Che la nemesi dei ricercatori non provochi la loro rottamazione

Emanuela Maioli. Con l’astensione dei ricercatori dalla didattica (la didattica è volontaria quindi non è uno sciopero) non si aprono i corsi di Laurea. Ergo, la paralisi delle Università è colpa dei ricercatori. Questo è il messaggio con cui molte testate giornalistiche tendono a sensibilizzare l’opinione pubblica in questi giorni. Emblematico è l’articolo pubblicato ieri 16 settembre relativo ad una intervista al Prof.  Decleva (Rettore nonché Presidente della CRUI) in cui Stefania Consenti riporta (non so quanto fedelmente, è registrata?) alcune affermazioni allucinanti del professore. Ne cito una in particolare: «e poi, mi consenta, non è che il ricercatore che rinuncia all’insegnamento non abbia doveri didattici. Come giustificheranno la retribuzione che prendono? Facendo solo ricerca? E no, a questo punto veramente trovo autolesionistica questa iniziativa e penso che così la stiano valutando anche altri ricercatori. Poi andrei cauto sulla parola sciopero, che vuol dire trattenuta sugli stipendi e significa garantire i servizi essenziali.»

Evitando per brevità considerazioni personali, vorrei che i lettori confrontassero queste affermazioni con quelle di Sergio Luzzatto riportate in un articolo de “Il Sole 24 ore”. Luzzatto, con una puntuale ricostruzione trentennale della figura del ricercatore, sottolinea (ma lo sanno tutti) come questa figura professionale sia stata destinata (e lo sia ancora secondo il DdL Gelmini in approvazione alla Camera) a svolgere prevalentemente attività di ricerca e solo limitata attività didattica, per di più integrativa, con un limite massimo consentito di 350 ore all’anno, ma senza un minimo obbligatorio (che quindi si presume essere zero). Coerentemente, Luzzatto intitola l’articolo “la nemesi dei ricercatori” e sintetizza la lunga deriva del sistema universitario italiano così: «Con la riforma 3+2 si è chiesto loro (ricercatori) di svolgere attività didattica senza valorizzarne il profilo: ora arriva il conto molto salato per il sistema.» E conclude: «Oggi, la protesta dei ricercatori contro alcuni profili (giusti o sbagliati) della futura riforma Gelmini appare come una nemesi del trattamento insieme opportunistico e arrogante (io aggiungerei ricattatorio) che il sistema universitario ha loro riservato negli anni. E interpella tutta una classe dirigente, incapace di valorizzare risorse umane strategiche per lo sviluppo del paese.»

Da tutto ciò è del tutto evidente l’abuso che si è fatto negli anni della figura del ricercatore ed è altrettanto evidente lo spirito d’appartenenza all’Istituzione degli attuali ricercatori che, volontariamente e senza riconoscimenti di alcun genere, men che meno economici, si sono caricati di mansioni non proprie, che di fatto hanno eguagliato l’impegno lavorativo a quello dei veri docenti (con metà stipendio, però). Decleva dichiara: «Se è vero che questi ricercatori ci tengono al buon nome dell’Università pubblica, se credono in quello che fanno, non dovrebbero metterla ulteriormente in crisi.» Con che diritto e faccia tosta i vari Decleva  (leggi: Professori, Presidi, Rettori) fanno appello al senso di responsabilità dei ricercatori? È inoltre completamente illegittimo confondere l’attuale indisponibilità dei ricercatori alla didattica volontaria con uno sciopero, equivoco in cui sembrano caduti sia Decleva che il segretario generale della Cgil Epifani che, riferendosi all’Ateneo di Bologna, si dichiara contrario alla proposta di sostituire le persone (ricercatori) che legittimamente stanno scioperando. Con tutto il rispetto verso il sindacato e tutta la gratitudine ad Epifani per essersi schierato dalla parte dei ricercatori (finalmente riconosciuti essere dei lavoratori) è completamente sbagliato paragonare la loro astensione dalla didattica con lo sciopero degli operai della Fiat e decisamente fuorviante paragonare Marchionne al Prof. Dionigi, Rettore dell’Università di Bologna.

