moralmente accettabile se fatto a fin di bene e per evitare ad altri sofferenze“. Sono, dunque, le intenzioni, quelle che contano e non i principi.
Questo detto, i manigoldi, criminali che hanno rubato e continuano a farlo indisturbati, non mi pare abbiano agito né in base al principio del “non fare agli altri …” né, tanto meno a fin di bene o per evitare agli altri sofferenze.
Dunque, per quanto ne so, tali individui sono la feccia dell’umanità e devono essere puniti per le loro malefatte… o, quantomeno, allontanati da un’istituzione che voglia anche solo provare ad ispirarsi ad un “codice etico”.
@Domenico Mastrangelo
Si rischia di andare un po’ troppo nel filosofico, ma forse male non farà. Chi pensa che “creer es mas facil que pensar”, comunque, eviti pure di leggere.
“Non credo che la morale sia un’idea; non nel senso, almeno, che ognuno debba o possa avere la propria.”
Stai usando i due termini (etica e morale) come sinonimi. Questo è un uso comune, ma in genere è più utile usarli per indicare due aspetti distinti:
ad esempio http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20081005031804AAIEvdV
“Tutti gli insegnamenti morali (religiosi e spirituali) di tutti i tempi, quando si è cercato di riassumerli in poche parole, hanno sempre ricondotto allo stesso, medesimo ed unico principio: “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!” … non c’è molto né da pensare né da ragionare!”
Saggio principio morale e filosofico buddista, socratico e poi anche cristiano, presente anche in una parte dell’islam e nell’induismo (dove peraltro non evitava di costringere le vedove a farsi bruciare vive). Non direi che sia così universale come dici, però. Già Kant ne aveva messo in evidenza i limiti:chi sono gli altri? Come facciamo a sapere che la loro volontà è uguale alla nostra? Questa volontà che attribuiamo agli altri e a noi stessi è necessariamente conforme alla ragione e al bene?
In ogni caso, da solo non basta a giudicare cosa fare: al più dice solo quello che *non* devi fare (che è già molto, ma non basta).
“anche ciò che sembra moralmente condannabile, come il mentire o lo stesso dare la morte, può essere moralmente accettabile se fatto a fin di bene e per evitare ad altri sofferenze“.
Quindi bisogna mettersi d’accordo su cosa è “bene”, il che è possibile solo se si condivide uno scopo e una via per perseguirlo.
“Sono, dunque, le intenzioni, quelle che contano e non i principi.”
L’importanza delle intenzioni è un concetto tipicamente stoico, non ti aspettare che uno scettico lo condivida (ma neanche per altri versi lo condividerebbero un utilitarista o un relativista). Come decidi se l’intenzione è buona o cattiva se non la subordini a uno scopo?
Il docente che mente dando la sufficienza a uno studente che non lo merita per evitargli la sofferenza di studiare o di perdere la borsa di studio, ha una intenzione buona? O non sarebbe meglio che lo facesse soffrire e studiare?
“Questo detto, i manigoldi, criminali che hanno rubato e continuano a farlo indisturbati, non mi pare abbiano agito né in base al principio del “non fare agli altri …” né, tanto meno a fin di bene o per evitare agli altri sofferenze.”
Anche lo studioso che lavora alacremente per pubblicare un libro o un articolo può farlo senza agire in base a quei principi. Potrebbe farlo per fare carriera al posto di un altro o per arrivare prima degli altri o per portare via un finanziamento a un’altro studioso, ed essere anche convinto che ciò sia bene. Fintanto che non imbroglia e il lavoro è utile, non mi sentirei di condannarlo (anche se non mi riuscirebbe simpatico). Il problema dei criminali è che compiono volontariamente crimini (ed è bene che ne rispondano), non l’intenzione per cui lo fanno. Dubito che Hitler o Stalin pensassero di avere intenzioni cattive.
In ogni caso, fatta salva l’importanza sociale del perseguimento dei reati, per cercare di evitare che possano ripetersi, l’idea di giustizia di Polemarco (che potremmo interpretare qui come “punire i malvagi e premiare i buoni”) non risolve i problemi: oltre alle regole (che vanno fatte rispettare indipendentemente dalla malvagità o cambiate se sono sbagliate) servono la capacità e l’impegno nel pereguire obbiettivi comuni, più che la bontà.
Io tornerei perciò agli scopi e ai modi per raggiungerli: “I fini primari dell’Università di Siena sono la promozione e l’organizzazione della ricerca scientifica e dell’istruzione superiore, l’elaborazione e la trasmissione delle conoscenze scientifiche, anche attraverso la formazione dei docenti e la preparazione culturale e professionale degli studenti, l’innovazione culturale, scientifica e tecnologica nella società.”
