Se l’università rottama i professori a 65 anni (la Repubblica, 24 maggio 2010)
Mario Pirani. Speriamo di sbagliare ma è lecito il timore che qualche spiraglio di demagogia riesca ad influenzare il Pd. Con la suggestione che laddove gli argomenti della ragione non riescono a prevalere l’appello populista, di cui – non dimentichiamolo -la destra ha l’imbattuto copyright, riesca a rianimare gli spiriti. Di qui il ricorso all’improperio di un personaggio serio e di buon senso come Bersani, ma ancor più grave il documento sull’Università votato senza discussione dalla stessa assemblea del Pd che aveva applaudito in piedi l’epiteto contro la Gelmini. Si tratta di un documento proposto da una esponente delle nuove leve, la professoressa Maria Chiara Carrozza, direttrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, responsabile del «Forum Università Saperi Ricerca» del Partito che lo aveva già illustrato in una intervista alla Stampa. Il clou dell’iniziativa è individuabile in una «rottamazione» generale dei professori al compimento dei 65 anni (di contro agli attuali 70). Da qui si dovrebbero ricavare risorse capaci di finanziare un cospicuo turn over a favore dei ricercatori.
Era stato annunciato che questa innovativa riforma sarebbe stata discussa all’assemblea nazionale assieme ad altri temi (lavoro, giustizia, ecc.) ma risulta che solo sul tema del lavoro le proteste del professor Ichino sono sfociate in una discussione e votazione a maggioranza dei 700 delegati, ma su un argomento complesso come quello della cultura universitaria (a cui non molto tempo fa Italiani europei aveva dedicato un appassionato e documentato seminario) è stato ridotto al rango di un qualsiasi odg che si vota in assemblea con un Sì o con un No. Non resta che rifarsi all’intervista di presentazione, la cui forma e contenuto riecheggiano la animosità antiaccademica propria di alcuni ambienti della destra leghista ed ex-An: «mandare a casa i vecchi» e «fare largo ai giovani!», togliere potere ai «baroni», presentati come anziani nullafacenti, attaccati alle loro cattedre, ecc. Il riferimento al potere dei baroni, per chiunque conosca appena la situazione di disintegrazione del sistema e la metamorfosi delle funzioni e dei ruoli tradizionali della ricerca e degli studi all’interno delle Università-Aziende, appare come una farsesca ripresa degli slogan dei movimenti sessantotteschi, e infatti viene oggi adoperato in funzione apertamente populista da parte di associazioni studentesche di sinistra e di destra, (in particolare Azione Giovani).
Ma colpisce ancora più l’insipienza del ragionamento che supporta la proposta stessa, e che consiste nella convinzione dell’effetto benefico che il cosiddetto «shock generazionale» dovrebbe produrre all’interno di un sistema delicato qual è quello della ricerca e degli alti studi. Secondo la professoressa Carrozza il ricambio di competenze e di esperienze può, anzi deve, realizzarsi attraverso traumatiche liquidazioni di esperienze di gruppi e di scuole, deve prodursi cioè con sostituzioni di stock di personale. Un conteggio approssimativo degli effetti della proposta, se attuata ad oggi, lascerebbe prevedere la sparizione da un giorno all’altro di circa 6.000 professori, di cui 4.000 ordinari, con una falcidie di specializzazioni scientifico-disciplinari difficilmente recuperabile o risanabile, e con un abbassamento di qualità e di prestigio globale della nostra Università.
Nel quinquennio successivo si aggiungerebbero altri 5.000 pensionamenti di ordinari e 3.200 di associati, con un ricambio di circa il 50% dei professori titolari di cattedra. Per valutare la poca consapevolezza che sovrintende questa trovata, va ricordato che l’esodo fisiologico, al compimento dei 70 anni, prevede per i prossimi dieci anni l’uscita di 9000 ordinari e 5200 associati e che il bilancio risultante da questo esodo assicura già un ordinato scorrimento di carriera per gli attuali ricercatori, nonché un reclutamento di nuovi ricercatori a tempo determinato.
