Rabbi Jaqov Jizchak. Il Corriere della Sera (16 settembre 2016) ha pubblicato un articolo («La crisi dell’Università, gli Atenei italiani perdono posizioni nelle classifiche») sull’annuale rilevazione dell’Istituto di Shanghai (Arwu Ranking) che vede una sola Università, Roma-“La Sapienza”, tra le prime 200.
L’asino aveva quasi imparato a digiunare, ma non si sa per quale ragione d’improvviso ha cominciato a stare poco bene. Comunque tutto congiura ad un medesimo disegno: visto che soldi da buttare nel sistema peggio finanziato d’Europa (7 miliardi a fronte dei 26 miliardi della Germania) non ce ne sono, l’unica strada si ritiene essere quella di rinforzare i grandi atenei per partecipare alla grande competizione internazionale, a scapito degli atenei medio-piccoli, o più scadenti, che scenderanno di rango ed andranno a costituire sedi distaccate, specie di Fachhochschule professionalizzanti, fornitrici di lauree brevi senza velleità di prosecuzione degli studi, per questi giovanotti gaddianamente “dekirkegardizzati”:
- «Brindisi, polo delle lauree professionalizzanti»
- «Il futuro dell’Università dovrà andare sempre più verso simili lauree professionalizzanti»
- «la struttura dell’offerta formativa, che sconta la storicamente scarsa presenza di percorsi brevi e professionalizzanti atti a soddisfare le esigenze degli studenti con un profilo meno accademico»
Il Piano Italia 4.0, che il governo Renzi intende inserire nella Legge di stabilità 2017, mira a favorire il trasferimento tecnologico tra atenei e mondo dell’impresa, ed individua a ciò alcuni poli, assi portanti, chiamati “competence center”, che sono Milano, Torino, Bari, Bologna e Pisa. Non senza ragione si lamenta Padova, “nonostante il primato nella valutazione dell’ANVUR sulla qualità della ricerca”, e di certo non sfigurerebbe in questa scelta élite. Immagino che Roma non sarà contenta, brandendo invece l’ARWU, ma gli altri?
Leggo che potrebbe arrivare un premio pecuniario speciale alle università che sono riuscite a distinguersi, ottenendo risultati elevati nella classifica di valutazione dell’ANVUR, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Immagino che tale premio sarà più alto, quanto più in su nella graduatoria uno si trova: ma se un ateneo come Pisa ha tre volte più ricercatori di uno come Siena, già si immagina chi prenderà la fetta più grossa. Comunque questo è il trend, ovvero l’andazzo: i grassi ingrassano e i magri dimagriscono e non è chiaro come possa risollevarsi un ateneo che ha subito pesanti batoste come questo. Voglio dire, ma che aspettano a mettere in atto questo oramai conclamato proposito di separazione tra “teaching university” e “research university”, oppure l’accorpamento di atenei, come suggeriscono altri, se veramente ci credono? Nel frattempo Human Technopole riceve 80 milioni per l’avvio del progetto.
Ritornando a Siena, ex ateneo semi-generalista, almeno un terzo dei docenti sopravvissuti alla decimazione di quasi la metà del personale docente non sono sensatamente riconvertibili ad una prospettiva di Fachhochschule o roba del genere, né tutti hanno la fortuna di andare in pensione a breve: devono asceticamente rimanere a contemplare i vari stadi di decomposizione, dalla putrefazione sino alla sua riduzione allo stato di polvere? E anche per istituire corsi professionalizzanti, per esempio in Agronomia, come chiede Riccardo Burresi (proposta in sé, astrattamente, sensata, visto che qui aziende di altro tipo essenzialmente non ve ne sono), i mezzi e il personale, dove e come ve li procurate, stanti gli attuali rigidissimi vincoli sul bilancio, sui requisiti di docenza e sul turnover? O veramente pensate di riconvertire un latinista (Tityre, tu patulae… molto bucolico) alla suinicoltura?
Qualcuno, anni addietro, se ben ricordo, aveva ipotizzato di costituire a Siena corsi professionalizzanti attraverso succursali telematiche, non già di Firenze o di Pisa, bensì addirittura di Milano. Del resto, si diceva, con l’aiuto della rete, la distanza non conta e non serve personale aggiuntivo, cosicché pure i requisiti di docenza, magari, sono a posto. Un’idea molto moderna, che potremmo applicare nel campo dell’agricoltura soddisfacendo al contempo l’anelito del Burresi e i draconiani vincoli del governo: una università telematica dove si impara a coltivare i campi su internet. Invece che “Vita e salute”, come il San Raffaele a Milano, questa università la potremmo chiamare “Salute e ghianda”.
