Università di Siena: venduto ed affittato il San Niccolò

Silvano Focardi (Rettore dell’Università di Siena). Gentili Colleghe e Colleghi, Collaboratrici e Collaboratori, Rappresentanti degli Studenti, dopo l’approvazione da parte del Consiglio di amministrazione degli schemi di compravendita del complesso edilizio San Niccolò, abbiamo oggi sottoscritto l’atto di vendita dello stesso a Fabrica Immobiliare Sgr Spa, società strumentale dell’Inpdap, che opera attraverso il Fondo Aristotele come veicolo del Piano di investimento dello stesso Istituto nazionale di previdenza. Contemporaneamente abbiamo sottoscritto un contratto di locazione, della durata di 24 anni, che ci permetterà di continuare a occupare il complesso del San Niccolò e a utilizzarlo per le necessità di ricerca e di didattica della nostra Università. Il contratto prevede anche la possibilità per il nostro Ateneo di riacquisto dell’immobile, in qualunque momento, a un valore pari al prezzo di vendita maggiorato della sola rivalutazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo. Esprimo viva soddisfazione per il fatto che tale operazione ci permette di far fronte al pagamento di quanto previsto dall’accordo sottoscritto con l’Inpdap il 19 marzo scorso, e di eliminare così ogni debito dell’Ateneo nei confronti dell’Inpdap. Ringrazio quanti, a iniziare dal Direttore amministrativo Emilio Miccolis, hanno lavorato a questa operazione, essenziale per attuare quanto stabilito dal Piano di risanamento 2009-2012.

La docenza a contratto si è trasfomata in un espediente per garantire insegnanti a basso costo

miur.jpgAncora sui professori a contratto: un breve articolo da “la Repubblica” del 24 giugno 2009.

Quei professori che insegnano gratis tra vanità e ricatto

Aurelio Magistà (…) la questione dei professori a contratto. Un altro esempio di come l’università trasforma opportunità e possibili punti di forza in soluzioni tampone e, di fatto, storture. È stato il ministro Berlinguer a istituire i professori a contratto. Perché? Lo spiega l’articolo 1 del decreto n. 242 del 21 maggio 1998: «Per sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche, le università e gli istituti di istruzione universitaria statali, secondo le norme dei rispettivi ordinamenti e nei limiti degli appositi stanziamenti di bilancio, possono stipulare con studiosi od esperti di comprovata qualificazione professionale e scientifica, non dipendenti di università e anche di cittadinanza straniera, contratti di diritto privato per l‘insegnamento nei corsi di diploma universitario, di laurea e di specializzazione ovvero per lo svolgimento di attività didattiche integrative». I professori a contratto avrebbero dovuto essere essenzialmente professionisti ed esperti che portavano una speciale esperienza e competenza nell’università, magari rafforzando il debole ponte che il mondo accademico ha con il mondo del lavoro.
Com’è noto, la docenza a contratto si è trasfomata in un espediente per garantire insegnanti a basso costo, un contentino per tenere buoni giovani ricercatori e assegnisti e sfruttarli al massimo. Intanto, dicono i dati, i professori a contratto sono aumentati anno dopo anno e attualmente sono oltre 53mila, circa il 47% di tutto il corpo docente. Perfidia finale: il giro di vite a fondi e finanziamenti ha indotto – costretto? – molti presidi a proporre la docenza gratuita. Il professionista affermato potrebbe accettarla per vanità. Il precario rischia di accettarla per ricatto: non può permettersi di girare le spalle alla sua facoltà e così perdere tutti gli anni investiti aspettando che il precariato diventasse un lavoro. Resta una considerazione: se tu non sei disposto a riconoscere un valore a una cosa, vuol dire che per te quella cosa non vale nulla. Paradossalmente, per l’università italiana l’insegnamento vale zero?

Una riforma sul reclutamento in nome di un’autonomia senza competizione e senza responsabilità e quindi senza qualità

Dopo 10 anni di applicazione della L. 210/1998 (Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo) ed oggi con il suo definitivo affossamento, appare utile la rilettura di un articolo molto critico apparso su “la Repubblica” del 5 giugno 2000 a firma di 6 docenti universitari.

L’Università e la finzione dei concorsi

Riccardo Pisillo Mazzeschi (Università di Siena), Mario Ascheri (Università di Siena), Emanuele Castrucci (Università di Siena), Francesca Farabollini (Università di Siena), Riccardo Fubini (Università di Firenze), Giorgio Chittolini (Università Statale di Milano).
L’ università italiana ha molti meriti, ma anche tanti difetti, quantomeno se confrontata con altre università occidentali. Un difetto grave è che essa è in parte “finta”, non in senso denigratorio, ma nel senso proprio: di una cosa più apparente che reale, o che appare come non è. Sono “finti” certi professori, che lavorano più fuori che dentro l’università (debitamente autorizzati!); “finti” molti studenti, che non frequentano i corsi e sono presenti solo agli esami (senza loro colpa, perché sarebbe impossibile ospitarli tutti se decidessero di frequentare); “finte” molte riunioni plenarie di organi accademici, dove si discute di problemi in realtà già decisi in riunioni più ristrette; “finti” spesso i rapporti fra docenti, e così via. Nel nostro sistema universitario il progressivo sviluppo del principio di apparenza rispetto a quello di realtà si è legato al progressivo sviluppo della quantità rispetto alla qualità.

