Si riporta una breve presentazione, ripresa da Ateneo palermitano, del libro “Parentopoli” di Nino Luca.
Una risata vi seppellirà…
Un altro libro sui mali degli Atenei nazionali, trattati stavolta con la forza della satira
Francesca Patanè. Se ne sono dette e scritte di cotte e di crude sulla malauniversità, che include nepotismo e concorsopoli. Ma nessuno, ad eccezione forse di Ateneo palermitano, aveva mai utilizzato la forza della satira per mettere “le birbe alla berlina”, come recitava quella famosa poesia delle nostre reminiscenze scolastiche. In realtà, raccontare con lo strumento della satira, se lo si sa usare, è devastante. Nino Luca, autore di “Parentopoli” (ed è forse la limitata originalità del titolo l’unico difetto del volume), c’è riuscito e ne è venuto fuori un delizioso libro che a partire dall’immagine di copertina – una caricatura di famiglia-tipo accademica con barone-padre, baronessa-madre, baronetto-figlio e persino baroncino-cane, anche lui, per par condicio, con tanto di tocco, ma, diversamente dagli altri, senza toga, forse perché è solo un cane e non un porco e nemmeno un asino. Certamente Luca si è divertito a scrivere questo libro, a scoprire le malefatte di parentopoli, a risalire ai nutriti e contorti alberi genealogici, a titolare in modo esilarante capitoli e paragrafi. L’idea gli è venuta dalla “forma mentis” del prof-barone Nicòtina, quello che per giustificare concorsopoli/parentopoli aveva dichiarato, coram populo: «I nostri figli sono più bravi perché hanno la forma mentis tipica di noi professori». Da lì è partito il libro-denuncia del giornalista che, grazie anche alle numerosissime e-mail ricevute da tutta Italia, ha potuto raccontare «quando l’università è affare di famiglia». Le storie che elenca bene o male sono note, a volte arcinote tanto da essere venute a noia. Ma è appunto lo stile con cui l’autore le affronta che, come dicevamo, le rende originali. L’immagine che degli Atenei nazionali viene fuori è avvilente (oltre che imbarazzante) e non sarebbe potuto essere che così, visto il degrado in cui i baroni accademici l’hanno fatta precipitare da Nord a Sud, passando per il Centro e per le Isole. Finirà, prima o poi, questa vergogna nazionale? Lo speriamo. Nell’attesa non ci resta che ringraziare il collega per averci voluto ampiamente citare.
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Bene la satira! Senza satira sarebbe veramente un regime odioso… Satira=Democrazia. Ormai dire prof. univ. fa ridere anche i cani. Colpa dei baroni. Giorni fa ho visto il Grande Vecchio della Stufa Secca, ancor pavoneggiantesi nonostante la veneranda età. È nel ruolo, ormai. E chi glielo dice che ha sprecato una vita? Italo Svevo era più gajardo, certamente!
Bardo
«I nostri figli sono più bravi perché hanno la forma mentis tipica di noi professori» Prof. Nicotina
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Altro che nicotina: direi piuttosto LSD o qualche altro intruglio allucinogeno. A cosa ammonti la “forma mentis” di gente iperraccomandata dalle congregazioni politico-familiar- massonico-corporative, è chiaro a chiunque abbia un minimo bazzicato l’ambiente: sarebbe il caso, per pudore, di smettere di nominare la parola “meritocrazia”. Ma non cerchiamo capri espiatori, perché è sempre facile sparare sull'(in)fanteria: il male dell’università non è uno solo, e quello delle consorterie è solo uno di questi mali.
Bene dice il sig. Stavrogin. È l’ora di smetterla di… salire in cattedra (a sproloquiare). I professori-baroni si credono il cervello della nazione ma ne rappresentano invece le feci.
Sui giornali senesi si riparla del buco e delle prime sanzioni. Si intervenga.
Bardo
«Lavapiatti…??»