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[…] Se chiude l’ateneo senese è pronta l’Università “Salute e ghianda” con un corso profession… […]
P.S. Vedo che insistono. Leggo questo articolo sullo stesso tema:
L’assessore all’agricoltura Remaschi: “investire su una formazione di alta qualità”
http://www.ilcittadinoonline.it/cronaca/siena-cronaca/remaschi-siena-terra-opportunita-agroalimentari/
D’accordo, certo, chi non è d’accordo con Burresi e Remaschi? Ma che vuol dire “investire su una formazione di alta qualità”? Cioè a dire chi, a livello locale, dovrebbe investire per creare corsi di Agraria di livello altamente specializzato? Chi dovrebbe aprire corsi di laurea? Con quali risorse? Sono consapevoli dei vincoli di bilancio? Forse l’assessore regionale pensa ad un interessamento dell’Università di Pisa o di Firenze, dove esiste Agraria. Non certo dell’Università di Siena, che a ciò dovrebbe investire, in termini di risorse, praticamente tutti i “punti organico” disponibili nel prossimo quadriennio:
“Nella distribuzione dei punti organico per il 2016 quattro atenei (Reggio Calabria, Seconda Università di Napoli, Cassino e Siena) superano i limiti del 80% di spesa per il personale ovvero sono sotto all’unità per quanto riguarda l’indicatore di sostenibilità economico-finanziaria (ISEF) ed hanno quindi un turnover limitato al 30% della spesa annua relativa al personale cessato nel 2015… Meno atenei, meno corsi, meno personale, meno risorse pubbliche, un sistema a due velocità con atenei di eccellenza e atenei licealizzati e un’istruzione superiore che diventa sempre più un miraggio per le classi meno abbienti.” http://www.flcgil.it/universita/universita-il-miur-comunica-la-distribuzione-dei-punti-organico-2016.flc
Buongiorno colleghi. Scrivo da un ateneo settentrionale e i problemi che evidenziate sono gli stessi. Ne aggiungo un altro che mi sembra preoccupante, ovvero le continue minacce di chiudere le biblioteche e di sequestrare i libri in qualche magazzino. Vogliono impedire di studiare e vogliono che gli studenti usino solo dispense digitali e qualche manualetto. Non credo a motivazioni di risparmio, perché il nostro rettore paga persino un consulente di immagine che parla un italiano renziano e organizza festival. Siamo anche incoraggiati a comprare ebook invece che libri veri. Non sappiamo bene a chi denunciare perché i vertici sono tutti collusi.
Mi fa molto piacere che le università venete non siano state escluse dal piano “industria 4.0”. Quindi da quello che si può dedurre da questo articolo un competence hub dovrebbe funzionare così: uno (o più centri?) di ricerca intorno al quale ruotano gli atenei regionali, con funzione di coordinamento all’università che ha i dipartimenti di ingegneria più sviluppati. È una sciocchezza? Se la risposta è no, presumibilmente questo il primo step dei famosi Hub renziani.
http://www.askanews.it/regioni/veneto/veneto-zaia-industria-40-ora-servono-i-fatti_711900573.htm
Ecco un altro florilegio di articoli che quotidianamente i giornali ci somministrano:
«Solo Pisa salva la faccia delle università italiane» http://www.ilgiornale.it/news/politica/solo-pisa-salva-faccia-delle-universit-italiane-1309999.html
«La Scuola Nomale Superiore e la Scuola Superiore Sant’Anna, entrambe di Pisa, si confermano le prime università italiane, rispettivamente la prima e la seconda posizione, ad apparire nella classifica stilata dalla rivista inglese “Times Higher Education” dal titolo “World University Ranking 2016”.» “http://www.lanazione.it/pisa/cronaca/normale-santanna-universit%C3%A0-migliori-1.2534022
«Per la prima volta l’America perde il primo posto in classifica nel World University Ranking, la graduatoria compilata annualmente dal Times Higher Education. In prima posizione c’è invece un’università inglese, Oxford, che l’anno scorso era seconda: ha sorpassato il California Institute of Technology, la capolista del 2015, passata quest’anno al secondo posto. E ci sono due università inglesi fra le prime quattro, perché dopo Stanford, terza, al quarto posto figura Cambridge, l’eterna rivale di Oxford in Inghilterra. Al quinto posto il Mit, seguono nell’ordine Harvard, Princeton, l’Imperial College di Londra, l’Istituto di Tecnologia di Zurigo e e l’Università di California a Berkeley per completare la “top 10”. Fra le prime 200, due università italiane: la Normale di Pisa (137esima) e la Sant’Anna (190esima).» http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2016/09/21/oxford-migliore-universita-del-mondo/
“Le 30 migliori università in Europa secondo il THE: la Classifica 2016 Times Higher Education World University Rankings. C’è solo un’italiana, Pisa, al 29esimo posto.”
http://www.turismo.it/oltreconfine/multimedia/art/le-30-migliori-universit-in-europa-secondo-il-the-id-12427/
«Una laurea in queste 15 università vi garantirà un lavoro» http://www.tpi.it/mondo/regno-unito/lista-quindici-universita-europee-quacquarellisymonds-lavoro
«La lista è stata estrapolata dalla classifica mondiale della Quacquarelli Symonds http://www.topuniversities.com/university-rankings/world-university-rankings/2016 e tiene conto esclusivamente della reputazione degli atenei tra i datori di lavoro… Le università italiane sono molto indietro anche nella classifica generale: la prima è il Politecnico di Milano, al 183esimo posto, seguita al 208esimo dall’Università di Bologna. Diverse università italiane compaiono dopo la 400esima posizione: in questi casi non è indicata la posizione precisa, ma la decina di appartenenza.»
