L’Eretico di Siena pone 8 domande al candidato a sindaco di Siena Bruno Valentini che sfiderà alle primarie del Pd Alessandro Mugnaioli. Il titolo del post è suggerito dalla risposta-flash che Valentini dà sull’università.
Ascheri. Il Valentini, invece, resta una sorta di sfinge: di certo, è un anticeccuzziano dell’ultima ora, cui, strada facendo, si sono aggiunti, pregustando aria di vittoria, degli anticeccuzziani dell’ultimo quarto d’ora. Che abbia talento oratorio, nonché una faccia più spendibile di qualunque ceccuzziano, nessun dubbio; il quesito che viene da porsi, è questo: chi voterà per Valentini, per chi voterà? Per l’uomo capace di rinnovare drasticamente il Pd senesota, facendolo divenire un partito almeno decente, o per un furbone che ha aspettato lo sfacelo per proporsi con autorevolezza? Inutile girarci intorno, il dilemma è tutto qui; per scioglierlo, c’è solo un modo, da parte sua: rispondere (a differenza di ciò che non ha mai fatto Franchino il Ceccuzzi) ad alcune domande sulle persone che, in questa città, conservano i loro posti nonostante un’appartenenza Docg alla Casta locale. A fare i bei discorsi di fondo sui perché del Siena’s crash, oggi, sono buoni davvero tutti: il bravo Valentini – se vuole guadagnare la fiducia di questo blog – deve rispondere dunque a qualche domandina. Sulle persone – lo ripetiamo -, non sui massimi sistemi.
Domanda di Ascheri. Il Magnifico Rettore professor Riccaboni le sembra incarnare la personalità giusta per il ruolo che ricopre? A prescindere ovviamente dalla questione strettamente legata alle indagini sulle elezioni. Riccaboni, sì o no?
Risposta di Valentini. Per quanto riguarda l’Università, io e i senesi dobbiamo rispettare l’esito delle elezioni del Rettore. Chiedo di accelerare il risanamento, di rafforzare la didattica e di organizzare l’Università partendo dai bisogni degli studenti.
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«Chiedo di accelerare il risanamento, di rafforzare la didattica e di organizzare l’Università partendo dai bisogni degli studenti.» Valentini
Sì, ma cosa vuol dire “risanamento” e “rafforzamento della didattica”, in presenza della fuoriuscita di metà del corpo docente e di insostenibilità, già ad oggi o fra breve, di buona parte di ciò che con lessico bachiano si definisce “l’offerta formativa”, o almeno quel poco che resta dopo i ricicciamenti, gli aggrovigliamenti, gli accorpamenti iniziati già nell’era mussiana? Siamo ancora alle chiacchiere. Urgerebbe qualche parolina in più, qualche ideuzza, un piano, una strategia, anche se il Postino e il suo compare Jaques il Fatalista, amico del Postino (detto anche “Quod scripsi, scripsi”) sostengono che si debba tacere, giacché le nostre azioni nulla possono dinnanzi al Fato. “I docenti calano”, scrive l’amico del Postino; calano le nebbie, calano le tenebre ed anche i cabbasisi: stancamente l’amico del Postino ci informa che non vuol sentire la “solita solfa”: ma perché, quante volte l’ha sentita, di grazia, questa “solfa”? Vi sono altre “solfe”? E la sua “solfa” quale sarebbe, a parte la spicciativa diagnosi che non si può fare niente perché tutto accade per necessità? Se riprendere una discussione che in questo momento è in atto in buona parte degli atenei italiani, e che qui, proprio per la peculiare drammaticità del caso senese, dovrebbe essere più viva ed urgente che altrove, significa esporsi agli insulti del primo anonimo che passa, allora vuol dire veramente che c’è del marcio. Se il Valentini si ritiene “il nuovo che avanza”, allora (lui, come altri che aspirano al rinnovamento) dovrebbe smarcarsi da questa gente e cominiciare ad intonare, viceversa, “solfe” ascoltabili.
Alla icastica, esauriente e circostanziata risposta di Valentini aggiungerei un “pilu pe’ tutti”.