Vi è da aggiungere, come si evince dalla stampa cittadina (prendo le scarne notizie che il resto gli è tutta ‘na risata… amara) alcuni baroni di medicina – ora sotto inchiesta, finalmente!- utilizzavano i sottoposti come chef, lavapiatti, autisti ecc. Ah! Ah!” Ah!… e già vedevasi i “carrieristi” quando facevo ricerche alle Scotte… Se non c’è un parente amico – magari ex extraparlamentare di sinistra -col piffero che entri… Entri, si, per ora, ma come lavapiatti del ducetto di turno-e, se sei donna, è grassa se ‘un te la chiede…
A Lettere almeno i prof. di “sinistra” invitavano gli studenti a fare un “trip”… Solo quelli buoni, magari coll’aria buona della Berardenga, avevano il privilegio di aprire con le chiavi gli studi dei Guru dell’ex Stufa Secca… o giù di lì…
Bardo
vi invito a leggere il seguente articolo del quale incollo qua sotto la parte conclusiva:
http://www.agoravox.it/Riforma-Gelmini-dell-Universita-in.html
«Il senso è che la Gelmini ha scelto per la precarietà della ricerca universitaria la stessa spada utilizzata per la scuola: eliminare alcune classi (demografiche) dal gioco prescindendo dal merito, dall’impegno, dall’inclinazione delle persone. Nella scuola ben pochi tra i ragazzi nati tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 potranno fare gli insegnanti mentre saranno assorbiti i precari storici per un patto scellerato con i sindacati che prescinde totalmente dal merito e dalle esigenze didattiche. È questa la formula scelta. Quindi il sistema, forse a metà del prossimo decennio, si riaprirà ma sarà troppo tardi per un’intera generazione di aspiranti insegnanti.
Lo stesso sistema adesso si sta per abbattere sull’università anche se nessuno lo dirà a chiare lettere. Chi è precario adesso e sta tra i 30 e i 40 (si ricordi che in Italia si diventa ricercatori in media a 38 anni, quando all’estero si è già ai vertici), difficilmente troverà collocazione. La legge 133 centellinerà gli ingressi fino alla fine della legislatura e dopo nemmeno le Università più virtuose potranno assumere strette dai numeri della nuova riforma.
Il sistema forse si riaprirà tra 5-6 anni e andrà bene per chi adesso si sta laureando o inizia gli studi dottorali. Ma per tutti gli altri, e stiamo parlando di circa 40.000 giovani studiosi, è vera macelleria sociale e l’Università italiana butta via una generazione intera, come se ci fosse una guerra. Alcuni emigreranno, la maggior parte, soprattutto quelli che non hanno famiglie alle spalle, cercheranno altro da fare nella vita. È la guerra dichiarata da Mariastella Gelmini contro l’Università pubblica e i suoi giovani.»
E, aggiungo, quello che fa vomitare è che la “sinistra” (ex PCI e satelliti) abbia solo messo le cattedre sotto il culo dei soliti fanfaroni, professori messi colà con concorsi-truffa e bluff istituzionali. Si devono ancora aprire i segreti di stato e della cd “strage di stato” (Calabresi-Pinelli): ma debbono essere aperti anche gli “armadi della vergogna” della sinistra di regime.
Bardo
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scuola/grubrica.asp?ID_blog=60&ID_articolo=1030&ID_sezione=255&sezione=News
“Tra gli altri progetti, Gelmini annuncia anche la chiusura di alcune facoltà universitarie: «Ce ne sono parecchie che non hanno alcuna ragione d’essere. Chiudendo le facoltà inutili si recuperano risorse per quelle necessarie». Il ministro prevede molte resistenze: «La scuola è il mondo più conservatore d’Italia. L’istituzione più difficile da rinnovare». Colpa dei sindacati che «sono per la conservazione».”
Berlusconi fa come Mao.
Manderanno i professori a spalare il letame nei porcili. Del resto alcuni sono già, metamorficamente, e già da lungo tempo, dei maiali.
[…] scrive, in questi giorni, “L’Espresso” e, in precedenza, era stato descritto in tanti libri sull’argomento. E qualche libro fu anche dedicato ai tanti «ribelli» che in quegli anni avevano «denunciato […]
leggo che sono state chiuse delle “facoltà inutili”; a parte che le facoltà non esistono più, essendo state cancellate dalla riforma Gelmini (e il caos che ne è seguito non mi pare un gran capolavoro), gentilmente, sapreste indicarmi quali “facoltà inutili” sono state cancellate? A me risulta che siano stati chiusi corsi di laurea che hanno perso il numero di docenti previsto dalla legge, a prescindere dall’utilità o meno. Questa retorica da bar dello sport avrebbe discretamente rotto gli zebedei: intere aree scientifiche sono state desertificate per ragioni anagrafiche e da dieci anni di blocco del turnover, del tutto a prescindere dalla loro “utilità”. In ultimo, gradirei conoscere quali sono le scienze “inutili”.