Dulcis in fundo, a proposito della classifica “World University Ranking” del Times Higher Education, ho trovato invero divertente questo titolo:
«Università: nella classifica WUR c’è anche Siena» http://www.ilcittadinoonline.it/cronaca/siena-cronaca/universita-nella-classifica-wur-ce-anche-siena/
per dire che veleggia nei mari lontani del seicentesimo posto. Della serie: “vengo anch’io! No tu no… ma perché? Perché sei troppo piccino!” Se spulciate la stampa locale di altre ridenti cittadine dello Stivale, troverete articoli simili che tessono le lodi dell’ateneo di Vattelappesca, classificatosi fra i primi mille.
Il Corriere della Sera del 20 Settembre dedicava la consueta articolessa al tema dei “cervelli in fuga” http://www.corriere.it/scuola/universita/cards/erc-starting-grants-2016-l-italia-paesi-meno-attraenti-cervelli-stranieri/cervelli-fuga_principale.shtml. La colpa, bada un po’, sarebbe dei concorsi “opachi”. Un problema del quale qui a Siena ci siamo liberati da tempo, visto che di concorsi per il reclutamento di docenti di ruolo non ve ne sono da dieci anni e anche negli anni a venire si tratterà di un rischio, per così dire, molto contenuto, alle soglie del trascurabile. Poi dicono che la Germania è un paese che attrae di più i “cervelli”: che ciò dipenda anche dal fatto che i teutonici investono 26 miliardi laddove noi ne investiamo meno di 7, che abbiano aumentato gli investimenti in ricerca di oltre il 20% mentre noi li si diminuiva dello stesso ammontare, che l’Italia investa l’1,3% del PIL contro il 2% della media europea, è un tema appena ventilato. Quanto al fatto che il budget di Harvard è circa due terzi dell’intero FFO italiano, già si è detto. Lo iato generazionale, il fatto che l’Italia abbia perduto in pochi anni 12.000 ricercatori, che il prolungato blocco di carriere e turnover abbia comportato per esempio da noi a Siena (grazie anche alle disgrazie autoinflitteci) una contrazione che in capo a un paio d’anni supererà il 40% del corpo docente, con punte – mi dicono – anche del 60-70% in certe aree, a questi Soloni non pare che costituisca una drammatica concausa del declino: tutto pare dipendere da qualche “barone” che al concorso (che non c’è) fa passare un “raccomandato” invece di uno bravo.
Vellicando un certo narcisismo molto diffuso nel mondo accademico, i giornali parlano titanicamente di “cervelli” con linguaggio insopportabilmente superomistico, positivistico ottocentesco, dimenticando che non è l’eroismo e la temerarietà nel fronteggiare avversità eccezionali che ci difetta, ma le strutture, la normalità, le basi, le fondamenta, il quotidiano. L’indignazione popolaresca è scagliata contro il culturame scelbiano indistintamente, a forza di slogan su “Baroni”, “concorsi truccati”, “corsi inutili”, “raccomandazioni”, tutti uguali, todos caballeros, una uguale coltre di letame sopra ogni testa, invocazioni giustizialiste alla magistratura, vaghi richiami alla “meritocrazia”. Il tutto, nel mentre si avallano progetti in cui più che il merito pare trionfare il ceto.
Difatti pare che il problema del ritardo dell’università italiana si risolverà con la concentrazione della ricerca in pochi “grossi hub”, principalmente situati nel Nord industriale, per sfruttare sinergie ed economie di scala Padova, giustamente gioisce perché, dopo una immotivata esclusione iniziale è stata reintrodotta nell’Olimpo dei cinque o sei atenei del Piano Italia 4.0 per lo sviluppo di Competence Center nazionali: del rimanente, di quelli che solitamente esultano perché si sono piazzati fra il cinquecentesimo e il millesimo posto (evviva) delle classifiche internazionali e ai vertici dei piccoli atenei dei campionati interregionali del CENSIS, non si è ancora chiaramente deciso cosa farne. Nel frattempo, visto che i tempi di questa trasformazione saranno geologici e le regole quantomai incerte, i giovani sono pregati di non invecchiare, facendo invecchiare, come Dorian Gray, solo il loro curriculum.
Ciò detto, scusate se ripeto il concetto: «Nella distribuzione dei punti organico per il 2016 quattro atenei (Reggio Calabria, Seconda Università di Napoli, Cassino e Siena) superano i limiti del 80% di spesa per il personale ovvero sono sotto all’unità per quanto riguarda l’indicatore di sostenibilità economico-finanziaria (ISEF) ed hanno quindi un turnover limitato al 30% della spesa annua relativa al personale cessato nel 2015».
Mezza università di Siena si sta svuotando. Vorrei capire come fanno ad istituire i corsi di laurea professionalizzanti di Agronomia che sono stati reclamati nei giorni passati.
..ragazzi, ma che so’ strego? Appena inviato il messaggio qui sopra è comparso sul sito del Corriere questo articolo:
Università e concorsi, Cantone accusa:
«Fuga di cervelli è legata alla corruzione»
Il presidente dell’Autorità nazionale dell’anticorruzione a Firenze: «Siamo subissati da segnalazioni. Soprattutto per quanto riguarda i concorsi universitari. La fuga dei migliori talenti dipende anche dalla mancanza di meritocrazia» http://www.corriere.it/cronache/16_settembre_24/favori-amici-concorsi-truccati-universita-professori-6ad74316-81cd-11e6-bb54-ccc86a7805dc.shtml
Capito? Tutto il problema è che i baroni universitari sono corrotti. Mettiamoli in galera e fioccheranno i premi Nobel. Però per il buco senese non è andato in galera nessuno.