Non so quanto questa confusione (solo giornalistica?) e questo gioco degli equivoci consentirà agli studenti e soprattutto alle loro famiglie di farsi un’idea onesta della situazione, ma soprattutto non so se questa atmosfera di contraddizioni ideologiche e contrapposizioni sociali contribuirà a risolvere la situazione universitaria italiana.

12 Risposte

  1. «e poi, mi consenta, non è che il ricercatore che rinuncia all’insegnamento non abbia doveri didattici. Come giustificheranno la retribuzione che prendono? Facendo solo ricerca? E no, a questo punto veramente trovo autolesionistica questa iniziativa e penso che così la stiano valutando anche altri ricercatori.» Decleva

    1. Concordo sul fatto che il ricercatore “puro” nel nostro sistema non esiste e non ha senso: anche perché ciò presupporrebbe che nelle nostre facoltà che reclutano ricercatori, vi fosse ovunque… la ricerca, cosa che non è. E presupporrebbe anche che il ricercatore potesse andare a cercare la ricerca là dove viene praticata ed apprezzata, cosa anche questa che non avviene, per la quasi totale assenza di mobilità.

    2. Concordo sul fatto che didattica e ricerca non possano essere disgiunte del tutto: sebbene lo siano state di fatto, con l’evoluzione/involuzione che ha subito l’università in questi anni di scellerate controriforme.

    3. Concordo sul fatto che per molti l’astensione equivalga al harakiri: ma per altri no, perché il livello di coinvolgimento nella didattica, il peso specifico nel determinare la sorte dei rispettivi corsi di laurea, cambia fortemente a seconda dei casi e delle situazioni. A prescindere da “chi è il colpevole”, spero che non si arrivi alla soppressione di insegnamenti e corsi di laurea; sarebbe quello che a Siena chiamano “guadagno di Pottino” (chi era costui?).

    4. Ma spetta a persone come Decleva e la Gelmini, non a me, decidere se il contributo dei ricercatori alla didattica è importante oppure no: se veramente le suddette autorità ritengono che l’apporto dei ricercatori ai corsi sia fondamentale -e lo è – porca miseria, non hanno che da scriverlo sui loro contratti! Se al contrario ritengono di no, trovino il modo per farne a meno, atteso che il modo non può essere semplicemente quello di chiudere altre centinaia di corsi di laurea a cacchio di cane, ossia secondo un tipico criterio aleatorio e fatalista, di attendere il compiersi degli eventi (que sera, sera). Non si può andare avanti con questa schizofrenia, negando sistematicamente la sera ciò che si afferma la mattina.
    Lasciatemi dire che la vicenda è stata gestita con la delicatezza di un maiale che danza il twist in una cristalleria, delegittimando il lavoro di 26000 persone e con intenti vessatori, quasi di rappresaglia generazionale.
    Ciò ha contribuito a far traboccare la pentola che già sobbolliva (ma non sarebbe esplosa).
    La maialata più grossa è stata infatti la improvvisa delegittimazione di migliaia di docenti: gente magari con alle spalle robuste esperienze di ricerca a livello internazionale, che da anni insegna e che ha laureato decine di persone, firmato centinaia di esami, tenuto lezione per centinaia di ore semplicemente perché glielo si è chiesto; con una di quelle proposte “che non si possono rifiutare”, è vero, ma che comunque apparivano plausibili, giacché nel resto del mondo che la gente a trentacinque-quarant’anni insegni appartiene alla normalità. Adesso gli studenti, dopo che qualche perfido ha sibilato loro nelle orecchie che i ricercatori non sono docenti “di quelli veri” (come quelli insomma la cui “bontà” è sovente attestata dalla cura con cui centellinano le loro apparizioni epifaniche all’università), li guardano con aria di sospetto o di dileggio, convinti che il “professor giovane” dell’università, sia equiparabile al mitico “supplente” della scuola media.
    Devo però dire che le forme che sta assumendo la protesta però, mi lasciano piuttosto perplesso. Questa per esempio (come farsi del male da soli) è una lettera indirizzata a chi non si astiene dalla didattica; ma devono aver sbagliato indirizzo, perché dal tono e gli argomenti, a me non sembra rivolta ad individui adulti normodotati, bensì agli ospiti del Cottolengo:

