Chi è capitato nell’università negli anni bui ha pagato il conto dei bagordi delle generazioni precedenti e dell’inconcludenza della politica

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Rabbi Jaqov Jizchak. In questi anni si è determinata una frattura insanabile: fra territori, fra generazioni, fra atenei, che come ho già detto si risolverà fra una ventina d’anni, una volta spianati gli atenei di provincia e ridotti a scuole professionali a favore di “grossi hub” della ricerca, sepolte due generazioni in fosse comuni e riedificato il tutto su altre basi. L’età media degli ordinari è attualmente di 60 anni; l’età media dei ricercatori è 46 anni. A Siena credo che siamo un po’ più vecchi di qualche anno, rispetto alla media nazionale. In Italia sono già andati via 10.000 docenti in pochi anni, il 17%, mi sembra, a Siena ci avviamo a perderne il 43% e il sistema è stato dissanguato, ma al bar dello sport ripetono ancora che “eh so’ troppiiiii!”. Il popolino giubila se sputano sul culturame, perché questa è la mentalità inculcatagli dai mass media. Di certo in dieci anni di blocco totale delle carriere e del reclutamento, non è che i ricercatori siano ringiovaniti: sicché adesso si attribuisce loro persino la colpa di essere invecchiati, un po’ come nel Cyrano lo stomaco del re fu accusato di lesa maestà, quando questi fu colto da mal di pancia. In buona sostanza, moltissimi di coloro che sono capitati nell’università negli anni bui a cavallo del secolo, hanno pagato il conto dei bagordi delle generazioni precedenti e dell’inconcludenza della politica, incapace di risolversi in una direzione o nell’altra e di essere conseguente rispetto ai principî che afferma, limitandosi a contemplare la putrefazione.

Oisive jeunesse
À tout asservie,
Par délicatesse
J’ai perdu ma vie.
Ah ! Que le temps vienne
Où les coeurs s’éprennent.

(Arthur Rimbaud)

La contrapposizione fra discipline umanistiche “inutili” e scientifiche “utili” serve a spianare tutto e ricostruire su altre basi

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Rabbi Jaqov Jizchaq. Ho l’impressione che la contrapposizione fra discipline umanistiche “inutili” e scientifiche “utili” sia un autentico depistaggio e torni utile a chi vuol gettare fumo negli occhi. Vale la pena di richiamare di nuovo questa riflessione:

«La sciagurata diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”.» Giorgio Israel

Io non saprei dire cosa sono le discipline “umanistiche” latu sensu, ma altri di sicuro reputano “inutili” i rami più astratti della fisica o della matematica, in nome di un’altra falsa coppia antinomica: ossia le scienze “pure” contro quelle “applicate”, come se si sapesse sempre in anticipo quale scoperta sarà mai utile a qualche cosa, o viceversa lo stimolo alla ricerca pura non venisse dall’osservazione del mondo e dal tentativo di comprendere certi problemi, per risolverli. Tutto ciò, ossia il non considerare nemmeno la ricerca come impresa conoscitiva, dotata di un valore in sé (“Sapere aude!”) è segno di regressione culturale, ma anche della supina accettazione del fatto che l’Italia sia oramai un paese capace solo di “bricolage tecnologico”, come lo definì il già citato professor Israel, al rimorchio delle grandi potenze: per esso, non serve cultura, non servono potenti visioni del mondo, pensieri di profondità abissali, ma solo buoni meccanici, assemblatori, venditori.

Qualcuno, come già osservato, propone di espellere le discipline umanistiche dall’università pubblica. Tuttavia, ponendo un’enfasi eccessiva sulle applicazioni immediatamente commerciabili, alla fine sembra bollare come “umanistica” anche la teoria quantistica dei campi o roba del genere. Altri (ed è questo il partito prevalente) ritengono che questi, le scienze “pure” o “di base”, oppure la formazione e la ricerca in campo umanistico (qualunque cosa voglia dire) condotta a livelli alti, siano lussi che potranno consentirsi solo i “grossi hub della ricerca”. Siccome però non è che a Milano siano tutti ganzi a causa dell’aria che respirano, e chi non lavora in un “grosso hub” sia stupido per definizione, vorrei capire come questo tema si intreccia con quello della “meritocrazia”.