P.S. Insomma, i problemi dell’università italiana sono le raccomandazioni, e non il fatto che il budget di Harvard è pari a due terzi dell’intero FFO, cioè il budget complessivo degli atenei italiani. Una gioia, un sollazzo per un certo giornalismo. Letame nel ventilatore. Perché i giovani non trovano posto nell’università italiana? Semplice: non già perché non c’è il becco di un quattrino, ma per via delle raccomandazioni. Ma allora a cosa serve l’ANVUR? A cosa serve l’ASN? A cosa la VQR? A cosa servono questi carrozzoni, se nonostante tutto le cattedre sono ancora “truccate”? A cosa serve il costosissimo apparato dell’ANVUR e il rito sacrificale dell’Abilitazione Scientifica Nazionale? E soprattutto, a che vale sparare nel mucchio?
Parlando di “concorsi truccati” si lascia passare l’idea che, truccati o no, i concorsi ci siano: insomma, i giovani trovano posto all’estero, non già perché all’estero i posti ci sono e qui no, non perché spendiamo 7 miliardi a fronte dei 26 della Germania o dei 23 della Francia, ma perché qui sono monopolizzati dai raccomandati. Discorsi che si odono anche sulla bocca di fior fiore di raccomandati, quando ritengono di non esserlo abbastanza. Non avete bisogno di risorse, basta che siate più onesti. Ma dove sono questi concorsi?
“Atenei: turn over pieno per Polimi e Bicocca, freno tirato a Siena, Cassino, Sun e Reggio Calabria”.
http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/universita-e-ricerca/2016-09-01/atenei-turn-over-pieno-polimi-e-bicocca-freno-tirato-siena-cassino-sun-e-reggio-calabria–165841.php?uuid=ADnVzZDB&refresh_ce=1
A parte un po’ di avanzamenti di carriera e contratti a tempo determinato ripartiti da un anno circa, di “concorsi” veri e propri, cioè a tempo indeterminato, qui non se ne fanno da dieci anni: se ne farà una quindicina o poco più nel prossimo triennio, poca roba, a fronte dell’uscita di ruolo di circa 500 persone dal 2008 e non basterebbero nemmeno per aprire il corso di Agronomia del Burresi.
Ora mettiamo insieme le dichiarazioni di Cantone e quelle di Calenda. È chiaro, ça va sans dire, che il malaffare alligna soprattutto negli atenei del centro sud, specie quelli più inquattati di provincia, orticello domestico del notabilato locale. Essi sono dunque considerati irrecuperabili. Cure palliative o eutanasia. Difatti il Piano Italia 4.0, per la costituzione di “competence center” prevede che il grosso delle risorse vadano a cinque o sei grossi atenei del Nord: questi, essendo esposti nella competizione sul piano internazionale, fortemente finanziati anche dal privato, attueranno spontaneamente – si dice – politiche virtuose per quanto riguarda il reclutamento. Sugli altri si passerà sopra col rullo compressore: essendo stati bollati dallo stigma devono solo battersi il petto.
I soldi ci sono, eliminando l’altra metà corrotta, inutile e inefficiente.
http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2016/09/24/universita-italia-affare-famiglia-studio-sui-cognomi-certifica-nepotismo_6njPWGzUvUfgPIx1AT7l0N.html
http://www.corriere.it/cronache/16_settembre_24/favori-amici-concorsi-truccati-universita-professori-6ad74316-81cd-11e6-bb54-ccc86a7805dc.shtml
e molti altri…
Mi vengono in mente due episodi recenti. Del primo ho già parlato su questo blog: al ristorante lo scorso mese mi è capitato di sentire che nelle università si annidano i più grossi fannulloni d’Italia. In quelle parole c’era disprezzo, indignazione per dove i soldi dei contribuenti andavano a finire e risate sulle presunte competenze dei docenti. “I soldi si danno alla gente che lavora”. E così via….
Il secondo episodio mi è stato raccontato di recente: durante un colloquio di lavoro un laureato in una disciplina umanistica fu trattato duramente dai selezionatori. A loro non interessava che tipo di laurea avesse, dove l’aveva presa e nemmeno chi fosse quel perditempo di letterato (proprio così definito) che l’avesse laureato. Uno con una laurea in discipline umanistiche non è idoneo a priori e non deve fare perdere tempo ad altri candidati più seri!!
Sono due piccoli esempi di una quotidianità comune, ma indicano dove stiamo andando a finire.
Che un archeologo non interessi ad un’azienda che vende bibite gassate, gestita da un ignoranterrimo cafone è un conto; che l’archeologia non sia di interesse generale, è un altro conto. Mi sto convincendo sempre più che certe forme di populismo siano funzionali alla conservazione dello status quo, e che semmai possano solo peggiorarlo.