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L’autoreferenzialità è il cancro che blocca lo sviluppo scientifico, didattico e morale dell’Università

Alcuni passi di un interessante articolo di Segio Pimpinelli pubblicato su Europa del 12 giugno 2009.

Quando l’università smarrisce la sua missione
Anche gli atenei si sono colpevolmente appiattiti sulla politica dell’immagine

Sergio Pimpinelli. (…) lo strapotere della televisione ha significativamente contribuito a corrompere le coscienze di ormai qualche generazione di giovani dettando nuovi modelli di comportamento sociale che sono concretamente funzionali ad un potere politico che in essi si riflette e trova alimentazione. (…) È forte il sospetto che anche l’università, invece di svolgere la sua missione educativa per arginare queste degenerazioni sociali, si sia colpevolmente appiattita sulla politica dell’immagine. Forse non è un caso il continuo fiorire di facoltà di scienze della comunicazione presenti ormai in quasi tutti gli atenei italiani. Sarebbe interessante sapere quanta parte della loro attività didattica sia dedicata alla critica della tv, e dei mass media in generale, con lo scopo di smascherare le tecniche di manipolazione delle coscienze, piuttosto che insegnare come potenziare tali tecniche attraverso una sorta di compromissione collaborativa con soggetti provenienti dal mondo virtuale e svilire un’istituzione prestigiosa come la laurea ad honorem. Sarebbe bene che l’università si ponesse questo problema e si interrogasse su questa materia la quale, più di altre, mette in discussione la sua missione ideale.

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Sincerità è un elemento imprescindibile per un risanamento stabile che punti alla rinascita dell’università

Forse, canticchiandola sulle note del motivetto dell’ultimo festival di Sanremo, si riuscirà a far capire la drammaticità della situazione dell’ateneo senese. Eppure i dati, che questo blog espone da tempo e aggiorna di continuo, parlano da soli. Evidentemente non basta, se si sottovalutano persino i rilievi (approssimati per difetto) del ministro Giulio Tremonti: «…l’università di Siena ha due dipendenti per ogni dieci studenti. Mi sembra un rapporto che non riflette una gestione illuminata.» Cose ovvie e note da tempo, dette con garbo. Eppure, come si legge ne “La Nazione”, «qualcuno, facendo due calcoli a caldo (22 mila studenti e 1100 dipendenti) ottiene un rapporto diverso». Altro che sincerità! Sono dati completamente inventati, come si evince dalla tabella che apre questo post. In realtà, nell’ateneo senese, vi è una unità di personale ogni 3,7 studenti; precisazione, questa, che “La Nazione” ha pubblicato integralmente. È veramente singolare che i dati di questo blog, ripresi dalla stampa nazionale e dagli uffici stampa del ministero, continuino ad essere ignorati dai mezzi di informazione locali. Ripetiamoli, aggiornati, soprattutto per quella classe accademica senese (uso – augurandomi che si sbagli – le parole del Favi di Montarrenti) «che ha la forza culturale (fatte le debite eccezioni) di spendere 11 milioni di € fuori bilancio, di non aver riscosso 8 milioni di € di crediti, di aver integrato i propri stipendi con l’uso dissennato delle carte di credito, delle spese postali, dei rimborsi per missioni». Riportiamo questi dati all’attenzione di quei “furbetti”, che avendo prodotto lo sfacelo si presentano come paladini del risanamento dell’ateneo, invocando un ritorno ai bei tempi passati, i tempi degli sprechi e illegalità eretti a sistema. All’attenzione, quindi, dei “comitati d’affari” che considerano nemici tutti coloro che, a vari livelli, cercano di riportare l’ateneo senese alle sue funzioni istituzionali.

Universitopoli, uno scandalo senese

Riportiamo dal libro di Raffaele Ascheri (“Le mani sulla città”) tre paragrafi (pagg. 62-64 e 70) riguardanti il Re Sole dell’università di Siena.