Secondo me il progetto è questo: spianare tutto con un bombardamento a tappeto, per poi ricostruire su altre basi; le due generazioni che ci andranno di mezzo sono solo danni collaterali.

Università, Banca MPS, Comune, Sanità: a Siena il cerchio si chiude con l’opposizione compiacente

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Analisi dettagliata della relazione della Commissione regionale su MPS: un favore al groviglio armonioso e alla politica locale. Sembra scritta con la consulenza di Verdini per favorire il Pd del groviglio (da: Bastardo Senza Gloria, 23 agosto 2016)

Bastardo Senza Gloria. Ci saremmo aspettati uno sforzo maggiore, un impegno doveroso per non offendere la memoria e il lavoro di quei pochi che negli anni hanno non solo contrastato il groviglio, ma anche lavorato per ricostruire con riscontri oggettivi la vicenda tragica del groviglio tra banca, politica e informazione. Invece no, la relazione partorita dalla commissione regionale d’inchiesta su MPS, oltre a scoprire l’acqua calda, per certi versi fornisce una ricostruzione distorta e falsata sotto alcuni aspetti, fino ad assolvere il groviglio armonioso e molti personaggi politici e para-politici. Il presidente della commissione, non doveva permettere una gestione cosi manipolatoria dei fatti. Purtroppo, i soliti signori che hanno invitato la gente al mare per far vincere il candidato del PD Valentini Bruno, forse hanno suggerito una linea ai membri delle opposizioni, per evitare un lavoro approfondito sul ruolo attivo dei deputati della Fondazione e del trasversalismo del groviglio. Siamo in attesa di leggere la relazione di minoranza. Molto curiosi.

Partiamo dai politici.

Citiamo dalla relazione: «Secondo il giudizio di molti interlocutori, tra i quali l’attuale sindaco di Siena, Bruno Valentini, ascoltato dalla Commissione, sulla Fondazione c’era un ruolo attivo delle istituzioni locali governate dalla politica, sia quella locale che, in parte minore, da quella nazionale. Valentini ha parlato di una filiera decisionale che influiva in modo forte sulle attività della fondazione e della banca, che deriva da input locali e input nazionali.»

Incredibile, chiamano Valentini Bruno e lo fanno passare come un puro, uno caduto dal pero. A parte che bisognerebbe ricordare, cari commissari regionali, che Valentini Bruno era ed è iscritto a quel partito che ha governato Siena e provincia e che lo stesso Valentini era sindaco di Monteriggioni, oltre che dipendente di Banca MPS e membro di quel sindacato bancario che aveva applaudito per l’operazione Antonveneta. Ricordare poi, visto che lo citate come interlocutore, che un suo assessore era membro della deputazione generale della Fondazione MPS sotto la presidenza Mancini e che un altro assessore, nominato da Mussari, era nel CdA di MPS leasing, sarebbe stato corretto, ma si sa come vanno certe relazioni. Per restare nell’attualità, sempre per quella “filiera decisionale che influiva in modo forte sulle attività della fondazione e della banca, che deriva da input locali…”, il Valentini Bruno oltre ad imporre nell’attuale deputazione amministratrice la sig. Barni (sorella della vicepresidente della regione Toscana, altro ente nominante della fondazione), ha lavorato insieme al suo vicesindaco Mancuso per far nominare nel CdA della banca Fiorella Bianchi e da quando è diventato sindaco di Siena, il sig. Valentini non ha perso occasione per intervenire sulla banca (rileggetevi tutte le dichiarazioni, anche fatte a borsa aperta) e per chiedere soldi alla Fondazione MPS. Questo sarebbe l’interlocutore della commissione regionale,  per far chiarezza e per fare la morale sui disastri passati?

Citiamo sempre dalla relazione: «Un altro attento osservatore delle vicende senesi, l’ex sindaco Roberto Barzanti: “siamo di fronte ad un paradosso: una riforma che doveva svincolare dalla politica la banca e renderla più internazionale, lasciando le politiche di sviluppo locali alla Fondazione, si risolve in un risultato, se non opposto, di certo non coerente con quella riforma.”»