Il significato della risposta del Valentini è questo:
Accellerare cosa? Quale piano di risanamento? Ma l’ha capito Valentini che non c’è nessun piano di risanamento? È stupefacente che Valentini, tra le cui fila svolgono importanti ruoli un docente come Fulvio Mancuso e un consigliere di amministrazione come Fiorino Iantorno continui a parlare di una cosa che non esiste. Questo al di là delle affermazioni condivisibili di Rabbi. E cosa c’è di vero nelle dimissioni del presidente del collegio dei revisori dei conti? Perché non è irrilevante questa vicenda considerato che proprio il collegio (oltre alla Corte dei conti) ha messo per iscritto, timbrato e vidimato che Cricccaboni e Fabbro non stanno risanando una bella miseria di niente. E poi stare al risultato delle elezioni che significa, visti i due rinvii a giudizio che ne sono scaturiti? Stare al risultato di elezioni irregolari? Ma la fate finita di votarli a questi dissestatori e filodisssestatori?
Caro Cesare Mori,
mi permetto di intervenire, perché forse può essere utile a comprendere come la penso personalmente sull’Università, limitandomi a ‘incollare’ la mia risposta alla domanda di tale “Lugano addio” che mi chiedeva ‘insidiosamente’ (scherzo!) a commento di un mio comunicato pubblicato sul cittadinoonline (http://www.ilcittadinoonline.it/news/159060/Mancuso___Mugnaioli_prenda_le_distanze_da_Ceccuzzi_.html) :
«Mancuso rispondi a questa domanda: sei con Riccaboni o no?»
Di seguito incollo le mie risposte: “@Lugano addio. Permettimi prima una battuta: spero di non dover dire un giorno “Siena addio” perché questa città, nella quale vivo da 28 anni, cioè da quando, diciottenne, mi iscrissi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università (c’erano professori bravissimi il cui valore scientifico era riconosciuto a livello nazionale e internazionale), oggi rischia di veder partire i suoi giovani se non riparte l’economia (e qui la politica ha le sue responsabilità) e io ho due bambine. Detto questo io sto e starò sempre con l’Università e non con questo o quello: se poi vuoi saperlo, a suo tempo, non votai Riccaboni, pur conoscendolo da tempo, e glielo dissi direttamente perché avrei voluto Giovanni Minnucci come Rettore. Non ho incarichi istituzionali all’interno dell’Università: faccio soltanto (e ne sono orgoglioso) il mio lavoro di docente. Critico le cose fatte da chi governa e amministra l’Università se non mi sembrano giuste e viceversa. I problemi del nostro Ateneo sono ancora molti! Una piccola aggiunta: come si vede anche dalle mie prese di posizione in questa città (che ovviamente hanno il poco peso che può immaginare), preferisco schierarmi piuttosto che stare, come si dice, ‘coperto’. Il gioco democratico dovrebbe funzionare così: la democrazia divide per sua natura (per fortuna!) a differenza della tirannia. E sull’Università le faccio un piccolo esempio. Sulla vicenda dei dipendenti, molti dei quali disabili, della Cooperativa Solidarietà non ho mai avuto dubbi da che parte stare. Certo ho potuto far poco personalmente: ma sono stato presente agli incontri pubblici a difesa di questi lavoratori e ho contribuito alla raccolta delle firme a loro sostegno. È poco, pochissimo me ne rendo conto: ma per cambiare le cose credo che si debba cominciare, innanzitutto, dalle testimonianze (pubbliche, non riservate!). Grazie e a presto. Fulvio”.
«…per cambiare le cose credo che si debba cominciare, innanzitutto, dalle testimonianze (pubbliche, non riservate!). Grazie e a presto. Fulvio”.» Fulvio Mancuso
Mah, il fatto che uno scriva usando un nickname (come accade nei blog di tutto il mondo) non significa che ometta di dire le stesse cose pubblicamente, o che si astenga da qualsiasi forma di impegno. Io non capisco questa polemica contro l’uso di nicknames: a prescindere ovviamente dai “trollers” e dai messaggi contenenti puri insulti, se uno afferma che 2+2=4, c’è bisogno di conoscere il suo pedigree e l’Auctoritas che sostiene questa tesi, per stabilire se è vera o falsa? Ma così non ci sarebbe stata nemmeno la rivoluzione scientifica! Eppure mi pare così democratico discutere delle cose e non dell’araldica delle persone, evitando, come raramente accade in questo paese, il ragionamento “ex auctoritate”. Basterebbe appellarsi ad Aristotele e San Tommaso: dire di ciò che esiste che non esiste, o di ciò che non esiste che esiste, è falso, mentre dire di ciò che esiste che esiste e di ciò che non esiste che non esiste, è vero. Ahimè, ma questa è una mentalità “riformata”, dura da attecchire in un paese che conobbe tante controriforme, ma non la Riforma.