    «Lettera alle ricercatrici (o ai ricercatori) “disponibili”
    Caro ricercatore o ricercatrice “disponibile”, lo sai che nel tuo stesso SSD, quest’anno, mentre sarai impegnato nelle lezioni che non ti toccherebbero, mentre gli studenti ti chiameranno “prof.! prof.!”, in mezzo ai sorrisini di superiorità mal celati, di certi prof. ecc. ecc. molti tuoi colleghi indisponibili stanno studiando e facendo ricerca?…
    Mentre tu fai lezioni che competerebbero ad altri, questi tuoi colleghi ricercatrici e ricercatori sono in laboratorio, o in biblioteca, o ad un convegno. Sei sicuro di star facendo la cosa migliore? E soprattutto: sei sicuro che sia la cosa giusta da fare? Tra qualche anno, gli stessi che oggi ti hanno convinto a tenere in piedi una baracca pericolante ti diranno, con un’alzata di spalle, che la stessa baracca all’interno della quale ti avevano fatto intravedere un meritato riparo, è definitivamente crollata. (…) Quel giorno, certamente, dovrai riflettere su un fatto: tu avrai contribuito ad ostacolare una protesta che mirava a costruire una Università libera, pubblica e aperta. Altri avranno seguito questo alto scopo ideale e… come che sia andata, avranno un bel po’ di pubblicazioni in più!»
    Rete 29 Aprile

  2. @ Stavrogin

    Pottino era quel tale che bruciò le lenzuola per vendere la cenere.

  3. … a fronte della nostra passione per la scrittura e la cronaca, la storia ed il commento che anima un certosino lavoro di ricerca, esame ed elaborazione di dati in un dibattito “aperto ed ampio”, il tutto nella rigorosa metodologia scientifica necessaria a pararsi da querele e denunce… c’è la vita vera… che è fatta da una umanità cui non frega nulla dico nulla né della informazione né della critica ma sol del proprio contingente sfuggente presente e spesso non necessitato da drammatiche esigenze né ispirato da superiori ideali ma proteso al futile o ad assai privati quanto scadenti, nocivi, rissosi intenti…

    Se ne ha contezza sol che si tenti di dialogare con vicini o colleghi, parenti o passanti, in genere in imperscrutabili impegni impelagati e palesemente in ambascia solo per lo proprio picciol particulare…

    Cosa cale alla moltitudine dei solitari singoli del multiforme mondo – seppur microscopico – dei nostri funzionari e professionisti di ospedale, tribunale, università, comune, provincia, regione, se non che, se ce la si fa, sia sbarcato il lunario, operata la cataratta della zia, pagata la vacanza alla figlia, piazzata la nonna nel pensionario e così via?

    Stanno a pensar che Siena è un pelo nella pelliccia folta e bruna della cupa entità malefica che il mio, il tuo, il nostro pianeta possiede e dilania sempre, solamente e semplicemente a proprio piacimento? No!

    Eppure a cominciare dalla banca nulla può sfuggire a “giochi” (si fa per dir) che prescindono da ogni afflato etico e approccio legale o moto spirituale ché il negarlo sarebbe solo elucubrazione vana.