Esatto, siamo di fronte a un paradosso: definire Barzanti attento osservatore, dimenticandosi che lo stesso è stato sostenitore in prima linea di tutti i sindaci del groviglio armonioso, incaricato da Banca e Fondazione guidate da Mussari e Mancini per i libri strenna, e che lo stesso Barzanti è stato nominato presidente della biblioteca comunale dall’ex sindaco Ceccuzzi e riconfermato dall’attuale sindaco Valentini. Altro che osservatore, era un protagonista organico del groviglio. E nella relazione è un continuo citare il Barzanti. Troppa “diavolina” scaduta ha trasformato questa relazione in un fuoco di paglia.

Citiamo dalla relazione: «Anche Simone Bezzini, allora neo segretario del Pd provinciale di Siena, udito dalla commissione riferisce: “Io da segretario provinciale commentai positivamente, fui uno dei cinquemila soggetti in Italia che commentò positivamente la vicenda Antonveneta. Se andate a prendere tutti, anche i peggiori detrattori di MPS oggi, in quella fase dicono “grande” (riferito a Banca Mps, ndr). C’è un fatto che viene riconosciuto positivo, fai un commento perché l’hanno fatto anche persone più autorevoli del sottoscritto, perché allora credo che dovreste lavorare un altro anno, perché si prendono tutte le dichiarazioni di chi le ha fatte, di personaggi che ci dovrebbero capire parecchio più di me in queste materie e dirgli: “come mai valutaste positivamente… tutti faceste ‘bravi’ in quella fase?”»

A parte che Simone Bezzini, attuale consigliere regionale PD, è stato presidente della provincia di Siena (ente nominante della Fondazione), di certo non è stato ingannato da nessuno, considerato che sosteneva da politico e da soggetto istituzionale sia la gestione Mussari che quella del Mancini e non solo, Bezzini, in una dichiarazione congiunta insieme all’ex sindaco Ceccuzzi, auspicava per Antonio Vigni un ruolo di consulente strategico per la Fondazione MPS. Esatto, proprio Antonio Vigni, il direttore generale che insieme a Mussari, ha gestito la banca. Perché non si sono informati e documentati i commissari, prima di farsi raccontare le novelle da Bezzini?

Nella relazione della commissione, viene scritto qualcosa di agghiacciante e un falso storico, quando si afferma che nel 2011 (anno in cui Ceccuzzi e Bezzini auspicavano per Antonio Vigni un ruolo di consulente della Fondazione, dopo l’ottimo lavoro in banca eh???), gli enti locali senesi stavano lavorando per una discontinuità. Appunto, un’affermazione agghiacciante. Ma dove vivono i commissari regionali?

Poi, fanno passare il messaggio che i vertici della Fondazione MPS sono stati tratti in inganno dai vertici della Banca. Tratti in inganno? Ma che film avete visto?

Quando siamo arrivati alle azioni di responsabilità, ci siamo imbattuti nelle dichiarazioni rese alla commissione dall’attuale direttore della Fondazione MPS, Davide Usai e citiamo dalla relazione: «Come confermato dal dott. Usai, la Fondazione MPS si è costituita nel tempo parte civile nel processo penale nei confronti di una serie di parti. Usai ha ricordato alla Commissione le principali cause in sede civile, che riguardano gli advisor per gli aumenti di capitale 2008/2011. Per advisor, secondo Usai sono intesi “i precedenti management, sia Deputazione generale che la Deputazione amministratrice“».

A qualcuno sul pianeta terra risultano azioni di responsabilità nei confronti delle passate deputazioni generali? È sicuro di quello che ha dichiarato il dott. Usai in commissione? Sarebbe il caso di comunicare ufficialmente, se ci sono azioni di responsabilità nei confronti delle deputazioni generali, perché agli atti risultano solo quelle nei confronti delle deputazioni amministratrici. Forse possiamo chiederlo all’avvocato Grifoni (attuale membro della deputazione generale in rappresentanza della Curia) se ha votato (contro se stesso?), delle azioni di responsabilità nei confronti delle deputazioni generali passate (di cui lo stesso Grifoni faceva parte). Invece, di azioni di responsabilità nei confronti dei gestori delle società partecipate della Fondazione MPS si hanno notizie? Usai forse ne è informato, considerato che ha ringraziato Bonechi e i membri del CdA della Sansedoni Spa per l’ottimo lavoro svolto.