Sono stato frainteso. Parlando di testimonianze pubbliche e non riservate non mi riferivo al tema dei nicknames e nemmeno dei blog anonimi. Mi riferivo a chi ti dice a tu per tu: “ti sostengo, ovvero sostengo la tua causa, ma, pubblicamente, non posso espormi” e cose simili. Io preferisco farlo pubblicamente (era l’esempio dei dipendenti della cooperativa). Soltanto questo. Penso anzi che nicknames e blog abbiano svolto e svolgano una funzione la cui importanza è inversamente proporzionale al grado complessivo di pluralismo informativo e di libertà di stampa in un certo luogo. A Siena sono stati certamente importanti!
«L’Università del territorio: Altro vanto tra le principali istituzioni che affonda le sue radici in un glorioso passato. Deve tornare a rifiorire anche grazie alla valorizzazione delle risorse umane a sua disposizione.» Eugenio Neri
…sì, ma come? C’è di grazia, qualche temerario che osi spingersi oltre le colonne d’Ercole del luogo comune e dei buoni sentimenti e dire come “valorizzare le risorse umane”? Al momento i dati di fatto che balzano agli occhi sono un risanamento dei conti più apparente che reale, assieme all’insostenibilità già manifesta o prossima ventura di molti comparti dell’università, messi in crisi della fuoriuscita di metà del corpo docente, a casaccio, per via dei pensionamenti (a turn over bloccato). Dalle ceneri degli appiccicaticci, ricicciamenti, rattoppi e dai rammendi (vi prego, o voi che potete, date una bastonata in testa agli apprendisti stregoni ancora in vena di vacui ed effimeri “sperimentalismi”) non risorgerà alcunché di “eccellente”.
A cinque anni dallo scoppio del “buho”, in una città piegata da uno scandalo bancario la cui eco è giunta in capo al mondo e dalla crisi di tutte le sue istituzioni e in un paese in piena recessione, “nave senza nocchiero in gran tempesta”, forse non bastano più le affermazioni di principio. I crudi ed imprescindibili dati da cui partire per una qualsiasi analisi sono costituiti:
1) dalle tabelle che ci ha fornito il prof. Grasso circa la riduzione drastica e casuale – pensionamento – del 50% del corpo docente in presenza di blocco del turn over. Ciò significa inevitabilmente continuare a smantellare, ma anche in questo “est modus in rebus”: nessun falegname vi dirà che per “razionalizzare” la sua bottega ha buttato via pialla, sega e martello. Insomma ci vorrebbe un piano, che non può esaurirsi nel varo dei nuovi dipartimenti (anch’essi grandi calderoni, spesso decisamente poco omogenei);
2) dalla legge di riforma Gelmini che indica cosa fare in tali circostanze di “insostenibilità” di parte dell’offerta formativa (art. 3) e dai vari decreti che regolano la costituzione o “accreditamento” dei corsi di laurea imponendo quantità ed esatta miscela di docenti. In poche parole, al contrario di quanto afferma certa pubblicistica piuttosto naive, non è che puoi fare come cacchio ti pare e praticamente ogni giorno giunge una qualche circolare che dà un ulteriore giro di vite;
3) dal calo drammatico di iscrizioni ed immatricolazioni (-17% in media, con punte del -25%: peggior dato della Toscana);
4) dalla situazione finanziaria dell’ateneo e del sistema universitario tutto, che non lascia sperare in grandi aperture.
Con i meno di 600 docenti residui, poiché malamente distribuiti, sovrabbondanti in alcune aree e con buchi clamorosi in altre, di corsi di studio ne farai poi assai meno dei 30 matematicamente possibili (la legge ne richiede 12 + 8 per un ciclo completo, ma in una esatta miscela!) ed avrai anzi un bel po’ di gente “in esubero”, avanzata dai corsi disciolti, che non saprai come impiegare. Monsù Lapalisse, al secolo “il Postino”, ci informa che tale insieme è disomogeneo oggi perché lo fu all’origine, cosa che mi pare sia stata qui ribadita (anche dal sottoscritto), ad ogni piè sospinto, ma non si capisce come la mera enunciazione di un problema possa di per sé costituire anche la soluzione al problema: difatti il Postino, invitando alla rassegnazione ed alla contrizione, lo giudica insolubile.
