Pole l’UniSI permettisi di pareggiare con l’UniPI e l’UniFI? No!

Sole24Ore

Se il sapere divide un Paese (Da: Il Mattino 24 giugno 2014)

Pino Aprile. Quando saranno disponibili, i dati sui danni alle università meridionali causati dal decreto Carrozza serviranno forse solo a misurare la dimensione del disastro. E sarà troppo tardi per rimediare, se non a prezzi e con tempi moltiplicati. Sempre che ce ne sia la volontà. Se si vuole intervenire, bisogna farlo subito, prima che cominci il nuovo anno accademico, perché le conseguenze di quell’infausto provvedimento appariranno chiare alla distanza, ma si producono da subito («Dal momento in cui avveleni i pozzi a quando l’acqua arriva nelle case e la gente comincia a morire, passa un po’ di tempo. A meno che non fermi l’acqua prima che esca dal rubinetto», mi spiega, con una chiarissima metafora, un famoso docente).

I criteri per definire “migliori” le università sono stati concepiti per premiare quelle del Nord (presenza di aziende sovvenzionatrici nel territorio; facilità di lavoro, per i laureati; entità delle tasse pagate dagli studenti), e le università del Sud sono state, così, ulteriormente svantaggiate. Questo le porterà a non poter sostituire i docenti che vanno in pensione, a ridurre i corsi di studio (l’ “offerta formativa”), alzare le tasse per gli studenti. I quali avranno una ragione in più (anzi, tre) per preferire l’emigrazione scolastica o esserne obbligati. Già senza il funesto decreto, in pochi anni, la differenza fra le immatricolazioni al Sud e al Nord è passata da 4 a 14 punti in percentuale; significa che, solo per questo (fra tasse, vitto, alloggio, viaggi), per mantenere i loro figli fuori sede, le famiglie meridionali spendono cifre nell’ordine dei miliardi di euro. Con l’accelerata imposta dal decreto, il salasso da Sud a favore del Nord sarà ancora maggiore e gli atenei meridionali sono destinati a chiudere, prima o poi. «Alcune università del Sud hanno già dovuto alzare le tasse», dice il rettore magnifico dell’ateneo barese, Antonio Uricchio. «Se le cose restano così, tutte saranno costrette a farlo. Noi ragioniamo sulla possibilità di toccarle solo per la fascia più alta di reddito».

Si stanno sopprimendo corsi, magari fra i meno riusciti, per ora; e alcuni fra i migliori professori, sapendo che le possibilità di carriera al Sud vengono ulteriormente ridotte, già si propongono a università del Nord (un docente dei più autorevoli mi racconta che il collega con cui, da oltre vent’anni, conduce ricerche di rilievo internazionale, dopo il decreto-Carrozza ha “fatto le carte” per un concorso a cattedra al Nord. «È bravo, lo vincerà. A quel punto, tutto il lavoro fatto insieme al Sud risulterà prodotto al Nord»).

La nuova ministra, Stefania Giannini, pare intenzionata a occuparsi della faccenda, secondo quanto disse circa un mese fa, in un’intervista al Mattino. Pensai (non fui il solo) che quelle parole fossero solo rassicurazioni ministerial-verbali (non costano niente, perché negarle?). Lo scetticismo riguardava pure l’altro tema toccato in quel colloquio: l’esclusione di poeti e autori meridionali dai programmi di letteratura italiana del Novecento per i licei, incredibilmente voluta dal ministero dell’Istruzione, con “indicazioni” emanate nel 2010 dall’allora ministra e frequentatrice di feste leghiste, Maria Stella Gelmini; incredibilmente, la fatwa contro gli aedi terroni, persino se premi Nobel, Grazia Deledda e Salvatore Quasimodo, fu perpetuata dal successore Francesco Profumo (governo Monti); e ancora più incredibilmente mantenuta dalla ministra Carrozza, Pd (governo Letta). Nella totale indifferenza di ministri, sottosegretari, deputati e senatori del Sud e del Nord; nonostante le denunce del Centro per la poesia del Sud e una mezza dozzina di interrogazioni parlamentari, l’ultima solo pochi giorni.