E ora si arriva all’assoluzione del groviglio armonioso da parte della commissione regionale: «Il sistema senese di relazione tra poteri, pubblici e privati, con al centro banca MPS è stato definito “groviglio armonioso” da Stefano Bisi, direttore del Corriere di Siena e dal 2014 Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Una definizione che è diventata una fortunata metafora ripresa un po’ semplicisticamente dagli osservatori esterni, ma che non andrebbe presa troppo sul serio».

Roba da non crederci: il groviglio sarebbe una fortunata metafora! Un minimo di vergogna, i membri della commissione regionale non lo provano? Per scrivere queste relazioni vi siete avvalsi della consulenza politica di Verdini, oltre che di quella del Barzanti o Mazzoni Della Stella?

Ci fermiamo qui, non vogliamo tediarvi con altre ricostruzioni strampalate inserite in questo scandaloso documento. Nella relazione manca tutta la parte relativa al controllo dell’informazione. Date retta, per i senesi e per quelli che seguono le vicende da fuori, lasciate perdere questa relazione alla “diavolina” e rileggetevi gli articoli degli ultimi 15 anni scritti da Luca Piana, Camilla Conti, Daniele Martini, Raffaella Ruscitto e riguardatevi le trasmissioni di Report… Oppure due chiacchere con l’avvocato De Mossi, che oltre alla memoria storica, conosce bene il diritto societario, e lo conosce bene, non come certi apprendisti giuristi. Utile lettura, anche il libro di Piccini. E qui su Siena rileggetevi i vecchi post dell’Eretico, del Santo e anche i nostri, e qualche libro utile, non quelli suggeriti dal groviglio, ovviamente.

Si ricomincia come ai tempi dell’asse Verdini-PD, il primo oggi, sostituito da altri suggeritori?

Per costruire “pochi grossi hub della ricerca” si marginalizza chi lavora negli atenei minori del centro-sud

Altan-tagli-culturaRabbi Jaqov Jizchaq. «Il risveglio di Forza Italia». De mortuis nil nisi bonum dicendum est, certo Siena ha combinato dei guai attribuibili principalmente (ma non solo: il “groviglio armonioso” politico-familiare) alla sua élite politica ed accademica, che afferisce ad un’area politica ben precisa. Essa ha offerto su un piatto d’argento la propria testa a chi gliela voleva tagliare (sempre all’avanguardia!), ma il fenomeno detto della “compressione selettiva” del sistema universitario, che vede la marginalizzazione sempre maggiore degli atenei medio-piccoli è politica nazionale, perfettamente bipartisan, oramai da tempo.

A me pare che la politica universitaria sia perfettamente bipartisan all’insegna della continuità. Scrive il prof. Viesti, autore del volume «Università in declino. Indagine sugli atenei da Nord e Sud»: «la cosa che stupisce è che non c’è nessuna differenza fra Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. La politica è assolutamente identica. Di questa politica non si è occupato il Parlamento, nel senso che non ho trovato evidenza di discussioni parlamentari su questi temi. Ho trovato invece evidenza di un pensiero unico, di una rappresentazione sciatta dell’università». Si fa notare in particolare che l’Italia investe meno di 7 miliardi nella sua università, mentre la Germania 26. L’Italia ha tagliato gli investimenti del 22%, la Germania li ha aumentati del 23%.