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Ma il problema è finanziario… non ci sono i soldi per far entrare e crescere i giovani. Nessuno impedisce a qualche arzillo 60enne di fare ricerca. Solo che la facesse dalla pensione… così altri più giovani possono beneficiare dello stipendio… oppure il prestigio si ha solo se c’è l’ordinario da 5000 euro al mese? Forse all’autore dell’articolo non è chiaro che 5 anni di attesa di esodo sono un tempo così lungo che i giovani ricercatori vanno a fare altro e lasciano la ricerca… proprio vero che chi non ha vissuto il precariato non ne capisce le problematiche…
«Nessun taglio a scuola e università – ha ribadito il ministro Gelmini – nell’ambito della manovra economica».
Leggo però in questo blog http://www.gennarocarotenuto.it/13089-manovra-le-mani-di-tremonti-nelle-tasche-di-tutti-gli-universitari/:
“Fuori dal linguaggio burocratico del Ministro Tremonti i commi 10 e 15 vogliono dire che a un (relativamente) giovane ricercatore appena confermato (età media 38-45 anni) la manovra Tremonti di qui al 2013 costerà la bella cifra (reale) di circa 8.000 Euro, pari a circa 220 Euro al mese. Ovvero: lo stipendio che si sarebbe evoluto dell’8% per lo scatto biennale (o triennale come da legge Gelmini) e dell’inflazione (nei calcoli prudentemente considerata all’1.5% l’anno) da 1.700 a 1.920 Euro circa resterà invece invariato. È una decurtazione reale e irrecuperabile del 13% netto.
Meno chiara ma addirittura più drammatica è la situazione dei giovani appena entrati, i cosiddetti ricercatori non confermati (a volte studiosi ultraquarantenni), che oggi vedono i 1.200 Euro iniziali crescere in 3 anni fino a circa 1.700 Euro dopo la conferma in ruolo. La manovra li bloccherà a 1.200 Euro e dovranno attendere almeno il 2016 per arrivare alla soglia prevista. L’anello più debole della catena, con la ministra Gelmini che si riempie la bocca di giovani e merito, pagherà dunque il prezzo più alto, fino a 18.000 Euro, che corrisponde nel 2013 ad un folle -30% di decurtazione reale dello stipendio.”
Ho risposto a Pirani sul Post.
Potete leggere il testo è on-line.
Maria Chiara Carrozza
Poi magari a questi ricercatori giovani si chiederà anche di fare lezione gratis…
che vergogna…
Per Chiara Carrozza: non si apre il ‘documento’ indicato dal post: ci si arriva altrimenti? GRAZIE!
lo dirò alla segreteria, se mi mandate il vostro indirizzo email ve lo spedisco: m.c.carrozza@alice.it
…esilarante e autoironico l’articolo di Ilvo Diamanti su “Repubblica”; mi pare uno dei pochi interventi lucidi sul tema dell’università (altri si concentrano su aspetti folkloristici e marginali):
«….nell’università (iniziale minuscola) non si investe più. (Come nella Cultura: iniziale maiuscola.) Un ambiente in cui è lecito risparmiare, “tagliare”, se hai bisogno di ridurre la spesa pubblica. Tanto la colpa è soprattutto loro. Dei Baroni. Che costano tanto e fanno poco. Anzi, nulla. In fondo sono “statali”. I Baroni: non si riesce a mandarli via. Fino a poco anni fa andavano in pensione quasi a 80 anni. Poi, l’età della pensione, per loro, si è abbassata. Fino a 70. Raro caso – forse unico – in cui si spinge per anticipare l’età della pensione, invece di ritardarla. Ma, come si sa, i Baroni non solo costano, fanno poco o nulla. In aggiunta, impediscono il reclutamento dei più giovani. Visto che, ormai, l’età media dei ricercatori si aggira intorno ai 50 anni. Mentre l’università si è popolata di figure precarie che più precarie non si può. Assegnisti, borsisti, contrattisti. Chiamati, per quattro soldi (e a volte neppure quelli) a far di tutto. Anche lezione, ovviamente. Come i ricercatori – sempre più attempati, ma ancora ricercatori. E chiamati, ovviamente, a tenere corsi, a fare anch’essi i “professori”. Senza esserlo. Anzi, restando ricercatori – a vita. Visto che il reclutamento è bloccato (non dai Baroni) e loro sono divenuti un ruolo “a esaurimento”. Rimpiazzati da nuovi ricercatori – ma a tempo determinato. Tanto per chiarire che il futuro dell’università è incerto. A tempo determinato, appunto. Come la cultura. Di eterno, ormai, c’è solo il presente. E il premier.»
