Dalla trasmissione televisiva “L’ultima parola”.
Giornalista. (…) si parla di rimborsi gonfiati per master e corsi di aggiornamento dei professori qua dentro l’università, lei non …
Riccaboni. Questo riguarda altra Amministrazione, quindi se lei sa qualcosa di nuovo.
Giornalista. In cinque anni precedenti in cui era qua lei non ha mai notato queste cose, rimborsi gonfiati …
Riccaboni. Io faccio il rettore da due anni, prima non mi occupavo di amministrazione; quindi non mi riguardano quelle vicende di prima degli ultimi due anni …
Giornalista. L’ingerenza politica dentro il sistema Siena, e in particolare dentro l’università, è davvero così forte?
Riccaboni. Dentro l’università non c’è!
Giornalista. Non c’è la politica? Come fa a non esserci?
Riccaboni. Mi dica come fa a esserci!
Giornalista. Secondo il rettore, dunque, sorprendentemente, la politica non è presente dentro l’università; ma la maggior parte delle persone, da queste parti, sa bene che l’ingerenza dei partiti sulla città attraverso la Fondazione, è bene evidente. Il Monte dei Paschi comprava tutto e tutti (…)
Filed under: 13 dicembre 2012, Commissariarla per salvarla, Emergenze, Quelli dell'uva puttanella | Tagged: Angelo Riccaboni, L'ultima parola, Rettore, Rimborsi gonfiati, Università di Siena |
Ha perso l’ennesima occasione per stare zitto. Ogni volta che parla è un boomerang contro l’istituzione che dovrebbe rappresentare. Siamo sconcertati…
Il Pd propone un incontro su “Università e ricerca”
Parteciperanno Giulio Carli, Maria Chiara Carrozza, Luigi Dallai, Alessandro Starnini, Franco Ceccuzzi, Andrea Vignini (da il Cittadino)
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Giornalista. L’ingerenza politica dentro il sistema Siena, e in particolare dentro l’università, è davvero così forte?
Riccaboni. Dentro l’università non c’è!
È vero: dentro l’università non c’è la politica, c’è la …partitica. Non si vede in effetti all’opera alcuna lungimirante politica per l’università, ma si è visto nel corso degli anni un mercimonio squallido di posti di lavoro e di carriere prettamente partitiche, nel campo della docenza come in quello tecnico amministrativo. I pesantissimi squilibri e i paradossi coi quali ci misuriamo (da un lato c’è troppo personale, dall’altro molti corsi e servizi cessano per mancanza di personale) rivelano meglio di qualsiasi altra cosa quale sia stato il ruolo della “partitica” all’interno dell’università, in assenza di una vera politica. Personalmente continuo a ritenere intollerabile il fatto che il dibattito politico attorno all’università prescinda paradossalmente dall’essenziale: quando la FIOM o i giornali parlano della FIAT, si occupano eccome di impianti, stabilimenti, linee produttive, modelli, competenze tecniche, ingegneri, maestranze, progetti, competitività, produttività, motori, bielle e pistoni.
Perché questo è ovviamente essenziale nella vita di una fabbrica; anzi, questo è ciò che tiene in vita la fabbrica; spesso quando un politico parla di università, pare che stia parlando dell’ennesimo ente pubblico da depredare, fatto esclusivamente di generici “posti” e “uffici”, dove alberga pigramente il ragionier Fantozzi ed altri impiegati perfettamente intercambiabili. Un oggetto immobile e sempre uguale a sé stesso, non un corpo amputato e non una fabbrica anch’essa, che sta giorno dopo giorno perdendo impianti, professionalità, prodotti, competitività. L’ottica da cui guardare le cose non può essere quella rassegnata, ma tutto sommato comoda di chi va in pensione al culmine della carriera fra tre o quattro anni, ma quella di chi deve restare ancora per molti anni.