L’articolo citato comincia col ricordare anche il fallimento della legge Berlinguer-Zecchino del «3+2», che ha mancato in pieno l’obiettivo del 40% di laureati entro il 2020: «Siamo all’ultimo posto nell’Europa a 28 con il 23,9%.» Si è altresì sostenuto in modo bipartisan che la riforma Gelmini fosse «di gran lunga la migliore riforma fatta dal governo Berlusconi» (Zingales). Sulla stessa linea editorialisti come Abravanel o Giavazzi: dunque, perché discostarsene? Alla riforma Gelmini dobbiamo l’ANVUR e Renzi ha fatto suo il “dictum” gelminiano della qualità e dei “pochi hub della ricerca”, che porta a distinguere fra sommersi e salvati: «Negare che vi siano diverse qualità nell’università è ridicolo – ha detto Renzi – Ci sono università di serie A e B nei fatti e rifiutare la logica del merito e la valutazione dentro l’università e pensare che tutte possano essere uguali è antidemocratico, non solo antimeritocratico».

Sotto Profumo è proseguita la contrazione dell’università italiana, e in particolare si è verificata la riduzione del numero di docenti dai quasi 60.000 a circa 40.000. Allora di che lamentarsi, se sono tutti d’accordo? Il compianto Giorgio Israel ebbe a scrivere: «non c’è né Spectre né Protocolli, ma un’agenzia molto trasparente che ha lanciato da tempo un’Opa sul sistema dell’istruzione italiano (tutto, scuola e università). È Confindustria […]. Un modo per formare quadri aziendali gratis e avere un ufficio studi a costo zero.»

Lo dico in maniera del tutto oggettiva ed avalutativa. Nel senso che può darsi che tutti codesti signori che propugnano la teoria dei “pochi grossi hub della ricerca” affiancati da satelliti detti “teaching universities”, con tutte le prevedibili conseguenze (non equipollenza di fatto delle lauree, contrattualizzazione delle posizioni lavorative ecc.) abbiano ragione e chi li osteggia abbia torto. Chiedo solo che siano conseguenti e traggano le conclusioni dai principi che postulano: come pensano di attuare i loro propositi?

Anche ammettendo la plausibilità di una simile metamorfosi del sistema, essa non può attuarsi difatti semplicemente attraverso la mera marginalizzazione, dunque la punizione di massa, nei confronti di chi lavora negli atenei minori, principalmente del centro-sud, né lasciando marcire le situazioni, attraverso la lenta eutanasia delle aree scientifiche non funzionali al disegno di trasformazione degli atenei minori in una sorta di Fachhochschule o Community College professionalizzanti. Vogliono realizzare sistemi integrati di atenei, ma non c’è coordinamento, né mobilità: come già detto, qualcuno pensa di realizzare “l’armonia prestabilita” fra monadi non comunicanti. La disaffezione dalla politica, l’opzione nichilista o “populista”, alla fine sono conseguenza della rassegnata constatazione di questa incapacità della politica di uscire dalla stasi e dalla stagnazione.

«Mieux vaut un désastre qu’un désêtre.» Alain Badiou

Due piccoli atenei: da Monte Cassino a un Monte di casino

Università di Cassino e Siena

Università di Cassino e Siena

Cosa volete farne dell’Università di Siena?

Rabbi Jaqov Jizchak. Ritorna ineludibile l’interrogativo: cosa volete farne dell’università di Siena? Una specie di Fachhochschule? E dei settori disciplinari, delle aree scientifiche oramai dissanguati, senza futuro in terra di Siena, nonché di chi ancora ci lavora dentro? Certo è che se spariscono tutti i settori delle scienze astratte e speculative, o li si mantiene solo ad un livello di baccellierato di basso profilo, l’università di Siena non sarà più uno “studium generale” (anche se di fatto non lo è mai stato), bensì un istituto professionale avanzato. Tuttavia, anche per realizzare questo progetto occorrerebbe un rapporto più diretto con l’industria, che oggi non vedo, se non in sporadici casi.

Stefano Feltri (Il Fatto Quotidiano) in una serie di articoli ha lanciato una vera e propria crociata contro gli “studi umanistici”, ossia gli studi “belli, ma inutili” (sic), che a suo dire dovrebbero essere estromessi dall’università pubblica: «I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. … fare studi umanistici non conviene, è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere.»

