Di seguito, quel che l’attuale ministro Maria Chiara Carrozza aveva dichiarato a Siena in campagna elettorale. Dichiarazioni generiche, quelle della ministra! Le consigliamo, pertanto, di leggere la risposta di Rabbi e il post seguente: «È necessaria l’interdizione di Riccaboni dalla carica di rettore dell’Università di Siena».
Maria Chiara Carrozza. La situazione dell’ateneo senese è difficile, come quella di molte altre università, ma Siena ha avuto più difficoltà. Credo, però, che sia stato fatto un grande lavoro per il rilancio dell’Università. Non conosco nei dettagli il piano di risanamento, ma lo valuto nei fatti. Siena attrae molti studenti ‘fuori sede’, ha progetti internazionali attivi e si occupa di sostenibilità a livello di tutto il Mediterraneo. Sia nel campo della didattica che in quello della ricerca, Siena ha le idee chiare. Il piano di risanamento si sta attivando con costi alti, a partire dalla riduzione del numero di docenti, purtroppo inevitabile, perché il fondo di finanziamento è diminuito drasticamente e c’è stato il blocco del turnover che ha determinato un impoverimento di tutte le università italiane.
Rabbi Jaqov Jizchaq. Vi sono “idee chiare” nel campo della didattica e della ricerca? Non mi pare proprio. Il corpo docente va verso il dimezzamento ed è leggermente eufemistico definire ciò una “riduzione del corpo docente” (ma la prof.ssa Carrozza, si è posta il problema di cosa significherebbe per la sua università, e cioè Pisa, il dimezzamento del corpo docente?); per quanto al bar e dal barbiere si plauda a questo salasso, con quello che rimarrà, dopo le fuoriuscite a casaccio di un docente su due senza turn over dovute ai pensionamenti, si fa ben poco e soprattutto, il poco che si fa, lo si fa male, dovendo adoperare non quello che ti ci vuole in vista di un disegno razionale orientato verso la promozione di alcuni settori, ma semplicemente quello che ti rimane dopo il pensionamento di un docente su due. Non nutro speranze che Siena torni a essere “più bella che pria”, ma anche questa agonia e morte andrebbero governate da becchini all’altezza della situazione.
In teoria, se la Provvidenza, l’Armonia Prestabilita o il Groviglio Armonioso facessero sì che uscissero di ruolo giusto le persone “inutili” (?), faremmo appena 30 corsi di studio (ciclo completo) in tutto; poiché così non è, ed ovviamente ciò che ti rimane non è detto che assecondi la precisa miscela di docenti che la legge richiede per “accreditare” i corsi di studio, ci troveremo ancora con settori sovraffollati di personale ed altri settori esangui, e la possibilità reale di dar luogo dunque ad un numero assai più ristretto di corsi di studio. Cosicché, per l’ennesima volta, molti non potranno garantire i 20 docenti richiesti dalla legge nella precisa miscela per aprire un ciclo 3+2. Siena sarà costretta cioè a chiudere ulteriori corsi di laurea, dopo le decine cancellati in questi anni, ma mi sa che sotto la cifra di 30, entriamo in un territorio molto pericoloso (Pisa, dove insegna la Carrozza, offre oltre 80 corsi di laurea triennali e 79 specialistici, leggo nel sito). Inoltre, con i docenti più giovani a quel punto “in esubero”, oltretutto, non saprai cosa farci: siccome ciò è già avvenuto e avviene oramai da quando esistono i famigerati “requisiti minimi”, non rivelo niente di sorprendente, né di nuovo.
Carrozza dice che «Siena attrae molti studenti ‘fuori sede’». Ad oggi le operazioni di rattoppo poste in essere allo scopo di soddisfare i requisiti di docenza si sono tradotte in molti casi in un peggioramento drammatico dell’offerta formativa che, oltre allo sputtanamento totale di alcuni corsi di studio dal punto di vista qualitativo, ha portato ad una perdita secca del 17% degli iscritti e di oltre il 20% degli immatricolati in un solo anno, con punte ancora peggiori in determinati settori (fino al 25%). Drammatica la situazione dei livelli specialistici e dei dottorati di ricerca: questo per dire quanto “attrae” Siena, e la Carrozza dovrebbe saperlo, giacché ciò che ha perso Siena in termini di fuori sede è andato in larga misura a vantaggio di Pisa, diventata quest’anno il maggior ateneo toscano. Andando di questo passo, sorge spontanea la domanda, non solo di quanti studenti attrarrà Siena, ma anche quali, se cercherà di ritagliarsi uno spazio gareggiando al ribasso.
Visto che è toscana, la ministra Carrozza dovrebbe adoperarsi affinché gli atenei della regione diano corso all’art. 3 della legge di riforma, affrettandosi a instaurare intensi rapporti di collaborazione, federando i settori e i corsi di laurea che singolarmente nei tre atenei non hanno le forze per sopravvivere (e oramai il problema temo non sia più solo di Siena), condividendo dottorati, lauree magistrali e strutture scientifiche in genere: non farlo è diabolico e criminale, essendo a repentaglio la stessa sopravvivenza di tradizioni scientifiche nell’intera regione. Inoltre la ministra dovrà spiegare ai suoi colleghi senesi cosa cavolo dovranno fare man mano che i loro corsi di laurea chiuderanno per il pensionamento di metà del corpo docente.