La ministra Giannini, nell’intervista al Mattino, si impegnò a intervenire su questa faccenda e sul decreto per (contro?) l’università, dopo essersi meglio informata. Si può dire che «sì, vabbe’…» fu il commento più sentito? Poi arrivano le tracce dei temi d’italiano per gli esami di Stato e ci troviamo sia Deledda che Quasimodo (che, salvo iniziative private di docenti o allievi, non figurano nel programma di studio suggerito dal ministero). No, dai! Ci togliete anche l’ultima certezza. Ovvero che i ministri dicono le cose, ma non puoi anche pretendere che le facciano! La presenza di entrambi gli autori-esclusi-e-premi-Nobel-meridionali esclude che sia un caso. Così, ora chino il capo, cospargo la pelata di cenere e chiedo scusa alla ministra per non averle creduto (ho le attenuanti, però, per i precedenti appena elencati). Quindi, per il prossimo anno scolastico, ci aspettiamo (e sono annunciate) “indicazioni per il curricolo” che riportino nei programmi e nei libri di liceo poeti e scrittori terroni del Novecento. Ma se tanto mi dà tanto, ci dobbiamo attendere che Stefania Giannini mantenga anche quanto detto a proposito dell’università? Quel decreto comporta spese più alte per gli studenti meridionali (e il reddito pro capite del Sud è il 56 per cento di quello del Nord); l’impoverimento della quantità di corsi di studio e della qualità (brutto, ma bisogna dirlo) dei docenti, perché i migliori migrano dove anche le opportunità loro offerte sono migliori (specie se diventano molto migliori). Fermare gli effetti di quel decreto è opera elementare di giustizia ed equità. Con quello che abbiamo visto in 150 anni, a danno del Sud, soprattutto negli ultimi venti a trazione leghista, non è il caso di illudersi. Se il criterio di eccellenza resta la latitudine, non il Sud, il Paese è spacciato. Online, mi sono impegnato a portare i fiori alla ministra, se a quel suo annuncio di possibile revisione seguiranno fatti. E molti si son detti pronti a fare altrettanto. Siamo ormai a fiori e opere non “di bene”, ma “per bene”, perché non si chiede un favore, ma il ripristino di un violato diritto allo studio. Di non essere condannati a emigrare anche per questo.

Variante toscana del significato di meritocrazia all’insegna del “Principio di Peter”

MariaChiaraCarrozzaSiena, pochi soldi. Magnifiche poltrone (Da: Il Mondo 20 dicembre 20013)

Fabio Sottocornola. All’università di Siena il pagamento delle tredicesime sarebbe in pericolo, esiste il rischio di un default e potrebbe intervenire la Corte dei Conti. Sta tutto scritto in un verbale datato 4 novembre del Collegio dei revisori: l’ateneo avrebbe una «grave situazione di cassa», in giacenza restano 3,5 milioni «insufficienti per far fronte agli obblighi contributivi».

Verrebbe da chiedersi che fine ha fatto il «risanamento» tante volte decantato da Angelo Riccaboni, rettore nella città del Palio oramai da più di tre anni, il quale, nel frattempo, ha fatto incetta di incarichi di prestigio. L’ultimo risale a fine novembre: presidente della Fondazione Crui, braccio operativo del parlamentino dei Magnifici italiani. Un paio di mesi fa, il docente di economia era stato inoltre nominato nel CdA della Fondazione Smith Kline, onlus di origine aziendale su temi sanitari. A insediarlo ci aveva pensato la numero uno del Miur, Maria Chiara Carrozza, anche lei toscana, al corrente della situazione finanziaria senese. Scelta ritenuta curiosa, forse una variante governativa del significato di meritocrazia. Intanto, Riccaboni non è stato fermo, diventando anche vice presidente della Fondazione Toscana Life Sciences, che ha come supersponsor il Monte dei Paschi.

Così, si ritorna a Siena e al verbale dei revisori di novembre. Quel giorno il rettore era «in missione all’estero per servizio», quindi è stata convocata Ines Fabbro, direttore amministrativo, che non ha escluso la possibilità di «posticipare a gennaio il pagamento delle tredicesime». Quanto alla «strategia per evitare il default», la manager ha pensato a un’anticipazione di cassa. Attenzione, avvertono gli esperti: la scelta potrebbe essere «momentanea» e andrebbe «reintegrata entro l’esercizio». Anche perché, altrimenti, si tratterebbe di nuovo debito. Solo che l’università, già oberata, non può contrarne altri, pena la violazione della legge e un possibile danno erariale.