Una posizione, secondo me, equivoca e assai confusa: certo se stiamo parlando di diplomi dequalificati in tuttologia, roba terra-terra di livello scolastico, non specializzato, ha ragione, ma se escludiamo questa petitio principii, Feltri non vede che la contrapposizione oggi non è quella fra le scienze astratte e quelle “umanistiche”, che si trovano dalla stessa parte della barricata, accomunate da una cronica assenza di risorse. Senza dire che i rami più astratti della Matematica e della Fisica vengono considerati da chi approva le sue tesi alla stregua di “inutili” speculazioni filosofiche.

Ma si può sapere poi cosa cacchio sono queste materie “umanistiche”? Io non l’ho ancora capito. Molti se ne riempiono la bocca senza essere capaci di definirle. Credono che siano quelle quattro nozioni ottocentesche imparucchiate a scuola e consolidate all’università di massa con un bel 18 politico, e così come non sanno definire cosa siano le discipline “umanistiche”, pare che non sappiano nemmeno precisare cosa siano la Matematica o la Fisica del XXI secolo.

Nota poi che ripartono le abilitazioni! Dove li mettono tutti gli abilitati, vecchi e nuovi? “Fine pena, mai!”, come gli ergastolani. Poi pare che adesso, dopo la Brexit, un sacco di italiani vogliano rientrare in patria: il “rientro dei cervelli”, dopo una gita all’estero. Lo sblocco delle procedure per l’abilitazione nazionale” – dice il CRUI – “ferme ormai da tre anni, rappresenta un’opportunità per i nostri giovani studiosi di vedersi aprire la strada per la carriera accademica”. Naturalmente, una volta conseguita l’abilitazione, poi c’è da aspettare il concorso. Vale la pena di ricordare che oltre ai tre anni di blocco delle abilitazioni, c’è stato un decennio di blocco del turnover e le risorse per assumere nuovi professori sono scarsissime.
Trovo dunque insopportabile la retorica dei “giovani ricercatori” quasi quanto quella del “rientro dei cervelli”.

Dieci anni di blocco del turnover, tre anni di blocco delle abilitazioni… eppure sono sempre “giovani”: “perché è proprio per i gggiovani e con i gggiovani che noi operiamo sulla via della democrazia e del progresso!” (vi ricordate?). Età media di ricercatori, cinquant’anni. Eppure questi qua continuano a parlare de “i giovani”, come se fossero sempre giovani, e come se fossero sempre gli stessi. Il tempo non esiste: “noi fisici – scriveva Einstein – [siamo] convinti che la distinzione tra passato, presente e futuro sia soltanto un’illusione”. Certo “s’invecchia”, ma come dice Majakovskij, la mia anima non ha un capello bianco.

Epilogo: possiamo anche trastullarci con queste asperrime lotte fra totani per il primato fra i piccoli atenei con Monte Cassino, ma in fondo mi viene da pensare che l’unica differenza tra noi e loro è una “s” di meno: perché di casino qui ne abbiamo veramente un monte.

E c’è chi firma un contratto post-pensione in punto di morte per tenere attivato il corso

Il dott. Faust e Mefistofele, disegno di Tony Johannot

Il dott. Faust e Mefistofele, disegno di Tony Johannot

Mary. Noi abbiamo avuto il caso di un docente che ha dovuto firmare un contratto post-pensione in punto di morte perché il suo insegnamento risultasse assegnato e il corso non si spegnesse. Altro non aggiungo.

Rabbi Jaqov Jizchaq. …è una storia molto faustiana. Il prossimo passo sarà un patto col diavolo.

Mario Marcantonio. L’incredibile episodio riportato da Mary – la firma del contratto in punto di morte per tenere attivato il corso – si riferisce all’ateneo senese?

Rabbi Jaqov Jizchaq. …Faustus stipula un patto con Mefistofele: avrà garantita la continuità del suo insegnamento ed i servizi del servo di Lucifero grazie ad un assegno di ricerca, per ventiquattro anni, dopo i quali Lucifero avrà la sua anima, ma concederà un posto di ricercatore di tipo B.