    Qui fra le mura critichiamo i postumi prepotenti e pervasivi d’una storia fasulla e assassina qual fu il cosiddetto comunismo ma forse dimentichiamo che non si può far altro che cercare il minor male, ma senza speranza che l’apparente bene non inganni…

    … sempre per la memoria non si dimentichi che il mondo resta saldamente in mano a mostruosi irraggiungibili criminali che nel traffico droga-armi-guerre (leggi: stragi e genocidi più terrorismo psicologico) gestito da banchieri-politici-mafiosi hanno trovato il bengodi e la cornucopia: è la sintesi di quel che è scritto nei libri di criminologia e per questo la cultura (quella vera) è malvista e vilipesa. JFK iniziò l’ennesima aggressione all’umanità in quell’occasione vietnamita e basta la scena d’un famoso film per averne cognizione e mantenerne la memoria: http://www.youtube.com/watch?v=xHDnlvg9t_c

  4. Decleva in 2 anni è passato da laureato a prof straordinario… proprio come i ricercatori di oggi…

    Ma mettere a riposo questi vecchi carampani no? Se vogliono studino e scrivino ma non si occupino più di gestire una macchina che loro – sottolineo loro – hanno distrutto…

  5. «Assistiamo a queste proteste di ricercatori in sovrannumero e professori di parte, spesso politicizzati da sigle aziendali.» Azione Universitaria

    …”ricercatori in sovrannumero”????????????????????????????????????????? Ma chi, sarebbe “in sovrannumero”? Sciacalli

  6. …. cattivo risveglio: apro internet e leggo le dichiarazioni cretine di questi baldi giovani berlusconoidi che parlano di “ricercatori in sovrannumero”. Guardate che ccà nisciuno è fesso. La cosa finisce molto, ma molto male.

  7. Scusate, ma questo è veramente troppo, un’ignominia che va lavata col sangue; con tutto il rispetto, questi qua hanno la faccia come il didietro:

    “Impedire di studiare per difendere i privilegi dei ‘baroni’ è semplicemente una follia. Fanno bene gli studenti, guidati da Azione Universitaria, a protestare contro chi blocca le lezioni e gli esami”, ha commentato Donzelli, dando il proprio consenso all’iniziativa degli universitari del Pdl.

    Stiamo parlando dell’agitazione dei ricercatori: “i baroni” sarebbero i ricercatori a 1500 euro al mese? Un ricercatore entra a quarant’anni con 1200 euro di stipendio e ora se lo trova persino bloccato per anni e pesantemente decurtato: andranno a mangiare a casa del duo Zecchi & Marrone? I loro privilegi ammonterebbero al fatto che insegnano “aggratisse”, senza che MAI si sia voluto mettere nero su bianco quali fossero i loro doveri in merito alla didattica, in una università dove per loro non c’è più futuro, essendo stati gettati tutti e 26.000 in un binario morto, senza che questo impegno pluriennale nella didattica, che per molti è perfettamente equiparabile a quello di associati ed ordinari venga, nemmeno moralmente, riconosciuto? Sarebbe questo il modo, come dicono giovanilisticamente i nostri eroi, di “lottare contro la baronia”?

    “Bloccare la didattica – hanno spiegato Zecchi e Morrone – è ledere in modo palese il diritto allo studio degli studenti universitari. A fronte degli oltre 1.500 euro in media sostenuti hanno il sacrosanto diritto di poter usufruire del servizio fondamentale che spetta loro: le lezioni”.

    MA SOLO ORA, si accorgono che il contributo alla didattica dei ricercatori è fondamentale? Provino a denunciarli, per aver violato una norma del loro contratto che non c’è: e visto che Zecchi & Morrone appartengono alla coalizione di governo, non hanno che da scrivercela, altrimenti protestano insensatamente contro sé stessi.

    “Il blocco della didattica – hanno proseguito Zecchi e Morrone – penalizza in prima persona gli studenti universitari e relative famiglie, coinvolti contro la loro volontà in una battaglia che ha lo scopo di difendere privilegi, sprechi della casta baronale.

