Rabbi Jaqov Jizchaq. “Il bambino che è in noi”, come ha detto alla Leopolda un ispirato Renzi in vena pascoliana e platoniana, continua a reclamare delle risposte chiare a domande elementari, che non possono essere eluse con un ghigno (“madama in questo mondo, con ciò sia cosa, quando fosse che, il quadro non è tondo”). Dobbiamo attendere la stagione delle rituali “okkupazioni” novembrine “contro il potere” latu sensu, per ricominciare a parlare confusamente dei massimi sistemi onde finalmente ascendere con soave oblio alle nubi dell’ideologia, sollevati dalle questioni concrete e dalla prosaicità dei “requisiti minimi”?
Gli “oppositori” di tutte le razze – da destra a manca – si sono chetati. Mi viene in mente una strofa della celebre canzone di Don Raffaé: “si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”. Ecco, questo è esattamente ciò che è accaduto. I temi sul piatto, sui quali urgerebbe esprimersi, ci sono eccome, al di là della stomachevole propaganda. In particolare, e oggi, sono questi:
1. la sotterranea ridefinizione in corso dei contorni degli atenei toscani sotto una regia centrale, inevitabilmente politica più che scientifica: l’orientamento dominante è quello di fare di Siena il polo delle “scienze della vita” o dello “sviluppo sostenibile”; ora, sebbene tra le lauree più strane del mondo vi sia anche quella in Scienze della Morte, non è che le restanti scienze non riconducibili alle scienze della vita abbiano di per sé una vocazione tanatologica, oppure una perversa inclinazine alla dissipazione delle risorse naturali che le renda particolarmente esecrabili: si è capito cosa vogliono farne?
2. Siamo di fronte ad una emorragia della docenza; Siena probabilmente avrà cumulato un po’ di quei “punti organico” dei quali parla l’articolo, singolarmente approssimativo, pubblicato da Repubblica , per tappare in teoria qualche buco, ma la sostanza è che non ha i quattrini per reclutare, e anche la faccenda dei piani straordinari appare assai nebulosa.
3. Il timore è che, com’è accaduto per le varie riforme succedutesi, indirizzi puramente politici e una cieca e ottusa burocrazia trasformino anche questa fase in un inenarrabile bordello: il pretesto per un puro scontro di potere, anziché l’opportunità per una corretta e razionale ridefinizione dei contorni del sistema dell’università pubblica nel territorio toscano. E in tale contesto toccherebbe fronteggiare i rigurgiti particolaristici e la protervia di chi non capisce che il mondo è cambiato; l’emergere di tendenze neocoloniali, o atteggiamenti simili a quelli delle imprese straniere che fanno incetta di fabbriche italiane, acquisiscono i brevetti, chiudono gli impianti, portano via i macchinari e se ne vanno. Aggiungo che mentre qui continua la pratica onanistica di immaginare improbabili destini per le “sedi distaccate”, altrove già si medita di ridurre Siena nel suo complesso, essa stessa a sede distaccata. Tanto per dire la lungimiranza…
4. Se Siena sta male, le altre sedi “viciniori” non stanno bene. Le burocrazie ministeriali ed universitarie, da parte loro, se da un lato spingono verso una maggiore integrazione, sollecitando la trasformazione dei corsi non più sostenibili nelle singole sedi in corsi interateneo e la “regionalizzazione” della ricerca, dall’altro non contemplano affatto la mobilità dei docenti, non rintuzzano le reazioni particolaristiche di genere NIMBY e in più frappongono miriadi di ostacoli formali, dedicandosi con concupiscenza all’arte che gli riesce meglio: la pura interdizione, posta in essere a mezzo di un profluvio di “circolari” e cavilli che agiscono come una tela di ragno, capace di imbrigliare e rendere impossibile qualunque azione efficace. Purtroppo la burocrazia è il maggior ostacolo all’implementazione dei programmi che … essa stessa ha partorito! Alla fine, ci scommetterei non vi dico cosa, che ci scapperà fuori l’ennesimo troiaio.