Il lavoro di “rilancio” di cui parla Carrozza sin qui è consistito (oltre ovviamente al mantenimento della “fuffa” in omaggio alle Loro Maestà) nel nuovo assetto basato sui megadipartimenti, una struttura inevitabilmente “monstrum” e una operazione che di per sé non risolve i problemi sopra richiamati in ordine all’offerta didattica legati ai malefici “requisiti di docenza”. Trovo però grottesco che anche coloro che furono i cantori della “grandeur” senese, oggi – da un estremo all’altro, dimenticando il giusto mezzo – teorizzino un altrettanto irrealistico ateneo ridotto a dimensione lillipuziana: nondum matura est, si direbbe, visto che nell’incapacità di pensare ed attuare soluzioni efficaci, si teorizza l’estetica della catastrofe rigeneratrice e il fuoco del Walhalla.
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[…] Carrozza continuerà a tenere gli occhi chiusi sui problemi dell’università di Siena? […]
…P.S. Circa la corretta esegesi della riforma Gelmini, ho sentito ieri (martedì) sera l’ex ministra stessa da Vespa affermare papale papale che bisogna tagliare un po’ di sedi universitarie, perché sono troppe. Più chiaro di così, si muore; del resto a questo, in ultimo, tendono le recenti riforme, già dall’introduzione dei “requisiti minimi di docenza” da parte di Mussi, e non solo alla riduzione dei corsi di studio (perché se affondo il rasoio nella tua giugulare, non posso poi giustificarmi dicendo che stavo tentando di raderti). Il giornalista Belpietro ha aggiunto che l’eccessivo numero di atenei è provato dal fatto che la maggior parte di essi sono indebitati fino al collo, e poi ci sono “troppe facoltà” (ignaro forse del fatto che le facoltà in quanto tali non esistono più).
L’impressione è che Belpietro sia rimasto fermo a qualche annetto fa, essendo del tutto all’oscuro della carneficina avvenuta in questi ultimi anni e delle processioni di ricercatori (e studenti!) che oramai traversano le frontiere per non rimettere forse mai più piede in patria: quella patria ingrata che si classifica ventiquattresima su ventisette paesi europei per investimenti in formazione e peggiore assoluta come numero di laureati.
Ma quand’è così, mi domando come mai né miss Neutrini, né il suo baffuto predecessore abbiano parlato chiaramente ed agito di conseguenza, anziché sommergere le università con un profluvio di leggi e leggine, fastidiose come punture di insetto, ma tese essenzialmente ad impedire di fare qualsiasi cosa ed accettato poi certi tentativi goffi di aggirarle con operazioni di ingegneria fantastica del tutto fallimentari che certo non hanno incoraggiato le iscrizioni. O perché l’art. 3 più volte citato si limiti a “suggerire” il rimedio della federazione – parziale o persino totale – tra atenei, anziché asserirlo perentoriamente.
In ogni caso la pioggia di decreti e circolari somministratici implacabilmente come maledizioni dalle burocrazie ministeriali, disposizioni che dicono e si contraddicono e ogni anno impediscono ciò che l’anno precedente concedevano, in un giochino a rimpiattino tra il tenore che cerca di andare a letto col soprano e il baritono che glielo impedisce (diceva G. B. Shaw a proposito del melodramma) che ha del surreale e del demenziale, ribadiscono qual è l’intenzione di fondo e puntano a quello scopo, forse contando di attuarlo semplicemente riducendoci alla follia.
La politica italiana tradizionalmente non decide, e poi dà la colpa agli altri della propria indecisione: insomma, mettiamo che io non sia punto disposto a dare la vita per difendere una sede distaccata o persino una sede principale; che io anzi goda nell’essere frustato e che dunque non mi spaventi affatto la tua minaccia di frustarmi: ma vuoi finalmente deciderti a tirare fuori ‘sta frusta? Vuoi chiudere delle sedi? Orbene, fallo! Ma non è che basta proclamare la tua volontà per risolvere da un punto di vista operativo i non lievi problemi che questa operazione comporterebbe, in primis ridiscutere concetti come quello di “autonomia universitaria” o di mobilità dei docenti; inutile che tu vada in tivvù e adeguandoti al “main stream” di un’opinione pubblica cialtrona adusa a sputacchiare senza troppi distinguo su chiunque lavori nel campo della ricerca scientifica, continui con la solita solfa di dieci anni fa: inutile che mi bombardi con “requisiti minimi”, mi tormenti peggio che Equitalia con RAD, SUA, ANVUR ecc. ecc. ecc. e norme restrittive demenziali e sempre più kafkiane impossibili da soddisfare, in presenza del dimezzamento del corpo docente e del blocco del turn over, se poi non mi dici cosa devo e cosa posso fare, atteso che “intra moenia” e “autonomamente” a questo punto mi è concesso di fare ben poco.
Ma caro Rabbi quante ingiustificate lamentele. È evidente che l’Ateneo senese è florido quant’altri mai e che non solo la fase critica è passata, ma è passata da un pezzo, visto che nel 2012 si assumevano professori a medicina, facoltà notoriamente povera di docenti, soprattutto in alcune materie come la chirurgia. Ma come? Non lo sapevi che mentre per tutti sono bloccate le carriere, il turn over, gli scatti di anzianità, mentre i lavoratori vengono allegramente macellati e minacciati, più nei fatti che nelle parole, di mobilità coatta, mentre si rincorrono voci, ignobilmente appoggiate da Revisori dei Conti e magistrati contabili di gravi crisi di liquidità, intanto si trovano 72.000 euro l’anno per luminari della chirurgia? E bada caso, poi questi luminari della chirurgia vengono anche candidati dal PD del restauratore Valentini? Beh, se non lo sapevi te lo puoi leggere qui: http://shamael.noblogs.org/?p=7211.
Buon divertimento e i massimi ossequi
Cesare Mori