Comunque… disgraziato il paese in cui la gestione della ricerca scientifica è affidata ai magistrati: se Cantone ha ragione, allora l’ANVUR va chiusa e i soldi elargiti in beneficienza per dar da mangiare a qualche ricercatore. Eppure l’università italiana è sempre stata gestita con criteri paternalistici, la cooptazione è sempre avvenuta in questo modo: non è un bene, certo, ma comunque ha avuto momenti migliori: grandi scuole, premi Nobel… e allora cos’è cambiato? Forse la dirittura morale di chi, soggettivamente, è incaricato di operare delle scelte: quella cosa che se uno non ha, non se la può dare.
Diceva Paolo Poli che solo le vergini e i paracadutisti non possono sbagliare due volte, ma un decennio di astinenza totale equivale quasi al recupero della castità. Dunque Siena si presenta alla linea di partenza della timida riapertura del turnover (30%) praticamente riverginata. Ma è improbabile che emergano significativi episodi di corruttela, da passare inosservati: i concorsi saranno così pochi, che il rischio di corruttele è ridotto ad una probabilità infinitesima.
Poi non ho capito bene che fattispecie siano le “segnalazioni”; atteso che in termini di diritto esistono le denunce, le cause, le sentenze ecc. a che giova cospargere di letame tutto e tutti? Se guardate i blog dei giornali di questi giorni, sono un incessante vomitur di improperi contro il culturame: viatico e giustificazione per i tagli e per il progetto di costituzione di pochi “hub e “competence center”, per la privatizzazione dell’università, il salvataggio di pochi grandi atenei del nord e per la decimazione di tutto il resto, segnato dallo stigma.
Tutto ciò passa liscio presso l’opinione pubblica costantemente “indignata”, come bere un bicchier d’acqua. Nemmeno un patetico sondaggio in rete: la rete è troppo occupata ad inveire contro il culturame. Vorrei suggerire a “la rete” di dare un’occhiata a quest’altre “cantonate”:
«Sono 66.097 i ricercatori precari dell’università italiana. Più di tutti i professori e i ricercatori a tempo indeterminato messi assieme. Se gli atenei riescono ad andare avanti, nonostante i finanziamenti ridotti al lumicino, è anche grazie al loro lavoro, spesso gratuito.»
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/29/universita-precari-piu-del-50-dei-ricercatori-dopo-il-dottorato-lavorano-gratis-per-10-mesi-55-ore-a-settimana/2503264/
«È stato il più grande disinvestimento nella storia della formazione superiore. Negli ultimi sette anni l’università italiana si è ridotta del 20%. Spariti studenti, docenti, corsi di studio e finanziamento pubblico tagliato di 1,1 miliardi da Berlusconi-Gelmini-Tremonti e mai più rifinanziati. Nei primi sette anni della crisi, l’Italia investe meno di 7 miliardi nella sua università, mentre la Germania 26. L’Italia ha tagliato gli investimenti del 22%, la Germania li ha aumentati del 23%.» http://ilmanifesto.info/universita-litalia-taglia-la-germania-investe/
Altre parole non servono.
«C’è però un interesse marcato dei governi di Berlusconi e post-Berlusconiani a denigrare i servizi dello stato: da una parte per facilitarne la dismissione e la conseguente privatizzazione, che evidentemente a molti amici affaristi fa comodo. Dall’altra parte perché i servizi costano e per questo stesso sono invisi al cittadino, che per lunga tradizione culturale del paese non considera le tasse come un contributo necessario per godere dei servizi e quando può le evade. La cultura del sospetto è così diffusa che per molti è fonte di sorpresa, o di ulteriore sospetto, il fatto che la ricerca italiana ottenga piazzamenti lusinghieri nelle classifiche internazionali. A questi compatrioti vorrei offrire una rassicurazione: continuando con la politica attuale, il peggioramento è garantito.»
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/26/universita-non-ce-solo-corruzione-nei-nostri-atenei/3057425/
Piano Italia 4.0, addio ai campanili fra le Università venete: «Ecco, ci voleva un ministro non veneto per imporci di fare una cosa che noi veneti da soli non avremmo mai fatto, a causa degli atavici campanilismi che ci zavorrano»«d’ora in poi eviteremo di mettere i nomi: sarà una sana spinta a mettersi insieme». Quella che si presenta con il Competence Center del Piano Italia 4.0, è un’occasione unica e da cogliere senza indugio. Gli studi di management suggeriscono che realizzare i processi di integrazione tra organizzazioni indipendenti e con forti identità (legate al brand, alla storia, al successo) è più semplice in situazioni di «risorse crescenti» rispetto a contesti di «risorse calanti». http://www.vicenzapiu.com/leggi/piano-italia-40-addio-ai-campanili-fra-le-universita-venete
Più chiaro di così, si muore. Ecco cosa ci attende. Se in Veneto parlano apertamente, mi domando perché altrove si continui gesuiticamente a negare l’evidenza. Ciò è irritante nella misura in cui si pretende che la gente subisca questi processi senza avere né voce in capitolo, né alcuna contezza del proprio destino.
aggregazioni di atenei in stile University of California.