http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2010/05/31/news/una_societ_senza_baroni_e_possibilmente_senza_universit_-4468962/?ref=HREC1-4
Tutte belle parole, ma vi assicuro che molti vecchi bacucchi non sono realmente in grado di spiegare a lezione e di fare esami che possano essere chiamati tali. Non è un luogo comune ma un risultato della mia esperienza. Alcuni finiscono per parlare dei propri problemi personali (alla lezione di finanza aziendale), altri ti prendono a parolacce e insulti durante l’esame, altri si perdono nei meandri dei propri discorsi dicendo tutto e niente. A fare lezione dovrebbero essere messi non delle enciclopedie viventi di 70 anni e rotti ma persone giovani in grado di spiegare ed esaminare.
Vi assicuro che raggiunta una certa età queste due competenze vengono meno.
Può anche essere, ma generalizzare è pericoloso oltre che ingeneroso. Occorrerebbe trovare soluzioni organizzative per le quali non si perdano le competenze delle enciclopedie viventi ma si consenta a chi è giovane, magari capace e motivato di potersi sostenere lavorando ad unisi… questo in molti casi richiederebbe sacrifici che le vecchie generazioni non hanno mai fatto e quindi non sono spesso neanche disposti a fare…
PS. Ci sono esami più divertenti di finanza aziendale…
Come s’è detto altre volte in questo blog le valutazioni degli studenti non bastano! Bisogna aggiungere degli esterni, delle professioni ad esempio e/o prof. in pensione, che saranno rincoglioniti a volte ma non al punto di non capire se si sa dire qualcosa… ho sentito Mauro Barni a un incontro poco tempo fa e può dare punti a molti nel pieno della carriera!
Quando in carriera ci si mettono servi di partito e laureati che occupano posti che dovrebbero essere di altre discipline. Ormai è comico il titolo di proffe… qualcuno fugge nei musei, inseguito dalle risate… ma la paga c’è e buona: la segreteria (dei partiti) garantisce… e così il pacco-voti… Certamente qualche pensionato decano è all’altezza, ma a Siena (o in Italì) è vox clamantis nel deserto…
Bardo
PS. Parole vergate mi avvertono che… esistono dei proffe senza laurea, e forse ciò spiega la loro incompetenza, come detto qui da un blogger. Ora vorrei sapere, magari da qualche luminare o dallo stesso Prof. Grasso: è il Senato Acc. che nomina per chiara fama un “professore”, anche senza laurea e senza pubblico concorso. Le amicizie politiche e le lobbies n a t u r a l m e n t e non contano. Quanto può durare tale situazione? Può rinnovare la patente di prof. ad es. un preside? O ci vuole la controfirma anche del rettore? È lecito che un non-laureato – quasi honoris causa – si possa definire (seza laurea) “professore”? È docente ma professore presuppone una laurea! Professore è colui che esterna le sue idee e promuove un suo corso (magari qualcuno lo premiano con due corsi: l’ex pci qui può tutto, anche nominare un dirigente amm.vo in due gg., metti comune ecc.). Ma ciò, secondo me, presuppone una laurea. Anche per rispetto a chi fa concorsi, sian pure concorsi farsa, come a Siena e non solo.