Mary. Preciso che quanto detto è verissimo, non è successo a Siena ma la situazione è del tutto simile: crollo del numero di docenti e di matricole, pochi punti organico mangiati a grandi bocconi dai soliti noti (Ingegneria, Medicina). Posso ancora citare il caso di una collega eccellente che ‘è scaduta’ e ora sta a cinquant’anni in mezzo alla strada perché il suo 0.50 serve a mandare avanti due tirapiedi di altro settore che diventeranno associati. Avanti così…

Rabbi Jaqov Jizchaq. Cara Mary, allora a Siena siamo messi anche peggio, giacché, da quello che si sente dire in giro, a seguito dei pensionamenti si sono aperte delle voragini persino in settori chiave della medicina e dell’ingegneria. Figuriamoci il resto, i settori più deboli… ma tutto va bene, madama la Marchesa, è vietato dire: “Houston, abbiamo un problema”. In riferimento alla tua considerazione, se può essere d’aiuto alla discussione, leggo su un quotidiano che “nella maggior parte dei Paesi Europei le facoltà di Medicina rappresentano scuole separate e distinte dal resto dell’Università. In Italia il condizionamento e il peso delle facoltà di Medicina sulla vita della Sanità, e delle Università, è diventato insostenibile”.
Non si può dire se questa separazione sia una scelta giusta, né conosco le ragioni di questa difformità italiana rispetto agli altri paesi e mi rimetto al giudizio di chi ne capisce di più. Mi piacerebbe sentire delle opinioni al riguardo. Certo è che quando c’è da litigarsi un tozzo di pane, agli altri rimane assai pochino.

Il risveglio di Forza Italia sull’Università e la sanità senesi e il sonno profondo delle altre opposizioni

Altan-SvegliatiCoordinamento comunale di Forza Italia. Abbiamo letto l’accordo fra la Regione Toscana, l’Azienda ospedaliera universitaria senese e l’Università degli studi di Siena e ci siamo posti delle domande sull’utilità della soluzione trovata. Nell’accordo si legge che «gli spazi del polo didattico ospitati all’interno dei blocchi assistenziali del policlinico risultano poco funzionali alle esigenze universitarie mentre risulterebbero adeguati (poiché direttamente collegati al resto della struttura ospedaliera) a risolvere esigenze di reperimento di spazi ulteriori per i servizi dell’Azienda ospedaliera universitaria». Ora l’assessore alla sanità regionale, Stefania Saccardi, deve dirci se tale accordo risponde a logiche di economicità, se all’interno delle Scotte non fosse stato possibile trovare, vista anche la riduzione delle attività assistenziali, altre soluzioni che avrebbero permesso di non fare nuove edificazioni. Ammesso e non concesso che si debbano fare, cosa di cui dubitiamo fermamente, tali costruzioni andrebbero a soddisfare vecchie richieste di ex rettori che non rispondono più alla situazione attuale. Così come dovrebbe dirci, sempre l’assessore regionale, se tali interventi, stimati in diversi milioni di euro, rispondono alla logica dell’impiego di risorse sanitarie unicamente nei servizi sanitari al fine di potenziarli e migliorarne la qualità. Ci nasce il sospetto, vista la situazione delle Scotte e dell’Università, che l’accordo non abbia altro fine che quello di un ulteriore finanziamento all’ateneo senese.

«Siena è tra gli atenei più indebitati d’Italia e rischia di non poter sopravvivere». Parola di Trequattrini, prorettore vicario di Cassino

Piero Tosi - Silvano Focardi - Angelo Riccaboni

Piero Tosi – Silvano Focardi – Angelo Riccaboni

Raffaele Trequattrini

Raffaele Trequattrini

Dopo la pubblicazione del “Decreto relativo al turnover 2016 nelle Università”, il Sole 24 Ore (9 agosto 2016) ha scritto: «Le possibilità di assunzioni dipendono dallo stato di salute del bilancio. In crisi Siena, Cassino, la II università di Napoli e Reggio Calabria». A commento dell’articolo del Sole 24 Ore, il quotidiano del Lazio meridionale, “L’inchiesta” (10 agosto 2016), ha pubblicato un’intervista con il prorettore vicario e delegato del bilancio dell’Università di Cassino, Prof. Raffaele Trequattrini (nomen homen!). Di seguito il passo relativo all’Università di Siena. Non ha nulla da dire il Gil Cagnè dei bilanci, Angelo Riccaboni?