Assodato che di soldi non ne verranno, che il paese perde 480 posti di lavoro al giorno, mentre chiudono migliaia di imprese, anziché aspettare Godot si dovrebbe puntare alla riorganizzazione complessiva del sistema universitario, e questo è un problema che travalica i confini cittadini. Più tempo passa, più la situazione sarà difficile da recuperare; non è veramente tempo di autarchia e di particolarismi feudali, di soluzioni abborracciate o minimaliste; mettere delle pezze non basta più (“peso el tapòn del buso”), ma purtroppo direttive lungimiranti e coraggiose dall’alto, ove ci si compiace, oramai esausti, ma appagati (“il settimo si riposò”), di aver disegnato una riforma “epocale”, non ne vengono. La splendida trovata di trasformare le facoltà in dipartimenti dagli acronimi bizzarri, non mi pare proprio di per sé sufficiente a fronteggiare problemi delle dimensioni di quelli predetti. Di sicuro c’è solo che implacabilmente ci attendono altri tagli, senza che sia chiaro qual è al fondo la “pars construens” di questa non-politica.
L’università di oggi appare padronescamente tiranneggiata da una insensata e meccanica burocrazia di genere sovietico: anche le “valutazioni” meritocratiche si riducono alla fine in enormi pasticci burocratici; nulla, che abbia a che fare coi contenuti e col senso delle cose, pare avere più diritto di cittadinanza. Sembra che la compulsiva emanazione di “circolari” e promulgazione di “decreti” e divieti, di complicatissime tabelle che quantificano il nulla (strumenti di tortura coi quali si infierisce sadicamente su un corpo malato), basti di per sé a coprire l’assenza di un orizzonte di senso in una macchina che in larga misura gira a vuoto.
Il buco senese è stato “scoperto” oramai da cinque anni, se non sbaglio. Sono stati messi in vendita storici edifici che nessuno comprerà e l’unico esito sarà quello di rendere ancora più spettrale il centro storico di una città già semivuota di residenti. Leggo nel sito MIUR http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/vis_docenti.php che al 2007 a Siena risultavano 1050 docenti di ruolo; al 2012 risultavano scesi a 811. IL dato nazionale è che si è perso in pochi anni il 22% del corpo docente. Il trend non mi pare destinato ad invertirsi. Il che vuol dire, con le leggi attuali, e in forza del solo dato anagrafico, che hanno chiuso e chiuderanno nei prossimi anni molti altri insegnamenti e corsi di laurea non esattamente “inutili”. In questa cornice, grandi idee per far fronte alla gravità del momento non se ne vedono; come ho già scritto, a mio modestissimo avviso il problema oramai non si risolve “intra moenia”, attraverso una sorta di ripiegamento provincialistico (“piccolo è bello”), ma solo in chiave “federalista”, cioè attraverso una fattiva e robusta interazione a livello dei maggiori atenei della regione.
P.S. Rispondo qui ad un post di Fratello Illuminato, circa il progetto ventilato dal Magnifico di fusione tra l’università di Siena e l’università di Siena 2 (altresì detta “per stranieri”): caro Fratello, qui dissento parzialmente da te; buffonata o no, temo che questa sia la prospettiva ineluttabile per chi ha preteso di fare le nozze coi fichi secchi, visto che, francamente, una città ridotta sul lastrico dalla banda del buco, non può pensare di sostenere il peso di due atenei (più una parassitaria sede distaccata che succhia la poccia già avvizzita della sede centrale), entrambi con le pezze al culo, che arrancano per cercare invano di soddisfare i requisiti che la legge prevede (dura lex, sed lex, ma in realtà lo prevede anche il comune senso del pudore) per tenere aperti diversi dei corsi di laurea rimasti, dopo che già ne sono stati chiusi decine. Qual è l’alternativa? Io non ne vedo alcuna. Ricorda che dallo scoppio del buco sono già andati in pensione circa trecento docenti, altri spariranno dalla circolazione nei prossimi anni, il reclutamento è fermo e lo sarà chissà per quanto. Ribadisco che oramai l’unico modo per salvaguardare interi comparti della ricerca e corsi di laurea basilari su scala regionale (almeno ad un livello accettabile di decenza, se non di eccellenza), è quello di andare verso forme (più o meno estese) di integrazione tra atenei. Anzi, se posso rincarare la dose, nei casi di dissesto come quello senese, la legge prevede, come extrema ratio, persino l’accorpamento dell’intero ateneo con uno più robusto. Un saluto RJJ