Riuscirà, il rettore di Siena, a evitare d’imbarcarsi nell’avventura telematica prima che intervenga pesantemente il ministro?

Volto_unisiTelematiche, il baco è ordinario (da: Il Mondo, 25 ottobre 2013)

Fabio Sottocornola. Università telematiche con il baco. Sulla scrivania del ministro Maria Chiara Carrozza sta per arrivare un atto d’accusa che potrebbe spegnere più di un software accademico. Si tratta della relazione finale, predisposta dalla commissione di studio creata nel giugno scorso con il compito di «formulare proposte di intervento per tutelare la qualità». Era l’obiettivo dei commissari, guidati da Stefano Liebman, ordinario di diritto del lavoro alla Bocconi. Gli altri sono Marco Mancini (ex presidente Crui) e Marcella Gargano (vice capo di gabinetto al Miur). L’esplosione delle telematiche (sono 11 le accreditate) in dieci anni non ha pari con altri Paesi europei. La moltiplicazione delle sedi fisiche, da Benevento (università Giustino Fortunato) a Salerno (Pegaso), da Novedrate in provincia di Como (e-campus) a Firenze (lui) per citarne solo alcune, fa a pugni con l’idea stessa di online come spazio virtuale. Altra pecca, la scarsità dei professori incardinati e la libertà di attivare corsi di laurea senza numeri minimi di ordinari. Per non parlare poi di docenti poco decenti: improvvisati o impreparati. Insomma, ce n’è abbastanza per intervenire. Ma in che modo? Sembra che la commissione suggerirà al ministro di favorire, in un primo tempo, la federazione degli atenei. Poi l’introduzione di requisiti di base per le lezioni e gli insegnanti. Non è esclusa la possibilità che vengano revocate le autorizzazioni. A Carrozza pare che non manchi la volontà di intervenire: di recente ha detto basta a nuove accademie.

Ora riuscirà a usare il pugno di ferro? Le resistenze saranno molte: basti pensare a chi c’è dietro il business telematico. Per esempio la famiglia Angelucci (cliniche private a Roma) possiede la San Raffaele, rilevata (tra gli altri) da Fininvest, mentre le Camere di commercio controllano Mercatorum e il Formez (presidenza del Consiglio) ha la Telma.

Se, quello del pisano Letta, è un elogio dell’università di Siena…!

Enrico Letta

Enrico Letta

Eppure, il solito giornaletto locale, imbattibile nella sua opera di disinformazione sui problemi universitari, con riferimento al discorso del Primo Ministro presso l’Università di Siena, lo chiama “elogio” e titola in prima pagina: «Letta elogia Siena e l’ateneo». L’articolo su quattro colonne si conclude con le parole pronunciate dal capo del Governo: «Siamo in una delle più straordinarie città d’Italia e in una delle migliori università del Paese insieme a Pisa…». Due parole scarne (ma proprio due) di circostanza, che Letta doveva necessariamente pronunciare, come ospite nell’aula magna dell’università! Ma preoccupandosi, subito, di mitigarne la portata, accostando l’università di Siena a quella di Pisa, per riportare il discorso alla dura e cruda realtà. Infatti, nella classifica internazionale Arwu delle 500 migliori università al mondo, Pisa è prima in Italia e Siena non esiste. E questo, il pisano Letta e la pisana ed ex rettore Carrozza (presente alla cerimonia), lo sanno bene. Come conoscono bene la situazione economico-finanziaria dell’ateneo senese e l’analfabetismo gestionale del rettore e direttore amministrativo.

