Da notitia criminis a prova di reato per la voragine nei conti dell’Università di Siena

Volto_unisiSettimana emblematica per l’università di Siena, quella che si è appena conclusa. Il 22 febbraio è iniziato l’iter amministrativo per la cessione di una parte del Policlinico. Il 23 c’è stata udienza con l’interrogatorio dell’ex rettore Piero Tosi nel processo che lo vede imputato. Il 24 ricorreva il 4° anniversario della sospensione di Tosi da rettore per abuso d’ufficio e falso ideologico. Intanto il Pm sta per concludere l’inchiesta sul dissesto economico dell’ateneo che vede 11 indagati per abuso d’ufficio, falso ideologico e truffa. In tale contesto, sono credibili rettori e direttori amministrativi quando dichiarano: «non sapevamo nulla della manipolazione dei bilanci»? Non considerando, per il momento, la recente chiamata di correo nei confronti di Tosi e Focardi fatta dal principale imputato, la risposta è anche in un vecchio articolo, di seguito riproposto, con il quale cominciamo (altri ne seguiranno) a chiarire le responsabilità dell’«orgiastico saccheggio» a cui è stato sottoposto l’ateneo senese.

Occorre un piano di risanamento rigoroso per l’Ateneo senese (16 luglio 2006)

Giovanni Grasso. L’Università di Siena si trova in una situazione difficilissima, ereditata dalla precedente gestione, la cui sottovalutazione rischia di vanificare qualsiasi tentativo di risanamento, condannando l’Ateneo ad un declino certo. Ad oggi non si conosce ancora lo stato effettivo delle finanze dell’Ateneo senese in quanto non si è proceduto ad una completa verifica dei conti. I debiti complessivi con le banche e l’INPDAP superano i 200 milioni di euro. Il disavanzo d’amministrazione (circa 27 milioni di euro) dell’ultimo esercizio non comprende gli impegni maturati nel corso del 2005 e liquidati per cassa nell’esercizio 2006. Il numero degli studenti si è ridotto del 20%, con la perdita oggi di 4172 iscritti, rispetto alla punta massima del 2003. Per “far soldi” si è dato corso alla “svendita” di migliaia di lauree attraverso il riconoscimento dei crediti formativi. L’immotivata proliferazione di corsi di laurea e di sedi decentrate è ormai insostenibile. La perdita di incentivi ministeriali per una impropria programmazione del fabbisogno di personale è certa. Infine, le assunzioni di docenti e di personale tecnico ed amministrativo, senza il necessario accertamento dell’effettiva necessità e disponibilità finanziaria, stanno dando il colpo di grazia ai conti dell’Ateneo. Si rende necessario, dopo un’attenta verifica economica, finanziaria e anche legale sullo stato di salute dell’Ateneo senese, un piano di risanamento rigoroso, che incida sugli sperperi e soprattutto sulle spese strutturali. Infine, occorre programmare la spesa impostando politiche di gestione oculate e virtuose per rivendicare il diritto ad un aumento del fondo di finanziamento ordinario da parte del Ministero.

Ripreso dalla stampa locale (16 luglio 2006): La Nazione Siena (Un piano di risanamento per l’Ateneo);  il Cittadino Oggi (Grasso: «L’Ateneo attraversa un momento difficilissimo»);  Corriere di Siena (Grasso: “Crollo delle iscrizioni all’ateneo”).

Università di Siena: quando il governo centrale “segue” «il senso della misura»

Pubblichiamo la risposta integrale del Miur (Ufficio Legislativo, settore università) all’interrogazione dell’On. Franco Ceccuzzi sulla drammatica situazione dell’ateneo senese. Nonostante alcune imprecisioni (quali: disavanzo di competenza ed entrate per il 2010) per le quali si rimanda al post precedente, il documento, che riporta anche dati di questo blog, mette in risalto l’inadeguatezza degli organi di governo e della direzione amministrativa nella gestione della crisi. In queste condizioni non resta che il commissariamento che, in assenza di norme specifiche, diventa  di competenza esclusivamente prefettizia, come suggerisce un acuto collega.