Prescindendo da questi fatti, dalle leggi, dai decreti e dall’esito che prefigurano (condivisione con gli altri atenei di una parte dell'”offerta formativa” e in prospettiva, mobilità dei docenti e programmazione dei corsi su scala regionale), non vedo come si possa avviare una seria riflessione intorno al migliore “utilizzo delle risorse umane”, considerando che se a Siena si piange, tra un po’ anche altri atenei dirimpettai avranno ben poco da ridere.
“Everything else is wishful thinking”, e che sia meglio essere ricchi e belli piuttosto che poveri e brutti, del resto, già lo asseriva un certo filosofo presocratico di nome Catalano.
P.S. Ieri il Rettore ci ha informato magno cum gaudio che siamo nientepopodimeno che al trecentosessantaseiesimo posto nella graduatoria URAP World University Rankings 2012; a parte che la politica del gambero di crogiolarsi coi dati passati e coi risultati ottenuti in anni passati, rischia di oscurare la consapevolezza che purtroppo “il futuro non sarà uguale al passato” (ipse dixit), noto che gli altri due principali atenei toscani stanno cento posizioni sopra.
Mancuso nessuno le disconosce i meriti che ha, in particolar modo quello di aver sensibilizzato l’opinione pubblica sulla tristissima vicenda della cooperativa. La questione posta però è un’altra. Lei, oltre che docente dell’Ateneo (non colluso con la cricca, come giustamente rivendicato), è anche avvocato e quindi sa bene il significato dei rinvii a giudizio. Siccome Ascheri aveva fatto una domanda al Valentini ben precisa, ci aspettavamo che fosse consigliato da persone competenti in materia quali siete sicuramente Lei e Iantorno (che fra l’altro ricopre incarichi istituzionali in Ateneo e dal quale non abbiamo sentito una parola in merito a tutte queste vergognose vicende) di rispondere a tono. Il Valentini questo non l’ha fatto, anzi ha risposto in modo tale da far dubitare di aver compreso la domanda. “Stare al risultato delle elezioni” è un’affermazione idiota e Lei lo sa bene, perché i risultati delle elezioni sono toto caelo irregolari come dimostra il fatto che la Procura della Repubblica ha ravvisato l’opportunità di sottoporre a processo tutti i componenti del seggio e della commissione elettorale per falso. Che poi il GUP, dopo una serie di snervanti e ingiustificati rinvii, abbia deciso per due soli rinvii a giudizio non significa che non ci sia la palmare dimostrazione che le elezioni sono state gravemente inficiate. Altro punto è quello del piano di risanamento. Il collegio dei revisori dei conti ha certificato che il piano di risanamento non esiste e che la situazione economico-finanziaria dell’Ateneo è quantomeno critica se non di aperto dissesto. E, carico da undici, tale certificazione è stata ribadita dalla ormai nota relazione della Corte dei Conti. Inoltre, ed è notizia recente, il presidente del Collegio dei revisori si è dimesso. Non sappiamo perché ufficialmente, ma è facile immaginare ragioni provenienti da un dissenso col Rettore (che pure lo aveva nominato) e/o la paura, giustificata, di trovarsi a breve nella condizione di dover rispondere di mancato intervento su una situazione disastrata. Quindi la risposta di Valentini là dove parla di “accelerare il piano di risanamento” è una risposta in politichese che è stata data evidentemente a cazzo di cane per non dover prendere una posizione ferma e decisa come invece hanno fatto altre forze politiche (poche per la verità).
Allora non spostiamo la questione arrampicandosi sugli specchi. La cooperativa non c’entra niente con questa storia. C’entrano, eccome, la legittimazione dei vertici dell’Ateneo ad agire (che secondo questi uffici e vari intervenienti in questo ed altri blogs non c’è) e la presa d’atto che, legittimati o meno, questi due siano due incapaci ed incompetenti. Questo era quello che ci si aspettava da una formazione “nuovista” come pretendete che sia la vostra. E non è arrivato niente del genere. È arrivata una risposta a cazzo di cane in puro politichese e per giunta fondato sul nulla e questo, dispiace doverlo dire, ma è così, vi squalifica irrimediabilmente. A maggior ragione quando invece Laura Vigni e Maurizio Montigiani hanno invece espresso in modo deciso un dissenso palmare e l’auspicio di un passo indietro di Riccaboni e conseguentemente della Fabbro. Capiamo che l’Ateneo sia considerato l’ennesimo serbatoio di voti che va maneggiato con cura, ma così facendo si dimostra di non avere il coraggio di andare anche contro le convenienze elettorali pur di prendere le distanze dall’ennesima manifestazione del sistema aggrovigliato in vigore finora.