“Ma come sarebbe bello se riuscissimo a fare 5 hub della ricerca, …”
Fantastico questo titolo di “Repubblica”:
“Fuga di cervelli dagli atenei: corruzione o nepotismo?”
http://video.repubblica.it/cronaca/fuga-di-cervelli-dagli-atenei-corruzione-o-nepotismo/253478/253677?ref=HRER2-1
Tertium non datur….
«Come sarebbe bello se riuscissimo a fare 5 hub della ricerca …» … sì; poi chi ci mettiamo dentro, a lavorare? Tutti i raccomandati? Sembra che il problema dei raccomandati non esista o “scivoli via” come un brezzolina leggera, rispetto ai problemi strutturali e organizzativi di un qualche ipotetico, immaginario o presumibile ateneo… mah!
Rabbi, volevi un “tertium”? Non bastano corruzione e nepotismo? Beh ci sono i concorsi truccati, i figli dei baroni che hanno sempre la priorità, l’incentivazione del demerito, dell’incapacità, dell’incompetenza… cosa vogliamo aggiungere?
Il problema, a mio modesto parere, non è l’organizzazione strutturale e funzionale degli atenei nazionali; il problema è la corruzione … che dilaga, a tutti i livelli, nel Paese (uno dei più corrotti, se non il più corrotto al mondo!) e alla quale nessuno riesce a mettere riparo perché c’è connivenza, c’è omertà e, credo, anche quel tanto di compiacimento tutto “italiota” per i furbetti, per i nati con la camicia o con il nome “buono”, per quelli che hanno sempre il coltello dalla parte del manico…
…e poi, c’è questa grande capacità (anche questa, tutta nazionale), di fuorviare la gente, di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali: il problema non è la “fuga dei cervelli”; la gente, se può, se ne va perché qui, tanto per non fare nomi ed esempi circostanziati, un laureato in Medicina e Chirurgia nel 1979, con 110 e lode e quattro specializzazioni, viene tranquillamente e impunemente tenuto a 1300 Euro al mese e, se possibile, perfino messo in condizioni di non poter più svolgere le sue attività di ricerca!!! Questo è lo schifo al quale bisognerebbe ribellarsi, Rabbi, non la fuga dei cervelli o l’organizzazione strutturale dell’ateneo!
…dunque, secondo Repubblica, nell’università ci sono solo “nipoti” e “corrotti”? A me pare piuttosto che sia cominciata la campagna d’Autunno: cannoneggiare l’università pubblica per poi mandare le truppe ad instaurare il Nuovo Ordine. Leggasi “grandi hub”, “competence centers” ecc. Mi interesserebbe sapere qual è la posizione al riguardo delle autorità politiche ed accademiche senesi. È evidente perché i “giovani ricercatori” se ne vanno da Siena: non c’è il becco di un quattrino per tenerseli, blocchi interi dell’ateneo sono in corso di smantellamento, il reclutamento è stato fermo dieci anni e riprende col contagocce, con un terrificante arretrato e mentre proseguono i pensionamenti. Se regioni come Veneto e Friuli parlano oramai apertamente di sistema unico degli atenei delle rispettive regioni (checché se ne pensi) in vista della costituzione di sti’ benedetti “hub”, io ho il sospetto che noi ci si arrivi viceversa col principio della “rana bollita”. Un giorno ci troveremo di fronte al fatto compiuto e diremo: “toh?”.
dopo il “LA”, lanciato da Cantone e Calenda, sui principali quotidiani continuano incessanti le quotidiane ondate di vomito sull’università pubblica. Non mi dire che questo è causale.
Caro Domenico,
forse sarà fantascienza, e prendila, se vuoi, come “un’ipotesi”, ma io ho (tra gli altri) questi due assiomi per orientarmi nella politica:
1. Chi spara su tutti, vuol dire che non vuol colpire nessuno. Oltre a quelli dell’emorragia costante di risorse, alla perdita di migliaia di ricercatori in pochi anni, vi sono altri problemi endemici riconducibili alla mentalità italiota e non macchiettisticamente riducibili ad intrecci di figliolanze e cuginanze (che pure ci sono! Non serve andare tanto lontano per vederlo). Dalla inesistente struttura dei dottorati al senso di molti corsi di studio scaturiti in questi anni, al modo in cui alcuni (non) stanno all’università. Su questo si tace. Ma è inutile che mi ripeta, giacché ne ho scritto ad nauseam a questo blog.
2. Dio (almeno a livello del macrocosmo) non gioca a dadi. Le cose non vengono per caso. Parte il piano “Italia 4.0”, l’attenzione è puntata sui grandi “hub” o “competence centers”; gli atenei del nord, i veneti, i friulani si coalizzano: «d’ora in poi eviteremo di mettere i nomi: sarà una sana spinta a mettersi insieme». Qui da noi, dove il senso comunitario e cooperativo è più basso (tre persone=quattro partiti) la soluzione verrà imposta, magari con la tecnica della rana bollita. Servirà drenare risorse per portare a compimento questo programma di concentrazione della ricerca in pochi grossi atenei. “Inopinatamente” arriva la sparata di Cantone, e giù, in ogni piazza e ogni paese sono conati di vomito sull’università: dagli al “negro”! Chi piangerà quando molti atenei verranno o chiusi o ridotti al rango di scuole professionali? Cancellare certi mali endemici dell’università, semplicemente cancellando l’università e rifondandola su altre basi, questo sembrerebbe il piano.