Raffaele Ascheri. Dopo Luigi Berlinguer, inizia l’era di Piero Tosi. Trattasi di un periodo oggettivamente troppo lungo anche dal punto di vista puramente quantitativo (dal 1994 al 2006, tre mandati consecutivi con tanto di modifica statutaria – prorogatio – per allungare di un anno il terzo…). Ma non sarebbe, non è certo questo lo scandalo, anche guardando comparativamente la situazione di altri atenei italioti. Il problema è soprattutto un altro: Tosi ha guidato l’Università di Siena comportandosi come un vero e proprio Faraone, come un Re Sole che a nessuno deve rendere conto. L’Università di Siena è stata cosa sua per 12 anni; 12 anni che l’hanno ridotta allo stato comatoso in cui versa, con un debito stimabile intorno ai 250milioni di euro. Così per ridere.
Ma il tosismo non è stato un caso isolato, un isolato accidente all’interno della swinging Siena degli ultimi anni: la Casta senese tutta ha optato per una gestione della cosa pubblica (sic) all’insegna della leggerezza, della superficialità, dell’eccesso, dello scialo. Sempre partendo da un concetto base: usare le strutture pubbliche – ed il danaro pubblico – per autopromuoversi, in vista di maggiori traguardi su scala nazionale (Tosi stesso era di sicuro un papabile per un posto di Ministro dell’Università o della Salute nel 2006, se non fosse stato travolto dagli avvisi di garanzia). Sapendo che c’erano le dovute coperture politiche (massoniche?) per poterlo fare; sapendo che ognuno avrebbe chiuso un occhio, anzi due, senza invadere il raggio d’azione dell’altro (come fra potere politico e potere ecclesiastico); sapendo che la stampa e la televisione mai e poi mai sarebbero venute a ficcare il naso all’interno del Bengodi universitario; sapendo, infine, di trovarsi davanti una magistratura non sempre brillante per dinamismo ed intraprendenza (ovviamente, con le dovute eccezioni: nel caso, il dottor Formisano). Questo è il contesto, il quadro ambientale in cui è nato, è cresciuto, è maturato il tosismo. Fino alla clamorosa scoperta dell’altrettanto clamoroso buco dell’Università.

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Abolire gli insegnamenti universitari a contratto che generano studiosi frustrati, sfruttati e intellettualmente servili

Un interessante articolo di Tomaso Montanari, docente di Storia dell’arte moderna alla Federico II di Napoli, sul sistema degli insegnamenti universitari a contratto (dal: Corriere Fiorentino, 3 giugno 2009).

Professori a contratto? Un altro crac italiano

Tomaso Montanari. La questione degli insegnamenti a contratto è un nodo centrale per tutti gli atenei, non solo per quello di Firenze: ma il problema vero non riguarda tanto l’ovvio dovere di retribuirli equamente, quanto l’opportunità stessa della loro esistenza. Si può dire che nello sfascio dell’università italiana i contratti hanno avuto un ruolo non dissimile da quello che le carte di credito hanno giocato nella crisi dell’economia americana. Hanno, cioè, permesso alle facoltà di vivere assai al di sopra delle proprie possibilità, moltiplicando indiscriminatamente l’offerta didattica (sedi succursali in luoghi impensabili, corsi di laurea improbabili, master acchiappacitrulli), apparentemente a costo zero. Ma il costo è stato invece altissimo, anche se lo pagheremo con parziali dilazioni.

In primo luogo c’è un problema di qualità dell’insegnamento. Si è creata l’incredibile situazione per cui da una parte la via per diventare professori universitari è sempre più lunga e difficile (oltre che disastrosamente inefficiente e immorale, ma questo è un altro discorso), dall’altro lo stesso, identico lavoro (fatto di corsi, esami, tesi) viene assegnato per anni e anni consecutivi a persone individuate senza la benché minima selezione, per iniziativa di un solo professore di ruolo e sostanzialmente senza ulteriori verifiche. L’inevitabile risultato è che, accanto a numerosi docenti a contratto assai più meritevoli del barone da cui dipendono, esiste una pletora di insegnanti scadenti. Si è, insomma, creata una soluzione per molti versi analoga a quella, anche più scandalosa, dei magistrati onorari.

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Quale Europa per l’Università? Dieci domande di “Salviamo l’Università” ai candidati alle elezioni europee

Un «appello ai candidati, partiti politici, collettivi e cittadini affinché la campagna delle elezioni europee affronti finalmente la questione dell’istruzione superiore e della ricerca. Lontano dalle buone intenzioni e dai luoghi comuni abituali, dieci domande poste ai candidati da “Salviamo l’Università”». Ecco il link al testo integrale con le risposte proposte dal movimento francese.

1 – La concorrenza generalizzata, migliore dell’emulazione accademica?
2 – La precarizzazione, un modo di gestione efficace della ricerca?
3 – Valutare per sanzionare?
4 – Professionalizzazione o formazione?
5 – La classifica di Shangai, vitello d’oro dell’Europa della conoscenza?
6 – L’autonomia, nuovo paradiso accademico?
7 – “Governance”, nuova arte di governare?
8 – Finanziamenti su progetto, pietra filosofale della ricerca moderna?
9 – Semplificazione o moltiplicazione delle strutture burocratiche?
10 – Indebitamento a vita, un avvenire radioso per gli studenti?