Inoltre non c’è ancora nessuno che abbia mai risposto a Rabbi che a questo punto sono anni che pone problemi serissimi argomentando in modo inappuntabile il che significa, se ancora ci fosse bisogno di dirlo, che la politica è del tutto aliena dai veri problemi dell’Ateneo che non sono certo quelli della cooperativa (con la quale è giustissimo essere solidali e per la quale è sacrosanto cercare una soluzione), ma quelli della didattica e della ricerca che sembrano essere l’ultima delle preoccupazioni di Rettore e compagnia pessima. Non trattandosi di una fabbrica di ricciarelli, ma di un istituto per l’alta formazione questi sono i problemi che dovrebbero affrontarsi per primi, salvando in questo modo la buccia anche di chi ci lavora.
La maggior parte della politica senese se ne fotte dell’Ateneo e quando è messa con le spalle al muro si dà al mirror climbing. Lo faceva Cenni, lo faceva Ceccuzzi, lo fa il Mugnaioli, lo fa il Neri, lo fa il Tucci e lo fate anche voi. Non lo fa Laura Vigni, non lo fa Maurizio Montigiani. Questi sono fatti, il resto sono chiacchiere inutili e anzi dannose.
Con tutti gli ossequi del caso
Cesare Mori
«La maggior parte della politica senese se ne fotte dell’Ateneo.» S.E. Cesare Mori
…non ti illudere: il silenzio, le risposte elusive (“conciossia cosa quando fosse che il quadro non è tondo”) o le battute sarcastiche sono una risposta, che sebbene voglia dare l’impressione “ar popolino” di padroneggiare a tal punto la materia, da reputare ingenua ogni domanda al riguardo, lascia invece trapelare agli occhi di chi abbia un minimo di cognizione di causa un sostanziale menefreghismo ed ammonta di fatto ad una sommessa dichiarazione di impotenza. L’ostinato silenzio è già una risposta: non tu risponderanno mai, se non con uno sberleffo, un po’ di demagogia o con un annoiato “uffa quanto rompi”. Stiamo precipitando dalla Torre del Mangia, ma in fondo, sin qui, prima di toccare il suolo, non c’è motivo di preoccuparsi.
«La nostra proposta di una “grande Siena”, da 100mila abitanti, è finalizzata anche a progettare lo sviluppo dell’intera area valorizzando la vocazione produttiva delle aree già individuate urbanisticamente che mantengano sul territorio le imprese che ci sono e ne attraggano di nuove basandosi anche sulla qualità della vita della nostra terra. Per quanto intrigante, la prospettiva di puntare nel futuro prevalentemente sull’artigianato di qualità, sui servizi culturali, museali, di accoglienza turistica, di prodotti agricoli di nicchia, non è adeguata all’aspirazione di fare di Siena un perno economico dell’area vasta della Toscana meridionale che, dopo la probabile soppressione delle Province, comporterà una valorizzazione inevitabile dei capoluoghi.» Fulvio Mancuso – da “Il Cittadino”.
Vedo en passant che ora, dopo la bastonatura elettorale, tutti sono concordi nell’abolire le province e me ne compiaccio (giacché la vendetta è un piatto che si gusta freddo). Ma venendo agli “affari culturali”, non si sa cosa ne sarà del SMS e della sempre più catalettica Accademia Chigiana, dopo che MPS ha smesso di elargire quattrini: toccherà forse imparare a trovarli da sé, magari imparando a cercare più alacremente sponsorizzazioni private o fondi europei?
E il motore del vagheggiato “terziario avanzato” e dell’innovazione tecnologica, cioè l’università, cola inesorabilmente a picco: ripetutamente (ma senza che ciò destasse reazione alcuna) è stato qui sottolineato che sta perdendo metà del corpo docente in meno di due lustri e con esso buona parte della ricerca e dell’offerta formativa; le conseguenze tangibili sono ad esempio che abbiamo perso il 17% degli iscritti e il 20% degli immatricolati in un solo anno, con punte ancora peggiori in alcuni specifici settori. Alla luce di questi dati di fatto, non si è capito bene che cosa intendono politici di ogni colore, sfumatura e pettinatura quando parlano di “piano di risanamento”.