«La complessa questione concernente la situazione finanziaria dell’Università degli Studi di Siena e le iniziative prospettate dall’Ateneo ai fini del risanamento, come ricordato dall’Onorevole interrogante, è già stata oggetto di discussione presso questa Commissione: si ritiene comunque opportuno riassumere la vicenda.

La situazione di grave crisi economica e finanziaria in cui versa l’Università degli Studi di Siena da una parte è riconducibile ai rilevanti debiti accumulati negli esercizi precedenti, dovuti, soprattutto, al mancato rispetto delle scadenze dei versamenti dell’IRAP e degli oneri dovuti all’INPDAP e dall’altra è conseguenza dello squilibrio tra le spese fisse e finanziamento statale determinato, in particolare, dal numero storicamente alto dei dipendenti rispetto al fondo di finanziamento ordinario che nel corso degli ultimi anni ha fatto registrare un valore superiore al limite massimo del 90% previsto dall’art. 51, comma 4, della legge 449/1997.

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Crisi dell’università di Siena: non è più tempo di maquillage nei conti ma è l’ora del commissario

L’approvazione (29 dicembre 2009) del bilancio di previsione 2010 da parte del CdA dell’università di Siena – 15 mesi dopo la scoperta della voragine nei conti – poteva essere l’occasione buona per riflettere sulle dichiarazioni e sui dati forniti dagli organi di governo. Purtroppo, così non è stato. Rileggere, oggi, alcune di quelle dichiarazioni e verificare la severità e l’affidabilità dei dati è, pertanto, indispensabile.

Rettore (Silvano Focardi): «il disavanzo complessivo di 125 milioni al netto dei crediti a breve termine ed esclusi i mutui passivi, con l’aggiunta di ulteriori 32 milioni di euro (disavanzo di competenza per il 2010) delinea un quadro a tinte fosche per il futuro della nostra università. Sono tuttavia questi i numeri con i quali dobbiamo lavorare per trovare le soluzioni migliori per uscire dalla crisi. (…) Si tratta di un documento di previsione finanziaria che dà un quadro doverosamente realistico della situazione, basato su dati rigorosi e affidabili.»

Direttore Amministrativo (Antonio Davide Barretta): è «un bilancio di previsione improntato al massimo rigore possibile…».

Senato accademico: nell’esprimere parere favorevole, sottolinea «la stringente necessità di una sempre maggiore chiarezza, trasparenza e collegialità nelle decisioni finalizzate a ridisegnare strategicamente il futuro dell’Ateneo.»

Collegio dei revisori dei conti: nel ribadire che «una credibile fase di risanamento finanziario non potrà che essere accompagnata essenzialmente da una politica di riduzione dei costi per il personale da perseguire anche attraverso i prepensionamenti e la mobilità (…) esprime parere negativo nei confronti di un bilancio di previsione strutturalmente in disavanzo.»

Candidati a rettore e loro sodali: ovviamente silenzio assoluto, trattandosi di marziani e seleniti.

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Chiunque, per il sol fatto di “passare” davanti all’università di Siena, ne diviene dirigente o Direttore Amministrativo

 

È triste; ma è quel che è accaduto a Siena. Di seguito, alcune stimolanti riflessioni dell’avvocato Gaetano Prudente che ci aiutano a capire le ragioni della crisi dell’ateneo senese, con organi di governo inadeguati e Dirigenti e Direttori amministrativi la cui professionalità prescinde dalla conoscenza del “diritto” ed, in primis, del diritto amministrativo.