Raffaele Trequattrini (Prorettore vicario e delegato al bilancio dell’Università di Cassino). «Niente di più falso, se posto in questi termini. Siena è tra gli atenei più indebitati d’Italia e rischia di non poter sopravvivere. Noi, invece, abbiamo un indice d’indebitamento pari al 5% quando l’indicatore stabilito non deve superare il 15%. Siamo sani, dunque.»

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L’ateneo senese sta scivolando rapidamente verso una dimensione che non è più quella propriamente universitaria

Altan-indifferenteRabbi Jaqov Jizchaq. Leggo su un quotidiano on-line che gli studenti senesi potranno scegliere «di studiare in uno dei 32 corsi di laurea triennale o in uno dei 29 corsi di laurea magistrale.» Notare che metà delle triennali sono di area medica, sicché, a parte Medicina, a Siena vi sono una quindicina di triennali tra cui scegliere, talune dai contenuti tutt’altro che chiari. Ma nel 2007 (l’anno del diluvio) c’erano 55 lauree triennali o a ciclo unico e 42 magistrali. Dunque abbiamo perso 23 corsi di studio triennali e 13 magistrali, per un totale di circa il 38% dei corsi di studio che vi erano allora. Si disse che era necessario chiudere “qualche corso di laurea inutile”, ma stento a credere che il 38% dei corsi fosse “inutile” (e allora Pisa, che di triennali ne ha 140?). In ogni caso si sono persi 6700 studenti e probabilmente un nesso fra le due cose vi sarà. Soggiungo che tra i corsi defunti o moribondi vi sono molti corsi delle scienze di base, che se andate a dire a “Ossforde” che sono “useless”, vi fanno ri-passare la Manica a calci nel culo.

Altri corsi esistono di fatto solo nominalmente, come simulacro di quello che furono, presidiati da sparuti docenti in una condizione di assedio tipo fort Alamo. L’indifferenza con la quale operazioni di questo genere vengono spacciate per una mera e banale operazione burocratica di riorganizzazione dei corsi, senza che nessuno abbia a dire nulla sui contenuti, evidenzia che al contrario quello che ho scritto circa il retroterra culturale della nostra intellighenzia c’entra e c’entra parecchio, e va letto in parallelo con quello che afferma il prof. Vespri, ossia che, dovendo riassumere brutalmente, molti atenei medio-piccoli come Siena (ridotta ad un terzo di Pisa o di Firenze) stanno scivolando rapidamente verso una dimensione che non è più quella propriamente universitaria.

Ma questo rinvia alle considerazioni che ho già svolto circa il destino e il ruolo dei tre atenei toscani, la sbandierata, quanto improbabile “sinergia” tra monadi che non comunicano, il timore che essa si traduca in mera sottomissione e cancellazione del più debole, e non voglio ripeterle.

Fulvio Mancuso non può fare il vicesindaco? Si scherza? Lui è un professore dell’Università di Siena!

Fulvio Mancuso

Fulvio Mancuso

Ecco perché la carica amministrativa di Manquso è in bilico (Sunto, 8 agosto 2016)

Sunto. A metà aprile il Prefetto Saccone ha inoltrato chiarimenti ai Sindaci di Monteriggioni e Poggibonsi sulla nomina del Vice-Sindaco. Nella comunicazione il Prefetto, concatenando la legge sugli Enti locali, la legge Del Rio ed una circolare del Ministero dell’Interno, ha fatto chiarezza sostenendo che la figura del vicesindaco deve essere un Consigliere Comunale.

Sempre secondo l’interpretazione del Prefetto Saccone, la legge Del Rio deve essere applicata a tutti i Comuni, anche con popolazione superiore a quella di Monteriggioni e Poggibonsi; quindi anche a Siena. Ne deriva che Manquso è in una posizione di bilico perché non essendo un Consigliere Comunale non può esercitare le funzioni di vice-mascotte.

L’argomento è un po’ articolato e necessita, dopo il Palio, di un’approfondita conoscenza della materia. Nel frattempo, perché le opposizioni di Palazzo non si rimboccano le maniche?