    I 26.000 ricercatori che tengono aperto ciò che rimane dell’università italiana, spesso rimasti “ricercatori” perché da anni non si batte chiodo e non c’è verso di assurgere a ranghi più elevati, insomma una generazione intera di giovani (o quasi) studiosi, sarebbero “rappresentanti della casta baronale”????????? Ma tornino in discoteca, Zecchi & Morrone, che non mi paiono in grado di parlare di cose serie.

    “Con le nuove modifiche – ha aggiunto Donzelli – viene data la possibilità ai ricercatori di poter ottenere due contratti triennali al termine di ciascuno dei quali ci sarà una valutazione e poi la possibilità di accedere all’abilitazione nazionale, quindi entrare di ruolo con una progressione di carriera (diventare, in altre parole, professori) o con uno scatto stipendiale nell’università; o ancora di lavorare all’interno della pubblica amministrazione o anche nelle aziende private”.

    intanto che cacchio c’entrano le FUTURE “tenure track” alle vongole, con gli ATTUALI ricercatori, Dio solo lo sa; e sicuramente non lo sanno Zecchi & Morrone: ai 26.000 ricercatori a tempo indeterminato oggi in essere, una risposta È DOVUTA, perché non è che si può cancellare una generazione intera copn un colpo di spugna e non saranno due fannulloni con atteggiamenti squadristici a decretare la fine della ricerca in Italia e la liquidazione in blocco di TUTTI i ricercatori. Quanto alle “tenure track” alle vongole, se non ci mettono sopra dei quattrini, al termine dei sei anni vi sarà un solo possibile epilogo: il licenziamento. Comincino a ragionare sul fatto che i governi di destra di mezz’Europa investono sulla ricerca (13 miliardi la Merkel), mentre in Italia tagliano “orizzontalmente”.

    “Finirà il calvario dei precari a vita, verrà finalmente introdotto il merito”.

    Come direbbe Flaubert nel dizionario dei luoghi comuni “mai azzardarsi a specificare come”. Infine, non mi sembra un modo responsabile, da parte di una forza di governo, quello di affrontare i problemi (e qui ve ne è uno VISTOSISSIMO, per chiunque non abbia cospicue fette di prosciutto davanti agli occhi) semplicemente NEGANDOLI.

  8. Emanuela Maioli vorrebbe conoscere e farsi conoscere dai signori Zecchi, Morrone, Donzelli.e Co e si presenta:

    Essendo ricercatrice dal 1983 (senza ope legis), non mi sono affatto scandalizzata quando i ministri Tremonti e Gelmini hanno detto che la riforma va nella direzione di combattere la baronia e di valorizzare il merito; «finalmente qualcuno prova a correggere lo scandalo dei concorsi truccati, nei quali prima si stabilisce il vincitore e poi si nomina la commissione; finalmente la seconda idoneità non sarà più usata come merce di scambio» ho pensato.

    Non mi sono affatto scandalizzata quando ho letto che nel DdL Gelmini è prevista l’acquisizione di una abilitazione nazionale conferita da un’unica commissione sorteggiata, anzi, l’auspicavo da tempo; «finalmente un candidato potrà essere valutato in base a parametri oggettivi e non calibrati ad personam» ho pensato.

    Non mi sono troppo preoccupata neanche quando ho visto che il ruolo degli attuali ricercatori veniva messo ad esaurimento; «si poteva fare di meglio con pochi soldi in più, ma non è grave perché si può superare se si hanno i titoli per ottenere l’abilitazione ad associato o, perché no, ad ordinario» ho pensato.

    Non mi sono affatto scandalizzata quando il ministro Tremonti ha ufficialmente dichiarato che l’Università di Siena è fallita; «finalmente qualcuno usa il termine giusto per descrivere un dissesto di queste proporzioni, frutto di anni di gestione irresponsabile delle (scarse) risorse» ho pensato.