Riflessioni sulla Dirigenza

Gaetano Prudente. (…) È d’uopo una premessa: le riflessioni che seguiranno vanno riferite esclusivamente alla mia persona, cosicché nessuno se ne abbia. (…) Lanciamo subito l’anatema: oggi il dirigente, formato od in via di formazione ai soli concetti della nuova Governance, non è più in grado ad es.: di distinguere un atto da un provvedimento amministrativo; di comprendere i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela da parte di una P.A.; di distinguere il “quorum strutturale” dal “quorum funzionale” di un Organo Collegiale; di distinguere l’illecito penale dall’illecito amministrativo; di comprendere la struttura e la funzione di un procedimento amministrativo; di comprendere la portata del “principio” di legalità dell’azione amministrativa; di curare un procedimento di accesso anche in relazione alla riservatezza ed ai suoi legittimi titolari; non comprende la differenza tra un atto singolo o collettivo ed un atto generale, con conseguente incapacità di valutare l’estensione degli effetti di un suo annullamento decretato in sede giurisdizionale; non coglie la differenza tra diritto soggettivo e interessi legittimi, e che dire del “silenzio amministrativo”, per fortuna oggi disciplinato dal novellato della L. 241, e della linea di demarcazione con la fattispecie dell’omissione di atti di ufficio di cui all’art. 328 c.p.? La non conoscenza del diritto sembra dilagare nella stessa misura in cui si estendono, in via quasi esclusiva ed assorbente di ogni altra competenza da richiedersi al dirigente, nuovi concetti ed idee del dirigente pubblico.

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Al “Dies Irae” sull’università di Siena i candidati a rettore intonano “una marcia in fa”

Un’ironica e stimolante risposta del Prof. Alessandro Rossi al decalogo di Cotta, firmato da alcuni illustri colleghi che, distratti rispetto alle disastrose condizioni dell’universià di Siena, hanno iniziato le schermaglie per la guida dell’ateneo, invece di chiederne il commissariamento.

A PROPOSITO DELL’UNIVERSITA’ CHE VOGLIAMO

Alessandro Rossi. A tutti piace il documento, persino agli stessi estensori. È infatti impossibile non condividere i 10 punti della proposta: 1. Università  di Eccellenza; 2. Centralità  della Ricerca; 3. Didattica Avanzata; 4. Valutazione; 5 Piena Autonomia dei Dipartimenti; 6) Responsabilità, Collegialità e Trasparenza;  7. Valorizzazione delle Risorse Umane; 8. Qualificazione e Potenziamento dell’Amministrazione Centrale; 9. Apertura verso l’Esterno e Mobilitazione delle Risorse; 10. Rigore Contabile.

Più che una proposta questa appare una declaratoria dei principi fondanti l’istituzione universitaria. Ma l’Università già esiste ed indicare tali punti come obiettivi da perseguire significa implicitamente ammettere di averli falliti o negati. Io non sono completamente d’accordo, benché sia innegabile qualche lacuna nel “rigore contabile” e non solo in esso.  Perché allora questo documento? Accantonando ogni maliziosa interpretazione, voglio pensare che esso tenti di identificare un nuovo spazio di legittimazione della nostra Università. Ciò è particolarmente lodevole in una fase nella quale le nostre debolezze ed i nostri difetti sembrano entrati in un circuito di autoesaltazione. Ma questo documento “L’Università che vogliamo”, per come è impostato, rischia di evocare “il suono della lira mentre Roma brucia”. L’incendio non è rappresentato solamente dalla crisi finanziaria ed economica dell’Università ma anche dalla furia normativa in atto. Il disegno di legge Gelmini prevede quasi 500 nuove norme a regime. L’Università si appresta così ad essere ulteriormente intrappolata da due paradigmi esterni alla logica della conoscenza, uno di stampo politico-burocratico e l’altro di assonanza aziendalistica. In questo scenario, i dieci punti del documento rischiano di apparire come una riedizione della “retorica efficientista”: il potente propulsore negli anni della spinta autonomistica dell’Università. Una esperienza caduta sotto il peso della incapacità di organizzare normali controlli di gestione.

In assenza di una cultura dei processi di controllo e nell’attuale crisi delle classi dirigenti, rischiamo oggi di progettare per flussi di emozioni e di stati d’animo, magari auspicando l’ala protettrice del governo centrale; auspicio dal quale personalmente mi sottraggo. Ma forse, i dieci punti enunciati nel documento potrebbero essere interpretati proprio come la condivisibile necessità di riaffermare che l’Università deve essere fondata solo sul paradigma interno alla conoscenza non su quelli eteronomi della politica e del mercato. Se così fosse, allora desidererei che gli estensori del documento dessero più respiro allo stesso, magari indicando la sua compatibilità con l’attuale crescente asfissia economica e burocratica dell’Università.