Inoltre: io che ho una laurea e che ho svolto, come da documentazione, lezioni all’università, potrei aver diritto al nome di professore? (Vi assicuro che le studentesse vergavano appunti su appunti).
Gradirei una risposta e… fuoco sugli imbroglioni e gli imboscati!!!
Bardo
Caro Paolo,
a me risulterebbe che anche per i professori che vincono i “regolari” concorsi non è previsto il requisito della laurea (presente invece per i ricercatori).
Se ho tempo faccio una ricerca normativa.
Mauro
Bisognerebbe far luce… Intanto qualcuno continua a sghignazzare, essendo “professore” ma seza laurea e sicuramente proffe in asinerie. Il pubblico dovrebbe poter vagliare di continuo le capacità professionali e professorali ma così non è in questo mondo chiuso e di casta. Ne risente la didattica, ma frega qualcosa a qualcuno? Che infamia e che vergogna!
bardo
@ Alex
Che razza di criterio sia quello dell’età, riferito alle competenze dio solo lo sa. Uno che ha settanta anni ha letto, studiato e meditato dieci anni di più di un altro di sessanta. Se lui si è imbattuto in deficienti settantenni, posso assicurare di conoscerne molti che ne hanno ventidue. Se poi i parametri di Alex fossero giusti direi che ha novantacinque anni, portati male.
Ahimè, la coglionaggine non è privilegio di una età in particolare e dassi il caso che per certe attività l’esperienza è importantissima… io conosco giovani che neppure le bozze sanno correggere, e non hanno occhiali! E la scrittura? L’analfabetismo crescente rilevabile tra gli studenti universitari quanto tempo impiegherà ad arrivare ai ‘docenti’ di ogni ordine e grado? Lasciamo perdere, Outis, già impostare il problema in quei termini documenta inciviltà, primitivismo culturale…
«Come non si deve dire che tutti i vecchi sono da rottamare così non tutti i giovani sono ignoranti…
impostare il problema in questi termini assoluti documenta inciviltà e primitivismo culturale…»
Sicuramente però dalla vecchia guardia (che quando la vacca – unisi era grassa ne ha goduto alla grandissima) ci si potrebbe legittimamente aspettare un piccolo sacrificio… andarsene formalmente potendo continuare a fare didattica e ricerca e lasciare un po’ di risorse a quei giovani che magari si meritano un po’ di spazio… o no?
L’università italiana nel suo complesso perderà comunque, si narra, 18.000 docenti su 60.000 nei prossimi anni; sospetto che ad entrare in crisi irreversibile non saranno solo le “piccole università” di Vattelappesca, ma le medie (se non lo sono già!), e dunque l’intero sistema. Non so se il genio italico abbia partorito la brillante soluzione di salvaguardare solo i mega-atenei, ma di certo l’orientamento è quello di diminuire il personale, le sedi e quant’altro (politica in certa misura inevitabile, sebbene personalmente deplori che ciò venga fatto all’italiana, ossia a cacchio di cane). Dunque trovo non del tutto corretta questa diatriba generazionale, giacché quello che si prospetta è semplicemente che i vecchi andranno in pensione (prima o poi) punto e basta, ossia non verranno rimpiazzati proprio da nessuno per anni. I giovani? Non resta che attendere le tenure track all’amatriciana, se mai verranno varate, per vedere alla fine quanti verranno stabilizzati; per intanto leggo che le retribuzioni degli ultimi ricercatori, quelli assunti da poco a 1200 euro al mese (e subito messi ad esaurimento), oltre ad essere bloccati fino al 2014 compreso, saranno decurtati per un ammontare di quasi 1600 euro annui: costoro verosimilmente non avranno alcuna possibilità di carriera, men che mai a Siena, ma in ossequio all’ipocrisia che governa le cose italiche continueranno ad insegnare, essendo titolari di corsi, sovente per un ammontare di ore pari o superiore a quello che tengono i loro colleghi di rango superiore (taluni dei quali fingeranno ancora di non saperlo) e moriranno senza uno stato giuridico ben delineato; il che, se non il livello della ricerca e della didattica, senz’altro farà aumentare quello della depressione. Questo è ciò che si prospetta ai “giovani”, cioè ai quarantenni o oltre.