Università: facoltà di barare

MariaChiaraCarrozzaUniversità, facoltà di barare. La classifica degli atenei è fuffa (La Notizia giornale, 2 agosto 2013)

Andrea Koveos. È recente l’uscita della prima classifica delle università italiane redatta da Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca; l’ente pubblico, vigilato dal Ministero dell’istruzione, che ha il compito di valutare gli atenei statati e privati destinatari di finanziamenti pubblici. Peccato che quella classifica sia piena di buchi e priva di un fondamento scientifico degno di questo nome. Come ha scoperto e dimostrato la rivista Roars c’è più di qualcosa che non va, a cominciare appunto dalle cifre. Andiamo per ordine. I dati sulle pagelle degli atenei che Anvur ha diffuso alla stampa sono diversi da quelle desumibili dal rapporto finale. 
La duplicazione delle classifiche sembra essere un tratto distintivo di questa prima graduatoria: infatti, anche le classifiche dei dipartimenti diffuse alla stampa non trovano riscontro nelle relazioni finali degli esperti della valutazione. Anomalie che trovano conferma in un comunicato dell’Anvur che annuncia aggiornamenti, motivati dalla necessità di sanare le incongruenze tra le diverse classifiche dei dipartimenti attualmente in circolazione. Un vero e proprio pasticcio accademico a cui il direttore dell’agenzia, Roberto Torrini, cerca di metterci una toppa: “In maniera erronea, si è creata confusione. Era di più facile comprensione per la stampa. Si tratta di una preassegnazione dei fondi ministeriali tra le 14 aree disciplinari che hanno partecipato alla valutazione della ricerca. Essere primo, secondo o terzo in queste classifiche non conta nulla a meno che il ministro decida di dare tutti i fondi ai primi cinque atenei” (forse non conterà nulla, ma allora perché spendere centinaia di milioni di euro – 300 secondo alcune stime – per uno studio se alla fine non conta nulla chi vince?)

Le contraddizioni.
 Sta di fatto che le due classiche, quella fornita ai giornalisti e quella ufficiale pubblicata sul sito, ha prodotto una confusione megagalattica. Alla stampa è stata consegnata una graduatoria con tanto di bollini verdi per gli atenei «virtuosi» e bollini rossi per quelli “non virtuosi”. Nel rapporto ufficiale invece emerge un altro scenario, dove dodici atenei si scambiano il posto. Per alcuni giorni si è creduto che atenei come quelli di Pisa, Modena e Reggio Emilia, Parma e Camerino fossero finiti dietro la lavagna, mentre in realtà meritano la sufficienza piena. Viceversa, Roma Tre e Tor Vergata, Macerata e Napoli Orientale, Bergamo, l’università per stranieri di Siena e quella di Castellanza che la stampa ha creduto “virtuose”, nella relazione finale sono da bollino rosso. Nella categoria piccoli atenei il Sant’Anna di Pisa, diretto sino a poco tempo fa dall’attuale ministro Maria Chiara Carrozza ha ottenuto sui giornali la prima posizione per scienze agrarie e scienze politiche, seconda per ingegneria e per area economica e statistica. Nella relazione Anvur, quella pubblicata sul sito, però è solo quinta.

Cosa succede all’estero. L’agenzia di valutazione inglese, che può vantare una consolidata esperienza nel settore, si rifiuta categoricamente di fornire classifiche di atenei e di dipartimenti. Esistono, infatti, basilari ragioni tecniche che sconsigliano di avventurarsi su questo terreno, prima fra tutte la difficoltà, se non l’impossibilità di confrontare istituzioni di dimensioni diverse. Ed è proprio su questo punto che l’anvur è inciampata, dal momento in cui le classifiche in contraddizione tra loro nascono proprio dall’uso di diverse definizioni dei segmenti dimensionali che contraddistinguono atenei o dipartimenti piccoli-medi-grandi. 
La produzione maldestra di classifiche che si smentiscono a vicenda mostra la fragilità di questo strumento, poco o per nulla scientifico, e mette a nudo le carenze scientifiche e culturali del consiglio direttivo dell’agenzia. Sarebbe sufficiente questo per mettere una pietra sopra la volontà di stilare classifiche. La cosa certà è che quelle elaborate da Anvur sono poco significative perché dipendono dalle dimensioni degli atenei e da molti fattori che misurano la capacità di attrarre risorse esterne o di istituire collegamenti internazionali ad esempio. Aldilà delle pagelle, dei promossi e dei bocciati chi davvero decide a chi distribuire le poco risorse disponibili è solo la politica. La stessa che ha creato l’Anvur e la stessa che ne ha nominato i componenti.

Il ministro Carrozza guarderà con lenti nere i problemi dell’università di Siena?