È luogo comune che bisogna salvaguardare competenze e alleggerirsi della zavorra o “fuffa”, ma a me pare che non si vada esattamente in questa direzione e a sentire gli slogan vacui coi quali si dipingono sovente i tratti dell’università futuribile, non vorrei ritrovarmi una Toscana piena di improbabili “corsi di laurea” telematici, acrobatici, massmediatici, astigmatici, enigmatici e buemuschiatici ecc., ma venissero meno consolidate tradizioni e l’ABC della scienza e della cultura e la ricerca di base, soppressi in quanto, secondo una visione rozzamente economicistica, “inutili”. Vi è una ragione strategica, ma anche una ragione etica per opporsi a questa tendenza. Diceva Hermann Broch: “La Matematica in sé e per sé non serve a niente, ma è una specie di isola dell’onestà e per questo le voglio bene”; il discorso può estendersi ad altre discipline ed è noto che l’impresa della conoscenza umana nel suo complesso ci insegna l’utilità dell’inutile.
“La scheggia nell’occhio è la miglior lente di ingrandimento” (T. Adorno, “Minima Moralia“)
Post scriptum: …nella ripartizione dei punti organico 2013 del DM pubblicato il 17, Siena ha perso il 66% e Firenze ha perso il 27%. Nonostante il dibattito che segue su Roars risulti di difficile comprensione per chi non abbia dimestichezza con l’Ostrogoto burocratico, la sostanza, mi par di capire, è che qui non c’è trippa per gatti: “in termini assoluti, l’ateneo più avvantaggiato da questa operazione risulta essere il Politecnico di Milano, che si ritrova con ben 20,42 punti organico “in più” rispetto a quelli teorici che avrebbe ottenuto con un turn-over al 20%. In termini percentuali, la palma dell’ateneo più fortunato va invece alla Scuola Sant’Anna di Pisa, con un numero di punti organico pari al 964% in più rispetto a quelli teorici. Il problema, però, è che tali punti organico “extra” sono stati paradossalmente prelevati dai pensionamenti avvenuti in altri atenei, molti dei quali vengono così a ritrovarsi con un turn-over effettivo intorno ad un misero 6%, con una perdita secca del 66% di punti organico. L’università che ha subito la più alta perdita in termini assoluti è Napoli “Federico II”, con -18,83 punti organico. In termini percentuali, gli atenei più bistrattati risultano essere, ex aequo, Foggia, Siena, Seconda Univ. di Napoli, Bari, Messina, Sassari, Palermo, Cassino, Molise, con una decurtazione pari a -66%.”
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Gli oppositori tacciono perché, a mio modesto parere, dopo anni di sbattimento e proteste e strida ed esposizione a ritorsioni, hanno ottenuto i seguenti brillanti risultati:
1) Veder andare a prescrizione certa tutti, dicasi tutti, i reati commessi da venti anni a questa parte. Il che equivale a dire che quei 270 milioni che mancavano a settembre 2008 li hanno presi degli omini venuti da Marte.
2) Un rettore palesemente abusivo finirà il proprio mandato (abusivo) di sei anni (abusivi) continuando a vivacchiare e a immaginarsi uscite dalla crisi, rilanci e risanamenti del tutto campati per aria, affiancato da uno dei più incapaci direttori amministrativi della storia, peraltro non ancora divenuto – in barba alla legge – direttore generale.
3) L’università di Siena, che ormai – nonostante tutte le cazzate di enti compiacenti tipo il Censis – gode della meritatissima fama di una spelonca di malversatori e di una coacervo di materie demenziali innalzate a eccellenza con conseguente affossamento di quelle che davvero erano eccellenze, ormai perde docenti e discenti in percentuali paurose che ne decreteranno il ridimensionamento a poco più di un liceo delle scienze disumane.