Ok, ma non s’era detto qui che era necessaria una idoneità- concorso urgente? Con questa situazione politica c’è da aspettarsela? E con i senati e la crui di cui disponiamo quali sollecitazioni può ricevere la politica?
Sì, hai ragione: i giovani (anche quarantenni) hanno proprio da disperarsi più di noi; il fondo della crisi non si tocca, è una pia illusione che si arresti così!
Quello che rimprovero ai Grandi Vecchi, una straordinaria risorsa della società (trovo della gente meravigliosa in quella categoria: hanno, in genere, intelligenza, cultura,esperienza), è il non aver mai denunciato con forza notissime situazioni di evidente malgoverno all’interno dell’università e fuori; sono ben pochi quelli che si sono esposti.
Data la loro posizione anche economica, non avendo più timori di ritorsioni di alcun genere, avrebbero ben potuto intervenire, forti del loro sapere, della loro esperienza, del prestigio di cui godono, per cercare di parare i disastri più gravi.
Guardate cosa ha provocato il prof. Asor Rosa da solo per il caso Monticchiello, rispetto alle proteste di tante altre generose persone (a parte il fatto che il professore non è tanto anziano, credo sia intorni ai 70 anni).
Sono d’accordo sul fatto che all’università sarebbe opportuno che lasciassero spazio ai più giovani, dopo i 70 anni, non prima (o è già così?), ma – nel contempo – si potrebbero utilizzare come una una specie di “guardia d’onore”. Molto spesso, rintanati nei circoli culturali, se ne stanno tranquilli nelle loro nicchie.
Molto giusto, Gianna! Verissimo, ma ci sono i figli, i nipoti ecc., la libertà è molto relativa a tutte le età, quando ci si espone si paga sempre: visto quanti sono disposti a farlo a Siena? I media non mi sembra che premino i coraggiosi! Persino l’IdV – partito di governo locale! – sono riusciti a bacchettare perché ha posto giustamente il problema Fondazione MPS… è la situazione dei media che sta distruggendo Siena… avete più visto un confronto serio, a più voci in tv? Peggio dell’URSS siamo e ti aspetti dei coraggiosi? Grazie a dio è possibile l’anonimato.
Considera che persino le LCS sono costrette a accettarlo. Sfogliavo poco fa l’ultimo ZOOM: quante firme ci sono? E li ringrazio per darmi spesso ospitalità, sia chiaro! Fanno un lavoro enorme, ma non è triste tutta questa prudenza?
Se ci fosse bisogno, quanti andrebbero a testimoniare in questa situazione?
Sono d’accordo, ma solo in parte. Certamente la singola persona fa bene a tutelarsi con l’anonimato nei confronti di chi potrebbe rivalersi in qualche modo, ma non sempre il timore è giustificato, non voglio essere così pessimista; ci sono nelle amministrazioni pubbliche e all’università anche delle gran brave persone che si impegnano con passione. A volte, poi, si può dare una mano per interposta persona; lo scarso interessamento è mancanza di coraggio o menefreghismo?
Come potrebbero i potenti “di turno” rivalersi contro i membri di grandi Accademie, di associazioni centenarie e prestigiose, etc.etc, numerose in Siena?
A contestare l’enorme struttura universitaria di Porta Tufi, ad esempio, ci furono: Bisi, Falorni, Ascheri e qualche altro. Credo che l’opinione ragionata di quanti sopra avrebbe potuto essere accolta. Altrimenti come andrà a finire? Sono davvero dell’opinione che quella potrebbe essere la strada giusta.
Ora come ora, se le cose stanno come dici, non credi che all’università, si potrebbe, gattopardescamente, cambiare tanto per non cambiare niente?