MariaChiaraCarrozzaQuel pesce non è d’aprile (da: Il Mondo, 7 giugno 2013)

Fabio Sottocornola. Dalla Toscana per i rettori si aprono mille strade. Maria Chiara Carrozza, ex numero uno della Scuola superiore Sant’Anna a Pisa, ha preso quella verso Roma, la via governativa dell’accademia. Silvano Focardi (ex di Siena) ne ha percorsa una più lunga, finendo a Siracusa. Dove nel 2007 aveva fatto acquistare, a spese del suo centro universitario sulla sicurezza alimentare, 350 chili di pesce del Mediterraneo per complessivi 21.500 euro. Gamberi, tonni, sarde, alici e altre varietà servivano, secondo il professore, a studi sulle contaminazioni alimentari. Parere diverso della Corte dei conti che, con sentenza del 9 maggio, lo ha condannato in primo grado a ripagare l’università della stessa cifra: «L’acquisto di prodotti ittici non aveva comportato utilità per l’ateneo e addirittura non vi sarebbe prova che fosse stato acquistato dall’università». Nel senso che nessuno dei 21 dipendenti dell’istituto ha visto arrivare quei tre quintali e mezzo di pesce. Per i magistrati contabili di Firenze, unico responsabile è l’ex rettore che «sapendo di poter agire liberamente, considerando le larghe maglie che l’ateneo accordava all’impiego di risorse, ha abusato delle sue funzioni». Sempre affollata è la via giudiziaria per chi ha gestito il potere nelle accademie della regione. A giugno, occhio al calendario. Nella città del Palio, mercoledì 19 udienza davanti al gup Ugo Bellini per i sedici indagati del buco in bilancio da 200 milioni. Oltre a Focardi, è coinvolto il suo predecessore Piero Tosi. Attenzione: il procedimento continua a essere rinviato per indisposizioni di avvocati o richieste tecniche che rischiano di mandare tutto in prescrizione. Due dirigenti (Salvatore Interi e Monica Santinelli) hanno già patteggiato. Infine, venerdì 14, prima udienza (tecnica, di smistamento) per il Sum di Aldo Schiavone. Anche qui, sotto accusa sono le spese allegre con soldi pubblici.

Carrozza continuerà a tenere gli occhi chiusi sui problemi dell’università di Siena?

CarrozzaDi seguito, quel che l’attuale ministro Maria Chiara Carrozza aveva dichiarato a Siena in campagna elettorale. Dichiarazioni generiche, quelle della ministra! Le consigliamo, pertanto, di leggere la risposta di Rabbi e il post seguente: «È necessaria l’interdizione di Riccaboni dalla carica di rettore dell’Università di Siena». 

Maria Chiara Carrozza. La situazione dell’ateneo senese è difficile, come quella di molte altre università, ma Siena ha avuto più difficoltà. Credo, però, che sia stato fatto un grande lavoro per il rilancio dell’Università. Non conosco nei dettagli il piano di risanamento, ma lo valuto nei fatti. Siena attrae molti studenti ‘fuori sede’, ha progetti internazionali attivi e si occupa di sostenibilità a livello di tutto il Mediterraneo. Sia nel campo della didattica che in quello della ricerca, Siena ha le idee chiare. Il piano di risanamento si sta attivando con costi alti, a partire dalla riduzione del numero di docenti, purtroppo inevitabile, perché il fondo di finanziamento è diminuito drasticamente e c’è stato il blocco del turnover che ha determinato un impoverimento di tutte le università italiane.

Rabbi Jaqov Jizchaq. Vi sono “idee chiare” nel campo della didattica e della ricerca? Non mi pare proprio. Il corpo docente va verso il dimezzamento ed è leggermente eufemistico definire ciò una “riduzione del corpo docente” (ma la prof.ssa Carrozza, si è posta il problema di cosa significherebbe per la sua università, e cioè Pisa, il dimezzamento del corpo docente?); per quanto al bar e dal barbiere si plauda a questo salasso, con quello che rimarrà, dopo le fuoriuscite a casaccio di un docente su due senza turn over dovute ai pensionamenti, si fa ben poco e soprattutto, il poco che si fa, lo si fa male, dovendo adoperare non quello che ti ci vuole in vista di un disegno razionale orientato verso la promozione di alcuni settori, ma semplicemente quello che ti rimane dopo il pensionamento di un docente su due. Non nutro speranze che Siena torni a essere “più bella che pria”, ma anche questa agonia e morte andrebbero governate da becchini all’altezza della situazione.