È quel che diceva la Gelmini: «Chiudendo le facoltà inutili si recuperano risorse per quelle necessarie». Nel 2009, però. E a quel tempo le Facoltà c’erano ancora. Fosse stato l’attuale ministro dell’Università a far confusione tra Facoltà e corsi di laurea, poteva esserci qualche giustificazione. Ma la Gelmini, con una laurea in giurisprudenza…
… certo è una lotta fra totani, ma io ripeto la domanda: intere aree scientifiche sono state desertificate per ragioni anagrafiche e da dieci anni di blocco del turnover, del tutto a prescindere dalla loro “utilità” o meno. Mi domando se anche all’interno dell’università (visto che i giudizi che vengono dall’esterno sono all’insegna della più vieta approssimazione) si ha una esatta cognizione dello stato delle cose, o ci si bamboleggia con “il rapporto studenti/docenti”, come se un odontoiatra potesse prestato ad un altro dipartimento per insegnare magari elettronica (o viceversa) o botanica. Certo, il delirio narcisistico porta a considerare “inutile” l’altro da sé, ma gradirei conoscere quali sono le scienze “inutili” e se c’è un orizzonte cui guardare, o il destino sarà quello di rattoppare fatalisticamente attendendo un miracolo.
Purtroppo, gli organi di governo dell’ateneo senese non conoscono la realtà, tanto a risolvere i problemi ci sono i Dipartimenti, che per sopperire alle necessità didattiche prendono il primo che passa per strada oppure mutuano gli insegnamenti di più corsi, addirittura mediante didattica a distanza. Ho visto un insegnamento svolto con la didattica a distanza (DAD) mutuato con dieci corsi di laurea. Che qualità della didattica si assicura a Siena in relazione agli obiettivi formativi specifici per i vari corsi di studio, che spesso sono anche corsi abilitanti a una determinata professione? Dici bene: sembra proprio che «il destino sarà quello di rattoppare fatalisticamente attendendo un miracolo».
La sensazione è che a monte di tutto ciò, oltre alla situazione economica in cui si è trovato l’ateneo senese (blocco totale del turnover per dieci anni, perdita di oltre il 30% del corpo docente un po’ a casaccio, a macchia di leopardo, a fronte di un 20% nazionale…), vi sia anche una discreta ignoranza: noto che un po’ tutti tendono a svalutare il lavoro altrui, a pensare che chiunque lo possa fare. Complice anche il grande pout-pourri degli accorpamenti cinobalanici iniziati nell’era Mussi e proseguiti con il disfacimento delle “facoltà”, mi pare che a governare certi processi di ristrutturazione sia l’incompetenza di gente che sovente non sospetta nemmeno quale sia la complessità delle discipline scientifiche di cui blatera. Sicché alla fine è capace solo di proporre un livellamento in basso dell’insegnamento. Salvo poi sciacquarsi le gengive con “l’eccellenza”. Del resto, ciò che è stato disfatto – nella serena indifferenza di un’opinione pubblica che, sul tema dell’università, si sveglia solo quando c’è da sputare addosso a un tributarista fantozziano -non potrà rinascere nel volgere di pochi anni. Né a dire il vero mi pare che alcuno lo desideri. Se taluni vagheggiano (o vaneggiano) un ritorno all’ assetto dell’ateneo “piccolo”, precedente agli anni ’70, altri più addentro alle cose della politica, parlano di un nuovo modello di università che vede una distinzione netta di ruoli fra grandi “hub” regionali e satelliti dislocati in provincia. Si decidano dunque ad essere conseguenti con questa visione che intendono affermare, a chiudere pertanto del tutto certi corsi, piuttosto che a farli sopravvivere in forma di simulacro, e, almeno nelle aree martoriate dalle uscite di ruolo, a far circolare i docenti (che almeno sapranno cosa fare nei prossimi lustri) per le diverse sedi regionali, condividendo didattica e ricerca. È questo a cui mirano le competenti autorità, no? E allora “lo facessero”! Ma non lo faranno…