4) La Corte dei conti, che non si capisce in che ordine vagli le cause di fronte a sé esposte, ha ad oggi stangato il Focardone per le sue aragoste e l’Angelaccio reo di missioni non documentate o documentate male. Grande risultato! Addirittura non ha sanzionato nessuno per la famosa stampa dei volumi in onore dello Stiglianese garante dei garanti, per non parlare di quella cricca di malversatori che occupavano posizioni dirigenziali che continuano a campare negli agi e nei lussi indisturbati.
5) Delle sedi distaccate, dei palazzi da vendere, dei crediti da recuperare nessuno parla più.
6) Ora quel bel tomo della Carrozza assegna alla propria università il 600% in più di punti di budget e li leva a Siena et alia che ne avrebbero bisogno come del pane per evitare il declino franoso cui stanno andando incontro. Complimenti.
Altre ragioni sovvengono, ma transeamus. Ha senso continuare a sbattersi? Mah!
[…] Mentre Riccaboni immagina improbabili destini per le “sedi distaccate”, altrove si medita di rid… […]
Vengono i bimbi, ma nessuna parola
troveranno, nessun segno del vero.
Andrea Zanzotto Ecloga IX
Post scriptum al post scriptum.
… Se tutti i professori italiani sono mendaci, Epimenide Giavazzi, che afferma questo, essendo un professore italiano egli stesso, mente o non mente? Beati voi che avete voglia di parlare di concorsi e di coptazione, in un ateneo dove non si “copta” una beneamata m … e dei concorsi, se n’è persa ogni traccia; il turn over è fermo da sette anni, vecchi idonei in attesa di un’annunciazione dell’arcangelo, nuovi abilitati che nell’abilitazione recano la scritta: “fine pena, mai“… mentre le cattedre si svuotano e il digiuno durerà di fatto ancora a lungo: che ci faranno con l’esercito degli abilitati sfornati dai recenti concorsi di abilitazione, Dio solo lo sa. Capisco che la concessione di una patente non implica la donazione di un’automobile, ma partecipare ai concorsi di abilitazione senza prospettiva alcuna di chiamata, per poi dopo tre anni rifarli daccapo, è proprio un esercizio gratuito, “l’art pour l’art”. Verosimilmente avremo infine 10 o 11 anni di “stop”, al termine del quale l’ateneo sarà così ridimensionato, che per molte persone – direi la maggioranza – e per molte discipline, a tale “stop” non seguirà mai un “go”. Le soluzioni che in questa fase di transizione, in cui non è chiaro il terminus ad quem, che ho suggerito ai gentili partecipanti a questo forum, citando en passant la legge di riforma (federazioni, mobilità, programmazione territoriale), pare abbiano suscitato solo ilarità.
È una situazione d’emergenza che richiederebbe provvedimenti emergenziali, non aspirine per curare il cancro: turn over sostanzialmente fermo, personale docente che passa da 1064 unità a 600 unità (naturalmente a pene di segugio, cioè non sulla base delle necessità settoriali, ma dell’età, per cui anche svariate decine di quelli che resteranno probabilmente non saranno utilizzabili o utilizzabili in maniera appropriata, una volta soppressi i corsi di studio che li ospitavano a causa della dipartita dei colleghi più anziani), riduzione a circa un terzo dei corsi di laurea che furono nel 2008, non dimenticando che questi dati possono risultare addirittura ottimistici, per via degli striscianti pensionamenti anticipati che proseguono incessantemente tutt’ora e i numerosi trasferimenti, o per meglio dire fughe, da parte di chi può (non dimentichiamo cos’è stata in larga misura Siena: un posto dove le baronie nazionali depositavano i loro discepoli, in attesa di richiamarli in sede).