    La manovra “salva Italia” (indispensabile, senza ironia) prevede il blocco per tre anni degli scatti stipendiali; «si poteva fare di meglio (cioè distribuire più equamente il sacrificio), ma se la sorte mi avesse fatto nascere in Grecia? » ho pensato.

    Dopo l’idoneità nazionale ci vuole comunque un concorso locale; «chissà come verrà regolamentato, sarebbe stato più coerente con lo spirito della riforma (meritocrazia, lotta alle baronie) prevedere una chiamata diretta anche per gli attuali ricercatori; aspettiamo gli emendamenti e i decreti attuativi» ho pensato.

    Invece, mi sono sentita mortificata e bistrattata quando ho capito che, dopo 27 anni di attività didattica, integrativa e non, frontale e non, non sarei mai stata considerata una docente; «pazienza, se non sono una docente sarò solo una ricercatrice a tempo pieno; certo però, non farò più didattica volontaria a costo zero; una piccolissima, timida ribellione me la voglio concedere, anche se forse farò il guadagno di Pottino (per rispondere a Stavrogin)» ho pensato.

    Poi ho realizzato che:

    Il DdL Gelmini abolisce la ricostruzione della carriera. Senza anzianità, con gli scatti divenuti triennali e con una prospettiva di vita lavorativa di soli otto anni, un eventuale scorrimento da ricercatrice ad associato (anche ad ordinario) mi farebbe perdere un sacco di soldi!

    Il DdL Gelmini prevede il blocco del turnover per gli Atenei non virtuosi; «è doveroso da parte del Ministro e anche giusto» ho pensato.
    Visto però che non ho alcuna responsabilità della disastrosa situazione finanziaria della mia Università, non dovrei essere io a pagarne le conseguenze!

    E allora, in attesa di qualche emendamento e di qualche miracoloso intervento locale, mi sono chiesta quale sarà la sorte di Emanuela Maioli, uno dei circa 16.000 ricercatori (2/3) che non appartengono all’Università solo il 27 del mese.

    Nella migliore delle ipotesi, quella di andare in pensione da ricercatrice nel 2018, con 40 anni di contributi e 65 anni di età, senza gratificazioni, senza ringraziamenti, senza riconoscimenti né giuridici né economici, con soddisfazioni scientifiche sempre più magre, vista la crescente difficoltà a reperire fondi per la ricerca e senza neanche più il contatto con gli studenti e la gioia (faticosa) di trasmettere loro qualcosa; «tutto questo non è né sano né giusto, ma soprattutto è completamente demotivante» ho concluso con un pizzico di romantico pessimismo.

    Tornando al concreto, il ministro Gelmini ha invitato oggi i ricercatori a non astenersi dalla didattica perché alla Camera si ricorderanno di noi. Un po’ vaga come rassicurazione e leggerissimamente in ritardo, no? Nonostante ciò, nutro ancora un debolissimo filo di speranza.
    Comunque l’attesa non durerà più di un mesetto, poi vedremo se si dovrà spargere del sangue (di chi?) o ci sarà solo qualche livido (temo inevitabile per me).

  9. «…il ministro Gelmini ha invitato oggi i ricercatori a non astenersi dalla didattica perché alla Camera si ricorderanno…» Maioli

    …non mi fido della dichiarazione del ministro che sembra fatta apposta per rimettere gli schiavi al lavoro e non mi fido anche per il profilo della dichiarante ministra. L’or è!