In teoria, se la Provvidenza, l’Armonia Prestabilita o il Groviglio Armonioso facessero sì che uscissero di ruolo giusto le persone “inutili” (?), faremmo appena 30 corsi di studio (ciclo completo) in tutto; poiché così non è, ed ovviamente ciò che ti rimane non è detto che assecondi la precisa miscela di docenti che la legge richiede per “accreditare” i corsi di studio, ci troveremo ancora con settori sovraffollati di personale ed altri settori esangui, e la possibilità reale di dar luogo dunque ad un numero assai più ristretto di corsi di studio. Cosicché, per l’ennesima volta, molti non potranno garantire i 20 docenti richiesti dalla legge nella precisa miscela per aprire un ciclo 3+2. Siena sarà costretta cioè a chiudere ulteriori corsi di laurea, dopo le decine cancellati in questi anni, ma mi sa che sotto la cifra di 30, entriamo in un territorio molto pericoloso (Pisa, dove insegna la Carrozza, offre oltre 80 corsi di laurea triennali e 79 specialistici, leggo nel sito). Inoltre, con i docenti più giovani a quel punto “in esubero”, oltretutto, non saprai cosa farci: siccome ciò è già avvenuto e avviene oramai da quando esistono i famigerati “requisiti minimi”, non rivelo niente di sorprendente, né di nuovo.

Carrozza dice che «Siena attrae molti studenti ‘fuori sede’». Ad oggi le operazioni di rattoppo poste in essere allo scopo di soddisfare i requisiti di docenza si sono tradotte in molti casi in un peggioramento drammatico dell’offerta formativa che, oltre allo sputtanamento totale di alcuni corsi di studio dal punto di vista qualitativo, ha portato ad una perdita secca del 17% degli iscritti e di oltre il 20% degli immatricolati in un solo anno, con punte ancora peggiori in determinati settori (fino al 25%). Drammatica la situazione dei livelli specialistici e dei dottorati di ricerca: questo per dire quanto “attrae” Siena, e la Carrozza dovrebbe saperlo, giacché ciò che ha perso Siena in termini di fuori sede è andato in larga misura a vantaggio di Pisa, diventata quest’anno il maggior ateneo toscano. Andando di questo passo, sorge spontanea la domanda, non solo di quanti studenti attrarrà Siena, ma anche quali, se cercherà di ritagliarsi uno spazio gareggiando al ribasso.

Visto che è toscana, la ministra Carrozza dovrebbe adoperarsi affinché gli atenei della regione diano corso all’art. 3 della legge di riforma, affrettandosi a instaurare intensi rapporti di collaborazione, federando i settori e i corsi di laurea che singolarmente nei tre atenei non hanno le forze per sopravvivere (e oramai il problema temo non sia più solo di Siena), condividendo dottorati, lauree magistrali e strutture scientifiche in genere: non farlo è diabolico e criminale, essendo a repentaglio la stessa sopravvivenza di tradizioni scientifiche nell’intera regione. Inoltre la ministra dovrà spiegare ai suoi colleghi senesi cosa cavolo dovranno fare man mano che i loro corsi di laurea chiuderanno per il pensionamento di metà del corpo docente.

Il lavoro di “rilancio” di cui parla Carrozza sin qui è consistito (oltre ovviamente al mantenimento della “fuffa” in omaggio alle Loro Maestà) nel nuovo assetto basato sui megadipartimenti, una struttura inevitabilmente “monstrum” e una operazione che di per sé non risolve i problemi sopra richiamati in ordine all’offerta didattica legati ai malefici “requisiti di docenza”. Trovo però grottesco che anche coloro che furono i cantori della “grandeur” senese, oggi – da un estremo all’altro, dimenticando il giusto mezzo – teorizzino un altrettanto irrealistico ateneo ridotto a dimensione lillipuziana: nondum matura est, si direbbe, visto che nell’incapacità di pensare ed attuare soluzioni efficaci, si teorizza l’estetica della catastrofe rigeneratrice e il fuoco del Walhalla.