Insegnamenti che via via spariscono, competenze che si perdono, corsi di laurea sempre più rimescolati, annacquati, accorpati ed intorcinati, e nonostante tutto, ancora a rischio sostenibilità: dunque di cosa stiamo parlando? Sarebbe questa la ricerca dell’eccellenza meritocratica? Ma via, non prendiamoci per il didietro… Sembra che tutto quello che è stato edificanto negli ultimi trent’anni sia servito solo a far fare carriera a chi è entrato nell’era delle grandi infornate, e scomparirà con l’uscita di ruolo di quella generazione: e quelli che sono venuti dopo? Cavoli loro…
Vorrò vedere come verranno ripartite quelle infime risorse che, a fronte delle necessità, si renderanno in futuro disponibili (forse) per il reclutamento: a chi toccheranno quella manciata di posti, a fronte della scomparsa di metà del corpo docente? Con quale criterio verranno ripartiti, quello di chi batte più forte la scarpa sul tavolo? Su questo, cioè sul vero problema di Siena, benché dal 2008 siano già scomparsi oltre metà dei corsi di laurea e i dipartimenti si stiano arrabattando alla disperata per mettere insieme quei requisiti minimi di docenza che la legge inesorabilmente prescrive onde garantire la sostenibilità nei prossimi anni di ciò che rimane, tutti inspiegabilmente tacciono. Fantastico sentire gente che sullo scialacquamento ha costruito la propria fortuna personale, asserire ora con tono grave che un ridimensionamento dell’ateneo è inevitabile, che cioè il conto della propria dissennatezza va rimesso alla generazione successiva. Ancor più fantastico chiamare “razionalizzazione” il mero sparare nel mucchio, senza alcun discernimento tra ciò che è buono e ciò che non lo è, ciò che è indispensabile e ciò che è superfluo. Insomma, senza un vero e proprio piano, né una scala di valori. Questo mi induce a pensare che il problema è prima di tutto etico e culturale.
Comunque gli agognati e qui inesistenti concorsi, come metodo di reclutamento dovevano essere aboliti, e invece sono sempre in vita, benché tutti li giudichino un metodo abietto: allora a che gioco giochiamo? Quello di sparare a zero contro i concorsi universitari è diventato un genere letterario senza nessuna efficacia pratica: sono circa trent’anni che se ne parla, si sono succedute riforme di diverso colore, e ancora stiamo qui a parlarne. Inoltre le generalizzazioni sono rischiose. Comunque, pur mutando il metodo, se l’onestà e la competenza per operare una scelta uno non ce l’ha, non se le può dare, e le gazzette devono piantarla di presentare i concorsi a professore universitario come un concorso alle Poste: non so se Fermi avesse reclutato Maiorana con test a domanda chiusa, Amaldi attraverso un tema sorteggiato, o se sarebbe stato giusto definire Rasetti “un portaborse”.
P.S. Francesco Russo, tutti contratti a termine vita natural durante??? Magari da 1200 euro! Con i quali mantenere la famiglia, mandare i figli a scuola, naturalmente senza prendere il mutuo, perché col cacchio che le banche te lo danno! E ovviamente niente pensione: come in certe tribù, a una determinata età… giù da un dirupo e amen. Ragazzi, non tutti sono sponsorizzati dal paparino e dalla mamma bòna… e siamo in Italia: la retorica del lavoro a termine italiota, mentre dilaga il precariato e la disoccupazione, ha un poco rotto i cabbasisi: nessuno di quelli che la propagano vive di solito con un contratto a termine (in genere sono baroni universitari). Il lavoro a termine, nei paesi di cui si plaude il modello, è pagato molto di più, non di meno del lavoro a tempo indeterminato. Un ricercatore olandese guadagna cinque volte di più di un ricercatore italiano.
L’ITALIA E LA RICERCA
Ricercatori, l’Olanda paga 5 volte di più
Italiani ultimi per stipendi, sudcoreani primi
http://www.corriere.it/cronache/13_settembre_16/ricercatori-olanda-paga-cinque-volte-di-piu_4a2b22e0-1e89-11e3-808f-8b9926394b81.shtml