Un po’ di concretezza, per favore: Mancuso è docente universitario, e gli sarà capitato, come un po’ cinicamente auspico, di doversi sorbire ogni tanto quelle amene letture che sono le leggi e decreti che regolano l’«accreditamento» dei corsi, i format, RAD, requisiti minimi ecc. … ebbene, gli tornano i conti? È possibile sapere cosa pensa dei problemi evidenziati e discussi in questo pregiatissimo blog, nonché delle soluzioni ventilate, che (c’è da scommetterci) fra qualche annetto, cioè quando sarà troppo tardi, verranno giudicate da tutti “inevitabili”? Le chiacchiere non fan farina e di “whisful thinking” se ne hanno già pieni i cabbasisi.
Atteso che il territorio non è solo “arte” e “turismo”, ma cultura in un senso più ampio, agricoltura, manifattura, meccanica, elettronica, tecnologia, ricerca scientifica (giustamente Mancuso richiama le biotecnologie, ma non solo), se per l’università di Siena si sta delineando la scomparsa, ad una ad una, delle sue migliori eccellenze – fatto che fa temere semmai un futuro di microuniversità di serie B senza ricerca e con una didattica di basso profilo – quale ruolo potrà giocare, in funzione dello sviluppo del territorio? A questi lumi di luna perseguire il declassamento addirittura come obiettivo (“e so’ troppiiii, bisogna mandalli viaaa!”) mi parrebbe irrealistico almeno quanto la millantata “piccola Oxford”.
La nota trasmissione televisiva comunista “Porta a porta” del compagno Bruno Vespa, nella puntata citata precedentemente, al cospetto di miss Neutrini che argomentava sulla necessità di potare le sedi universitarie, ci informa che in Italia solo il 10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi: in poche parole il ceto medio (proletarizzato dalla crisi) è escluso dallo studio universitario, per quanto si continui a vaneggiare di università “per tutti”. Dunque vorrei capire le seguenti cose: è vero che nell’intento di realizzare il diritto democratico allo studio si è preferito (in modo molto equivoco) “portare la montagna da Maometto”, l’università ovunque, persino a Follonica, anziché viceversa, e ora ci rendiamo conto che non si può schizofrenicamente da un lato allargare a macchia d’olio il sistema rendendolo costosissimo e parallelamente sottofinanziarlo e sottrarre costantemente risorse; ma nessuno, in realtà, tra quelli che si combattono nell’arena politica e blaterano di giavazziana ed abravaneliana “meritocrazia” ha mai sostenuto con decisione la necessità di portare Maometto alla montagna: non è deprimente dunque parlare ancora di “diritto allo studio”, in una condizione in cui le fazioni politiche si dividono fra chi vuol concedere agli studenti squattrinati al massimo dei corsi di laurea inutili e dequalificati, e chi non vuol concedergli neanche quelli? In questa cornice, a mio avviso, si inscrive anche il problema dell’avvenire dell’università senese e delle conseguenze dello smantellamento massiccio delle sue strutture: qual è il progetto inconfessabile, giocare a ribasso offrendo corsi dequalificati ar popolino?
Spero di no, così come spero si comprenda che il problema di procacciare un terzo stipendio al dodicesimo cardiochirurgo (ci informa s.e. Cesare Mori), forse per operare il ventiduesimo storico contemporaneo, non è in cima alla lista dei problemi cui dovrebbe far fronte questo ateneo; ma per salvare il salvabile e al contempo ridisegnare un ruolo per Siena nel quadro degli atenei toscani, io non vedo altra strada se non quella additata nei miei precedenti post, facendo “sedere a un tavolo” rettori e ministri, abbandonando le interpretazioni settarie della sedicente “autonomia” che ha trasformato gli atenei in monadi senza finestre, ponendo un freno alle spinte particolaristiche e ribadendo che stiamo parlando di università statali, le quali sono certo in concorrenza tra di loro, ma che dovrebbero congiurare al medesimo scopo, essendo che percepiscono “l’argent” dal medesimo committente, ossia il cittadino che paga le tasse. Ma questa evidentemente è musica non gradita alle orecchie dell’establishment. Allora qual è la musica grata all’establishment?