Fin qui lo statuto. Non mi pare che sui fini ci sia molto da aggiungere.
Mi pare carente però la sezione che spiega come questi fini vengono perseguiti. Potrebbe essere integrata nel codice etico, dove però ad esempio viene specificato che un docente non deve portare un parente come allievo, ma non si dice nulla su come devono scegliere gli allievi, sulla competizione, sulla valutazione del merito, sui doveri verso gli allievi (e i loro limiti), su cosa sia considerato virtuoso e cosa disdicevole (alla luce di quanto abbiamo discusso, vale ancora l’idea che un docente è tanto più valente quanti più allievi riesce a mettere in cattedra?), sull’uso giudizioso e bilanciato delle risorse…
A me non importa tanto che si scriva su un documento: vorrei per prima cosa che se ne discutesse.
Alla fine se vuoi puoi anche aggiungere la tua “regola aurea” umanista, ma se trovi il barone che non ha problemi a farsi fregare da te a patto di poterti fregare lui se è più furbo o più abile o più potente (l’idea di Trasimaco: giustizia è l’interesse del più forte), non ti porterà lontano, anche se non è detto che ce la faccia.
E’ una regola morale utilissima e bellissima ma che non si presta ad essere elevata a principio etico.
In ogni caso, per tornare all’argomento del thread, la nostra ottima carta costituzionale dimostra che le dichiarazioni d’intenti, per quanto ben fatte e al massimo livello, da sole purtroppo non bastano.
Pochi articoli sono più impunemente violati del semplice e lapidario articolo 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Confrontalo con i metodi di valutazione del merito e con i dati sul finanziamento e sul numero di ricercatori e docenti in Italia rispetto ad altri paesi che magari hanno costituzioni meno belle della nostra.
saluti scettici,
Sesto Empirico
… il tassello mancante, nel ragionamento che ho fatto (per evitare di dilungarmi), è che nello sviluppo e nella crescita di una società (chiamiamola “civile”), lo “scopo” è il “bene comune” e perché si realizzi, è assolutamente necessario che ciascuno rinunci al proprio tornaconto (all’egoismo, se vuoi) in favore del “bene comune”; in questa prospettiva, il “bene comune” diventa anche la crescita personale di ciascuno, in un rapporto di mutuo e reciproco sviluppo. Questo, mi pare, dovrebbe valere per qualsiasi tipo di comunità, inclusa quella “accademica”.
Le intenzioni le conosci sempre. Difficile credere che gli scienziati del “Manhattan Project” non sapessero che stavano facendo un uso moralmente condannabile dell’energia nucleare!
Per il resto sono abbastanza d’accordo con te; le leggi non bastano o meglio, sono “istruzioni” di indirizzo generale (“etico”, se vogliamo) e le comunità che condividono lo scopo di uno sviluppo e una crescita sani, devono darsi un codice di comportamento (“morale”) che consenta loro di perseguire lo scopo del bene comune … a questo punto, a prescindere dalla Legge anche se, ovviamente, nel rispetto dei principi generali o “etici”!
@ Domenico Mastrangelo: «Le intenzioni le conosci sempre».
Va bene che gli stoici sono dogmatici, ma tu arrivi alla telepatia?
«Difficile credere che gli scienziati del “Manhattan Project” non sapessero che stavano facendo un uso moralmente condannabile dell’energia nucleare!»
Eppure probabilmente no, finché non è esplosa.
http://www.wagingpeace.org/articles/2000/08/28_simons_question-of-time.htm
Vale anche la pena leggersi il resoconto del processo Eichmann (la banalità del male) di Hannah Arendt, sulla mancanza di consapevolezza nei campi di sterminio tedeschi
Ma stiamo andando davvero OT
Sesto Empirico,
scettico
… non voglio andare OT e non arrivo alla telepatia, ma la storia è storia!
http://library.thinkquest.org/17940/texts/timeline/manhattan.html
… tutti sapevano e le lettere di Einstein a Roosvelt sono assolutamente esplicite!
http://hypertextbook.com/eworld/einstein.shtml#first
“scettico” va bene, ma vediamo di non esagerare!