La mia proposta è ingenua, ma non credi che un gruppo numeroso di probiviri, formata da docenti andati in pensione, che abbiano la testa a posto, naturalmente (se poi di orecchie ci sentono poco, pazienza!) disposti ad ascoltare tutti, anche la gente più semplice, potrebbe essere utile allo scopo?
C’è già? Perché se c’era non ha funzionato.
Mi piace l’idea, spero di non essere ridicola: un gruppo di tutori del bene comune, i grandi vecchi, i saggi a cui ricorrere anche quando c’è necessità di avere delucidazioni in qualche materia di loro competenza. (La cosa mi ricorda i Pellerossa, in gran consiglio con il calumet della pace… Mi scuso per la divagazione).
Madre Natura o il buon Dio ha dato dei talenti ad ognuno di noi. Prima o poi (meglio poi), a qualcuno bisognerà pure rendere conto di che cosa ne abbiamo fatto. Altrimenti, a… fine corsa, ci potrebbero essere rimorsi anche strazianti.
Ribadisco: ho trovato in certi personaggi di 90 e passa anni delle enormi risorse poco utilizzate.
Grazie e buona fortuna.
Voi donne siete fantastiche! Certo, è un’idea… chi c’è? Ad es. Grottanelli, Paolo Neri, Grossi, Barni… certo che potrebbero fare un comitato di saggi… Perché non organizzano loro un dibattito, lasciando da parte i vari giornalisti, troppo interessati perché sotto sotto politicanti? E anche un forestiero ormai come Ascheri non ci starebbe male, no? Meno bene ci vedrei Berlinguer, perché troppo coinvolto!
Non dimenticate di aggiungere anche: Pier Egisto Valensin, Guido Morgese, Giovanni Buccianti.
Grazie per le risposte, ma – ora come ora – ci sono altre urgenze. Mi sembra che la situazione per l’università sia proprio disperata.
Trovo lodevolissima l’iniziativa promossa dal dr. Bisi e dall’altro giornalista della Nazione di coinvolgere la popolazione, le associazioni e quant’altri, organizzando degli incontri nella sala del Comune. Posso solo assicurare che a gran parte della gente comune tale situazione interessa ben poco. Ma ce ne accorgeremo tutti. Altra parte, pur conoscendola, ha lasciato fare.
Io chiudo, non sono all’altezza del dibattito, ma continuerò a seguirlo. Troverei scandalosa la tenuta in forza di chi tale situazione la ha provocata e questo potrebbe essere un sentimento comune, ne sono convinta.
Stiano attenti alla rabbia della gente!
No, Gianna c’è bisogno di tutti! Rimani, intervieni!
Sono poco convinto del ruolo che si assegna ai giornalisti, in questo caso da parte di una associazione di destra che crede in questo modo di avere più visibilità.
È un’altra sconfitta della politica: come se si avesse bisogno di terzi indipendenti – che poi non lo sono affatto! A parte il Corsiena che ha prese di posizione e silenzi (sulle liste civiche ad esempio) molto evidenti, La Nazione non pubblica regolarmente i comunicati di Italia Nostra, ad esempio, e, meno che mai, quelli su Bagnaia ora finita per le sue “invenzioni” nel best seller “La colata“, un libro-denuncia nazionale che spero potrà esser presentato a Siena.
A proposito, m’hanno detto di un romanzo di Raffaele Ascheri che sarà presentato alla Libreria Becarelli dalla collega Michelotti lunedì alle 17,30. Non so però che argomento tratti.
Molti dei GV sono proprio coloro che da questo sistema si sono avvantaggiati… i Grasso sono l’eccezione… non ci prendiamo in giro.