  10. Da “Il sole 24 ore”, 24 settembre:
    «Nella mozione approvata ieri, la Crui appoggia il progetto Gelmini che, soldi permettendo, punta a trasformare in 5-6 anni 9-10 mila ricercatori in professori associati ». Frassinetti ha aggiunto che «questa è la reale platea dei ricercatori che hanno i requisiti per poter essere stabilizzati, visto che dei circa 26 mila esistenti, secondo le stime, una parte sono sulla via della pensione e gli altri sono troppo giovani».
    Prima osservazione:
    Si continua il gioco degli equivoci e i balletti dei numeri.
    È un errore innocente usare il termine stabilizzazione? Per i ricercatori a tempo indeterminato (che sono di ruolo) non si tratterebbe di stabilizzazione ma di progressione di carriera.
    Si potrebbe parlare di stabilizzazione solo per gli attuali ricercatori precari (ma il DdL non ne parla) e per gli eventuali futuri ricercatori a tempo determinato (che per ora esistono solo sulla carta).
    Quindi si deve dedurre che i ricercatori “stabilizzabili” sarebbero 10 mila dei 26 mila attualmente in servizio?
    Insomma, o sono sbagliati i numeri o i termini. Mi sfugge qualcosa?
    Seconda osservazione:
    Secondo dati di provenienza CUN, dei 26 mila ricercatori, un terzo sarebbero fannulloni. Da ciò avevo dedotto che il resto (più di 17 mila, non 10 mila) fossero attivi e quindi meritevoli di “stabilizzazione”. Se questi fossero i numeri corretti, almeno 7 mila ricercatori resterebbero fuori dai giochi per i prossimi 5-6 anni.
    Terza osservazione:
    Ammettendo anche che le stime e le previsioni siano giuste e che ogni anno 2 mila dei 10 mila ricercatori diventino associati con obbligo didattico, mi spiegate perché gli altri papabili (8 mila il primo anno, 6 mila il secondo ecc.) e i rimanenti (24 mila il primo anno, 22 mila il secondo, ecc) tra fannulloni, troppo giovani e troppo vecchi, dovrebbero accollarsi carichi didattici non obbligatori dato lo stato giuridico di “non docenti”?
    Per i giovani posso immaginare che il miraggio dell’associatura verrà usato come “carotina” in cambio della didattica, ma per i vecchi quale vantaggioso scambio si prospetterà?
    Dulcis in fundo, come sbloccheranno il blocco del turnover negli Atenei in deficit cronico per dare a tutti le stesse chances?
    In conclusione, mi sembra che gran parte (non tutto) del DdL Gelmini continui a non convincere e che i ritocchi promessi (a condizione che il DdL passi) non facciano altro che confondere le già torbide idee.
    Scusate la mia insistenza.

  11. …oggi è stato pubblicato sul sito del MIUR il decreto ministeriale n. 17 circa i requisiti di docenza:

    Decreto Ministeriale 22 settembre 2010 n. 17
    Requisiti necessari dei corsi di studio
    http://attiministeriali.miur.it/anno-2010/settembre/dm-22092010.aspx

    Non trovo di primo acchito alcune delle paventate misure, come l’esclusione dei ricercatori dal computo dei requisiti minimi di docenza; resta il fatto che vi sono comunque alcuni degli annunciati irrigidimenti, che assieme alla fuoriuscita di una bella quota del corpo docente per pensionamento, qui a Siena determineranno il dimezzamento dell’ateneo: ma quando incominciamo a parlarne? Bambole, qui è finita! Se certi settori non riusciranno a stare in piedi da soli, quando cominceremo a prendere sul serio l’ipotesi “federalista” di collaborazione con gli altri atenei e di polarizzazione delle specializzazioni (ivi inclusa la mobilità dei docenti)? E in queste condizioni, come si fa a pensare di poter fare a meno dei ricercatori?

    P.S. Sento su rainews (“la notte dei ricercatori” in diretta) che la Cina aumenta ogni anno gli investimenti in ricerca del 20%. Ubi maior… ma qui verrebbe proprio da piangere. Stiamo a baloccarci coi corsi paramilitari nella scuola, per formare dei giovani Balilla: ma non potremmo invece combattere la nevrosi che ci attanaglia, facendo un po’ di Tai-Chi, come i cinesi?

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