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Se chiude l’ateneo senese è pronta l’Università “Salute e ghianda” con un corso professionalizzante in Agronomia
Rabbi Jaqov Jizchak. Il Corriere della Sera (16 settembre 2016) ha pubblicato un articolo («La crisi dell’Università, gli Atenei italiani perdono posizioni nelle classifiche») sull’annuale rilevazione dell’Istituto di Shanghai (Arwu Ranking) che vede una sola Università, Roma-“La Sapienza”, tra le prime 200.
L’asino aveva quasi imparato a digiunare, ma non si sa per quale ragione d’improvviso ha cominciato a stare poco bene. Comunque tutto congiura ad un medesimo disegno: visto che soldi da buttare nel sistema peggio finanziato d’Europa (7 miliardi a fronte dei 26 miliardi della Germania) non ce ne sono, l’unica strada si ritiene essere quella di rinforzare i grandi atenei per partecipare alla grande competizione internazionale, a scapito degli atenei medio-piccoli, o più scadenti, che scenderanno di rango ed andranno a costituire sedi distaccate, specie di Fachhochschule professionalizzanti, fornitrici di lauree brevi senza velleità di prosecuzione degli studi, per questi giovanotti gaddianamente “dekirkegardizzati”:
- «Brindisi, polo delle lauree professionalizzanti»
- «Il futuro dell’Università dovrà andare sempre più verso simili lauree professionalizzanti»
- «la struttura dell’offerta formativa, che sconta la storicamente scarsa presenza di percorsi brevi e professionalizzanti atti a soddisfare le esigenze degli studenti con un profilo meno accademico»
Il Piano Italia 4.0, che il governo Renzi intende inserire nella Legge di stabilità 2017, mira a favorire il trasferimento tecnologico tra atenei e mondo dell’impresa, ed individua a ciò alcuni poli, assi portanti, chiamati “competence center”, che sono Milano, Torino, Bari, Bologna e Pisa. Non senza ragione si lamenta Padova, “nonostante il primato nella valutazione dell’ANVUR sulla qualità della ricerca”, e di certo non sfigurerebbe in questa scelta élite. Immagino che Roma non sarà contenta, brandendo invece l’ARWU, ma gli altri?
Leggo che potrebbe arrivare un premio pecuniario speciale alle università che sono riuscite a distinguersi, ottenendo risultati elevati nella classifica di valutazione dell’ANVUR, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Immagino che tale premio sarà più alto, quanto più in su nella graduatoria uno si trova: ma se un ateneo come Pisa ha tre volte più ricercatori di uno come Siena, già si immagina chi prenderà la fetta più grossa. Comunque questo è il trend, ovvero l’andazzo: i grassi ingrassano e i magri dimagriscono e non è chiaro come possa risollevarsi un ateneo che ha subito pesanti batoste come questo. Voglio dire, ma che aspettano a mettere in atto questo oramai conclamato proposito di separazione tra “teaching university” e “research university”, oppure l’accorpamento di atenei, come suggeriscono altri, se veramente ci credono? Nel frattempo Human Technopole riceve 80 milioni per l’avvio del progetto.
Ritornando a Siena, ex ateneo semi-generalista, almeno un terzo dei docenti sopravvissuti alla decimazione di quasi la metà del personale docente non sono sensatamente riconvertibili ad una prospettiva di Fachhochschule o roba del genere, né tutti hanno la fortuna di andare in pensione a breve: devono asceticamente rimanere a contemplare i vari stadi di decomposizione, dalla putrefazione sino alla sua riduzione allo stato di polvere? E anche per istituire corsi professionalizzanti, per esempio in Agronomia, come chiede Riccardo Burresi (proposta in sé, astrattamente, sensata, visto che qui aziende di altro tipo essenzialmente non ve ne sono), i mezzi e il personale, dove e come ve li procurate, stanti gli attuali rigidissimi vincoli sul bilancio, sui requisiti di docenza e sul turnover? O veramente pensate di riconvertire un latinista (Tityre, tu patulae… molto bucolico) alla suinicoltura?
Qualcuno, anni addietro, se ben ricordo, aveva ipotizzato di costituire a Siena corsi professionalizzanti attraverso succursali telematiche, non già di Firenze o di Pisa, bensì addirittura di Milano. Del resto, si diceva, con l’aiuto della rete, la distanza non conta e non serve personale aggiuntivo, cosicché pure i requisiti di docenza, magari, sono a posto. Un’idea molto moderna, che potremmo applicare nel campo dell’agricoltura soddisfacendo al contempo l’anelito del Burresi e i draconiani vincoli del governo: una università telematica dove si impara a coltivare i campi su internet. Invece che “Vita e salute”, come il San Raffaele a Milano, questa università la potremmo chiamare “Salute e ghianda”.
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