…volevo seguire Ismael e andare a vedere “the watery part of the world”, ma la stagione pessima mi suggerisce invece questo messaggio indiavolato: bando agli “Starnazzamenti”, colgo or ora casualmente alla radio, un programma in cui il buon Odifreddi commemora Galois, sottolineando come l’equivalente del Nobel per i matematici, ossia la medaglia Fields, non si assegni agli ultraquarantenni; inutile ricordare che qui da noi a quarant’anni, l’attività accademica in genere inizia, o meglio, iniziava, dopo pluriennali tribolazoni, servaggio e perdita di tempo in cose futili che poco c’entrano con “la ricerca”, a parte cercare di mettere assieme il pranzo con la cena. Dunque torno a ripetere: a mio avviso il problema, oggi come oggi, a livello nazionale come (moltiplicato per cento) a livello locale, è quello di garantire, in qualche forma decente, un minimo di turn over, insomma non perdere del tutto coloro che non sono stabilizzati, e possibilmente non deprimere ulteriormente quei ricercatori che sono stabilizzati, sì, ma senza prospettive, o con la prospettiva di operare per il resto della propria vita in un ambiente desolato senza sostanzialmente poter fare nulla.
Stando a livello locale, i trentaquattro corsi soppressi, che ora ci informa Ismael sono già diventati settantadue, da qui a poco diventeranno cento e passa, inclusi molti di quelli “seri”: ma interrompere una scuola, una cattedra, sciogliere gruppi (se ancora ve ne sono) e dissipare tradizioni scientifiche non è come chiudere una tabaccheria e per rimetterli in piedi ci vogliono decenni. In passato è successo a causa della guerra e del regime fascista (che pure aveva più attenzione alla cultura e alla scienza della periclitante democrazia che ci ritroviamo). È chiaro che il personale dell’università pubblica si ridurrà drasticamente nei prossimi anni. È altresì chiaro che a Siena sopravviverà poco dell’attuale ateneo: ma è criminale lasciare che molta parte di ciò che si è creato in trent’anni (e non è tutta cacca) evapori completamente nel nulla e se si vuol perseguire la strada dell’ “università federale”, come da più parti sollecitato, ebbene, lo si faccia con maggiore decisione, chiedendo che vengano approntati strumenti legislativi idonei, in modo da consentire lo spostamento eventuale di persone e strutture da sede a sede, aprire altrove prospettive che qui si chiudono, per chi è rimasto al palo con l’incedere della crisi, concentrare competenze, favorire il crearsi di specializzazioni. Altrimenti non capisco bene di cosa stiamo parlando.
se non si riesce a esprimere un buon rettore come si fa a pensare a accorpamenti seri? non c’è speranza, rassegnati…morte dopo agonia lenta e drogata, con molti inconsapevoli!
… caro Archimede, per me il “miglior fabbro” tra i candidati rettori, sarà quello che dirà parole chiare e non vaghe o retoriche sui problemi summenzionati. Registro con soddisfazione che dopo lungo torpore e discorsi a vanvera, anche i principali quotidiani cominciano a prendere sul serio la faccenda, riconoscendo che qualche problemuccio sussite:
“In autunno atenei bloccati”
….. A Tor Vergata, l’11 giugno, una ventina di ricercatori ha tenuto gli esami indossando la maglietta con la scritta: «Ricercatore fuori produzione. Disponibile fino a esaurimento delle scorte». Sul tema è intervenuto anche il presidente della Crui, la conferenza dei rettori, Enrico Decleva: «Se passa la riforma bisogna prevedere piani straordinari di assunzioni, circa duemila posti all’anno per il riassorbimento degli attuali ricercatori che lavorano già nelle università e che possono diventare professori associati» ecc.
http://www.repubblica.it/scuola/2010/06/20/news/atenei-dossier-4992510/?ref=HREC1-8
Caro amico,
già, direi! Il problema è che la reazione di cui hai parlato è di Roma, di Roma, non di Siena, dove tutto tace, ammutolito, sepolto dalla crisi del sistema… Non di 2mila posti all’anno c’è bisogno, ma subito dell’idoneità. Il resto come dici tu, sono chiacchere!
I ricercatori sono circa 26mila… La proposta Crui è di 2000 per 6 anni = 12 mila… e gli altri 14mila???
Siamo seri… le cose da fare sono due: “O l’ope legis… o concorsi aperti a tutti e vinca il migliore…”