Ti ripeto, sono sopravvissuto ad altre disgrazie, e probabilmente sopravviverò anche a questa: basterebbe che non prendessero per il didietro.
Lasciare un ricercatore valente a 1300 euro al mese per tutta la vita è una vergogna, è un salario da operaio con prospettive pensionistiche ancora più basse. Entrambi avete ragione, adesso si parla di strutture ma presto anche di assunzioni e differenziazione dei salari. È questione di tempo, sperando solamente non diventi il solito minestrone italiano: cambiare tutto per non cambiare nulla.
altro attacco al settore umanistico…
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/29/universita-ora-e-ufficiale-alcune-lauree-sono-inutili/3065693/
….ci rendiamo conto che in tutto questo dibattito mediatico sulle grandi trasformazioni dell’università non ha mai fatto capolino la parola “cultura”? Una parola impronunciabile, come fra i Talebani o i tagliagole dell’ISIS. L’università espelle la cultura, a questo siamo arrivati. Oramai, quando sente parlare di “cultura”, c’è gente che mette mano al revolver. Non esiste altro popolo europeo che si pasce della propria ignoranza. L’autore dell’attacco cui fa riferimento Andrea è il “solito” Stefano Feltri, bocconiano DOC che scrive sul Fatto e a dire il vero, questi bocconiani (che non sono né scienziati, né intellettuali) avrebbero un poco rotto i cabbasisi. In ogni caso, nessun premio Nobel o Fields Medal è uscito da quegli antri. L’equivoco di fondo consiste nell’assumere come postulato che la “cultura” (oramai ridotta a “comunicazione”) sia da un lato, nello scenario pubblico, identificata con sagre mangerecce e spenderecce con ospiti e televisioni, e dall’altro lato, sul piano dell’istruzione, con corsi di laurea di profilo bassissimo. Consiglio ai suddetti una gita a Parigi o a Berlino.
…facciamo un po’ il bilancio delle battaglie di questi giorni:
1. Cantone: l’università è la sentina di tutti i mali, un posto buio pieno di gente cattiva e corrotta.
2. Calenda: per il Piano Italia 4.0 serviranno sei o sette “competece centers”, grossi hub delle ricerca. Gli altri (si intuisce) che vadano pure a farsi fottere.
3. Feltri (Stefano): i corsi “umanistici” (in un’accezione così vasta che ci rientrano anche le scienze pure), siccome non procurano immediatamente un lavoro, sono inutili, e pertanto da chiudere, perché gravano inutilmente sull’erario. Uno impari da sé il sanscrito, se proprio ci tiene a quell’orpello detto “cultura”.
E siamo solo ad Ottobre. Mi domando, di questo passo, cosa ci sarà rimasto dell’università italiana intorno a Natale. E cosa ci rimarrà dell’università di SIENA!
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se proprio ci tiene a quell’orpello detto “cultura”.
Certamente, ma la cultura deve assumere una declinazione moderna
http://it.eurosport.com/calcio/nasce-anche-in-italia-la-prima-universita-del-calcio_sto5881120/story.shtml
Ah!, non poteva mancare. Vuoi mettere con la filologia romanza? Tuttavia, come per l’agricoltura, non capisco come si possa insegnare il pallone per via telematica: ti immagini quando inaugureranno l’università del sesso telematica, che frustrazione per gli studenti?
In effetti….
Comunque, tornando a cose più serie
http://www.ansa.it/trentino/notizie/qualitaaltoadige/2016/09/30/universita-unitrento-e-unibz-partecipano-a-industria-4.0_563a7da5-4841-40d3-a12e-f31b50601bf6.html
una bella massa critica
Questi sono i movimenti tellurici in atto nel sistema universitario. Qui, naturalmente, possiamo anche fingere che ciò non accada assistendo imbelli come la rana bollita di Chomsky alla propria lenta dissoluzione, non avviando alcuna riflessione al riguardo per non disturbare il manovratore, ma ricordiamoci che siamo vaso di coccio. “E il lupo giacerà accanto all’agnello”, ma l’agnello dormirà ben poco.
Il progetto nazionale si sta allargando, dicevamo. Solo con il Nord-Est si raggiungono nove tra università e scuole speciali, ma faranno via via parte di Industria 4.0 – che già nel 2017 prevede investimenti per dieci miliardi – i Politecnici di Milano e Torino, la Scuola speciale Sant’Anna di Pisa, l’Università Federico II di Napoli e il Politecnico di Bari. È probabile che in altre aree – Milano, la Toscana e la Puglia, per esempio – avvengano nuove aggregazioni.
http://www.repubblica.it/rubriche/la-scuola-siamo-noi/2016/10/02/news/piano_della_ricerca_italia_4_0_le_universita_del_nord-est_si_alleano-148964250/
…prosegue l’articolo:
“E’ probabile che in altre aree – Milano, la Toscana e la Puglia, per esempio – avvengano nuove aggregazioni. “Non siamo più la terra dei campanili”, ha detto il rettore di Padova, Rosario Rizzuto, riferendosi all’alleanza nel Nord-Est”.