Qualche giorno fa avevo citato una notizia:
«Per la prima volta in trent’anni la produzione scientifica italiana ha smesso di crescere e dà segnali di arretramento: lo evidenzia una ricerca condotta da Cinzia Daraio, docente di Economia all’Università di Bologna e Henk Moed, esperto bibliometrico olandese. Diminuiscono esperimenti, scoperte, nuove conoscenze prodotte nelle biblioteche e nei centri di ricerca universitari e numero di articoli scientifici pubblicati.”
Questa parte della notizia si è rivelata probabilmente falsa:
http://univeritas.wordpress.com/2011/08/24/is-italian-science-declining-anatomia-di-una-bufala/
Non è ancora nota la replica degli autori
Sesto Empirico,
Scettico
… stavolta lo scettico sono io!
Se non appartieni e/o conosci a fondo uno specifico settore scientifico, le statistiche nascono già come bufale. Esempio: nel mio settore di ricerca, che è una malattia rara (un tumore dell’occhio), non puoi avere il “materiale umano” (passami questo brutto termine) che può avere, invece, un cardiologo e dunque, la mia produzione scientifica sarà più ridotta di quella di un cardiologo, per cause di forza maggiore!
… Le condizioni in cui la ricerca viene realizzata, non vengono prese in alcuna considerazione. Tornando al mio esempio, se vai su PubMed e digiti il mio nome (Mastrangelo D) troverai articoli sul retinoblastoma pubblicati da riviste internazionali che nessuno, eccetto me, ha mai pubblicato, neanche nel dipartimento in cui questa malattia viene diagnosticata e curata … con una specifica: io non ho mai avuto una lira di finanziamento e quando ho trovato finanziamenti su progetti, altri se li sono mangiati. In più, io sono stato sconvenzionato dal d.g. dell’azienda ospedaliera che afferma, come ho già detto, che nel suo centro di riferimento per la diagnosi e la cura del retinoblastoma, “non c’è posto per me!”
… a cosa vogliamo guardare: alla qualità o alla quantità? Ci sono pubblicazioni di nessun rilievo scientifico (la maggior parte, nel caso dell’AIDS, già citato) che, però, nel computo della cosiddetta “ricerca” entrano ugualmente! E poi,tanto per restare sul concreto, guarda tra le mie pubblicazioni: quanti nomi vedi insieme al mio? Certo, quelle uscite su “Cancer Research” o “Oncology” o altre simili e importantissime, hanno molti nomi, ma se guardi le mie ultime, ci sono sempre io con altri pochi; questo non fà differenza? Pubblicare da soli è più difficile che pubblicare con altri venti cristiani! E poi, primo o ultimo nome della lista? Se sei il primo, con tutta probabilità il lavoro l’hai fatto tu e qualcun altro è “salito sul carro”; se sei l’ultimo di una lista di venti, con molta probabilità il tuo contributo è stato pari a zero!!!
Chi fa le statistiche, di queste cose non ne sa un tubo. E non finisce qui! C’è tutta la faccenda del lobbismo editoriale, per cui ci sono ricercatori, con i giusti agganci, ai quali pubblicano anche le “scoregge” e c’è gente che invece scrive cose egrege (ma scomode) e non viene pubblicata sulle riviste maggiori … ti potrei fare tanti altri esempi, ma mi sto dilungando troppo … la materia, comunque, è molto controversa!
Nik, io non conosco il tuo problema direttamente ma perché non fare concorsi in altri atenei e/o all’estero se davvero sei così bravo? Qui magari non sfondi ma altrove crederei di sì… possibile che in nessun altro centro al mondo abbiano bisogno di uno come te e siano disposti a chiamarlo? C’è qualcosa che non torna… non può essere il mondo vs Nik…
… no, Cal, non è il mondo contro me … il mondo va così e basta! Felice e beato chi non se ne accorge o chi lo sa e si accontenta!
… e poi ho 56 anni … a questo punto non vado più da nessuna parte … a questo punto, l’unica soddisfazione può essere solo quella di vedere che la Giustizia ne acciuffi qualcuno e gli faccia il culo! Anche questo può dare un senso all’esistenza!
Forse dieci o venti anni fà avrei potuto fare il passo … e d’altra parte, se tutti se ne vanno, chi resta? Solo i dissestatori?
Ma se ti piace “sospettare” che sia io quello “sbagliato”, fa pure … mia moglie me lo dice da una vita! … però, nel mio piccolo e con le mie modestissime risorse, credo di aver fatto il mio, ho la coscienza a posto, non ho mai fatto il portaborse o il leccaculo, e mi sento francamente sereno … e mi piace pensare che di quello che ho fatto in vita mia (poco, pochissimo, ma sempre qualcosa!), se ne possano un giorno giovare mio figlio e i suoi coetanei! … forse è un’illusione … e comunque la mia guerra non è ancora finita! Il vincitore si conosce sempre alla fine!
