Si riporta uno stimolante articolo da Europa del 3 luglio 2008.
UN’UNIVERSITA’ BISTRATTATA DAL GOVERNO, MA INCAPACE DI AUTORIFORMARSI
Giliberto Capano. La manovra finanziaria del governo colpisce duramente le università. Vengono ridotti gli scatti stipendiali ai professori universitari (finalmente questi sfaticati!) e viene drasticamente ridotta la possibilità di sostituire chi cessa dal servizio (il cosiddetto turn-over) Ma non solo. I risparmi operati in questo modo (siamo intorno al miliardo e mezzo complessivo di euro nei prossimi cinque anni) vengono sottratti dal finanziamento pubblico all’università (finanziamento che attualmente ammonta a circa 7 miliardi all’anno). Messa in questo modo siamo di fronte a una operazione chirurgica e, per certi versi, epocale. Il sistema universitario meno finanziato del mondo occidentale subirebbe, con questi tagli, un colpo definitivo, tombale. Molti, dentro gli atenei si stanno chiedendo come sia possibile aver progettato tutto questo. È vero che la manovra aspira, giusto o sbagliato, a ridurre drasticamente il debito pubblico, ma è anche vero che tutti sanno che le condizioni finanziarie in cui operano i nostri atenei sono già disastrose. (…) Credo che il vero problema stia nella sfiducia collettiva, ormai radicata, nei confronti del sistema universitario. L’università, in questo paese, viene vista da decenni come un’istituzione a se stante, autoreferenziale, sostanzialmente inutile.
Qualcosa di vero c’è. Ci hanno dato l’autonomia e noi l’abbiamo utilizzata malissimo. Abbiamo operato promozioni di massa, abbiamo attuato malamente la riforma del 3+2. E ogni volta lo stato è dovuto intervenire ponendo lacci e laccioli al comportamento irresponsabile di molte università (non di tutte sia chiaro). Alla fine, a furia di tirare la corda, la corda si spezza. E, diciamolo, in questi anni non è arrivata alcuna proposta di autoriforma da parte dell’università. Né dal Consiglio nazionale universitario né dalla conferenza dei rettori. Si è, semplicemente, continuato a lamentare il sottofinanziamento endemico del sistema. E basta. Mai una proposta seria di cambiamento vero. Mai un’alzata di ingegno per avanzare al paese un piano vero di rinascita dell’università italiana.
Tante parole, certo: merito, valutazione, competizione, riforma della governance. Solo parole, perché l’attuazione concreta di questi principi implicherebbe il perseguimento delle differenze tra atenei (che ci sono e dovrebbero essere valorizzate). Non sia mai, nel paese in cui per definizione tutte le università debbono essere uguali. Meglio tutte povere.
Ed eccoci qui, gravati da un discredito tale per cui nessuno leverà un dito per salvare le nostre università. E allora si abbia il coraggio di chiedere al governo di impostare davvero una politica meritocratica. Si accettino le proposte del governo, ma gli si chieda di usare i soldi risparmiati non per abbattere il debito pubblico ma per impostare davvero una politica meritocratica. In questo modo: lasciando alle università i soldi delle riduzioni stipendiali affinché vengano utilizzati per politiche di incentivazione dei più meritevoli nella didattica e nella ricerca (ovviamente le università dovrebbero essere monitorate e se distribuissero a pioggia o in modo improprio queste risorse); ripartendo in modo selettivo, e sulla base di una valutazione seria della ricerca, i risparmi conseguiti con la drastica riduzione del turn-over. Si potrebbe addirittura ipotizzare che questi finanziamenti vadano ai quindici, massimo venti, atenei migliori. Questo si dovrebbe chiedere ora, e si dovrebbe chiederlo con forza, mostrando che le università italiane vogliono davvero cambiare. A quel punto la palla passerebbe al governo che, come i suoi predecessori non sembra capace di assumersi davvero la responsabilità di riformare e di guidare il nostro sistema universitario e preferisce mandarlo alla deriva.
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… onore e merito però a questo blog di certa e nobile matrice accademica: una rilettura dei vari contributi d’ogni provenienza qui pubblicati vale più dei tanti incontri e lavori, più o meno validi sul piano della sincerità e della scientificità, a oggi intercorsi a scandire l’agonia ormai rapida, conclusiva e irreversibile (salvo colpi di scena, commissariamenti o miracoli…) di alcune università. Se si fanno un poco di conti, l’ateneo senese deve alle proprie inemendate e ingiustificabili (anche sub specie iuris) colpe lo stato comatoso attuale, frutto di una politica dissennata e disastrosa ma pervicacemente proseguita fino allo snaturamento, svuotamento e sfinimento di identità e finalità a chiunque evidenti, sol che si guardi ai numeri dei bilanci e delle voci: sempre più amministrativi e sempre più agli amministrativi senza alcun futuro per la ricerca e la didattica. Malgrado il debito accumulato per precedenti, penalmente rilevanti ed umanamente inaccettabili, trasgressioni. Malgrado, a proposito di ruolo e scopo della istituzione di ricerca e didattica, i colpi mortali inferti alla possibilità di competizione scientifica e di vera attrazione didattica. Malgrado la tecnica moderna imponga la informatizzazione di ogni procedura ad impedire che l’ancor imperante cartaceo sottragga preziose risorse ed intralci ogni attività umana. Malgrado, ormai da anni in crescendo, si sia levato un grido di dolore (e stupore!), seppur limitato a così pochi esponenti tra i responsabili d’ateneo. Forse può apparire inelegante e indelicato fare i nomi, a futura memoria, del curatore del blog Prof. Giovanni Grasso, dell’isolatissimo consigliere di amministrazione Prof. Michela Muscettola ed anche del sottoscritto? Prof. Cosimo Loré, Siena Ateneo