Noi invece siamo terra di campanili, di contrade, di guelfi e ghibellini. E di orti, consolidate baronie. Sicché dubito che in Toscana si farà qualcosa. Il che non significa che non succederà niente: anzi, le scelte verranno imposte, e qualcuno si dovrà limitare a subirle, arrendendosi senza colpo ferire.
Abbiamo appreso con sconcerto ciò che non sapevamo, ossia che nelle università italiane, ermeticamente chiuse come monadi leibniziane contano fratellanze e cuginanze e il ceppo familiare. Che contano solo queste e nient’altro, e soprattutto che questo è l’unico problema che attanaglia il mondo della ricerca. Dopo che le recenti “cantonate” hanno dunque trasformato una tragedia in farsa, così che ci potessero zuppare il biscottino stampa scandalistica (armi di distrazione di massa) e indignati in servizio permanente effettivo che distribuiscono con olimpica equanimità letame su chiunque (dunque su nessuno in particolare), giungono però confortanti notizie dal Nordest nel quadro della costituzione di quei grossi agglomerati di atenei o “competence centers” che si va determinando lassù:
«Qualche giorno fa Raffaele Cantone, responsabile dell’Anticorruzione, ha additato proprio la corruzione regnante negli istituti come uno dei motivi dell’esodo dei docenti… Da Padova, però, arrivano buone notizie: il consiglio di amministrazione dell’ateneo veneto ha approvato l’assunzione diretta di 21 docenti italiani trasferitisi all’estero dopo il completamento del loro percorso di studi.» http://www.lastampa.it/2016/10/04/italia/cronache/il-rientro-dei-cervelli-padova-richiama-docenti-HXnzN6CTj7AOmj8NOcSyxM/pagina.html
O chissà come mai Siena non avrà approvato il rientro di venti cervelli, nonché l’assunzione di un’altra ventina di professori di ruolo per dar luogo al caldeggiato corso di laurea in Agronomia? Chissà perché non ci è schiodati da un magro 30% del turnover? http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/universita-e-ricerca/2016-09-01/atenei-turn-over-pieno-polimi-e-bicocca-freno-tirato-siena-cassino-sun-e-reggio-calabria–165841.php?uuid=ADnVzZDB
Mi domando come mai non si vada oltre la retorica superomistica ed eroica, un po’ retaggio dannunziano, dei “cervelli” raminghi e senza pace cacciati dall’infame usurpatore nepote e non si prenda atto che se da un lato c’è la patologia di una malintesa “autonomia”, il problema della mancanza di sbocchi in patria, oltre che della maggiore appetibilità, per svolgere la ricerca, di certi approdi all’estero, è un problema strutturale che ha ricadute gravi su almeno un paio di generazioni intere. È un problema che non può essere risolto con provvedimenti eccezionali ad personam.
Ma comprendo che questi grossi agglomerati o “competence centers” che stanno sorgendo a Nord potranno avere l’ampia disponibilità finanziaria e la “massa critica” per tentare un’inversione di rotta. Da capire cosa ne sarà di tutti gli altri (e di noialtri, che evidentemente operiamo in un “incompetence center”). Leggo che in provincia di Siena, con la collaborazione di vari istituti tecnici, parte la Laurea professionalizzante di primo livello per geometri che verrà rilasciata dall’Università telematica Uninettuno. Con il dovuto rispetto, vorrei capire se il destino dell’università senese è questo: lauree professionalizzanti in teledidattica. Così i “cervelli” potranno tranquillamente restarsene “all’estero” a Katmandu o ad Abbiategrasso.
Questo Feltri bisognerebbe citarlo per calunnia e danno. Tra l’altro, chi formerebbe gli insegnanti di lettere per la scuola media?. O forse prenderanno la laurea guardando lezioni telematiche sui tablet?
E cosa è utile? Studiare alla Bocconi? Comincio a nutrire seri dubbi.
IL POZZO DI TALETE
«Si dice che Talete sarebbe caduto in un pozzo e che una servetta tracia lo avrebbe aiutato a venirne fuori, visto che da solo non ci riusciva. Questa storia nasce nel contesto di una critica teoretica, rivolta all’assurdità di un’esistenza ingenuamente teoretica. Gli spiriti pratici raccontano sempre con piacere qualche strano aneddoto sugli uomini di pensiero, e, com’è noto, anche sui professori. Che cosa accadde, in realtà? Oggi lo sappiamo con una certa precisione. Naturalmente Talete non cadde nel pozzo, ma si calò in un pozzo asciutto, perché questo era il “cannocchiale” degli antichi. Grazie infatti alla schermatura offerta dalle pareti della cavità, si può registrare con grande precisione l’orbita delle stelle così inquadrate, riuscendo inoltre a vedere molto più che a occhio nudo: una sorta di vero e proprio cannocchiale greco. Quindi non siamo affatto di fronte a uno sbadato che cade in una buca. La verità è un’altra, e in realtà questo aneddoto rende onore all’audacia del pensiero, costretto prima a servirsi di uno scomodo azzardo, come quello di calarsi in un pozzo, e poi a rimettersi all’aiuto di qualcun altro per uscirne.»
(H. G. Gadamer)