Nessun sospetto…
Comunque accademicamente sei ancora giovane. Scientificamente penso tu sia valido e come dice il poeta “finché c’è lotta c’è speranza”…
… esattamente!!! …
La redazione di Fratello Illuminato è lieta di presentare il capitolo 1 bis e il capitolo 2 del Manuale del dissestatore di ateneo. Questi uffici ritengono che, dato il titolo del post che si sta commentando, per utilizzare l’espressione “codice etico”, in presenza di cotanta bramosia di dissesto, di un cupio dissolvi finanziario, morale, etico, didattico e scientifico, ci voglia veramente la faccia come il deretano di un macaco.
http://shamael.noblogs.org/?p=3057
http://shamael.noblogs.org/?p=3062
Soprattutto nel secondo brano si fanno dei riferimenti che invitano ancora una volta a dare rétta ad Outis (e a Giovanni Grasso) e ripetere tutti in coro: “Cari magistrati senesi, siamo stufi dei vostri traccheggi”.
Alla prossima puntata che, con scarso margine di smentita, tratterà dell’edilizia (ah! Come si dissesta bene con l’edilizia!).
Di questi uffici con i migliori omaggi
Cesare Mori
Pur non condividendo interamente il contenuto, secondo me, una volta scritto tutto, dovreste stamparlo, rilegarlo e farlo circolare su cartaceo. Attenzione però a scrivere tutte cose vere e documentate o rischiate la fine dell’ascherino…
Stia tranquillo caro Cal: è tutto nero su bianco, documentabile, documentabilissimo! Inoltre (“Cari magistrati senesi, siamo stufi dei vostri traccheggi!”) la parte più divertente è che tutte queste cosine esistono di già in cartaceo. Ne può trovare copia presso la locale Procura della Repubblica. Ce l’ha portata la GdF. Per giunta il presente blog, nonché quello di Fratello Illuminato sono un archivio e, si ricordi, la Rete non dimentica!
Non capiamo, ad essere onesti cosa non condivida: sono tutti fatti. Se si riferisce al commento che ha lasciato sul nostro blog, senza che per cortesia si inneschi una polemica senza fine, Le facciamo presente che: 1) fino a qualche giorno fa l’acquisto, anche con fondi di ricerca, di dispositivi cellulari (categoria cui l’iPad apprtiene) era vietato, tant’è che c’è stata necessità di una circolare della direttora amministrativa (che dimostra tutta la propria inettitudine prendendo questi provvedimenti idioti e insensati al posto di quelli che il supermanager per cui l’avevano spacciata dovrebbe prendere per, parole di Criccaboni e Fabbro, “risanare e rilanciare l’Ateneo”); 2) la circolare arriva dopo un mese dall’avvertimento ai dipartimenti di non spendere niente se non per soddifare debiti che vanno in mora. Lei non è un economista? Bene: non c’è liquidità. Punto. Di nessun genere. Punto; 3) il documento in questione autorizza l’acquisto solo dietro esplicite e documentate ragioni “di ricerca”, che nessuno (a parte quelli che per oggetto di ricerca hanno l’iPad medesimo) è in grado di addurre per l’ottima ragione che con l’iPad tutto ci si può fare salvo che la ricerca, di qualsiasi genere essa sia. Inoltre, come qualcuno in questo blog ha già sostenuto, i fondi di ricerca non sono personali, ma rientrano nella locuzione “soldi pubblici” in quanto concessi a chi li chiede sol per il fatto che costui, nel nostro caso, può esibire credenziali di lavorare all’Unisi. E difatti v’è una percentuale di prelievo (e non è un “pizzo” come ha sostenuto Lei in quell’occasione). Ma le ripetiamo: che non diventi un argomento di polemica per il prossimo mese eh!!
Con gli omaggi di questi uffici
Cesare Mori
Nessuna polemica. Vedrà bene che quando c’è stata non è avvenuta per colpa del sottoscritto. Capisco la prospettiva. Il mio voleva essere un commento per rendere più esplicita la situazione. Senza sapere della circolare della fabbro pare che non sia opportuno comprare ipad. Ma che non serva alla ricerca è da dimostrare. Se invece di un portatile io mi prendessi un ipad che differenza ci sarebbe? Menzionando la circolare anche chi non è interno ad unisi capirebbe il danno.
saluti
P.S. Non sono un’economista…